1/ ENEIDE
I VIRGILIO
VOl.UABIZZATA
DA
ANNIBAL CAR#.^y,
FIRENZE,
(J. BARBÈRA, EDITOKK.
1S1I-2.
AI LETTORI.
Onsi studiosa die acquista un'edi-
zione nuova di «n libro vecchio, liti
diritto di sperare che questa nuova
edizione vini:» di pregio tutte le pie-
cedenti; ed ha pure il diritto di co-
noscerequali cure vi siano state spese
attorno, perchè la sua giusta speranza
non fosse delusa, fc mio dovere per-
tanto di soddisfare a questo secondo
diritto, per indurre nell'animo dei
lettori la persuasione che anche al
primo si è cercato di soddisfare. ,
Da un attento esame delle piii pre-
giate fra le molle edizioni di questo
libro, mi venne fatto di scorgere che
Cako. a
VI AI LKTTOBI.
qua e là in più luoghi esse discaro
ilnvnno essenzialmente; tanto clic ai
voler dare un' edizione più genuina
che fosse possibile, ero mestieri di!
risalire alle fonti; cioè all' edizioni!]
principe, fatta in Venezia dal GiunUj
l'anno 1581, ed assistita da l.epidoJ
Caio, nepote di Annibale. Ma peri
mala sorte cotosta fonte era avuta ini
conto di molto impura dagli nomini j
di lettere; onde il ritornare ad essa,]
e riprodurla tal quale, non sarebbol
stato altro che un ripristinare gli er-j
rari. Volli nondimeno toccar con inu-j
no, e mi avvidi che il giudizio dei]
letterati non era ingiusto. Ma insio-i
me conobbi che ciò era bastato pepi
isbrigliare l'arbitrio degli editori, lai
cui licenza crasi andato esercitando!
in molti e molti mutamenti, suggo-!
riti ora dal desiderio di far troppo!
bene, che torna n male, e ora daUj
l' ignoranza della nostra lingua e di]
certe sue forine invecchiate.
AI LETTOSI* TU
l.n Tania di scorretto nuoce nd un
libro, come la faina di buginrdo ad
„„ uomo: « Anche se dice il ver non
„l, ,'• rreduto. » Tate mi è seminata
|a sorte di questa edizione Giuntina;
clic so non è dell* più accurate, ba
veduto però nascer da sè figlio molto
•u trascurate di lei. Quanto a me,
io non lio voluto che questa sua mala
fama facesse \e\p alla più severa im-
parzialità; * <l°vc l'errore non era
manifesto, alla Giuntina mi sono
attenuto piuttosto che ad altra qua-
]un<l"e edizione. Ma come discer-
„erc il v<-*r0 da' l"180? c'ù aP-
niinto credo che consista l' uflicio
e lo studio di chi invigila ad una
ristampa. Il riscontro dell'originale
latino, l'esame del contesto, l' inve-
stigazione delle proprietà di nostra
lingua, sono stati i miei criteri. Ma
questi criteri qualche volta sono fal-
laci, e spessissimo insufficienti ; on-
de io posso bene essermi ingannato.
TIII AI LETTOSI.
Il lettore ne giudichi da qunl he
saggio :
Libro I, verso 193, O.:1 Eolo a rin- j
contro: a le, regina, disse, Convicnsi ]
che tu SCORGA i tuoi desiri; Al. : * j
scopra. Che scorgere significhi anche i
scoprire, manifestare lo dice anche
il vocabolario, e chi al vocabolario I
non credesse troverà in Marcello
Adriani il giovane {Trad. di Plutar- j
co, Vita di A rislide, § 3) Si scorse {
in senso" di Si palesò, si inanife- ■
stó, avendo il greco la voce t'ya! viti.
— I,v. HI, G.: Le sarti; M.: le sarte, j
Qiiantuni|ue non vi sia alcuna difrt-jj
colta a credere che il Caro scrivesse J
le sarti, come il Machiavelli disse le ,
pianti, il Borni le spesi, il Boccao |
ciò le erbati, ed in limi i altri siinil-j
mente,' pure il leggersi poi sempre 1
1 0. vale : L' Kdisiom Giuntina Itqgt... 1
» Al significa: AUrt tdiiioni liggono ; « I
inlotitliamo le più reconli.
' Vedi il Nwinucri, Tiùrta dti nomi, cc.1
Fug. 2»S segg.
AI LETTORI. IX
sarte in tutto il resto dell'Eneide mi
ha fatto forse pentire di aver bisciolo
/,. sarti. — I, v.328,G. : Per vari casi
e per acerbi e duri Perigli è d'uopo
A far d'Italia acquisto ; Al.: è d'uopo
far il' Italia acquisto. Quell'u pare
che ubbia duto molta noia agli edi-
tori) perchè tutti la vollero bandita,
e con questo ci regalarono un verso
Binilo cadente, e slombato. Suppo-
nendo, quel che essi doveron sup-
porre, che queir a faccia le veci di
per, a fine di, certamente non se ne
cava senso: ma supponiamo che stia
invece della particella (ti; nessuno
avrà difficoltà d'intendere queste pa-
role: li d'uopo DI far acquisto d'Ita-
lia per vari casi e pericoli, Iiesta
però sempre a provare che Va stia
invece del di, e che si possa indistin-
tamente «lire : È d'uopo di fare una
cosa,o È d'uopo A fare una cosa.
Io credo che una tal prova si abbia
in questi esempi dello slesso Curo, VI,
X AI LETTOIH.
v. 1 115: Indi a venir n'è ilalo Negli
ampi elisii campi; e XII, v. 1107:
Stan rtubie a cui ili lor marito c
donno Sia de la rmen lo \ diven ir coiw
cesso; nei quali casi noi ora diremmo,
ncèdatom venire, o, necdatoi<enire{>
concesso di divenire, o concesso diva*
tiirc: mentre invece lostessoCaro,YU,i
v. 433, ha ri etto: Incrini inda va D'alzar |
gli alberghi e i i fondar le nutra, ovai
noi ora comunemente diremmo,
comiiir/ni'd ad aiMF f/Ii alberghi el
A fondar le mura. — I, ». 500, G.: 01
Dea, se da principio i nostri affamiti
Jo contar ti volessi e tu con agioi
Udiste una da mesi lunga istoria, |
Non finirei, che fine avrebbe il giorni
no. Nella parola udiste a tutti glil
editori 6 sembrato di scorgere uni
errore, ed anche a me sembra; poi-I
chè, supponendo pure che udiste sia I
in luogo di udisti, non è questo ili
modo e il tempo del verbo che iti
contesto richiede. Gli altri editori vi
Al LKTTOBI.
XI
danno sostituito nrfir; io, per osar
,n(.n«, ho ninlnto il I in *, e ne ho
r.,Un udirne. — I. V..KUI, G.: Enea,
c,ji la pti/emo. (,'(i«r. ::ii Qu«/ar non
lascia, a le sue navi bigonci Spedi-
sce Acale; Al.: Enea, l.A CUI paterna
lenerevta Quotar non lascia, ec. Una
u|c trasposizione, oltreché dà un
VP,so fiacchissimo, distrugge a mio
c, ,-rleio là sintassi. - III. v.<>98, G. :
Sni'i 'n /"Ho io ('ASSENNO, <i pratico,
Vi ripe'» più volte e ti rammento J
x\.:..--t'acctnno; Vino.: Efottm i//i«<
fiiii, natedea,pro<lucom»ibus unum
pronlicam, et repetens iterumque
l/critmgiie uonebo. — III, v. 895,U.:
È...- capace Di molli legni il porto
ore sorgemmo; Al.: ove giuijnemmo.
l| verbo sorgere ha il significato di
approdare, e glielo danno anche i
vocnbolarielli ad uso delle scuole.
Eppure qui gli editori hanno creduto
di negarglielo, mentre poi glielo han-
no concordemente concesso al L VI,
XII AI LETTORI.
t. 1042: A la riva Del mar Tirreno i
i7 mio navile è sorto. — IV, ». l'J3, I
f!.: Or poi che la meschina Fu da'
tanto dolor dia tanto affanno \PPitE- !
SA evinta; Al.: Oppressa; Virg.: Ergo
ubi concepii fnrias evicta dolore. —
V, v. 1010: E tu de' tuoi Ciò che
t' avanza.... a lui si lasci. Cosi leg-
gono tutte le edizioni; e noi per ihir
sintassi al periodo eravamo tentati di
scrivere a lui qui lascia, o, a lui si
lascia : ma non abbiamo osato. — VII, '
v. 975, G. : Tirar lame «"acciaio fila
d'argento; Al. : rf'ACClAH. Come noia,
gioia e simili sono monosillabi nei
versi di molti poeti, e fin del Panni,
cosi acciaio qui 6 bisillabo, quantun-
que in altri luogbi il Caro stesso lo j
faccia trisillabo. — VII, v. 1018, 0.: j
Conia madre il poderoso ni. Imi ini vi
si mescolò quando di Spagna, Da I
Gettoni estinto (cioè, dopo avere j
estinto Gerione) ai campi venne Di !
Laurealo; \\.:... Di Spagna, Estinto
Al LITTORI. XIII
Cel ione, ai campi venne ec. Io non
so se possa darsi mutazione più teme-
raria. — IX, ¥. 177, Quante.... Eran
le navi, tantk ili donzelle Si vìiler
per lo mar termi aspelli. Cosi, die-
tro alla Giuntina, «.ulte le edizioni : io
ho creduto di dover mutareil fan fi* in
(Olili.— IX, v. «186, C: Tonùdal manco
Seueso lato; Viro.: De parte serena
li\tonuilla,vum;\\. : Tonódal manco
SiMSTRO(!) lato. — IX. v. 1H7,G.:W
grave sasso.... Va l'alio ordigno,
ov'era diami appreso, Si spicca e
piomba; Al.: appeso. Mi pure che il
testo dia ragione alla Giuntina: Saxca
pila cadit, magnis quam molibus
ante constructam ponto iuciunt.—
X, v. 1-249, G.: E 7 /ho fallo; Al.:
E'I tuo fato; Viro.: Faclaque.
^addurre i molli altri esempi che
potrei, e l'additare i luoghi in cui
ho credulo dovermi scostare dalla
Giuntina e seguire le altre edizioni,
riuscirebbe non meno grave al let-
ZIT li LITTORI.
lore che a me. E giù le mie pnroli
son troppe. Mi occorre perù ancori
di dire che non in' 6 piaciuto d'imi
tare l'esempio di'gli altri editori, i
qualf hanno ammodernato molti va.
cnboli. Ed ho lasciato il suffocare, il
Bora, il fulgurò, il ver ti, lo sberao,
V uccisione, V occiso, V effigi, il prò.
fetezza, le redine, il sussidio, l'è*..
sequire, il Volcanoe moltissimi altri.
Ma come l'uso di queste forme non
era costante nella (iiuntina, cosi an-<
che qui si è mantenuta In stessa in.
costanza e vi si legge pure sussidio,
uccise, folgorare, Vulcano ec. ec.i
Questo minuzie mi pare che giovino^
alla storia delle parole.
Quanto all'ortografia ho tenuto
questa regola, che, trattandosi di
versi, mi è semhrata la più sicura:'
se I' uso odierno non induceva nlcu- I
na variazione di armonia, di accenti,]
di suoni o di consonanze, ho seguito
1" uso odierno : e cosi di a i, de i, I
Al LETTORI.
XV
ne . e simili lin fatto ai, dei tifi ;
nin «love per seguire quest' uso era
mestieri aggiungere o togliere una
qualche lettera, onde ne usciva quat-
erna delle dette variazioni, l'uso an-
tico mi è parso da preferire : e però
di .ti come, di poi che, di a le, di
ne la, non ho fatto siccome, poiché,
aìle, nella.
Dirò per ulymo che ad utilità de-
gli studiosi è stalo fatto precedere il
poema dagli argomenti clic dettò in
latino il Uiibner per la elegantissima
edizione del Virgilio di Didot, e che
tradotti e cosi riuniti in principio del
libro, formano una succinta narrazio-
ne dei fatti d'Enea. Si è creduto pure
di provvedere al comodo dei lettori
mettendo nel margine superiore di
ciascuna pagina la numerazione dei
versi ituliani, e nell'inferiore quella
dei versi latini corrispondenti.
1860.
Antei.mo Seveiuni.
»
ARGOMENTI.
Vr 1 ■ cifre noUte In qnwtl Àrforoetitt richU.
■ijno U ngmerailont del T«il Uliui che e a |>i*
jl eiai pafin* del libi©.
LIBUO Ì.
protasl ed invocazione della Mafia 1-11.
Glouono a danno dol Troiani domanda od
.«ione da Eolo elio scatoni una violentie-
tim > tempeala contro di loro, ebo naviga-
no djlla Sicilia lu Italia. 12-123. Nettuno
.argo a lodare la burrasca; e 1 Troiani,
balestrati dal mare e dai venti vorto la
Libia, 'i approdano, 124-1J8. Enea, preeo
terra! fa preda, alla caccia, di ietto groael
cervi,' che dì«triboi«ce, nno per ciascuna,
alle «etto navi campato dal naufragio;
quindi cerca di rianimar» t anol compagni,
,1» slancili del lungo errare, colla »po-
"anta del vicino riposo, 159-22?. Frattanto
Youao patrociua appo Giove la causa dol
xvni
AMKUUMTZ.
■no Enea • da' Troiani: e Giovo, erelatolo
1' arcano dei futi, consola il doloro dulia
figlia eolla sporanza di una felice posterità,
e della futura grandezza di Konia, 223-206;
o intanto naacostameute manda Mercurio
per disporre a mitezza verso i nuovi arri-
vati l'animo do'Peni, 297-304. Quindi Ve-
nere ai fa incontro ad Enea che ignaro
do' luoghi andava attorno per esplorarli, gli
annunzia che lo navi disperse erano salve,
e in pari tempo gli mostra Cartagine, eoi
poco lungi di la stara fabbricando nido-
rie, '303-430. Enea, per favore della madro
nascosto con Acato dentro di una nube, en-
tra in Cartagine; quivi ammira le opere a
coi si dà mano, e redo i suoi compagni
ninorovolmento accolti da Didone, J'1 ■ >■;'>
S'apre la nube: e Didone stupisce alla ri-
sta o all'avventura d'Enea, lo conduco alla
reggia, manda por Ascanio con doni, ed
invia gran copia di vettovaglio ni compa-
gni \ Enea, 685 036. àia Venere diffidando
di un'ospitalità concessa in terra derota
a Giunone, ed anco doli' indolo Ocra do'Pe-
ni, rnpisre Ascanio ai boschi d'Idalia, o
in sembianza di lui manda il suo Cupido,
perchè fra gli abbracciamenti e I baci della •
regina, lo Inspiri insensibilmente focoso
amore d'Enea, 657-722. Gran convito nel»
l' aula Didono prega Enea che le narri
aRGOWFSTI.
j- eccidio di Troii, i noi cui. 1 sool lon-
(bi errori, 723-750.
L1B10*II.
Banche * malincuore, Knca eort racconta
i limosissimi eventi, 1-13. 1 Greci, affranti
j,||a decenne guorrao diffidando del pruprio
.«loro, ricorrono all' ingrano: facendo »i»U
di foggi™. »e|«g«',no » Toncdo, 0 diotro
,el|- isola li nascondono, dopo aver lasciato
„l lido o» cavallo di legno, in cui nvor»
Jineliioso i più eletti fri i enpl dell'eser-
il0 « die avevano costruito di Unta gran-
i-ira. da non lo poterò «cogliere entro le
orto di Troia 1 Troiani parte indotti dalle
frodi Ji linone, parto atterriti dal suppli-
co di I.aocoonte, demolita una parte del
_nf<1, trascinano il «vallo fin sull» ròo-
14-249. A nolto avantata I Orcei rivo-
„ti da Tencdo inradono la città, lo coi
Cardie erano già stato ucciso dai guor-
Jie,i nielli dal cavallo, 260-287. Intanto
Ettore apparisco in fogno nd Enea e lo
esorta di provvedere ni «no scampo colla
f a, e ,li vulvare dall'Incendio gli Dei pa-
y| Jo3-J»7. Ma egli, anteponendo alla foga
ina morto onorata, corre alle armi; e in
CI
ARGOMENTI.
■ni primo far impeto la Corinna arrido al j
Troiani, ondo, soguondo il consiglio di Co- I
rebo, indossano le armi doi nemici uccisi; 1
ma pel riconosciuti dai Greci e presi in
incarnino dagli amici, finiscono oppressi 1
dalle armi dogli uni o degli altri. 203-437. J
Frattanto si dà l'assalto alla reggia di']
Priamo, che muore miseramente trucidato
da Tirro tiglio di Acbillo, 438-55S Tonfata j
indarno ogni prora/Enea, vedendo gli stesai J
numi dar mano alla distruzione di Troia, j
affida al padre suo AncUise gli oggetti sa- J
cri, e toltosi lo! su le spallo, preso Ascanioj J
por mano, ingiunto alla moglie Creusadise*- i
guirlo da presso, si dà alla fuga, 559 729. J
I Greoi l' inseguono. Nel tumulto si amar- 1
risce Creusa: ed egli a ricercarla montroJ
invano ritorna e s' aggira per gì' incendi 1
della città, redo fargìisi incontro l'om-1
bra dolla consorte ebo gli fa vaticinii in- J
torno all'Italia, o gli raccomanda Asoa- J
nio, 730-794. Allora ritorna al luogo ov'era- 1
no i complgnl, e vede che vi a'ò accoltaìj
gran moltitudine di uomini e donne, pronti
tutti a seguir la sua sorte, 795-804.
iMOHMK
XXI
LIBRO HI.
Caboti TroIa*Enoa raccoglie 1 superstiti
uii s-:» hi assolto, proavo A diandro, un'ar-
mata di rénlì nari, fa rata, ci approda pri-
mieramente nella Tracia. Quivi mentre sta
gettando le fondamenta di ana città, ò at-
territo dal prodigio di Polidoro, ucciso già
da PoHmostore : onde talpa di onoro e
prende terra a Dolo, 1-77; dove consal-
tando l'oracolo di Apollo, ne ba il responso
cn(l « deo ritornar* all'antica madre della
gUA gente: > il qualo oracolo male ìutor-
sretato da Ancliiso fa volgere i Troiani a
Creta, 73-120. Ivi, quando già sorgevan lo
«ora. °n 1 Herissima pestilenza H flagella.
Onde Knca, ammonito in sogno dai Penati,
abbandona Creta e si dirige rorso l' Ita-
lia, 12I-AW» In qnusla navigazione còlti
(; i improvvisa tompeata, son gettati allo
Isole StrofaJi, di dove respinti dallo offeso
delle Arpie e dai tristi presagi di nna di
esse, Ccleno, riparano ad Azzio, e vi cele-
brano Ì giuochi In onore dì Apollo, 270-290.
Di là si tragittano a Coreira, e nell'Kpiro,
che allora era soggetto all'indovino Kleno,
ai figlio di Priamo. Il qaalo dopo le ac-
ooglienze onesto e lieto ospono ad Knea
tatti i pericoli di terra e di maro elio gli
Caro. • B
AHOnMKNTI.
restino a correre, e gli mpro I' arcano del I
fati, 291-505. Lisciatosi dietro 1° I | ir»,
Knea, costeggiando Taranto in sulla punta, I
d'Italia, arriva in Sicilia, in luogo noli
lontano d.il monto Ktna : dove raccoglla'!
A<h*menido, un Orafo abbandonato di l'Ila- 1
so nell'antro del Ciclopo: allo preghiera]
e alle notizie di costui intorno ull'im-j
inanità dei Ciclopi, Enea scioglie di nuo-J
to, 5lMVfl3.*l; e memore dogli avvisi di Kld*9
no, per causare Scilla e Cariddi, fa il
lungo giro della Sicilia, finche, giunto a
Prepano, Ivi perdo Anehise, che se nt
muore por vecchiezza, 684-711. Di là, men-
tre naviga verso Italia, e sbalzato in Af-
frici da quella bufera che è narrata nel
primo libro. — Qui Unisce la narrazione di
Enea, 712-713.
m LIBRO IV.
DIdone, accesa d'amore per Enea, scopi»!
la sua passione alla sorella Anna, e aaJ
guendo il consiglio di lei volge l'animai
all'idea delle nozze, 1-99. Allora UiunoatJ
por potere più agevolmente allontanarli
Enea dall'Italia, tratta con Venero perchl
anch'essa consenta a questo nozzo. ed a,
AROOMfXTl. Min
lei stessa commette di trovarli* il modo
e l'opportunità, 90-128. U dimani Enea
con l 'rione usciti ad olia gran caccia sono
sorpresi da un turbina mandato da Giuno-
ne: on'ie la numerosa lorcitìva * dispersa,
ed Knea con sola Didon* riparano ad una
caverna: quivi seguono lo 'infausta noz-
,e, 129-172. Jarba ro de'Grtull, alla notì-
zia elio gii reca la fama di questo amore,
mal sopportando di Tederei da Didono po-
sposto ad un forestiero, no chiedo vendetta
B Giove: il .quale, spedito ad Knea Mercu-
rio, gli ingiungo cM abbandonar subito l'Af-
frici o navigare verso l'Italia, I73-27S. Al
cenno di Giove, Enea di orline che di na-
scosto si mettano in punto le navi, 270-295.
.Mi Didooo, insospettita di questi prepara-
tivi, ne muovo gravi querelo ad Enea, o
pregando e piangendo si affanna per istor-
iarlo da' suoi propositi: quindi per luter-
ei-,-inno della sorella tenta d' impetrar*
elio almeno si trattenga ancora por po-
co, 290-449. Tutto è nulla. Sicché la regi-
na, non reggendo a tanto dolore, decreta
di morirò, 450-473: o fatta allaro nell'alto
della roggia una gran pira, Ungo di voler
celebrare certa cerimonio magiche per li-
berarsi di quell'amor*, 474-521, il quals
iaveco, diventando furore, la fa dare in
iitiunio, 522-553. intanto Enea, novainuuto
XXIV ARGOMENTI.
avvitato in togno da Hercnrio. nottetempo
«I metto in mare, 553-588 Didono, U mat- |
tina. vedendo i Troiani già in .Ho, impreca j
ogni malo ad Enea, consacrandolo allo fa- I
rie, 584-62»; poscia per allontanare da ai J
ancuo Barca, la notrico dol primo ano ma- l
rito Sicboo, la manda con nn preteato dalla I
aorolla, o in quol tempo ai dà la mor-
to, 000-705.
LIMO T. '
Enea montro veleggia Torto l'Italia i
traaportato io Sicilia dalla violoma d' nna
procella, 1-84. Quivi amorovolmonto accolto
da Aceale, celebra Tanniversario solenne al
alani di ano padre Anchise, coi lo ateaso
giorno dell- «Uno precedente aveva «orpel-
lilo a Propano, e gli conaarra il tumulo al
giuochi, 33-103. Nolla corsa delle navi vino
Cloanto, 101-285; in quella a piedi vinca
Eurialo por inganno di Klso, 284-362. Il
vecchio Entello al pugilato abbatte Darete,
ebo menava giovanili iattanze, 363-484. Nel
trar d' arco aupera tutti Eurizione, ma per
nn prodigio 11 premio viono aggiudicato al
vocebio Acoate, 485-544. Quindi Aacanio In
compagnia di nobili fanciulli rallegra tutti
1B00UIKTI. t XXV
eolio speltscolo di giuochi equestri in fini»
battaglia, 640-603. In questo meno le donna
troiane, stanche della lungi navigazione od
litigate da Iride, appiccano il fuoco alle
pjvi, e ne incendiano (.Mitro: le altro salva
Giove con nna pioggia improvvisa, «04-699.
Li notte seguente Anchine apparisce in so-
gno ad Enea, ed a nome di Giove lo avverta
di lasciare donne o vecchi in Sicilia; a che
egli col forte del giovani proiegua alla volta
i- Italia; a li cho si rechi noli' antro dulia
Sibilla, la linaio deva condurlo ai campi
Elisi per udire da* Ini stesso il reato de' fa-
ti, 7UO-740. A queste ingiunzioni obbedisca
Enea dopo aver, fabbricato in Sicilia nna
città, cui di* nama Acuta, 741-778. Men-
tre è in mare, Nettuno a preghiera di Ve-
nere gli fa sicuro il viaggio, 779-834. ila
l'alinitro il piloto, vinto dal sonno, cado in
maro e con osso il timone, «35-871.
LinitO VI.
Sorto a Cnma. Enea va nell'antro della
Sibilla; a celebralo secondo il rito un sa-
crificio nel tempio di Febo, dalt'invasata Si-
billa apprendo gì' imminenti pericoli o i
casi della vicina guerra, 1-97. Seguono le
AMHHUUHL
istruzioni per impetrare il permesso di scen-
dere in Inferno, 09-155. Trovato snl lid*
il cadavere di Mise no, lo bruciano, e gli
dan sepoltura ni pì< li del vicìn monte, cht>
da eìò prendo il nomo di Sii seno, 156*235.
Quinci, colto H ramoscello d'oro e s.i-*r id-
eate le vittime. Enea guidato dalla ! Sibilla,'
per le grotte d'Avorno discendo all'Inter*
no, di cai si descrive l'ingresso, 96 -33*.
l'ali il uro errante intorno alla palude Stigia,
perebù il ano corpo è privo d^sepoltura, de*
sidera tragittare insieme con loro ; ma la'
Sibilla lo impedisco, o Ini consola ron la
speranza di un ceuotado edi esequie. 33T-3"J8..
Passata la Stìgo e assopito Cerbero con Co*,
eacce modicate, Knea trascorre per le sedi
degl'infanti o dei condannati per falso de-
litto : e di là giunge ai violenti contro sa
per insotTeronza d'amore, e fra questi pari*;
a Didono, che sdegnosa non gli rispondo, ma
gli st toglie dinanzi, 334*476. Tassando ol*|
tre, scorgo Deifobo fra lo ombre dei valorosi
In arme, tutto malconcio da molte ferito, a.
da lui gli è narrato il misero modo deliri]
tua morte, 477-534. Lasciatosi quindi a si-i
nistra il Tartaro, e sapute dalla Sibilla la
pene dei malfattori, 535-627, va alta reggi*]
dì Plutone, o sulla soglia di essa configge H
ramoscello d'oro, 628-636. Dopo ciò por-
fieno alle sodi de' beati, o là Museo lo eoa»
ACGOUEXTI.
duca al cospetto del padre, 637-678. Allora
fucili*0 «pi "(a ad Enea l'origine, U purga-
zione s l'ultima aorte delle animo, 679-7.">.>;
^ ■ u l'enumerazione dei re di Alba e di
i;, ,ni-i, o ricordati . ini nomi il" ili ur.tr Ì
Romani, vi i-nò alle Iodi di Giulio Cesare e
^•Augusto, 756-859; • Unisce, levando a
Ctelo Marcello, figlio "di Ottavia, colpito da
immatura morte, 860-888. Enea, uscito al-
l'aria per la porta d* avorio, rivede i com-
pagni, ed arriva a Gaeta, 389-901
LIBRO VII.
Gaeta è così detta dal nome della nutrice
Enea che ivi fu sepolta, 1-4. Da Gaeta
l'eroe vedendo i lidi della dimora di Circe,
col vento in poppa imbocca noi Tevere, e
rogando contr' acqua approda nell'agro Lnu-
rente, 5*36 Invocata di nuovo la musa. Il
poeta narra quale fosso in quol tompo lo
■tato del Lazio, e da quali prodigi fo«i»a
«tato anche quivi annunziato l'arrivo del
Troiani, 37-106. Enea si accorge cfuor ve-
nuto il termine del lungo viaggio dal ci-
barli che ì suoi fanno delle mense : adora
gli Dei, e manda oratori con doni al re La-
lino per domandaro tanto spazio di tcrrono
XXVTIt ARGOMENTI.
da f*bbriearo una città. Quindi a* accam-
pa, 107-159. Latino accoglie lavorerò) menta
gli ambasciatori, e concedendo più che non
gli si chieda, offre in {sposa ad Knea la *aa>
figlia Lavinia. 160-280. Ma Giunone, irritata
ai prosperi successi dei Troiani, croca dal-
l'inferno la Furia Molto per disturbare la
pace, 296-340. A letto infondo Io sne furio
prima in Amata, moglie di Latino, poscia In
Turno, a col era già stata promossa in ma-
trimonio Lavinia, 341-474; e finalmente con
ano frodi metto lite fra la gioventù troiana,
e I contadini del Lazio, 4 7. Va 10. Essa stessa,
dall' alto di nn luogo da fiato alla tromba di
gnorra ; onde no nasce un combattimento.
Importati i morti in città, Turno ed Amata
occitano il re Latino a prender lo armi «
vendicare l'ingiuria, 61 1-590. Ma poiché
Latino, memore dei fati e della giur.it»
atloauza, resisto costantemente, Giunoni
stessa apro le porte della Guerra, 591-022.
c Attor l'Ausonia tutta, ch'era dianzi pa-
cifica e quieta, s'accese in ogni parte.» — '
Lunga o stupenda rassogna delle genti e dei
capitani d'Italia, 623-817.
ARGOMENTI.
XXIX
LIBRO Vili.
Alzata 11 scenata di guerra ioli» ti": di
I.auronto, 1' esercii» italiano ai raduna in-
torno a Torno. Vooulo è mandato ad Argi-
rippa « Arpi .per iaritaro Diomoda alla,
coniano lega, additandogli il comuno peri-
colo, 1-17. A fonato gravi minacce Knea,
valendosi mal difeso por lo scarso nnmero
□Vsuoi, a consiglio di Tiberino va, so pai
fiome • l'or quei Juoghl dora poi fo fabbri-
rati lioma, o do»o altari regnava Kvandro,
a1 monto Palatino in ani città chiamata Tal-
lunteo, IS-1U0. Kvandro, benignamente ri-
cevo Enea, che gii domanda soccorso, 101-133.
l o fa assiatoro ai sacrifici di Krcolo che al-
lora stara celebrando; glie ne apiega 1" ori-
gine, che fo l'uccisione di Caco, 184-287;
elio no dimostra il rito, e gli addita i luo-
ghi più famosi por quelle impreso di Erco-
le J69HS9. Intanto Vulcano allettato dallo
cardio di Venero si prepara i fabbricaro b
armi per Enel. Si descrive la sua ofdci-
na 300-454. Il giorno di poi Kvandro, chia-
mato Enoa In disparte, gli espone corno sia
volere dei fati ebo 1 Tirreni prestino soc-
corso ai Troiani, 455-51V. Voliere dal ciolo
mostra ad Enea lo armi o i segni della vi-
cina guerra; ondo egli con cerimonie si di-
Caro.
XXX
ARGOMENTI.
«pone a partirà por recarsi fra i Tu«i : o il
rocchio Evandro commosso dico un amaro
addio all'unico figlio rullante, che parta
capitano di quatlroctnto do' suoi cavalie-
ri, 520-596. In un bosco Ticino al rampo doi
Tirroni, Yonero porta le divino armi al Aglio,
che ne ammira la stupenda bellezza, 597-625*
e massime dello scudo, in cui souo scolpito
le futuro glorie di Koma e di Cesare Angu-
sto, 026 •?:<!.
MURO IX.
KoU' assenza di Enea, Turno, istigato da
Giunono por mezzo di Iride, acconta P eser-
cito agli acca in pam enti dei Troiani, dio si
ton^ouo entro la fossa e le mura, 1*46. Sde-
gnato che nessuno venga in campo, tonta
d'incendiare lo navi troiane, 47 76. Ma la
Madre Idea, nel cui Losco furono tagliati
i legni di quelle nari, ottiene da Giovo di
potorio salvare dulie fiamme e convertirle
in ninfe marine, 77-125. Turno vuol per-
suadere ebo questo portento sia contro ai
Troiani, perché cosi Giove toglie loro ogni
mozzo di fuga; onde investe sempre più la
città, 126-1G7. Mentre i condottieri troiani
sono a consulta per trovar modo di spedir»
, ARGOMENTI.
an inf«M ad Enti, che lo istruisca dol pe-
riodo de' suoi, Nìso ed Euri alo, duo gio-
vani amicissimi, ti offrono a questo ri-
schio, 109-245. Applsjfttl da Moto • da
e acro in pugniti dai più fervidi
voli di tutti* i due giovani escono e fanno
s: r igc delle sentinelle, sepolte nel vino o oul
yonuo; e indossano lo loro spoglie, 246-303.
Sia noi ritirarsi, scoportl il raggio dell*
luna dii civilìori latini, corrono ad un*
ri i-i na solvi, dove Kurialo sopraggiunto,
malgrado lepregbioro di Niso elio si offro
fl morto in luogo* doli* amico, è truci. iato
,i i Yolscente. Niso, dopo aver vendicati
valorosamente la morto doli' amico, trafitto
indi' esso di tante punte cade sul cada-
vere del caro compagno, 367*410. l.e loro
testo portato in punta i duo picche nono
riconosciute dai Troiani cho aiuaratnonto
«0 no addolorino, e li midro d'Euriilo no
mania disporiti lamenti, 430-502 Turno
intanto muove air assalto con tutto le Tor-
so: grande strage da imb*» le parti. Primo
fatto di Ascanio in gnorri: Apollo però
gli ordina di ritrarsi dalla zuffa, 503-603.
Pindaro e Bizia, troppo fidando alla pro-
pria forza, aprono li porti della città
troiana, e Turno con molti nemici irrompo
poi mozzo doì Troiani, o no mena ampia
strage, 664-777; fìnilmente circondato dal
XXXH AROOMKNTI.
nomerò, a poco a poco « costretto di retro-
cedere verso quella pirte dell» citta cho è
bagnala dal fiume, dorè gettatosi a nuoto,
ritorna salvo ai compagni,
*
unno x.
Giove, convocati gli Dei a concilio, li
esorta alla concordia. Venere, d»p« essersi
lagnata del pericolo a cni »i troiano espo-
rti i Troiani e dell'odio implacabile di
Giunone, domanda un qualche termino a
tanto calamità ; ma Giunone rimanda la
colpa di tanti mali ai Troiani e a V'onera
stessa, 1-91); onde Giore, non trovando ma-
niera di por Dna allo contese, dichiara dt
non voler favorirò nessuna dello duo parti,
e di rimettersi in tutto ai Tati, 100-117. In-
tanto i ltutuli con tutto le forte assalgono,
o i Troiani difendono la città, 1 18-145.
Mentre questo si fa noi Lazio, Knea, dopo
avor ottenuto In Klrnria quanto deside-
rai, con sussidi di molli popoli alleati
ritorna al compagni, seguito da un'armata
di trenta navi, 146-214. Nel tragitto gli ti
fanno incontro le ninfe nate dalle nari ar-
se; ed una di esse, Cimodocea, gli espone
lo stato dolio cose, 215-2Ó7. Enea, giunto
ABQOVtttt
XXXIII
in vi-ta de* suoi, fa pronder Urrà agli ar-
mati; quando I Uatuli, deslaUndo dall'as-
salto. Untano 4' impedire lo sbarco. Grande
«trago da ambo, lo parti, 25H-361. Pallante,
,lopo atnpenda prore di valoro, rione nc-
cisu e spogliato da Torno, 362-509. Enee
pur dolo/e e rendette* del morto amico fa
eccidio do' Untoli. Ascanio, con nna sor-
tita, unisce le sue fori* e quelle dot pa-
dre, 610*605.. A questi fatti Giunone com-
ni ossa, tornendo por la vita di Turno,
ottiene da Giore la grazia di salrarlo da.
istremo perico'o, f mostrandoglisi in forma
di fantasma somiglianU ad Enea, ai lascia
Inseguire da lai, o cosi lo trascina lon-
tano dalla zufl> aopra una nare, 606-6SS.
intanto, per volere di Giore, rin-
franca la battaglia atterrando gran numero
di Troiani e di Etruschi, 089-761; finché
piagato 4* Enea, è costretto, per fasciare
la ferita, di ritirarsi dalla mischia, in ciò
proteggendolo il figlio Lauso, 762-795 ; che,
mentre corca di far le vendette del padre,
è ucciso dà Enea, 796-S32. All' annunzio di
questa morto, Mezcnzio, cos'i ferito, monta
a carello, o ritorna al combattimonto per
vendicare l'uccisione del figlio; ma cade
sotto i colpi della medosima destra, 833-903.
XXXIV AROOUKSTI.
LIBRO \\.
Ucciso Mezenzio, Enei vincitore inalza
un Irofco a^ Mirto; poscia rimanda con
gran pompa funebre il corpo di l'aliante
alla cittì di Evandro, doro lo ricevono con
universale cordoglio, 1-09. Intanto amba-
sciatori latini domandano dodici giorni di
tregua : 1 quali essendo concessi, e Troiani
e Latini ricercano 1 cadaveri del suoi, e
rendono ad essi gli ultimi onori, 100-224.
Frattanto Venuto, cbo sul principio doli»
guerra era stato mandalo dal Latini a Dio-
mede por indjrlo a far ioga, ritorna di-
cendo, essorgli «tati negati i soccorsi per
combattere una gente cara agli Del, 22V2M.
Latino, in assemblea consultando intorno a
questa guerra, propone che si mandino ora-
tori ad Enea per trattar della pa^e, 296-334.
Ivi Urtnco o Turno, per odio inveterato eh»
era fra loro, a vicenda li caricano d- in-
giurie, 330-414. Frattanto Enea, divia»
T osercito in due, manda innanzi por lo vi»
aperte la cavalleria leggiera: ed egli per
luoghi selvosi e montuosi cerca di riuscir»
verso la parto più elevata di l.aurento.
A tal notizia, l'adunanza si scioglie, o al
provvedo alla difesa della citta, 445-435.
Turno, scoperto por mozzo degli osplor»-
ARGtiMXKTI.
XXXV
tori il .13 «off no d'Enea, dirigo anch' egli
l'esercito In due; ordinando che U caval-
leria guidata da Vlosnapo o da Camilla fil
fa --ci a Incontro alla cavar ori.» nomica: ed
(.gh coi fanti al inette In agguato in rerto
gole, P«* dove . Enea nacensarìamento do-
veva passare, 4M -531 . — Narrazione che
fa l'iana intorno alla vergine Camilla, noi
r,iccomaudarla alla ninfa Opl, 532-596.—
•.'centro delle dao cavallerie • vittoria lun-
gamente indebita, M»"-6*< La vergine Ca-
milla, 1 coi aplenlidi fati! accrescono per
qmlcho tempo il ««raggio nei Latini, è uc-
cit-.i insidiosameute da Arante, 649-815; il
quali* poco appresso è trafitto da una frec-
cia dì Opi, 336 947. I Rutuli Kgomentati
per la morte di Camilla ai danno alla fo-
ga; i Troiani si dispongono a dar 1* aesal-
to, ^m-895. Di che Acca, una compagna di
Camilla, recando la notula a Torno, que-
sti abbandona le gole ove si teneva in ag-
gotto, e vola in aiuto do'suoi. Enea gli
tien dietro; 0 poiché pel sopraggiungere
dell 1 notte non si può venire allo mani,
l'ini esercito e' l'altro ei mette a campo
dioanzi a Lauronlo, 896-915.
XIXV1 ARGOsTECTI.
LIBRO XII.
Turno refendo l'abbattimento dei Lati-
ni, e che ornai solo in sè stesso poteva ri-
porre ogni aperanza, malgrado le rimo*
stranie di Latino e le molte lacrimo dell»
regina che lo scongiurano a porsi giù dal-
l'improsa, delibera di venire a singoiar
tenzono con Enea, a gU manda la sfi-
da, 1-106. Enea l'accetta; e le condizioni
sono solennemente giurato da una parte •
dall'altra: ma la ninfa luturna, sorella di
Turno, eccitata da Giunone, subito la di-
sturba, 107-243. Ad istigazione dello stosso
augure Tolumnio, di qn:i e di la ai viene
a sanguinoso conflitto, nel quale Enea fe-
rito è costretto di abbandonare il combatti-
mento, 244-323. DÌ ciò accortosi Torno fa dei
Troiani intorno a sè nn monto di cadave-
ri, 324-3S2 Intanto Venere con dittamo ero-
tico guarisce la piaga del figlio, 383-429. II
quale, dopo nna breve esortazione ad A Sca-
nio, accorre di nuovo in ainto de' suoi, •
provoca Torno a battaglia, chiamandolo a
nomo. Ma questi per frodi della sorella
Iutorna è vòlto altrove. 430-433. Perlochè
Enea, fatta molta uccisione di Rotali, av-
vicina tanto l'esercito alla città, da ap-
piccare il fuoco agli steccati o ai primi odi-
ARQOMKNTI. XXXVII
fiz!, 486-593. Allora la regina Amata, cre-
dendo che Turno foste spento, s' imponde
a uo laccio, 693-618. Turno, sapute oneste
enne, vedendo the netj può esimersi dì
combattere da solo a solo con Knea,se par
non voglia permettere che sotto i anoi oc-
chi quella città alleala venga in potere
de* nemici, provoca Knea, secondo fi patto,
a donilo, 014-696. Enea vincitore in questo
combattimento, mentre alle preghiere del
caduto rivale sente già quasi commuoversi
a pietà di lui, venendogli a nn tratto ra-
duto il halteo di fallante sagli omeri del
nemico, preso da subita tra, gli immersola
■pada nel petto, 697-953.
L'ENEIDE.
DELL' ENEIDE
Libbo Primo.
Qiri.i.Mn cne già xra soivo o tra pastori
pi Titiro sonaj l' mnil sampogna,
E clic do' boschi uscendo, a mano a mano
Sol pinimi » tolti 1 campii « Picnì ' voli
n'oni' Incordo colono, opra cho forso
Agli ngiifoli ù grata; ora di Marte
L'urini canto e '1 ralor del grand' oroe
Che pria da Troia, per destino, ai liti
D'Itali» e di i.avinio errando venne:
K quanto errò, quanto sofferso, in quanti
E di terra e di mar peripli incorso,
Como il traea l'insupcrubil forza
Del cielo, e di Giunou l'ira teuace;
GAM.-1. Iv.Iat. 1-4)
S l' kkkidk. [r. it. 8-381
E cou eho dura e sanguinosa guerra
Fondò In sua cittadc, o gli suoi Dei
Riposi: in Lazio, onde cotanto erobbo m
Il nomo do' Latini, il roguo d'Alba,
E lo mora o l'imperio alto di Koma.
Musa, tu che di ciò sai le cagioni,
Tu le mi detto. Qunl dolor, qunl'outa
Fece la Dea, eh' ò pur donua e regina
Degli altri Dei, si noquitosa ed empia
Contri un si pio? Qnal suo illune l'espose !
Per tanti casi o tanti affilimi? Ahi tanto
Possono ancor là su l'ire e gli sdegni V
Grande, antica, possente e bellicosa
Colonia de' Fenici era Cnrtago,
Posta da lungo incontr' Italia e 'ncontra
A la foco del Tebro, a Giunon cara
SI elio le fur net care od Argo e Samo.
Qui pose l'anni suo, qui pnse il carro.
Qui di porro avea gii disegno e cura
(Se tale era il suo fato) il maggior seggio,
E lo scottro anco unircrsal del mondo.
Ma gii contezza avea ch'era ili Troia
Per uscirò una gento, onde vedrebbo
Lo sue torri suporbo a terra sparse,
E de la sua mina alzarsi in tauto,
15-21|
„ j LIBRO I. 1
Tanto avanzar d'orgoglio e di potenza,
rh' ancor de l'universo imperio avrebbe:
_ I j,, |t. l'arche la volabil rota
rirar saldo dccroto. Bla. elio tema
ivca di ci*, non posto anco in oblio
Come, a difesa do'smji cari Argivi,
Kesse a Troia acerbissima gucrriora:
Ripetendone i semi e le cagioni.
Se no sentia nel cor profondamento
Or di P»" 'I g'u(,icio or l'arroganza
xf Antigone, il cJhcubjto d'Elettra,
Lo scorno d'Ebo. alfln di Gauimodo
, la rapii"1 o i non dovuti onori.
Pa tanto, olfro al timor, favillo accosa
Quoi pochi afflitti e miseri Troiani
CITavanzaro agi' incondi, a lo ruiue,
l| mare, ai tìroci, al dispiotato Aohillo,
Teuoa lunge dal Lazio; onde gran tempo,
Combattuti da' venti e dal destino.
Por tutti i mari nndàr raminghi e sparsi:
Di si gravoso affar, di si gran molo
fa dar principio a la romana gente.
Eran di poco, e del cospetto a pena
Do la Sicilia navigando usciti,
E ciA proso do l' alto, a piono volo
121-35J
4 l'kxeide. [53-88]
Se no gian baldanzosi, e con lo provo
E co' remi faccan l'orniti spumoso;
Quando punta Giupon d'amara doglia,
Dunque, disse, cb'io ceda? e che di Troia
V'unga a signoreggiar Italia un re.
Ch'io noi distorni? Oh, mi son cantra i fatil
Mi sieno: osò pur Palladc, e potco
Arderò e soffocar già dogli Argivi
Tanti navili, e tanti corpi ancidere
Por lieve colpa e follo amor d' un solo
Aiaco d'Oilèo. Contra costui
Ella stessa vibrò di Uiove il telo
Giù dalle nubi; olla commosso i veliti
E turbò '1 maro e i suoi legni disperso:
E quando ci già dal fulminato petto
Sangue o fiamme nuulava, a tale un tdrbo
In proda il diò, cho per acuti scogli
Miserabil ne fc rapina e scempio.
Tanto può Palla? Ed io, io degli Dei
Regina, io sposa del gran Giovo o suora,
Son di quest'ima gonto ornai tant' nnni
Nimica in vano? E chi piii do' mortali
Sarà cho mi sacrifichi e ni' adori ?
Ciò fra suo cor la D«a fremendo ancora,
Giunse in Eolia, di procelle e d'austri
13Ó-52J
iflfl LIBRO 1.
lo furio lor patria feconda.
> suo re ch'Ivi in un antro immonso
Le'sonoro tempesto »J tempestosi
Vonti. «1 romo « d'uopo, affrena e regge.
Eglino impetuosi o ribollanti
T i fra lor fimno oporquoi chiostri un fremito
Che lie *rcKm 1,1 torrs 0 " urlft " """>Us-
... cj jor sopra, realmente adorno
Di corona e di scettro, in alto assiso,
L'ira e gl'impotijor mitiga e molco.
So ciò uon fosso, il mar, la terra o '1 ciclo
Lacerati d» lor. confusi e sparsi
Con essi nndi i.m per lo gran vano a rolo.
Ma la r"ss!> ■>>"«?'<"• do1 Padrc ck'r""
Provvido a tanto mal serragli o tonoliro
D'abissi c di caverne: o moli e monti
Lor s"P™ iinroao: od ■ re M* " treno
No diò, eh' ci ne potesse or questi or quolli
Con certa leggo o rattcncro o spingoro.
A cui davanti l'orgogliosa Giuno
Allor nmilo e snpplichovol disso:
EOI" (poi che '1 gran Padre del cielo
l tanto ministcrio ti proposo
DI correggerò i venti o turbar l'onde)
Santo inimica a me. mal grado mio,
152-66]
C L" K.VKIDF. [109-132]
Naviga il ninr tirreno; e giunta a vista,
E già d' Italia, ni cui reame aspira;
E d'Ilio le reliquie, anzi Ilio tutto
Seco v' adduco e i suoi vinti Penati.
Sciogli, spingi i tuoi venti, gonfia l'ondo.
Aggiragli, confondigli, sommergigli,
0 dispergigli almeno. Appo mo sono
Setto e sotto leggiadro ninfe e bolle:
E di tutte più bella e più loggiadra
E Deiopèa. Costei voglio io, per mcrto
Di ciò, che sia tua sposa; e tu clic seco
Di nodo indissolubile congiunto,
Viva lieto mai sempre, o no divenga
Podi o di bella e di to degna prole.
Eolo n rincontro : A to, regina, disse,
Conviensi elio tu scorga i tuoi desiri,
Ed a me ch'io gli adempia. Io ciò clic sono
Sou qui per te. Tu mi fui Giove amico,
Tu mi dai questo scettro o questo regno.
So ro può dirsi un elio comandi a' venti, '
Io. tua mercè, su co' Colesti a mensa
Nel ciel m'assido; e co'mortnli in terra
Soli di nembi possente o di tempesto.
Cosi dicendo, ni cavernoso monte
Con Io scettro d'un urto il fianco aperse,
10G-82J
,c ropcut« a Btuolo i venti uscirò.
n si» co' lot turbini ripieni
. ^ivc e ili tumulto i colli o i campi. *
3niinclo u»asi i» KWPP0 cJ E"ro 0 No1
a-BTVcnturon nel mure, o fln «la l'imo
i » turbar «1 elio ne fcr valli e monti ;
Monti, eh' ni cicl, qnasi di neve aspersi.
Sórti l''uu dopo l'altro, a mille a mille
Volgendo, se ne giau caduchi e mobili
Con suono e con mina I liti a frangoro.
11 gridar, lo stridore, il cigolalo
De' legni- de le sarti e do lo genti,
I nugoli elio '1 cielo o 'I di velavano.
u buj„ notte ònd'era il mar coverto,
I tuoni, i lampi spaventosi o spessi,
fitto ciò elio s' lidia, ciò che vodevasi,
Kappresentava orror. perigli e morto;
Smarrissi Knea di tanto, o tale un gielo
c„nli,si. cho tremante al cicl si volse
Con le man giunto, 0 sospirando- disso:
0 inillo vo'to fortunati-e millo
Color che sotto Troia o nel cospetto
De' padri « de In patria ebbero in sorte
Di morir combattendo! 0 di Tideo
fortissimo flgliuol, eh' io non potessi
IS2-981
8 i.'kxeidf. pr>8-182j
Cader por le tue ninni c lnscinr Iti
Questa vitti affannosa, ove lascioll.i, .
Vinto por man del bellicoso Achille,
Kttor fumoso e Rarpcdonte altero?
K se d'acqun perirò era il mio fato,
Perchè non dove Xnnto. o Simoeiita
Volgoli tnut'arnii e tanti corpi nobili ? i
Cosi dicea: qnand'ecco d'Ai|»ilouo
Una buffa a rincontro, che stridendo
Squarciò la vela, e 'I mar spinse a le stello:
Fiaccarsi I remi; e là 'vo era la prua,
Girossi il fianco: c d'ncqun un monte intanto
Velino conio dal ciolo a cader giù.
Pendono or questi orquolli s l'onde in cima:
Or a questi or a quei s'apre In terra
Fra due liquidi monti, ove l'arena.
Non men ch'ai liti, si raggira o ferve.
Tre no furon dal Noto n l'are spinto:
Aro chinman gli Ausoni un sasso alpestro
I)n l'altezza do l'ondo nllor celato,
Che sorgea primo in alto maro altissimo:
F. tro no fur dnl pelago a lo Sirti
(Misernbil aspetto) no lo secche
Tratto da l'Kuio. e ne l'areno immersa.
Una, che '1 carco nvea del fido Oronto
[98-118]
[183 •-•07] imm. »
Con 1° I''c'n- nvanti agli ocelli
ni lui pori. Velina da Bora uu'ondo.
Anni un mar, che da poppa in guisa ih tolla,
| ti'iiioii fuori cltcmonior no spinto:
v [ci girò «1 clic I suo giro stesso
1 ,, ..i :• '.ilo c vortico o vorago,
Da cui rapita, vacillante o china,1
Uua-i stanco palèo, tra volto volta,
Colossi gorgogliando e s' affondò.
Già per l'ondoso mar disperse e raro
j^, navi o I naviganti, si vedevano:
Già l" r tl,lt0 Tr°l|1' » l'ondo ia proda.
Arme tavole, arnesi a nuoto andavano;
Già quel ch'era piò valido 6 piò forto
Usuo d'Ilfonco, già quol d' Acata
y qUCl d' Abante o quol dol vecchio Aloto,
Ed alfin tutti sconquassati, a l'onde
Micidiali avean i fianchi aporti:
Quando, a tanto rumor, da l'antro uscito
Il gran Nettuno, o visto del suo regno
Rimescolarsi i più riposti fondi;
Oh, disse irato, ond'è questa importuna
Tempesta? E grazioso il capo fuori
Trasse de l'onde; e rimirando iutorno.
Ver lo mar tutto dissipati o laceri
[113-1281
10 l'kxkidk. [208-232)
Vide i legni d'Enea; vido lo strazia
De' suoi, eh' a la tempesta, a la mina
E del mare e del cielo erano esposti.
K ben conobbe in ciò, come suo frate,
Che ne fora cagion l' ira e la froda
De l'empia Giuno. Euroasè chiama eZeflro,
E'n tal guisa acramento li rampogna:
Tanta ancor tracotanza in voi ■' alletto,
Kazza perversa? Voi, voi, gonza me.
Nel regno mio la terra e'1 ciel confonderò
E far nel maro un si gran moto osate?
Io vi farò Ma, di mestinro ò pi ima,
Abbonazzar quest'onde. Altra fiata
In altra guisa il no mi paghorete
Dol fallir vostro. Via tosto di qua.
Spirti malvagi; o da mia parto dite
Al vostro re, che questo regno e questo
Tridente è mio o elio a me solo ò dato.
Per lui sono 1 suoi sassi o le suo grotte,
Case doglie di voi ; quella ù sua reggia;
Quivi solo si vanti; o por regnare.
Do la prigion do' suoi voutì non osca.
Cosi dicendo, in quanto a pena il disse,'
La tempesta cessò, s' acquetò 'I maro,
Si dileguar le nubi, apparvo il solo.
1128-113'
r
I8-25T] unno K »*
„.iotoo c Triton, l'ima con Tondo,
T 'altro col dorso, le tro navi in diotro
Ritirar da lo scoglio Ut cui porcossoro.
[e Ire elione l'aronaeran sepolto
Fri! stesso, lo vastc-Sirti nprondo.
Sollevò col Jrldento.Md a sé trasselo.
poscia sovra al suo carro d' ognintorno
Scorrendo lievemente, ovunque apparve,
. -(jongliò 'I mare, o lo ripose in calma,
Y'i.m'' adivien Rovento in un gran popolo,
Allor che per discordi* li tumultua,
E 'pipervorsando va la plebo ignobile.
Quando l'oste* lo faci e i sas>i volano
V l'impeto e 'I furor l'armo ministrano,
<^> grave personaggio e di gran merito
Esco lor contro, rispettosi e timidi,
Fatto silenzio, attentamente ascoltano,
Fd al detto di lui tutti s' acquetano ;
Cosi d'ogni ruina e d'ogni strepito
Fu'l mar disgombro, allor che umile o placido
A ciol aperto il gran rottor del pelago
Co' suoi lievi dostricr volando scórselo.
Stancbi i Troiani ai liti ch'eran prossimi
Drizzai" il corso, e 'n Libia si trovarono.
È di là lungo a la riviera un seno,
|1M-159|
£ l' rxnme. [258-282J
Anzi un porto; chò porto un' isolotta
I,o fa, elio In su I» lincea al mare opponsi.
Questa si sporgo co' suoi fian<-hi in guisa
Ch'ogni Tonto, ogni flutto, d'ugni lato
Che vi percuota, ritrovando intoppo,
0 si frango, o si sparte, o si riversa.
Quinci e quindi alti scogli o rupi altissimo,
Sotto cui stngna spazioso un golfo
Sccuto c queto: o v' ha d'alberi sopra
Talo una scena, che la luco o 'I solo
Vi raggia, c non penetra ; un' ombra opaca
Anzi un orror di selve annoso o folto.
D'incontro è di gran massi c di pendenti
Scogli un antro muscoso, in cui dolci n'-quo
Kau dolco suono; o v'ho sedili o sponde
Ili vivo sasso; albergo Toiomente
Di Ninfe, ove a formar le stancho navi
Nò d'ancora v'è d'uopo, nò di sarto. 1
Qui sol con setto, clic raccolse a pena
Di tanti legni. Enea ricovorossi.
Qui stanchi tutti e macori, c del maro
Ancor paurosi, i liti a pena attinsero,
Ch'o terra avidamente si gittarnno.
Acato foco in pila selce o focile
Scintillar foco, e dielli esco o fomento.
[169-176]
1.11 no I.
LI
Altri |ioscin d'intorno ad altri f In
(Como quei che di vitto avean disagio,
i; ]o biade trovar corrotte o molli)
ti dier oorj vari studi e vari oi diurni
A i asciugai Io* n macinarle, a cuocerlo.
Intanto Enea sovi'uu do'scogli asceso,
Quanto si discopria con l'occhio intorno,
Stava mirando so alcun legno fosso
Per alcun luogo apparto, o quel d'Anteo,
0 quel di Capi, o pur quel di Calco
Che iu poppa avITa la. pia sublime insogna,
xjun ne vide; ma boDYldo errando
Gir per la spiajrgia tre gran cervi, o dietro
P' altri minori inuiimorabil torma.
Ch'in sembianza d'armenti empiali le valli.
Fcrinoshi: o pronto a cotal uso avendo
L'arcoc'l turcasso (chè quest'armi appresso
Gli portava mai sempre il fido Acate)
Diò lor di piglio; o saottando prima
1 primi tre, che più vido altamente
Erger le teste e inalberar lo corna.
Contri) al volgo si volse: c '1 lito e 'I bosco,
Ovunque gli scorgea, fulguro tutto.
Me cacciò, ne fei), strage ne fece
A suo diletto: nò si vide prima
I177-1U2J
M l'eìoìidr. [308-332]
Sa/io, che, come setto cran le navi.
Sette non ne vedosso a terra stosi.
In questa guisa, ritornando ni porto,
(ili sparti parimente a'snol rompagli!
K ron ossi del vin, che il buon Acosto
A l'uscir di Sicilia in don gli diode,
Molt'urno dispensò per ricrearli.
Poscia, a conforto lor. cosi lor disse:
Compagni, rimembrando i nostri affanni,
Voi n'avotc influiti ornai solforti
Vie più gravi di questi. E questi fino
(Quando che sìa), la dìo mercedo, avranno.
Voi la rabbia di Scilla, voi gli scogli
Di tutti i mari ornai, voi do' Ciclopi
Varcas'.o i sassi; od or qui salvi sioto.
Imprendete V ardir, sgombrato i petti
Di téma o di tristizia. E' vorrà tempo
Un di. che tanto o cosi rie venture,
Non ch'altro, vi saran dolco ricordo,
par vari casi, e por acerbi o duri
Perigli è d'uopo n far d'Italia acquisto.
Ivi riposo, ivi letizia piena
Vi promettono i fati, e nuova Troia
E nuovi rogni alfine. Itene intanto;
Soffrite, mantenetevi, serbatovi
H92-2071
fH'1'1-3571 libro t. 15
4 questo, che dal del si sorbii a voi,
glorioso o si felice stato.
Cosi dipendo a' suoi, pieno in sè stesso
paliti e irravi pensior, tonoa telato
Con la fronte serena il cor doglioso.
Fecer tutti coraggio; e di'eibo avidi
fià rivolti a la preda, altri lo tergora
. srclgon da lo coste, altri sbranandola,
Mentri' <• tiepida ancor, mentre elio palpita,
I inurbi schidioni e gran caldaie apprestano,
E I-acqua intorno" e 'I fuoco vi ministrano.
Poscia d'un prato e seggio o mousa fattisi,
Taciti prima sopra l'erba agiandosi,
P' opima carne o di vili rocchio empiendosi,
Quanto p""n lietamente si ricroano.
Poiché fur sali a ragionar si dicro,
Con voce or di timoro or di cordoglio,
De'porduti compagni, in dubbio ancora
Se fossor vivi, o so pur giunti al (ine,
più do' richiami lor nulla curassero.
Enea vio più di tutti, o di piotato
E di dolor compatito, il caso acerbo
Or d'Amico or d'Oroutc. o Lieo o dia
Ke'sospir richiamava e '1 buon Cloanto,
Erano al lino ornai : quando il gran Giove
[207-2-_'3J
10 i/kxbiu». [858-^|
Da l'alta spera sua mirando in giuso
terra e '1 mar di quosto basso globo;
Montro di lito in lito, e d'uno in altro .
Scorne i popoli tutti, al cielo in cima ^
Fermossì, o no la Libia il guardo affiss
Venero, allor eh' a lo terrone cose
Lo vide Intento, dolcemente afHitt.i
11 volto, e mollo i begli occhi lucenti,
Gli si feco davanti, o cosi disse:
Padre, che do' mortali e do' celesti
Siodi oteruo monarca, e folgorando
Empi di toma o di spavento il mondo,
li quale ha contra te fallo si gravo
Commesso Enoa mio Aglio, o i suoi Troi
Cho dopo tanti affanni o tante stragi,
C han di lor fatto il ferro, il fuoco o'ìa
Non trovili pace, nò pietà, nò loco
te die gli accetti V In cotnl guisa om
Del mondo son, non cho d'Italia, esci
lo mi crodoa, signor (quel cho promesso,
N' era da te), elio tornasse anco un glo
(Quando cho fosso) il generoso germe
Ili Dardauo a produr quo'glortosi
Eroi, quei duci invitti, quei Uomaui
Do l'universo domatori o donni:
[v!-23-2aOJ
1888-407] "»»o B »
- 1„ nM promettesti. Or come, padre,
jj cie| cangia destino, e tu consiglio?
Questa sola crodoma ora cagione
pi consolarmi in parta de l'eccidio
I)c la mia. Troia, ch'io soffrissi in pace
Tanto ruinc sue, fat<j con fato
Ricompensando. Or la furUina stessa,
K ria P'ù for"' lM,rse*,"! c dura-
E quanto durerà, signore, ancora?
Tal non fu già d'Antenore l'essigli»:
Ch'ci non l'i" t',9to da l'«chivo «cbioro
Per mezzo uscio, che oon «lieo corso
penetrò d'Adria il sono : entrò socuro
«ci re?"0 do' laburni ; andò fin sopra
i| fonte di Timavo; e là 'vo il ftumo
Fremendo il monte intuona, o là 've aprendo
Fa uove bocche in maro, e, mar già fatto.
Inonda i campi e rumoroggia e frango,
p»doa fondò, pose de' Teucri il seggio,
E die lor nomo, o lo lor armi affisse.
l,\ ridotto il suo regno, o composto
Qutetamente, or lo si gode in paco.
E noi, noi, del tuo sangue, o che da te
Averne anco dol cielo arra e possesso,
Ad una sola indegnamente in ira,
CAUO.-2. (287-251 j
18 l'kkkide. il"'-433|
l'ordute; oimè! le proprio navi, fuori
Siamo d'Italia o di speranza aucora
Di non mai jUMdorlu. Orquesti, e 'I prugM
Clio si deve a plctade? o questo è 'I regd
Che da te, padro mio, no si promette?
Sorrise Giore, e con quel dolco aspetto
Con che '1 ciel rasserena e le tempeste, ,1
Hi mi rullìi, basciolla, e cosi dissole:
Non tonicr. Citeiea, che saldi e corti
Stanno i fati do' tuoi. S'adempieranno , j
Le mie promesse: soigoran lo torri
Do la novella Troia: vedrai lo mura
Di Lavinio: porrai qui fra Io stelle
11 magnanimo Knca. Che né 'I destino
In ciò si cangerà, nò '1 mio consiglio.
Ma per trarli d' all'anni, io tei dirò
Più chiaramente, e scoprirotti iutauto
De'fati i più reconditi secreti.
Figlia, il tuo figlio Kuea tosto in Itali»
Sarà; farà gran guerra, vincerà;
Domerà fero genti; imporrà leggi;
Darà costumi o fonderà città:
K di già, vinti i Batoli, tre verni
E tra stati regnar Lazio vedrallo.
Ascauio giovinetto, or dotto lulo,
|Hól-4Mi7J
i48S-4.r>"] >• 13
rj ||n prima infin eli' Ilio non cadde
Suceoderasrli: o trenta giri Interi
T)cl maggior mine, sommo imperio avrà.
Trnsfcrirallo in Alba: Alba la lunga
Sara la reggia slia Pos?*>tte e chiara.
Qui regneranno poi sotto la gente
I)' Ettore, un dopo l'altro, un corso d'anni
Tre volte cento; flucli'Ilia regina
Vergine, o sacra, del gran Marte pregna,
li1 un por'0 P">durr« Reme'1» Pro-
ludi «apo »c fi» Romolo invitto.
Questi, invece di manto, adorno il tergo
De la sua marzjal nudricc lupa.
Di Marte fonder* la gran cittade;
E dal nome di lui Koma diralla.
X Roma non pongo io termine o Uno:
Che Ha del mondo imperatrice eterna.
K l'aspra Giuno, cho or la terra o il mare
K il ciel per tóma intorbida e scompiglia.
Con pi" sino consiglio, al mio conformo,
Procurerà che la romana gente
In arnie e 'u toga a 1' universo imperi.
E cosi stabilisco. E cosi tempo
Ancor sarà ch'Argo, Micene e Kti»
E i Greci tutti tributari o servi
[267-284]
50 i.' mura. [453-4
De la casa df Assdraco saranno.
Pi questa gente, o do 1» Julia stirpe.
Che da quel primo litio il nomo ha prc<(
Cesare nascerà, di cui l'impero
E la gloria fla tal, che per confino
L'uno avrà l'Oceano, e l'altra il ciel ».
Questi, già vinto il tutto, poi che onusti
De le spoglie sarà de l'Oriento,
Anch'egli avrà da te qui seggio eterno,
K là giù fra' mortali incensi e voti.
L'aspro secolo allor, l'armi deposto,
51 farà mite. Allor la santa Vosta,
E la candida Fedo e '1 buon Quirino
Col frate Remo il monile in enra avrnnn
Allur con saldo e ben ferrato sbarre •
De la guerra saran lo porte chiuse:
E dentro infra la rngino sopolto.
Con cento nodi incatenato o stretto I
(■rati tempo si starà l'empio Furore:
E rabbioso fremendo orribilmcnft.
Con fuoco agli occhi e bava esangue ni don
Morderà l' armi e lo catene indarno.
Cosi detto, spedi tosto da l'alto
Di Maia il figlio a far si ch'a' Troiani
Fosso Cartago e il suo paese amico,
[284-299J
|4É
7] LinRo i.
SI
perché ilei fato la regina ignara,
Non fosse '0^• I*r f8rit* de'suoi
0 por sua téma, inospitalo e cruda.
Vasseuo il mesaagger poi l' aiian volo
Veloccmeptc, o no la Libia giunto,
Quel eli' imposto gli.fu rattd essequisco.
y già. In di'' mercè, tacciano i Poni
i„r nerezza; o la regina in prima
S'imbeve d'un affetto o d'una mento
Verso i Troiani affabile o benigna.
La notte intanto, del. pietoso Enea
Molti furo i sospir. molti i pensieri.
Couchiuso ainn ch'a l'apparir del giorno
Spiar d..iesse.*e riportarne avviso
A1 suoi compagni, in qnal paeso il vento
Gli avosse spinti : 0 »' nomini 0 pur fere
(Pcrchò incolto vedea) quivi abitassero.
Cosi tra selve ombrose o cavo rupi
Fatti i legni appiattar, sol con Acato,
E con due dai di in mano in via si poso.
In mezzo de la selva una donzella.
Ch'eia sua madre, si com'era avanti
Che madro fosse, incontro gli si fece.
Douzollaa l'armi, a l'abito, al sombiante
Parca di Sparto, o quale in Tracia Arpalic*
1299-8171
SS * J/ncniDi. [503-58
Leggiera é sciolta, il dorso affaticando
Del fugace dostricr, 1' Ebro varcava.
Al collo area da cacciatrico un arco
Abile e lesto, I crini a l'aura sparsi.
Nudo il ginocchio; o col bel nodo stretto
Tenea raccolto do la gonna il sono.
Ella fu prima a diro: Avreste voi,
Giorini, do lo mie sorelle alcuna
VistaerrarquiDci.o ch'uggia l'arco al Da
0 elio gli omeri vesta d'una pello
Ili ccrvior maculato, o cho gridando
D'un zannuto cignal segna la traccia?
Cosi Vonere disse: ed, a riucoutro,
Di Venere il fìgliuol cosi rispose:
Ninna ho do le tuo veduta, o 'ntcsa,
A'crgino.... qual ti dico, e di che nome
Chiamar ti deggio? chò terreno aspetto J
Non è già 'I tuo, nè di mortalo il suono:
Dea sei tu veramente, o suora a Febo,
0 figlia a Giove, o do le ninfe alcuna:
E uhiunquo tu sii, propizia e pia
Vèr noi ti mostra, o i nostri affanni ascolta,
Diune sotto qual ciolo, in qnal contrada |
Siamo or del mondo: che raminghi andiamo'
E qui dal vento o dn fortuna spinti
[317-333]
(OSS-557] libro I. 23
«olla » dcK" •bltoDti 0 de' P*e,i
Votili» abbiamo. A »'» ciò *'*'•
pi nostra man cadrà pIJ> d'un» Tilt ima.
Vcnoroallor soirghmae: Io noD ni' arrogo
Celeste onore. In Tiro usan le vergini
pi portar arco o di fallar coturni;
E di Tiro e d'Agenore le gonfi
Traggo» principio, chequi Reggio han posto;
Ma '1 P»cse 0 dl ,'ibia' ed aVV' '" ffUerra
Gente feroco. Or n' 4 capo o regina
Pido che. da l'insidie dol fratello
Fuggendo, è qui venuta. A dirne il tutto
Lunga f»ra novella e lungo intrico.
j|a Recandone i capi, avea costei
Sichéo por suo consorto, uno il più ricco
pi terra e d'oro, cho in Fenicia fosso,
Pa la meschina unicamente amato,
Anzi il suo primo nmoro. 11 pndro intatta
Nel primo fior di lei «oeo legolla.
Ha dol regno di Tiro avea lo scettro
FigmalTon suo frato. un aignor ompio.
Un tiranno crudclo a scolorato
più ch'altri mai. Venne un furor fra loro
Tal. che Sichéo da qnosto avaro o crudo,
Per' seta d'oro, ovo men guardia pose,
U3a-850|
2* l' EVBin*. [658-SI
Fu tra g'i altari ucciso; o non gli valso
Clio la germana sua tanto l'amasse.
Ciò Te colatamente : o por colarlo
Vio più. con Unzioni c con menzogne
Doluse un tempo ancor I' afflitta umantoj
Ma noi fio. di Slchòo la stessa imago,
Fuor d'un sepolcro uscendo, sanguinosa,
l'ullida, macilenta o spaventevole,
I. 'apparve in sogno, e prosentollc, urani
Gliompi altari ove cadde, il crudo feria
Clio lo trafisso, o del suo fiato tutto
1, 'occulte scellcrnggini l'aperse.
Poscia: Fuggi di qua. fuggi, le disso,
Tostamente, o lontano. K por sussidio
Do la sua fuga, le scoperse un loco
Sotterra, or' ora iiicstimabil somma
D'oro e d'argento, di molt'anni ascoso.
Quinci Iiidn commossa, ordino occulto
Di fuggir tonno, o d' adunar compagni;
Chò molti n'adunò, parte por odio,
l'arte per téma di si rio tiranno.
Le navi, che trovar noi lite presto,
Caricar d'oro, e fer Tela in un subito.
Cosi il vento portossono la spome
Do l'avaro ladrone. E fu di donna
[350-SC1 J
B8S-607| ubbo I. , 2
/wst" si degno o mcmorabil fatto.
ì Qjmiisorfl in questi luoghi, or' or vedrai
gaffcr la ffrsn *ì*tad« e l'alta ròcca
po la nuora t'artago, eoe dal fatto
Birs!1 nomosfd, por l' astata maree
Che, r,,r fondarla. fot di tlul"> HÌto
Quanto cerchiar di bue potesse un tergo.
Ma voi ehi Rioto? ondo venite? e doro
«rizzato il corso vostro? A tal richiesto
Pensando Enea, dal più profondo potto
Trasse la voce sospirosa, e disse:
0 Dea. se da principio i nostri affanni
10 contar ti volessi, o tu con agio
Udisse una da me si lunga istoria.
Non finirei che lino arrebbe il giorno.
Koi siam Troiani («e di Troia antica
11 nome ti porvonne unqua agli orecchi)
E la tempesta elio por tanti mari
Già cotanf anni ne trarolro e jrirn.
N'ha qui. conio tu vedi, aititi gittati.
Io sono linea, quel pio elio da' nomici
Scampati ho meco i miei putrii Penati,
Fino a le stollo ornai noto per faina.
Italia ro cercando, che per patria
Giovo m'assegna, autor del sant'ilo mio.
[304-380]
BO L'iximiK. [C08-08H
Con dicco e dicce ben guarnite nari
Uscii di Frigia, il mio dcstin seguendo I 1
E lo splendor de In materna stella.
Or sette me no son restate a nona.
Scommesse, aperte e disarmate tutte.
Kd iu mendico, ignoto e peregrino.
Tic l'Asia in bando, da 1' Europa osclow, M
E 'n fin dal mar gittate or ne la Libia,
Vo per doserti iiiospiti e selvaggi.
E qual m'ù più del mondo or lungo aperto
Vonoro intenerissi; e nel suo figlio
Tanta amara doglienza non soffrendo.
Cosi '1 duol con la voco gì' interruppe: ' .
Chiunque sei. tu non sui già. cred' io, •'
Al ciclo in ira; poi cho a si grand' uopo 4
Ti die ricovro a si benigno ospizio.
Segui pur francamente e quinci in corto
Ya di questa magnanima regina;
Ch'io già t'annunzio le tuo navi e i tuoi
Da miglior venti in miglior parte addotti
Salvi e socuri ornai, se i miei parenti •
Non m'ingannar quando gli auguri appresi.
Mira là sovra a quel tranquillo stagno
Dodici allegri cigni, che pur dianzi
Confusi e dissipati a cielo aperto
[381-391]
frano in preda ni fero augol di Giovo,
Coni'or. sottratti dal suo crudo artiglio.
Rimossi in lunga od oziosa riga
Si rivolgono a torra, e già la radono.
y s\ cotn' essi con gioiose ruoto
Trattando l'aria, col.cautar,' col plauso
Mostrato han d' allogria fogno e di scampo ;
Così placato il maro, a pieno velo,
ji |e tue nari e gli tuoi naviganti
0 preso lian porto, o tosto a prender l'hanno:
Vattene or lieto dte 'I sentiur ti mena.
Ciò detto, nel partir, la nevo o l'oro,
E le rose del collo e de lo chioino,
Como l'aura morta, diTina luco
g divino spirar d'ambrosia odoro;
K la veste, che dianzi tra succinta,
Con tanta maostà lo si distese
Infine a'pi». ch'a l'andar anco, e Dea
Voracemente e Venere mostrassi.
Poscia cho la conobbe, t la sua fuga
0 formaro o seguir più non potoo,
Con un rammarco tal dietro le tonno:
Ahi! mndro, ancora tu vèr me crudelt,
A cho tuo figlio con montile larvo
Tante volto deludi? A che ui'ù tolto
13 DI -408]
88 i/gtfKiDK.
J)i ouiiriiinper In mia eoo la tua destra M
Quando Sa limi ch'io possa a viso aporM
Vederti, udirti, ragionarti, o vora
Riconoscerti madre'/ Egli in tal guisa 1
Si querelava: e verso la cittade
Se no giano invisibili ambiduo:
Chi la Dea, sospettando non tra via
Fossero distornati o trattenuti,
Di folta nebbia intorno gli coverse. M
Ella in alto levossi. e Cipri c l'afo
Lieta rivide, ov' entro al suo gran templi I
Da conto altari ha cento volte il giorno
D'incensi e di ghirlando odori e fumi. 1
Ed ossi intanto in vèr le mura a vista
Qiunsor do la città, ch'ai collo incoutro
Fe lur superila o speciosa mostra.
Meravigliasi Enea che si gran ni.i -chhJ
Già sorga, ove pur dianzi non vedovasi' I
Fursi altro elio foresto o che tugurii. '
ìliia il travaglio, mira la froquonisia,
E le porte e le vio pieno di strepito.
Vede con quanto arder le turbo tirio i
Altri :i le mura, altri a la ròcca iiil. ndonJ
E i gravi legni o i gran che rolgo^H
Questi, che i siti ai prnpi i .,11. xxm in.-.dcaod
[•108-425]
"|683-707| usuo li 29
g quel, <°he tipi senato e degli offici
pl»nti" lo Cirio e i fori e le basilicho.
,<-,.[•--• prosso al mar che 'I porto cavano;
Qua sott i al colle, ch'ta teatro fondano,
pt,r le cui «cono 1 gran marmi cho tagliano,
K le colonne che tant'alto s'ergono.
Le rupi o I monti, a cui son figli, adeguano.
Coii tal sogliono industria a primavora
sollecite pecchio al aolo esposto
per fiorite campaguo esercitarsi.
Quando lo nuore fòr cresciute genti
Mandano in campo a cor manna o rugiada,
Pi «leste liquor le celle ompiondo:
0 quando incontro a scaricare i pesi
Van do l'altro compagne:o quandoastuolo
geacriano i fuchi, ingorde bestie e pigro,
Cho, solo intento a logorar l'altrui,
Pj le conservo lor si fan presepi.
Allor cho l'opra ferve, allor elio '1 mòlo
Spargo di timo d' ognintorno odore.
0 fortunati voi, di cui già sorge
H desiato seggio. Enea dicendo,
A parto a parto lo contempla e loda.
Arriva intanto alla muraglia, o chiuso
No la sua nube (uiorariglia a ilirlo)
1420-4U9J
80 l' «HitiDH. [708-7
Tra (fonte e gente va. cho non è visto.
Era nel mezzo a la cittadc un bosco
Pi sacro rezzo e grato, ove sospinti
Da la tempesta capitaro i Poni
Primieramente; e noi fondar trovaro
Quel cho pria da Giunun fu lor prodotto
l»i barbaro dostrior teschio fatale.
La cui sembianza iuiagiue e presagio
Fu poi, elio quella gonto o quella terra
Saria por molte età forace o fora.
Qui fabbricava la sidonia Dido
Un gran tempio a Giunone, il cui gran u
K i doni e la materia o l' artificio
Lo faceau prezioso o venerando.
Mura di marmo avea, colonne o frogi
Di mischi, e gradi e travi o soglio 0
Di risonante e solido metallo.
Qui si ristette Enea; qui vide cosa
Che tòma gli scomò, spomo gli accreb
E di paco aflldollo e di salute;
Chè mentre, in aspettando la regina
Ch'ivi s'attendo, la città vagheggia.
Mentre nel tempio l'apparato e l'opre
E 'I valor degli artefici contempla.
Agli ocelli DM parete gli s'offerse,
[M0-466J
[tS3-"5") LIBRO I. 81
In cui lllt,B per ordine dipinta
Era di Troia la fumosa guerra.
E conosrfnti a lo fattone aiuto
jYiiiin il ticiinno re. poscia l'nigivo
E '| fero d'ambidiio nimico Achille,
formossi. e lag-rimando: 0, diane. Acato,
Mira fi" dote è la notizia aggiunta
Pe le nostre ruine! or quale ha '1 mondo
l,.„... che pien non sia do' nostri affanni?
Ecco Priamo, ecco Troia; o qui si pregia
Ancor vcrtii: chèTerità non regna
1,^ 've umana miseria si compiagne.
Or ti conforta, chò tal fatua ancora
Pi prò ti ria cagione e di- salvezza.
Cosi dicendo, o la gii nota istoria
Mirando, or con sospiri, ed or con lutto
Va di vana pittura il cor pascendo.
E conio quoi ch'a Troia il tutto vide,
] giti rammentandosi e le zuffe.
Col sembiante riscontra il vivo o '1 vero.
Quinci vede fuggir le greche schiere.
Quindi le frigio: a quello Ettorre infesto,
A queste Achille, a cui pareo d'intorno
Che solo il suon del carro o solo il moto
Pel cimiero avventasse orrore o morto.
[456-408]
82 l'kskidk. [758
Nò seuza lacrimar Reso conobbe
Ai •; -in. i bianchi, ai bianchi padig
Fatti di ganglio in mille parti rossi:
Chè sotto v'era Diomede, anch' egli
Insanguinato; o si facea d'intorno
Alta strage di geute che nel sonno.
Prima elio da lui nafte, era sepolta.
Veden quindi i cavalli al campo addotl
Che non poter (fato a' Troiani avversi
Di Troia erba gustare, o hor del Xanti
Scorge d'un'altra parte in fuga vòl^
DroTlo, già senz'armi e senza vita:
Giovinetto infelice, che di tanto
Disegnale ad Achille, ebbo ardimento
Di starli a fronte. Egli in su '1 voto i
Gincoa rovescio, e strascinato e laceri
Da' suoi cavalli, uvea la dostra ancora
A lo redini involta, e '1 collo o i crini j
Traoa per terra; o l'asta, onde tradii
Portava il petto, con la punta in l'iusol
Scrivea note di sangue in su la polve.fl
Ecco intanto venir di Puli i al tempa
In lunga schiera ed ordinata pompa j
I.o donne d'Ilio a far del peplo offertati
Battolisi i petti, o scapigliate e scalzo 9
[409-481]
1,88.tiu7| LIMO I. 88
pujon pn-gar divotamento afflitta
Perdou» o pace: ed ella irata e fera.
Volto lo luci a torra e '1 tergo a loro,
jt„*ti.i fastidio di mirarli' e sdegno.
Vedo il misero Kttor olle gii tro volto
Tratto era d'Ilio a la muraglia intorno.
Vedo il padre più mhiero, ch'in forza
Pei dispiotato e suo nimico Achille,
Oro tu premio gli dà dui suo cadavere;
Spettacolo crndcl che gli trafiggo
Profondam«nte empiii d'ogn' altro il core.
Oro il carro, gli arnesi e 'I corpo stesso
Vede d'un tanto amico, ed un ro tale.
Che solo e disarmato o suppliclierolc
Stassi a Poccidltor del figlio avanti.
VI riconobbe ancor sii stesso, ov'ora
A dura mischi» incontro a' greci croi.
Riconobbe lo stuoì cho d'Oriento
Addusso de l'Aurora il negro figlio:
E lui raffiguro, che di Vulcano _
Avca lo sbergo e l' armatura in dosso.
Scorge d'altronde di lunati scudi
guidar Pontcsilèa l'armate schiero
De l' Amazzoni sue: guerriera ardita.
Che succinta, e ristretta in fregio d" oro
Ciao. -3. [481-492]
81 l' jnkidk. (803-8B
L'adnsta mamma, ardento e furiosa j
Tra mille c mille, ancor che donna e vi-rglH
Di qiTal sia cavalier non turno it.r -| i ••. I
Stava da Unte meraviglie ad una ■ ■
Sola vista ristretto, attento o fiso I
Enea pien di vaghezza e di stupore; 1 I
Quand'ecco la regina, accompagnata I I
Da rcal corte, con real contegno I
Entro al tempio bellissima comparve, Il
Qual sti le ripo do I' Eurota suolo, I
O no'gioghi di Cinto, allor DTana ' I
Ch'a l'Orèadi suo la caccia indice, |
A mille cho le fan cerchio d'intorno, I I
Divisar vari offici, e faretrata, j
Da la faretra in su gir sovra l'altro I
Neglettamente altera, ondo a Latona I I
S'intenerisco per dolcezza il core; I
Talo era Dillo, e tal per mezzo a' suo! 1 1
So ne già lieta, e dava ordino e forma I
Al nuovo regno, ai magisteri, a l'opre* I
Giunta al cospetto de la Diva, in inoM
De la maggior tribuna, in alto assisa. m
Cinta d'armati, in maestà si pose: |
E mentre con dolcezza editti e leggi I
Porgo a la gente, o con egual compengfl
[492-608]
|t0„re distribuisce e le fatiche:
jjrolg'-ndosi Knoa, nel tempi» stesso
Tede da groii concorso kttoroeggiati
Entrar Sorgeste, Aule*, Chiantu •< tri i nitri
Troiani, cho di» sò disertanti e sparsi
Arca dianzi del mar P aspra tempesta.
gtnp„ri timor, letizia, tenerezza
y ,!,,;„ d'abbracciarli e di mostrarsi
Assalir1' i" 1111 tempo Acato e Ini.
«a, dui'» del successo, entro la nnbo
pjssimulamto se m stero, e cheti,
Per rltrar che seguisse, c cho seguito
Tosse già do ,e navi c ""«'compagni.
Pi cni questi erin primi o gli più scelti
Di ciascun legno. E già pieno ora il tempii
pi tumulto e di roti ch'altamente
gi scutian vènia risonaro e paco.
Poiché faro cntromessi, e ch'udTcnza
fa lor concessa, il saggio llronco.
Prese umilmente in colai guisa a d'rc :
Sacra Regina, a cui dal ciolo è dato
fondar nuora cittade, e con giustizia
Por freno a gente indomita c superba.
Noi miseri Troiani, a tutti i rcnti,
A tutti i mari ornai ludibrio e scherno,
[508-524]
SC I.' KSKIDK. [S59-{8
Caduti dopo l'onde in preda si foco ,
Clio dnrtuoi si miiincciti ai nostri I<gnfl
Frcghianti a proveder che nel tuo rogai
Non si^commetta un si notando eccesos
Fa' cosa di te degna, abbi di noi
Pietà, che pii, che giusti, eh' innocenttfl
Siamo, non predatori, non corsari
De le vostre marine o de l'altrui:
Tanto i viuti d'nrliro, e gl'infelici
D'orgoglio e di superbia oimò! non In
Una parto d' Europa è, che da' tiraci
Si disse Esperia, antica, bellicosa,
E fortil terra, dagli Kuotrii cólta.
Vrima Enotria nomossi, or, come è fa
Preso d'Italo il nome, Italia è detta.
Qui 'I nostro corso era diritto, quando]
Otffon tempestoso i venti e '1 maro
SI repente commosse, o mar si fero,
Tonti si pertinaci, o nembi o turbi
Cosi rabiosi, che sommersi in parto
E dispersi n'ha tutti: altri a le sveebi
Altri a gli scogli, ed altri altrove ha api
K uni pochi, di tanti, ha qui condotti*
Ma qual si cruda gente, qual si fera
E barbara città quc9t'uso appruova,
1524-540J
jgg3-907) libbo i. 87
Che no sia proibita auco l'arena?
Che guerra ne si muova, o no, si Tioti
pi 6tar ne l'orlo de In terra n pena?
Ah! 6° l'armi e >le le genti umane
KulU ri cale, a Di» mirato almeno,
Cho da' c'e' TWlo, * riconosco I meriti
v i demeriti altrui. Capo e re nostro
gr» pur dianzi Knea, di cui più giusto,
più pio. più Pr0' no ''«rml, più sagaco
Guerrier non Tu già "">'• So questi ù vivo,
ge spira, se il destin non ee l'invidia,
Quanto ne speriam noi, tanto potresti
Tu non pentirti a provocarlo in prima
A cortesia. Ne la Sicilia ancora
Arem terre, avem'anui. avomo Aeeste
Che n'è signore, ed ò de' nostri anch' egli.
Quelcho vi domandiamo ò spiaggia.èselva,
t vitto da munir, da risarcirò
I voti e Manchi o sconquassati legni,
Per poter lieti (ritrovando il duca
B gli altri nostri, o so pur mai n'è dato
Wdi-r l' Italia) ne l'Italia addurne:
Ha se nostra salute in tatto è spenta.
Se te nostro signor, nostro buon padre,
Pi Libia ha '1 mare, e più speranza alcuna
1540-550 I
88 - i.* bnkiok. [008-98
Non ci rimali del giovinetto Iulo
Almen tornar no la §icouia, onil'ora
Siam qui venuti e dove il buou'Acesta
N' è parato mai sompre ospito e rego.
Al dir d' Monco fremendo tutti
Assentirono i Teucri, o la regina
Con gli occhi bassi e con benigna voco
Brevemente rispose: 0 miei Troiani,
Toglietevi dal coro ogni timore.
Ogni sospetto. Gli accidenti atroci.
La novità di questo regno a fon»
Mi fan s\ rigorosa, e si guardinga
De' miei confini. K chi di Troia il nome.
Chi do'Troinni i valorosi gesti,
E l'incendio non sa di tanta gucira?
Non han però si rozzo coro i I'oui :
Non si lungo da lor si gira il aolo,
Cho nò pietà nò fama iniqua v'arrivo.
Voi di qui sempro, o de la grand' Et| eri
E di Saturno cho corchiate i campi.
0 che vogliate pur d' Acosto e d'Kiice
Tornare ai liti, in ogni caso lil» ri
Vo n'andrete o sicuri. Ed io d'aita
Scarsa non vi sarò, nò di sossidio:
E so qui dimorai- moco voleste,
fwO-5721
I983-9Ó"] libro i. 89
Onesta è vostra eittà. Tirato ni tifo
Vostri rinvili: elio da' Teneri a' Tiri
Kulln scelta-faro, nullo di v uro.
Cosi V" Tosse il vostro re con voi!
Cosi ci capitasse! Ma cercando
Io manderò di lui Ano"* l'estremo
Po' mici contini la riviera tutta,
Se per sorte gittate in queste spiaggo
Per selve errando o per eittadi andasse.
Bincorossi a tal.diro il padro Enoa
c '1 f.n ti' Acati -, o di squarciare il velo
Stavan già dostosi. Acato il primo
«osso dicendo: amai; signor, che pensi?
Tutto ò sicuro, e tutti a salvamento
I nostri legni o i nostri amici avemo.
Sol un no manca; o queste a noi davanti
J| mar sorbissi. Ogni altra cosa al dotto
pi tua madro rispondo. A pena Acato
Ciò disse, che la nugola s'aporso,
Assottigliossi o col ciol puro unissi.
Rimase in chiaro Enea, telo ancor egli
pi chiarezza e d'aspetto e di statura.
Che <:»me un Dio mostrassi: e hen a Doa
Era figlino!, che di bellezza è madre,
l.i degli occhi spirava e do le chiome
[573-5a0]
40 KNEinK. (9jS-JB«
Qaci chiari, lieti o giovenlli onori
Ch'olla stessa di lui madre gl'infuse.
Tale aggiungo l'artefice vaghozia
A l'aTorio, a l' argento, al pnrio marmo, 1
Se di Un'oro li circonda e fregia.
Cotal, comparso d'improviso a tutti.
Si fece avanti a la regina, e disse:
Quegli che voi cerante Knca troiano, |
Son qui, dal mar ritolto. A te ricorro
Vera regina, a te sola pietosa
Do le nostro ineffabili fatiche.
Tu noi, rimasi al ferro, ni fuoco, a l'onde
D'ogni strazio bersaglio, d'ogni cosa
Bisognosi o menditti. nel tuo regno
E nel tuo albergo umanamente accogli. I
A renderti di ciò merito eguale
Bastante non son io ne fòran quanti
Do la gente di Dàrdano discosi
Vanno per l'universo oggi dispersi.
Ma gli Dei (s' alcun Ilio di-' burnii b:i cura^
Se nel mondo ò giustizia, so si truova I
Chi d'altamente adoperar s'nppagbc) I
To ne diati guidordono. Ktà folice !
Avventurosi genitori e grandi
Che ti diedero al moudu! lutili oh' i fiumi
[691-007]
[988-1007] LIBRO L il
Si rivolgono al more, infln eh' a' monti
SI eirnn l' ombro, ìnfìn c'ha stelle il ciclo,
] tuoi pregi, il tuo nome e le tue lodi
iti saran sempre, ovunque io sìa, davanti.
Ciò detto, lietamente a' suoi rivolto,
Al caro Monco la destra porse
sinistra a Sorgeste, e poscia al forte
Cloanto. al Corto Ola, l'un dopo l'altro
Tutti gli salutò. Stupì Unione
Nel primo aspetto d'un al nuovo caso,
E d'un uom tale, indi riprese a dire: •
Qual forza, o qual destino a tanti rischi
T'hanno in si strani, in si feri paesi
Esposto, o do la Dea famoso figlio?
E sci t" quell'Enea clic in su la riva
pi Simocnta il gran dardanio Anchise
pi Venere produsse? Io mi ricordo
QUC| che n'intesi già da l'onero, quando
Fuor di sua patria, il suo padro fuggendo,
Nuovi regni cercava. Egli a Sidone"
Venne in quel tempo a dar sussidio a Belo.
Bolo mio padre. allor face» l'impresa
E 'I conquisto di Cipro. Infili d' allora
Io del caso di Troia e del tuo nome
Edo l'oste do' Greci ebbi notizia.
[607-624]
42 i/imrroit. 1 1008-1032]
Ed ci di' cri» si rio nimico vostro, 4
Celebrava il valor di voi Troiani,
E trar volea da Troia il suo lognaggin.
Voi da ino dunque amico c fido ospizio,
(iiovini, aretc. E me fortuna ancora,
A la vostra simile, ha similmente
Per molti affanni a questi luoghi addotta;
SI che natura o sofferenza e pruova
De'miei stossi travagli ancor me fauno
Pietosa o sovvenovole agli altrui.
Ciò detto. Enea cortesemente adduca >
No la sua reggia. In ogni tempio indico •
Feste e preci solenni. Ordina appresso
Che si mandino al mar venti gran tori,
Cento gran porci, cento grassi agnelli »
Con cento madri, e Ciò eh- a' suoi compagl
Per vitto e per letizia è di mosticro.
Dentro al rea! palagio, realmente.
Po' più gentili e sontuosi arnesi
Il convito o lo stanze orna e prepara;
Cuopre d'ostro le mura: empie le mense I
D'argento e d'oro, ove per lunga seri* I
Son de' padri e degli avi i fatti egregi.
Enea, cui la paterna tenerezza
Quetar non lascia, a le sue navi iunand
[625-644]
M033 1057] libro i. 4!
Patto spedisco Acute, elio di tutto
igcanio avviai, od a ai tosto il moni:
Chi' in Asoanioliiai sempre intento e Uso
gin ,1.-1 suo caro padre ogni pensiero,
gli comanda, oltro a ciò, eh' a la resina
Porti alcuno a donarjipoglie snporbo
Che si salvàr da la ruina a pena
E dal foco di Troia: un ricco manto
Ricamato a figure, e di fin' oro
Tutto contesto: un prezioso velo.
Cui di pallido acanto un ampio fregio
Trapunto era d'intorno: ambi ornamenti
p'Klciia arginile di sua madie Leda
Mirami dono. In questo avea le biondo
Sue chiome avvolte il di che di Micene
i nuove nozze, c non concesso, uscio;
E porli nni'O lo scettro, onde superba »
lllone di Priamo «fa giva
Primogenita figlia, o'I suo ninnilo
])i gran lucido porle; o quella stessa.
Onde 'I Tronto cingcn, doppia corona,
pi gemme orientali ornata e «l'oro.
Tutto ciò procurando il fido Acato
In vèr le navi accelerava 11 piede.
Venere intanto con nuov'arte o nuovi
[644-6571
41 l'mn. [1058-10881
Consigli s'argomenta ti far che in reco I
E 'il sembianza d'Ascanio il suo Cu)iiilo I
Se no rada in Cartago; e con quei doni, 1
Con lo dolcezzo suo, con la sua face
Alletti, incenda, amor desti e furoro
Nel petto a la regina, ondo sospetto
Più non aggia o'I suo regno, o I» p> rfidia.
De la sua gente, o di Giunon l' insidio.
Che da pensare e da regghiar le danno
Tutto le notti. E, fatto « sò veniro
L'alato Dio. cosi seco ragiona:
Figlio, mia forza e mia maggior possanza!
Figlio, che del gran padre anco non ti mi
1,'orribil tèlo, onde percosso giacquo
Chi ne die fin noi ciel briga e spavento, J
A tè ricorro o dal tup nume aita
Chieggo a l'altro mio figlio Kiien tuo fratta
Como Giono il persegua, e corno l'aggi» I
Per tutti i mari ornai spinto o travolto, 1
Tu '1 sai che del mio duo! ti sei doluto
Più volto meco. Or la sìdonia Pido
L'ave in sua forza, e con benigni e dolci j
Modi fin qui l'accoglie e lo trattiene
Ma In dov'è, lassai che vai, comunquo
Sia caramento accolto? in casa a Giuno
[607-671]
«083-11*7] unno L
pa |c cnrerip'incor chi m'nssecura?
Ch'illa più neghittosa, o mono atroco.
In un ^aso non fia di tanto affare.
y però eon astuzia o con inganno
Cere.' ili prevenirla, e del tuo foco
Ardere il cuor de la regina in guisa.
Ch'altro nume noi rilute, e meco l'ami
n' immenso affetto. Or come agevolmente
Ciò porre in atto e conseguir si possa,
Ascolta. Enea manda testo chiamando
]] suo rcgio'fancùillo, amor supremo
pel caro padre, o mio sommo diletto,
perchè de'Tirii a la citta sèn vada
Con doni ala regina, che di Troia
a l'incendio avanzarono ed al mare.
Questo vinto dal sonno, o sopra l'alta
Citerà, o dentro al sacro bosco Idalio
Terrò celato si ch'ei non s'accorga.
Ed accorto di ciò non faccia altrui
Con alcun suo rintoppn. K tu che puoi,
Fanciullo, il noto fanciullesco aspetto
Mentire acconciamente, in lui ti cangia
Sola una notte, e gli suoi gesti imita,
E quando Dido al suo rcal convito
jticovcratti, e, corno a mensa fassi,
IG71-085]
46 b>«M. [110S-113q
Sarà, borendo e ragionando, allegra;
Quando, come fari, cortese in grembo
Torratti, abbfaccoratti, e dolci baci
Porgoratti sovente, a poco a poco
11 tuo foco le spira e 'I tuo volono.
Al voler della sua diletta madro
Pronto mostrossi e baldanzoso Amoro, l
E fritto l'ali; ed in un tempo l'abito
E '1 somblanto e l'andar preso di Iulo.
Ciprigna intanto al giovinetto Ascatilo I
Tale un profondo o dolce sonno infuse, 1
E'n guisa l'adattò, dio agiatamente
In grembo lo si tolse; o ne la cima
Do la selvosa Idalia, entro un cespuglio
Di lieti dori e d'odorata persa,
A la dolce aura, a la 'frese' ombra il poso.
Cupido co' suoi doni allogiamento,
Per far quanto gli avoa la madie imposto.
Con la guida si pon d' Acatc 'n via.
Giunse, cho giunta era Didonc appunto I
Ne la gran sala, cho di fini arazzi,
Di fior, di fiondi e di festoni intorno
Era tutta vestita, ornata o sparsa.
E già sopra la sua dorata sponda
Con real maoi tà s'era nel mozzo
1685-6931
[| 13!»- 1157] limimi t *7
^ tutti gli «Uri alteramente a«sl«».
Appresso Enea, poscia di ninno in nmuo
Sopra ilrappi ili porpora c di gota
Si -.ti'ndoa la troiana gioventute.
iì: , con l'acqua o con Geroro a li' mense
illi mirati vasi e i nitidi canestri
£ j bianchissimi lini tran comparsi.
Stavano dentro, a le rirande intorno,
intorno a' fuochi, a dar ordino n'eihi
Cinquanta ancelle, ed altre conto fuori
Con altrettanti d^una (tessa etadu
Tra scudiori o piucerut; e eli ntiii tutti
Si riempiron di Tiri), a cui le incnso
Pi tnpeti dipinti eran distese.
" A l'apparir del giovinetto lulo.
Corner tutti a mirare il manto c'I velo
g gli altri ch'adducea leggiadri arnesi,*
i. sentir quollo suo Ante parolo,
A contemplar quel grazioso aspetto,
Ch' ardore e deità raggiava intorno.
Ma sopra tutti l'infelico Dido
Non potea nò la vista nò 'I pensioro
Saziar, mirando or gli suoi doni, or lui;
E com'più gli rimira, e più s'accende.
Poiché lunga fiata umile o dolce
. [698-716]
jg t/BXKIDC. [11&8-U8
Del non suo genitor penti; dal rollo
E Anso di flgliuol vorace affetto.
Si volse alla regina. Ella con gli occhi,
Col jicnsier tutto lo contempla e mira:
Lo pall'ii. o 'I bacia, o 'il grembo 1" >i roc»J
Misera! che non sa quanto gran dio
S'annidi in sono. Ei de la inadro intanto
Rimembrando il precetto, a poco a poco ;
De la monte Sichèo comincia a trarlo. .
Con vivo amoro e con visibit Mamma
Rompendolo dol core il-duro smalto,
EJntroducondo il suo già spento affetto.
*Coasati i primi cibi, o da' ministri
Già le monso rimosso, occo di nuovo
Comparir nuovo" tazze o vino e fiori,
Per lietamente incoronarsi o bore.
Quiuci un rumoroggiare, un riso, un giubjp
Che d'allogrozza empian le sale e gli atrUj
E i torchi o lo lumiore che pendevano ]
Dai palchi d'oro, poiché notte focosi,
Yinccano il giorno o '1 sol.non elio lo tenoHfl
Hai fattosi Didono un vaso porgerò
D'oro gravo o di gommo, ov'ora solito
Ne' conviti o no'dl solenni e colebri
Ber Belo, o gli altri che da Belo uscirono,]
[715-780]
|1 133-1207] uno,. 49
pi fioi iornollo, edi vin vocchio empiendoli)
Orò cosi dicendo: Eterno Giare.
Che. Albcrgator nomato, lini dog-li alberghi
I ! ! -"i tesie cura e dilotto,
prò-goti chV Fonici ed »' Troiani
fausto sia questo giorno, e memorando
Sempre a' posteri loro. E to. Lièo,
ljirgitor di letizia, n te, celcsto
buona ninno, a questa preso invoco.
Voi co' vostri favori, e Tiri e Peni,
prestato a' prìegbwnicl devoto assenso.
Ciò detto, riversollo, e lievemente '
pel sacrato liquor la mensa asperso,
poscia ella in prhna con le prime labbia
Tanto sol ne sorbi quanto n'attinse.
jn,li con dolco oltraggio e con rampogno
A Bilia il diò, cliO'Vulorosumcnto
A piena bocca indilo a l'aureo fondo
Vi si tuffò col volto, e vi s'immerso.
Ciò seguir gli altri croi. Comparve intanto
Co' capei lunghi o con la cetra d'oro
II biondo lupa; e, qua) Febo novello.
Cantò del elei lo meraviglio e i moti
Chedal gran vecchio Atlante Alcide approse.
Cauto le vie cho drittamente torto
C*bo. - 4. [730-742J
50 KKKIDK. [1208-195
Boudon vaga la luua o buio il solo;
Conio prima si fer gli uomini o i bruti;
Coni' or si fan lo piogge e i venti e i folgori!
Cantò l'Inde e l'Orso o '1 Carro o '1 Cornei
E perchè tanto a l' Oceano il verno
Yadan veloci i di, tarde le notti.
l'n novo plauso iheominciaro i Tiri:
Seguirò i Teucri; e l'infelice Dido
Cbo giù fea dolce con Enoa dimora.
Quanto bevesso amor non s'accorgendo, '
A lungo ragionar soco si poso
(^.li Pritmc.ord'Kttorrc.orconqiial'arml j
Vonisso a Troia de l'Aurora il figlio.
Or qual fosse Diomede, or quanto '. ' .'le.
Anzi, so non t'è grave, nlfiu gli disse,
Incomincia a contar fin da principio
E l'insidio de' Uroci, e la mina
E l'incendio di Troia, «'1 corso intero
Degli errar vostri: già che 'I settiiu'auni
E per terra e por mar raminghi andato,
[742-75GJ
DELL' ENEIDE
Libro Secondo.
Starmi taciti, attenti o disiosi
p'udir già tatti, quando il padre Enea
jp sò raccolto, a cosi dirMa l'alta
Su» sponda incominciò: Dogliosa istoria
v d'amara o (l'orridi! rimembranza,
Regina cccolsa, a raccontar m'inviti:
Como la gii possente o gloriosa
jlia patrio, or divieta dogna o di pianto,
fesse per man de' Greci arsa e distrutta,
j qual no vid'io far mina e scempio:
Ch'io stesso il ridi, od io gran parto fai
])<jl suo caso infelice. E chi sarebbe,
incoi che Croco o Mirinidouo o Dólopo,
Che a ragionar di ciò non lagriinasso?
E già la notte inchina, e già lo stello
Sonno, dal cicl caggendo, agli occhi infondono :
ila so tanto d'udirò i nostri guai,
je Brevemente di saror t'aggrada
L'ultimo occidio.-ond'clla arse o cadóo,
52 l'exhidk. [20-'
Benché lutto c dolor mi rlnorcllo,
E sol de la moineria mi sgomente;
la lo pur conterò. Sbattuti e stanchi
IH guorreggiar tant'anni o risospiuti
Ancor da' fati, i greci condottieri
A l'insidie si diero; e da Minorva
Divinamente istrutti, un gran eavallo
lii ben contesti e bcu confitti abeti
In sembianza d'un monto edificare
Poscia finto che ciò fosse per voto
Del lor ritorno, di tornar sombianto
Esecra tal, che se ne sparse il grido.
ITentro al suo cieco ventre e ne le grotl
Che molte erano e granili in si gran ma'
liinchiuscr di nascosto nnne o guerrieri
A ciò por sorte e per valore ciotti.
(liacc di Troia un'isola in cospetto '
(Ténedo ò detta) nssai famosa e ricca, \
Montro ch'Ilio fioriva. Ora un ridotto |
£ sol di naviganti e di navili,
Infido seno, e mal secura spiaggia.
Qui, poiché di Sigòo sciolse e sparlo,
La greca armata si rattenne. e dietro
Appiattissi al suo lito ermo e deserto.
E noi credemmo elio veracemente
[12-25]
J4.-.-69] Mimo n. 63
fosse partita, o che a spiegate vele
Gisse a Micene. Onde la Tcucria tutta.
Già cotant'anni logriUMa • mosto,
Volt« ne fa subitamente in gioia.
g-3|.rtr lo porte, uscir d'Ilio, ^ d'intorno
Ì# genti tutto, disios<r o liete
pi veder voti i campi o sgombri i liti,
fjli'rràn* coverti pria di itavi e d'anni.
Qui t'accampava Achille, e qui do' Dòlopl
Eran 1° tende-; ivi suloan le KittTo
farsi ùV cavalieri, e là de' fanti,
piccati pnrtc vacando, e parte accolti
l'aceau mirandoci gran destriero intomo
Jleraviglio o discorsi: o chi per sacro,
>; chi per esecrando il voto e 'I dono
Areali di l'alia. Il primo fu Timoto
A dir ch'entro lo mura, no la ròcca
Quindi si conducesse, o froda, o fato
Che ciò fosse do' misori Troiani.
Ha Capi e gli altri, il cui più sano avviso
0 per insidioso, o por sospette.
Quantunque sacre, avea lo grocho offerte,
Voltano, o cho del mar fosse nel fondo
Precipitato, o che di Damme ardenti
Si circondasse, 0 che forato c lacero
[20-88]
54 l'kneidx. [70-
61 i fosse il petto c sviscerato il fianco.
Stava fra questi duo contrari in forse
In duo parti diviso il volgo incerto;
Quando con grau caterva e con gran fa
]>a la rócca discese, o di lontano
Gridìi I.aocoonte: 0 ciechi, o folli,
0 sfortunati! agli nemici, a' Oroci
Dato credonaaV a lor credote voi
Clio sian parliti? e sarà inai che doni
Siiyo i lor doni, c non più tosto inganni!
Cosi v'ò noto L'Iisso? 0 in questo legna
Sono i Greci rinchiusi, o questa ò macchi
Contra allo nostre mura, o spia per entra
Ai nostri alberghi, o scala o torre o pon"
Per di sopra assalirne E cho che sia*
Corto o vi cova o vi si ordisco inganno,
Chii de' Pelasgi o do' nemici è '1 dono.
Ciò detto, con gran forzauna grand'
Avventògli, o colpillo, ove tremanto
Stette altaincnto infra duo costo infissa!
E '1 destricr conio fosso o vivo e fiero,
Fieramente da spron punto cotale.
Si storcò. si crollò, tonògli il ventre,
E rintonàr lo suo cave cavorne.
E so '1 fato non era a Troia avverso,
138-54]
[95-119] libro n. 55
ge lo monti orati sano, uvea quel colpo
Cià commossi infiniti a Incorarlo,
j.; ,11 tutto a scovrir !' ««guato argolieo:
Ond'oggi e tu. grand' Ilio, e tu, diletta
Troia, staresti. Ma si vide intanto
pe' pastor paesani uni» masnada
Venir ((ridando al re. ch'ivi era giunto,
E trargli aranti un giovino prigione
Ch'area dietro le mani al tergo avvinto.
Q,„ sti ora g/eco; s da' «noi Orcci area
pi salvare II destrier, d'aprir lor Troia
Ass,uito impresa; e per condurla, a tempo
Ascosto, a tempo a quel pastori offerto
gVra per sò medesmo, in sé disposto
% fermo di due cose una a finire,
0 quest'opra, o la vit«. A ciò concorso,
per disio di vedere, il popol tutto
pai cavai si distolse, e dicssi a gara
A schernire il prigione. Or ascoltato
malizio do' Greci : e da quest'uno
Conosceteli tutti. Egli nel mozzo
Cosi com'era a lo ncmlcho schiero.
Turbato, inerme e di catono avvinto,
Fermossl: o poi che rlmirollo intorno,
Con voce di pietà proruppe, e disse:
[S4-G8J
50 L'KSKIDK. 1120-114
Or qnalo o torra, o muro, o loco altrov*
Sarà, niisoro mo! cho m! raccolga,
0 cho ni- affidi omal? poiché tra' Greci
Non ho dov'ìo ricovri, e da' Troiaul
Non deggio altro aspettar cho strazio o mo
Ne commosse a pietà, n'acquotò l'ira
51 doglioso rammarco; e con dolcezza,
K un promesso il confortammo a diro
di' di elio loco e di cho sanguo fosso,
E che portasse, e qual fidanza avesse
A darnesi prigione. Egli in tal guisa
Assccurato, al ro ni volse o disso:
Signor, segna elio vuole, in tuo cospetto
Io dirò tutto, o diro voio. E prima
D'esser greco io non niego; chè fortuna
Può ben far che Sinon sia giamo e misero,
Ma non già mai che sia bugiardo o vano.
Non so se. ragionandosi, agli orecchi
Ti venno mai di Palamede il nome,
Cho nomato e pregiato e glorioso,
E da Melo altamente era disceso.
So ben con falso e scelerato indizio
Di tradigion, per detostar la guerra,
Ei fu da' Greci indegnamente occiso;
Com'or, che ne son privi, i Croci stessi
109-851
il ló-lf.9] unno n. G>
I piangoli tutti! A questo Palamede,
A cui per parentela era conginnto,
H jioTor padroliiio no'miei prim'nnni
l'i in per valletto nel mMtier de l'unni.
pt)i per compagno a questa gaerra iliemmf.
I ii fi n oh'ci visse, e fuJl suo stato in floro,
fiorirò ancoimiei giorni; e l'oproo'l nomo
E '1 grado mio no fnr tali volta in pregio.
Estinto lui (che per iuvidia avvenne,
Com'ognun sa. deUraditoro Ulisse)
Amaramente il pianai. E M caso indigno
li' un tanto amico, e la mia vita oscura
Tra nio sdegnando, come soro o follo
Ch'io fui. noi tacqui. Anzi se mai In sorte
jlel consentisse, o se mai fossi in Argo
Tincitor ritornato, alta vendetta
No gli promisi, e con minacce e motti
Acerbi acerbamente il provocai.
Qnosto fu del mio mal primi» radico;
E quinci de' suoi falli o del min duolo
Consapevole Olisse, a spaventarmi,
A travagliarmi, a seminar susurri
Si dlè nel volgo, • procurarmi inciampi
Ond'io cadessi. E non cessò, clf <>rdinin.i
Per mezzo di Calcante.... Ma dov'entro,
[86-W11
58 L'unno*. (170-1
Lasso! senza profitto a fastidirvi
Con noioso novelle V A voi sol basta
Di saver ch'io son greco, già che i Greci
Tutti egualmente per nimici avote.
Or datemi, signor, supplizio e morte
Qlal a voi piaco, che piacere o gioia
N'aranno i regi ancor d'Itaca e d'Argo.
E qui si tacque. Allnr brama no volino, ,
Non cho disio, di più sapere avanti;
Non ben sapendo ancor, miseri noi!
Quanta scolloratczza e quanta astuzia
Fosso no' Oroci. Egli, a seguir costretto,.!
Mostrossi in prima paventoso, e poscia
Di nuovo assicufossi, o Anso, e disso:
Hanno molte frate i Greci afflitti
Già da la gnerra, o dal disagio astretti.
Disiato o tentato anco più volto
Di qui ritrarsi, o lasciar Troia in paco.
Cosi fatto l'avossoro! Ma sempre
Or il verno, or i vonti, or lo procello
Gli han distornati. E pur dianzi che l'opri
Dol cavai elio vedoto era fomite:
Di nuovo in sul partirò, e 'n sul far vela.
Di tempesto, di turbini e di nembi
KUonù '1 cielo, e conturbossi il maro.
1101-113]
[195-210] t,jb«o n. M
Onde, sospesi, Euripiln mandammo
A spiar sopra a ciò quel cho ila Febo
>c s'avvertisse. Kiportonue un empio
Y, spaventoso oracolo; sfu questo:
C-I tangne, • con la mortt <C una rrrginc
• >*f. • venti per condurvi in Ilio:
C,A nanyue, e con la morie ora à" un giovine
fanvién placarli per ritlmvi in Grecia.
A cosi fiora voce sbigottissi.
Impallidissi, e tremò I volgo tutto.
Ciascun per s6 temendo, « nessun certo
Qiml di loro accennasse Apollo o '1 fato.
Qui foce Ulisse in meno al greco stuolo
Con gran tumulto appresentar Calcante:
E jcl volerò in ciò de' santi Numi
Interrogollo. Ed ci risposo in guisa.
Che la sua fellonia, benché da tutti
Jusso prevista, fu però da molti
Simulata o taciuta, o da molti anco
A me predotta: pur ci tacque ancora
Per dieci giorni; o scaltramente al niego
gi mise di volor cho per suo dotto
passo alcun destinato, o spinto a morto.
j|a poi, comò da gridi astretto e vinto,
Di conserto con lui ruppe il silonzio,
1114-129]
fi0 i/essimi. r220-2l4
SI ch'io fui dichiarato alftn l'cr viltima:
Consentir tutti, porche tutti ancora
Finian con la mia morto il lor periglio.
Eia già da vicino il giorno orribile,
In che doveann al sacrificio offrirmi:
E gì '1 forro o già '1 sale e già le bendo
Erano a lo mie tempio intorno avvolto,
Quando, rotto (io noi niego) ogni ritegno,
Da la morto mi tolsi: e fin eli' a" venti
Desscr le volo (ch'orali presti a darle)
Di buia notte in un pantau m'ascosi,
Ove nel fango infra lo scarde o i giunchi
Stava qual mi vedete. Ora son qui
Privo d'ogni conforto e d'ogni spemo
Di mai più rivedor In patria antica,
1 dolci figli o '1 desiato padre,
Che saran, lasso mo! per la mia fuga,
Benché innocenti, ancor forso in mia vo
Incarcerati, e tormentati, o morti.
Or io, signor, per quelli eterni Dei
Che scorgon di là su so 'I vero io parlo,
Per quella pura e 'ntomorata fedo
(So tra' morteli in alcun loco è tal*)
Ond'io già tutto a ri volar ti vengo,
Pricgoti clie pietà di me ti prenda,
112S)-UI|
[24Ó-9C9] muro tir. «1
E do' miei tanti c si gravosi Affanni
Ch' indegnamente io soffro. A colai pianto
Commossi, o da noj Tatti anco pietosi
\ iin c Tonili gli diamo. K di sua bocca
1/omandu il re elio si disTerri e sciolga;
fui dolcemente in tal guisa gK parla:
Qnal elio tu sia. do' tuoi perduti Greci
Ti dimentica ornai: che per innanzi
Sarai de' nostri. Or mi rispondi il vero
l 'i quel ch'io ti domando. A che Une hanno
Qui si grande' edifUio i Greci cretto?
IVr consiglio di cui? Con quale avviso
I.'lmn fabbricato ? È voto? ò magia? è machina !
Che trama ù questa? A vca'I re detto a pena,
Qttaud' ci d' inganni o d' arte greca instrutto,
X.e già discioltc mani al cielo alzando,
Jlisse: Voi fochi cteiqi o '«violabili.
Voi fasce, ond'io portai le tempie avvinte.
Voi sacri altari, o voi culti i uefaudi,
Cui fuggendo anco adoro, a quel ch'io dico
]>er testimoni invoco. A mo lece ora
Ch'io mi disciolga, e mi disacri in tutto
Da l'obbligo do' Croci. E mi lece anco
Che non gli ami, e chegliodii.c che divulghi
Quel elio da lor si cela: gii ch'astretto
[M4-l.Mil
62 l'kskim. [2T0-'::i|]
riii non son de la patria à'iogge alcuna.
Tu, so vero io ti dico, u so gran uni to
IH ciò ti rendo, o te. Troia, conservo,
Conserva a ino la già promessa fede.
Noi cominciar di questa guerra, i Ured
Riposero ogni speme, ogni fidanza
Ne 1 aiuto di l'alia; c ben riposte
Fur sempre, infili che l'empio Diomede, I
E l'inveutor d'ogni mal'opra Ulisse,
Il sacro tempio suo non vloiaro:
Come fer quando, ne la ròcca ascesi,
N'uccisero i custodi, e n'involaro
Il palladio fatale, osando impuri
Por le man sanguinose al sacrosanto
Suo simulacro, o macular l' intatte
E 'ntemorate sue vergineo bendo.
Da indi in qua d'ardir soinpre e di forze
Scciiiùr, non e lio di speme; e l'alia infesta
Ne fu lor sempre; o ne die chiari segui
Jt portentosi, nllor ch'ai campo addotta
Fu la sua statua, cho posata a pona, .
Torvamente niirògli, e lampi e fiamme \
Vibrò per gli occhi, o por lo membra tutto
Versò salso sudoro. Indi tre volte,
Meraviglia a contarlo! alto da torra
[159-175J
[J115-819J limo li. m
Sarte, e'rabmcciiVlo scudo, o brandi l'asta.
Allor gridando indovinò Calcanto
Clio fuggir si dovesse, o tosto a' venti
irar lu velo: eh" ili Troia iuvuiio
Era l'asscd^i, se con nitri augùri
ji'Argo non' si tornava uu'nltta volta,
E do la Dea non si «lutava il nume,
Ch'or.perció faro.lian secoin Grecia addotto
Onde giunti a Micelio, incontinente
gi daranno a dispor l'armi o lo genti,
E gli Dei cho.gli aity e gli accompagni.
j>oi ripassando il mar, «od maggior fona
Di uuo\" assaliiauvi, e d'impioviso.
Cosi Calcante intorprota, c predice.
Or questa mole ebo tant'alto sorge,
Qui per consiglio di Calcante è posta
Invece del palladio, o por ammonda
Del nuiiio offeso, a beilo studio intesta
Di legni cosi gravi e cosi glandi.
Ed a si smisurata nltom erotta,
A Un cho por le porto entro a lo mura
/ Quinci addur non si possa, ore per seguo
' E por memoria poi del nomo antico
Riverita da voi, sacrata o cólta.
Sia licovro e tutela al popol vostro.
[175-188]
Ut l' Burro»! [320-344]
Chè allor elio questo dono a Valla offerto
Per voBtra man aia violato o guasto,
ltuiiia-estrema (la qual sopra lui
Cnggra pio tosto) a voi vuol elio uo vong
Ed al ginn vostro impero; ed, a rincont
Quando da voi sia dentro al vostro corcU
Condotto e custodito; allor. che l'Asia
Congiurerà con !u sue forzo tutto
A l'estoruiinio d'Argo: o che tnl fato
Sopra a' nostri nopoti in cielo è fisso.
Con tnl arto Sinon, con tali insidio
Fc si cho gli credemmo; e quelli stosai
Cui non pntòr uè '1 figlio di Tidoo,
Nò di Larissn il bellicoso alunno,
Ne diece anni domar, né mille navi,
Furon da lugrlmettc o da menzogne
Sforzati o vinti. In quosta a gl'infelici
Un altro sopravvenne assai maggioro
E più fero accidente; ondo a ciascuno
D'improvviso spavento il cor turbossi.
Era I.nocoonto a sorto eletto
Sacerdote a Nettuno; e quel di stesso
(ìli facca d'un gran torp ostia solenno; ,
tyiand'ccco cho da Tcnedo (m'agghiado
A raccontarlo) due serpenti immani
[189-204]
Venir si vcggon parimente al lito.
Ozieggiando coi dorsi onde maggiori
pc le marino alln& tranquillo e quete.
pai mezzo In su fendean coi petti il maro,
■ s'orgean coi lo tosto orribilmente,
Cinte di crosto sanguinoso od irte, .
Il resto con gran girl e con grand' archi
Traoan divincolando, e con le code
],' acque sferzando si cho lungo tratto
Si faccan suono o spuma e nebbia intorno
Giunti a la riva, rtin fieri occhi accesi
Di viro foco o d'atro sangue aspersi.
Vibrar lo lingue, o gittàr fischi orribili.
Noi di paura sbigottiti e smorti.
Chi q«a. chi lft ci disporgemmo; e gli angui
S'affilar drittamente a Laocoonte,
E pria di due suoi pargoletti figli
Le teucrollo montura ambo avvincbiando,
No si for crudo o miscrabil pasto.
Poscia a lui, eh' a' fanciulli era con l'armo
Giunto in aiuto, s'avvonUro, o strotto
L'tvvinser s\, cho le scaglioso terga
Con duo spiro nel petto o due noi collo
Gli racchiusero il fiato: e lo boccho alto,
Entro al su» capo fieramente infisso,
Ciao. - 5. 1205-210)
00 L'ama*. \s~o 394}
Oli addentarono il teschio. Kg-li. com'era
D'atro sanguo, di bava o di veleno
Lo benfo 0 'I volto asperso, i tristi nodi ■
Disgroppar con lo man tontuva indarno, I
E d'orribili strida il cicl feriva:
Qual mugghia il toro aliar elio dagli altari
Sorgo ferito, so del maglio appieno
Non cado il colpo, ed ei lo sbalte e fuggo.
1 Bari draghi olBu dai corpi essangni
Disviluppati, in vèr la ròcca insiemo
Strisciando e zuflnlando.al sommo ascesoro
E nel tempio di l'alia, entro al suo scudo j
Rinvolti, a'piò di lei si raggruppato.
Kiuovossi di ciò noi' volgo orrore
E tremoro o spavento; o mormorossi
Che degnameuto avea I.aocoonte
Si sua teinorità pagato il fio,
E del furor cho coutra al sacro legno
Gli armò l'impura e scolorata mano:
E gridar tutti elio di Palla al tempio
Si conducesse, o con preghiere e voti
Do la Dea si facesse il nume amico.
A ciò seguire immautinouto accinti,
Rumiamo la porta, apriam le mura.
Adattiamo al cavallo ordigui o travi,
[219-236J
ign.vll'.i] i.inno n. 07
g ruote o carri a' | i. di. e funi al collo. 1
Cosi mossa o tirata agevolniento
machina fatale il maro ascende.
D'armi pregila e d'aranti. a cui d'intorno
pi verginelle e di fanciulli un coro,
Sacre Iodi cantaudo.jcon dilètto
Porgeau mano a la fune. Ella per mezzo
Tratta de la città, mentre si scuote.
Mentre che no l'andar cigola e freme,
Somhra che la minacci. 0 Patria, o Ilio,
Santo de' numi albergo! inclita in armo
Dardauin terra! Noi la pur vedemmo
Con tanti occhia i'ontrar, che quattro volte
Fermossi. e quattro volte anco n'udimmo
]| suon de l'armi: o pur, da fuiia spinti,
Cicchi e sordi che fummo, i nostri danni
Ci procurammo: che '1 di stesso addotto
£ posto in cima a la sacrata ròcca
Fu quel mostro infelice. Allor Cassandra
La bocca aperse, eguale esser solea
Verace sempre o non creduta mai,
L'estremo fine indarno ci predisso: '
£ noi di sarra e di festiva fronde
Velammo i tempii il di, miseri noi!
Che do' lieti di nostri ultimo fuo.
[23Ó-249J
63 J.' pmom. [420-444]
Scendo ila l'Oceàn In uottc intanto,
E col -»f fosco velo involte o cuopro
l.a tVrn o 'I ciolo e do' Telaggi insieme
J.' ordito insidie. I Teucri ai loro albciglii,!
Ai lor riposi addormentati e quoti
(ìinconn .suenramente: o già da Tènedo
A l'usata riviera in ordinanza
Vèr noi 60 no venia l'nrgiva armata.
Col favor de la notte occulta e ditte;
Quando da lo sua poppa il regio legno
Ko die cenno col foco. Allor Sinone,
Che per nostra mina- era da noi
£ dal fato maligno a ciò serbato,
Accostossi al cavallo, o 'I cliiuso ventro
Chetamente gli aperse, o fuor no trasse
L'occulto agguato. Usciroa l'aura in prima
1 primi capi baldanzosi e lieti,
Tutti per una fune a terra scesi:
E fur Tisaudro o Stonalo ed l'Iisso,
Atamauto o Tornito e Macaone
E Pirro e Menelao con lo scaltrito
Fabricator di questo inganno, Epeo.
Assalir la citta, cho gii ne l'ozio
E nel sonno o nel vino ora sepolta;
Anciscro le guardie; aprirlo porto;
[250 2G0J
Hi:,. !•;•.'! ubio n. 69
Miser le schiero congiurate insieme:
v dicr forma a l'assalto. Era ne l'nra
Cho nel primo riposo hanno I mortali
Quel i-li'évlal cielo ai loro affanni infuso
Oportiino e dolcissimo ristoro;
Quand'eeco in sogno (minsi avanli gli occhi
Mi fosso veramente) Ettor m'apparve
Polente, lacrimoso, e qualo il vidi
Già strascinato, sanguinoso e lordo
Il corpo tutto, e 1 piò forato e gonfio.
| e! quale o'qunoto era mutato
Da queir Ettòr che ritornò vestito
De le spoglie d'Achille, e rilnconto
Del foce ond'arso il gran navilo nrgolico!
Squallida nvea la barba, orrido il crino
E rappreso di sangue: il petto lacero
Di quante uuqua ferite al patrio muro
Ebbe d'intorno. E mi parca cho '1 primo
Foss'io che lacrimando gli diressi:
0 splendor di Dardania, o do' Troiani
Scrurissima speme, c qnalo indugio
T'ha fin qui trattenuto? Ond'or ne vieni
Tanto da noi bramato? Ahi dopo quantA
Strage de' tuoi, dopo quanti travagli
De la nostra città, già stanchi o domi
[267-284 |
70 b' KSEtDl. f»"0-494J
Ti rivegglamo! E q»al fero accidente
Fa s) deformo il tuo volto sereno?
K .'h\oaglie son queste? Egli a ciò uulìa ,
Kispose, corno a vani miei quesiti;
Ma (Ini profondo petto alti sospiri
Traendo, Oh! fuggi, Enea, fuggi, mi disse: i
Togliti a quosto fiamme. Ecco che dentro i
Sono i nostri nomici. Ecco già ch'Ilio
Arde tutto o ruina: lutino ad ora
E per F'riamo e per Troia assai s' è fatto. I
So difondoro ornai più si potesse,
Fora per questa man difesa ancora:
Ma dovendo' cader, le sue reliquie
Sacro e gli santi suoi numi Penati
A to solo accomanda; o tu li prendi
Por compagnia' tuoi fati; e, conio è d'uopn,
Cerca loro altro terre, ergi altre mura;
Clio dopo lungo e travaglioso ossiglio
L'ergerai più di Troia altere o grandi.
Detto ciò, da le chiuse arche reposto
Trasse, o mi consognò le sacro hende,
E l'effigie di Vesta e '1 foco eterno.
Spargousi intanto per diverse parti
Do la presa città lo grida e '1 pianto
E '1 tumulto do l'armi; o rinforzando
[285-29i)|
Via pi" uiano '" '" 'li- tanto »' avanza.
Che a l'antica magion- (lui padre Anelli*»
(Como ohe fosse remota, o chiusa
X)' alberi intorno) il (frati rumore aggiunge.
Allor dal sonno mi riscuoto, c salgo
Subitamente d'uo torrazzo in cima,
E porgo per udir gli orecchi attenti.
Cosi rozzo pastor, so da gran suono
te da ìungo percosso, in alto asconde,
F mirando si sta confuso o stupido
0 foco che ai soffiar d'un turbid* austro
Stridendo arda lo biade e le campagne,
0 tempestoso e rapido torrcnto
Che dal monte precipiti, o le selve
Ne meni o i cólti e le ricolto e i campi.
Allor tarili credemmo; allor lo insidio
No fur couto do' Orcci. K già '1 palagio
Era di Deifóbo arso e distrutto;
Già 'I suo Ticino Ucalegon ardoa.
E r incendio di Troia in ogni lato
Kilucca di Sigeo no la marina;
E s'udian gridar genti o sonar tube.
Io m'armo, e forsennato anco no l'armi
Non veggio ove m'adopri. Alfln risolvo,
Rauuati i compagni, avventurarmi,
[899-819]
7B t' itXKiDK. [520 544)
Menar lo mani, e Uc I» ròcca addormì.
Mi fan l'impeto o l'ira ad ogni rischio
frcripKìso: c solo a monte vidimi
Che un boi morir tutta la vita onora.
Brano mossi; quando ceco tra via
Ne si fa Panto d'improviso avanti,
Tanto figlio d'Otreo che de la rócca
Era custode, o sacordote a Febo.
Questi, scampato da' niinici a pena,
Inverso II lito attonito fuggendo,
I sacri arrodi e i santi simulacri
Degli Dei vinti, o '1 suo picciol nipote
Si traca secò. 0 I'anto, o Panto (io dissiU
A che siam giunti? Oro ricorso abbiamo.
So la ròcca è già prosa? Ei sospirando
E piangendo risposo: È giunto, Kuea,
L'ultimo giorno, o 'I tempo incvitabilo
De la noslra mina. Ilio fu già;
E noi Troiani fummo: or è di Troia
Ogni gloria caduta. Il fero Giovo
Tutto in Argo ha rivolto; o tutti in preda
Siam do' Orcci e del foco. Il gran cavallo.
Ch'ora a Palla dovoto, altero in mezzo
Stassi de la cittade, e d'ogni lato
Arme versa ed armati. Il buon Siuono
L81G-32D]
f!U5-5<W] MURO II.
rodo de 1» *"» frodo. • d'ogo" intorno
c,.orrendo si rimescola,, e s'aggira
' maestro d'infeudi e di mine.
A imi te spalancate entrati le schiero
Senza ritegno ed a migliaia, quante
vi d'Argo nsciron nmi ne di' Micene.
Glialtri elio prima cntrnro.han già Icstindo
Assediato: stnn con l'armi infesto
Parate a far di noi strago o macello.
Soli son fino, a qui sorti in difesa
I corpi do li- gnnrflle: e Questi al buio
Fanno con Movi o repontini assalti
Tale ima cicca resistenza a pena.
Dui parlar di* costui, dal numo avverso
Spinto, mi caccio tra le fiamme o l'armi,
Ove mi chiama il mio cieco furore,
K do le genti il fremito o lo strida
Cho feriscono il cielo. E por compagni
Primieramente al lumo de la luna
Mi si scuopron Kifeo, ìflto il vecchio.
Ed ì pane e Rimante: indi comparvo
II giovino Corobo. Era costui
Figlio a Mìgdono. insanamente acceso
Po l'amor di Cassandra: e corno fosso
Già suo consorte, pochi giorni avanti
[330-344]
74 i.' exk oi. [570-594]
In soccorso del suocero c do' Frigi
S'era a Troia condotto. Infoi tinnito!
Clio naales In sua sposa indovina
Ben anco intesa. A questi insieme accolti,.
Ter accendergli più mi volgo, e dico:
Giovini forti e valorosi, invano
Ornai fìa la fortozza e 'I valor vostro;
l'oidio perduti siamo e elio Tuia nrt'o, I
E gli Dei tutti, a cui tutela e cura
Si reggea questo impero, in abbandono
Lasciano i nostri tempii o i nostri altari.
Ma se voi cosi fermi e così certi
Siete pur, com'io veggio, a seguitarmi; I
Ancor ch'n morte io vada, in mezzo a l'armi
Avventinoci, e moriamo. Un sol rimedio
A chi spomo non bave ù disperarsi.
Cosi l'ardir di quelli animi accesi
Furor divellilo. Usciam di lupi in guisa
Che rapaci, famelici e rabbiosi,
Col ventre vóto o con lo canne asciutto ',
Sentali de' lupicini urlar per famo
Piono un digiun covilo. Audinm per mezzo
Do' nemici e de l'armi a morte esposti
Senza riservo, e via dritti fendiamo
I<a città tutta, a la buia ombra occulti,
[314-360]
r505-fil9l muro ti. m
pi.e l'altezza Tacca (lugli «. -lìfì.-i.
Or chi può dir la strage* la ruiim
ni ouclla notte V.H (|ual ò pianto eguale
A tante oecistoni, a tasto cecidio?
Troia mina, 'a superba, antica
•K gloriosa Troia, che^tant'anni
Porto scettro e corona. Era, dovunque
S'andava, di cadivori, di sangue,
p'ogni calamità piono ogni loco,
u vie, lo caso. 1 tempii. E non pur soli
Caddero i Teucrii-chè l'antico ardirò
• Pcstos3Ì, e sorse alcuna tolta aucora
Kcgli lor petti. I vincitori e i vinti
Ciacean confusìiinento. o d'ogni lato
S'udian pianti e lamenU; e qnosti e quolli
Eran da la paura e da la morto
In mille guise aggiunti. Andrògoo il primo
Do' Orcci fu. eh' ovanti no s'offerse
Condottier di gran gonio. Egli avvisando
Parto sollecitar do la sna senior»,
Affrettatevi disse; a che badate?
Cho 'ndugio è '1 vostro ? Al t ri espugnata ed arsa
E depredata han di gii Troia: e voi
Teste venite? Avoa ciò detto a pena,
Che '1 sogn» 0 ,a risposta indarno attesa,
[360-87CJ
7C L'Ùnti ■ [B20-fi44]
Trn non^i li villo ; o conio attonito
Restando, con la voce 'il più ritrasse.
Come rcpcnto il vYator s'arretra.
Se d'improviso fra le spine uu antro»
Avvici! che prema, ed oi premuto e punto "(
li' ira gonfio e di tosco gli s'avventi;
Cosi dal nostro subitano incontro
Sovraggiunto in un tempo e spaventato, .
Andrògeo per fuggir ratto si volse.
Ma noi che, impauriti o sconsertoti
A la sprovista gli assalimmo in lochi
A lor non consueti, in breve spazio
Li circondammo, e gli aucidcinmo alfine: 1
Tanto nel primo assalto amica o presta
Ne fu la sorte. E qui fatto Corebo
IV mi tal successo e di coraggio altero,
Compagni, disso. poi che la fortuna.
Con questo si felice agli altri inculiti I
Ne porge alta, a nostro scampo usinola.
Mutimi! gli scudi, accomodianci gli elmi
E l'insegne da' Greci. 0 biasmo o lodo
Cbo ciò no sia. chi co' nemici il cerca?
L'arme no ilainnno ossi. E, cosi detto.
La celata e '1 cimicr d' Andrògeo stesso,
E la sua scimitarra e la sua targa
[377-39UJ
r<Vl5-f'f>91 LIBRO n. 77
per lui prose, armi onoralo o conte.
Csl fece Kifeo, così Dimante,
y c0si tutti; chwpor sé ciascuno
Ili nuove spoglie allegramente minossi.
Ci mettemmo tra lor. che i nostri UH
Kon ermi nosco: o no.)' oscura notte
Coli ogni occasione in ogni loco
Ci azzuffammo con ossi; o di lor molti
Mandammo a l'Orco, e ritirar molt' altri
j{o Tacemmo alle navi: e Tur di quelli
Che per viltà nel cavornoso e cieco
Ventro si racquietar del gran cavallo.
Ma cho? Contro. '1 voler de' regi eterni
Indarno osa la gente. Ecco dal tempio
Trar reggiani di Minerra, con le chiome
Sparse, e con gli occhi indarno ni ciol rivolti,
La rorgino Cassandra. Io dico gli occhi,
Perche le regie sue tenero mani
Eran da' lacci indegnamente avvinte.
A si foro spottacolo Corebo
Infuriato, e di morir disposto,
Arni che di soffrirlo, a quella schiera
Scagliossi in mezzo; e noi ristretti insieme
Tutti il seguimmo. Or qui fessi di noi
Una strage crudele -e miserabile,
[892-41 1J*
78 &' fxnDK. ICT0-C94]
E da' nnst^ Mée*mi, dio In cima
Tenenti del tempio, c dardi o sassi o travi.
Ne Torsarono addosso, imaginando
Da l'armi, da' cimieri e da l' insegne
Di ferir Greci; c i Greci d' ognintorno,
Tratti dal gran rumore e da lo sdeguo
De la ritolta Tergine, s'unirò
Ai nostri danni. 11 belHCQM Aiace,
I fieri Atridi, i Dòlopi o gli Argivi,
Tutti ne furon sopra in quella guisa
Ch'opposti un coutta l'altro Affrico n Horti
K Garbino e Volturno accolto in mezzo
liuti le selve stridenti o '1 mare ondoso, T|
Quando col suo tridente infln dal Tondo * I
II gran Nereo il conturba. E tornar anco I
Incontro a noi quei che da noi pur dianzi I
Sen gir rotti o dispersi; e questi in prima
Scoprir lo nostre insidie, e Ter palesi
Le cangiate armi o gli montiti scudi, V
E 'I pailar che dal greco era diverso.
Cosi ne Tu subitamente addosso
Un diluvio di gente. E qui por mano
Di l'cnelco, davanti ni sacro altaro
De l'armigera Dea caddo Corebo:
Cadde Eifeo, ch'era no' Teucri un lume
[H1-42GJ
1695-719] mmo li. 19
Di boiitA. di giustizia o d'oquitate
(Cosi a Di" piacque); od Ipantfc Dimanto
Caddero anch'ossi, o questi, oime! trafitti
l'or l:i 1""' llu ""»W- '"■ pietoso
Panto. cadesti; e la tua gran piotato.
«v'infoia santissima d'Apollo
Tn ciò nulla ti valse. 0 fiamme estremo
0 ceneri do' mioi! (atomi fedo
Voi clic nel rostro occaso In rischio alcuno
Non rifiutai nò d'armo, nò di foco,
Kè di qual fosse incontro, nò di quanti
j;,. i . >scro i Greci: o se '1 fato ora
Ch'io dovessi cader, caduto fora:
Tal no feci opra. No spiccammo alfine
Jja quel moi talo assalto. ìflto e l'elia
Ne vouiior meco: Ifito afflitto e piavo
Gii d'anni; e l'olia indebolito e tarlo
D'un colpo elio di mano ebbe 6" Ulisse.
Quinci divelti, al gran palagio andammo
Da le prida chiamati. Ivi ora un fremito,
Un tumulto, un combatter cosi fiero, • '
Come gucira non fosso in altro l< co,
E quivi sol si combattesse, o quivi
Ognun morisse, e nessun altro altrove:
Tal v'era Marte indomito, e de' tire^i
(42C-440]
gO \ ?' BOOM. [720-71
Tanto concoreo. Avcan In porta cinta 1
Di schiero o di tostuggiui e di travi,
E d'niulii i lati a In parete in alto
Appoggiate lo scale; onde saliti
E spinti un dopo l'altro, con gli scudi
Si licoprian di sopra, e con le destro
Kampicando salian di grado in grado.
A rincontro i Troiani, altri di sopra |
Muri o tetti versando e torri intero,
] travi e i palchi d'oro e i fregi tutti
Do la regia e do' regi avoan per unni;
Formi a far si (poich'eran giuriti ni fina)
Ch'ogni cosa con lor finisso insieme:
Kd altri unitamuuto entro a la porta 1
Stavan coi ferri bassi, in folta schiera
A guardia de l'entrata. E qui di novo
A sovvenir la corto, a far difesa
l'er entro, a darò a* viuti animo o fona 1
Mi posi in coro : e 'n cotal guisa il fei. 4I
Era un audito occulto od una porta
Secretamcnto accomodata a l'uso
Do le stan/.o reali, ondo solca
Andromaca infelice al suo buon tempo l
Gir a' suoceri suoi soletta, e seco
l'or domestica gioia al suo graud'avo
|44(M07J
p^fi-''*"1! LIBRO If. 81
jl panciotto AstTanatte addurre.
Quinci cutromesso, mo ne salsi in rima
i l'alto corridore, ondo i meschini
jVcan di sopra a le nemichi; schiero
Tempesta in vano. Era dal tetto a l'aura
Spiccata, o 6opra la Rarctc n'Alo
Un'altissima torre, ondo il paese
pi TrcJa. il mar. le nari c'1 campo tutto
Si scopria do' nemici. A questa Intorno
Co' ferri ci mettemmo o co' puntelli :
% da radico, ov'erif al paleo aggiunta,
jjda'suoi tavolati e da'snoi travi
Recisa in parteja tagliammo in tutto,
v ]a spingemmo? Alta mina e suono
foco cadendo: o di più greche squadro
fa strage o morto o sepoltura insieme,
fili altri vi salir sopra; e d'ogni parte
Senz' intormisston d'ogn'armc un ncinbo
Volava intanto. In su la prima ontrata
Stata Pirro orgoglioso; e d'armi cinto
SI luminoso, o da* reflessi acceso
Di tanti incenlii, cho di foco o d'ira
Parcan lungo avventar ragpi o scintille.
falò un colubro mal pasciuto o gonfio,
PI tana usc.to, ove la fredda br ima
Cauo.-O- [457-472J
'r.xF.rn*. [770-794J
Lo tenne ascoso, a l' aura si dimostra, M
Quando, deposto il suo ruvido spoglio,
Bingiuvcuito alteramente, al solo
Lubrico si travolve, o con tre lingua
Vibra mille suoi lucidi colori.
Seco il gran l'erifante, e 'I grand' aurigi
IV Achille, Automedonto, e lo stiwl tutto j
Kra do'Sciri; e di già sotto entrati.
Fiamme a' tetti avventando, ogui difosa I
Ne facean vana. Equi co'primi avanti
Pirro con una in umn gravo bipenno
Lo sbarre, i logni, i marmi, ogui ritegno |
Po la ferrata porta abbatto e frange, J
E por disganghorarla ogni arto adopra, I
Tanto alfin no recido elio nel mezzo
V apre un' ampia finestra. Appaimi dentro
Gli atrii superbi, i lunghi colonuati,
E di Priamo o dogli altri antichi regi
I reconditi alberghi. Appaion l'armi 1
Che davanti oran pronto alla difesa.
S'odo più dontro un gemito, un tumulto,
Un compianto di donne, un ululato,
E di confusYi-no e di miseria
Tato uu suou che feria l'aura e lo stelle.
Le misero matrone spaventate,
1472-187]
19] LIBRO ti. 83
Cb> QUR' ?n' Por '° *T*n 8,'° errando,
Ruttonsi i petti; e con dirotti pinati
Pnnno inlino a le porte amplessi e baci,
pjrro intanto non cessa, e furioso.
In sembianza dol padre, ogni riparo.
Ogni intoppo sprezzando, ontro si caccio.
Già l'ariete a Aeri tolpi e spesai
Aperto, fracassata, e d'ambi i lati
««•cardini divelta «vea la porta;
Quand'egli a forzo urtò, ruppo e conquise
j primi armati; o quinci in un momento
Pi Greci s'allagò la reggia tutu.
Qual è. so rotti gli argini, spumoso
Esce e rapido ua fiume, allnr cbo gonfio
Etorbo e ruinoso i campi inondo,
geco i sassi traendo e i boschi interi,
Egli armenti o le stalle e ciò che aranti
Gli s'attraversa; in cotol guiso io stosso
Tidi Pino uionar mina o strago:
E vidi uo l'entrato ambi gli Atridi;
Vidi Ecuba infelice, ed a lei cento
Nuoro d'intorno; e Priamo vid'nneo
Ch'est inguea col suosanguo.oiiuc.'quoi focili
Che da lui stesso eran sacrati e colti.
Ciuquanta maritali appartamenti
1187-503)
1
84 i.'sxkidk. [S20-844]
Eran nel mio serraglio: qualo, e quuuta
Speranza de'flgiioii e to' nipóti 1
Quanti fregi, qimnt'oro, quanto spoglie,
E qunnt'nltre ricchezzo! c tutte insiemo
Perirò incontinente: e dove il foco
Non era, erano i Greci. Or, por contarvi A
Qual di PrTamo fosse il fato estremo,
Egli, poscia che prosa, arsa e disfatta
Vide la sua cittadc, e i Greci in iiicmo
Ai suoi piti cari e più riposti alberghi;
Ancor elio vèglio o debole e tromanto,
L'armi, che ili gran tempo avea dismesso,
Addur si foce; o d'esso inutilmente
Gravò gli omori e'I fianco; e come a morte
Devoto, ovo più foltl^j più foroci
Vide i nemici, incontr'n lor si mosse.
Era nel mezzo del palazzo a l'ama
Scoporto un grand' altare, a cui vicino
Sorgoa di molti o di molt'anni un lauro j
Che co' rami a T aitar facea tribuna, 1
E con l'ombra a' Penati opaco velo.
Qui, come d'atra o torbida tempesta
Spaventate colombe, a l'ara Intorno
Avua le care figlio Ecuba accolto;
Ove agl'irati Dei pace ed aita
1503- Ó17J
{845 -SCO] " mbio n. 85
Chiedendo- Agli lor santi simulacri
Stavano ron lo braccia indarno appese
Qui. poiché In dolente apparir villo
j| vecchio ro gioveniimente armato,
0, disse infelicissimo consorte,
Qiial dira mente, o qiTal follia ti spingo
A vestir di quest'almi? Ove t'avventi
Misero ? Tal soccorso a tal difesa
Non ó d'uopo a tal tempo: non, s'appresso
.Ti fosso anco Etto/ mio. Con noi più tosto
Rimanti qui: chè questo santo altare
Salverà tutti, o morrem tutti insieme.
Ciò detto, a si lo trasse: e nel suo seggio
In innestate il pose. Kcco d'avanti
A Pirro intanto il giovine l'olite.
Un do' figli del re, scampo cercando
Pai suo furoro, e già da lui ferito.
Per portici e per loggo armi o nemici *
Attraversando, in vèr l'aitar sèn fugge:
K Pirro ha dietro elio lo segue, e'ncalza
SI. che gin già con l'asta e con la mano
Or lo prende, or lo fero. Aititi qui giunto,
Catto di inailo in mnn di forza essnnsto
K di sangue e di vita, avanti agii occhi
D'ambi i parenti sui cadde, o spiro.
1617-532]
gH L'ani [870-8941
Qui, perchò si vodcsso a morto esposta]
Prtamo non di sù punto obliossi,
Nò la voce frenò, né frenò l'ira:
Anzi esclamando, 0 scelcratn, disse,
0 tomorario! Abbiati in odio il cielo, J '1
So nel cielo ò piotate; o se i celesti
Hall di ciò cura, <li lassù ti caggin
I,a vendetta elio morta opra si ria.
Empio.ch'finzi a' mici numi. anzi al cospetti
Mio proprio fai governo e scompio tale '•]
D'un tal mio figlio, e di sì fera viste.
Lo mie luci contamini o funesti.
Cotal meco non fu. benché nimico.
Achille, a cui tu meati ossor figliolo.
Quando, a lui ricorrendo, umanamente >
M'accolse, c riverì lo mie proghioro;
Gradi la fedo mia: d' Ettor mio figlio
Mi vendè c'1 corpo cssang'-o, o me socora
Nel mio regno riposo. In onesta, acceso "I
Il dobil vecchio alzò l'osta, o lancioll» j
SI. che senza colpir languida e Manca I
Fori lo scudo, o lo percosse a pena.
Che dal sonante acciaro incontinente J
Kisospinta e sbattuta a terra cadde.
A cui Pirro soggiunse: Or va' tu dtinqnffl
|533-5471
[805-010] libro ii. 8?
Hessaggiero n mio padre, c da te stosso,
Le mie colpe accusando o i miei difetti,
Fii'ontn a lui come da Ini traligno:
£ inum i intanto. Ciò dicendo, irato
Affermilo, o per mezzo 11 molto saligno
Pel suo figlio tremante, o barcolloni
X l'aitar lo condusse. Ivi nel ciuffo
Con la sinistra il preso, e con la destra
Strinse il lucido Terrò, e fieramente
Noi fianco inllno agli el«i gli l'immerse.
Questo fin cbbo,*e qui fortuna addusse
Priamo, un re si grande, nn sì supcibo
* Pominator di genti e di paesi.
Un de l'Asia monarca, a veder Troia
Ruinata e combusta, a giacer quasi
Nel Hto un tronco desolato, nn capo
Senza il suo busto, o senza nome un corpo.
Allor pria mi sentii dentro e d'intorno
Tal un orror, che stupido rimasi.
E, di Priamo pensando al caso atroco,
Mi si rappresentò l'imago aranti
Pel padro mio ch'era a lui d'anni eguale.
Mj sovvenne, l' amata mia C'ronsa,
11 mio picciolo luto, o la mia casa
Tutta a la violenza, a la rapina,
1547-5631
Ad ogni ingiurì» esposta. Allora in diet«J
Mi volsi per veder che gente meco
Fosso de" miei seguaci: e nullo intorno ■
Più no.» mi vidi; che tra stanchi o mol ti*
E foriti e storpiati, altri dal ferro.
Altri da lo ruine, altri dal foco,
IT avoan già tutti abbandonalo. In sommi
Mi trovai solo. Ondo, smarrito errando, ■
E d' ogn' intorno i imirando, al lume 1
Pel grand-incendio, ecco mi s'olire, agi i occkl
Di Tiudaio la figlia elio nel tempio
So ne stava di Vesta, in un rcposto
E secreto ridotto asc osa e choto;
Elcna, dico, origino o cagiono
Di tanti mali, e che fu d' Ilio e d' Argo
Furia commini». Onde com.nunemento j
E de' Greci temendo o do' Troiani,
E do l'abbandonato suo marito.
S'ora in quel loco, o'n so stessa ristrdj
Confusa, vilipesa ed abburrita
Fin dagli stessi altari. A.si di sdegno, M
Membrando che per lei Troia cade»; J |
E'i suo castigo e la vendetta iusu-mo ,1
Do la mia patria rivolgendo. Aduuqno.»
Dicea meco, impunita e trionfante
|563-577]
Ifll.vOGO] • t»t ubo n. 89
«tornerà la scolorata In Argo ?
«^irina vedrà Sparla e Micene?
p0j, r:'i ilei marito, de' parenti.
Po' li- li suoi? Farà pompe o g-i niulcitzf,
^d'Ilio avrà por servo o ^or ministri
X' altero donne e i gran donzelli intorno?
£ qui Priamo sarà di ferro anclso,
E Troia incensa, o la dardnnia terra
pi tanto sangue tante volto aspersa?
Non fia cosi ; oliò se ben pregio e lode
Ndn s'acquista aT"»'re » vincer donna.
Io lodato c pregiato a*sai terrommi,
* So si dirà cli'aggia d'un mostro talo
Purgato il mondo. Appaglicrommi almeno
Disfogar l'ira mia; vcndiclieromiiii
Do la mia patria; e col flato e col sanguo
DI lei placherò l'ombre, e farò sazie
Le ceneri do' mici. Ciò vaneggiando,
Infuriava ; quand' occo un» loco
jl'aprio la notte, e mi scoverse avanti
L'alma mia genitrice in un sembiante.
Non come l'altre volte in altre forme
Mentito o dubbio; ma verace e chiaro,
E di madre o di Dea. qnal erodo, e quanta
Su tra gli altri colesti in cicl si mostra.
[678-6«2]
fl0 t'KSWD*. [970-9941
Cotal la vidi, e tnle anco per mano
Jli proso, o con pietà le sunto luci
E lo labbia rosato aperse, o dlsso:
Figlio, a che tanto affanno ? a cko tant'ir»^
Che non t'acqueti ornai? Questa o la cur»
Che tu prendi di noi? Che non più tosto
Rimiri ov' abbandoni il vocchio Anchise I
E la cara Creusa e '1 caro Iulo,
Cui sono i Oreci intorno? E se non fossa J
Che in guardiaio gli agsrio. in preda al frrro,»J
Fòran giù tutti. Ah figlio ! non il volto l«>ej
Po l'odiata Argiva, non di Pari
La biasmata rapiiia.mirdol cielo
E do' colesti il volor empio atterra
La troiana potenza. Alza su gli occhi,
Ch'io no trarrò l'umida nube, o '1 Telo I
Che la vista mortai t'appanna e grava: J
Poscia credi a tua madre, e senza indugi» I
Tutto fa' che da lei ti si comanda:
Vedi là qnella molo, ovo quoi sassi
Son da sassi disgiunti, o dove il fumo
Con la polve ondeggiando al ciol si volré
Come fiero Nettuno infln da l'imo
Le mura e i fondamenti e'1 terreo tutto*
Col gran tridente suo sveglio e couqua»
1592-6121
rgfló-1019] LIBRO II. 91
fedi qui su 1» porti» corno Giono
Infuriata a rotti gli altri avanti
ni et i cinta di ferro, «'da le navi
t,, sclii'T'' (l'Argo ai nostri danni invita:
Vedi poi «" Pallado in cima
A l'alta ròcca, entro a-quel nembo armata,
Che con lucenti e spaventosi lampi
Il irai) Gorgone suo discopre e vibra.
Che più? mira nel ciel, che Giovo stesso
Sonimiuistrn agli Argivi animo e forza,
g incontro a lo vostro armi a l'arme incita
Oli eterni Dei. Codi lor. Aglio, o fuggi,
Poi cho indarno t'affanni, lo sarò teco
Ovuuquo andrai, si cho sccurninente
Ti porrò dentro a'tnol paterni nlhcrghi.
Cosi disso; e por entro a le folt' ombro
Po la notto s'ascoso. Allur vid'io
Gl'invisibili aspetti o i Aeri volti
Pe'Nomi a Troia iufosti. o Troia tutta
In un sol foco immorsa, o fin dnl fondo
Sottosopra rivolta. In qnclla guisa
Cho d'alto monto in precipizio cado
U» orno antico, i cui rami pur dianzi
IVoan contrasto a' venti e scorno ni solo,
Quando con molte accottoal suo gran tronco
1012-627]
08 l/KNtlDE. [1020-lMfl
Stanno i robusti agricoltori intorno
Ter «ttorrarlo, e ffli dan colpi u aura. , J
Da cui vinto, e dal peso, a poco a poco ■
Crollando o balenando, il capo inchina, fl
E stride c geme o dal snojRiogo al fino J
0 con parte del giogo si diveglio,
0 si scoscendo; o ciò che intoppa urtanti
Di snono c di ruina empie lo valli.
Allor discesi; e la ma/crna scorta
Seguendo, da'nimici o da le fiamme ri
Mi rendei salvo; che dovunque il passo
Volgea, cessava il fooo, o foggiali l'arra),,
Poi ch'io fui giunto a la magione antìi"
Del padre mio, dì lui prima mi calsc
E del suo scampo, o per condurlo a' moniti
M'apparecchiava, qiinnd'oi disse: 0 flgl"
Io decrepito, lo misero, che avanzi
Ai di de la mia patria? Io posso, io de
Sopravvivcro a Troia? E fia ch'io soffra,!
SI vilo ossiglio? Voi, che ne' vostri anni"
Siete di sangue o di vigore iutieri,
Voi vi salvate. A me, s'io pur dovea
Restare in vita, nvrobbo il elei serbato
Questu mio nido. Assai, figlio, e pur ti oppi
Son vissuto fin qui: poi ch'altra volta 1
LC28-G42J '
«(H.Vl'WOJ unno ii. 93
vidi 'i '"i* cadere, e non cadd'io.
f «temi or ili piota gli ultimi uffici;
Iteratemi il vale, e per defunti»
Cotti composto il mio coffe Usciate,
Ch'io troverò chi mi din morte: o i Croci
jhsdi'smi, o per piotatolo por Vagliela
De lo mie spoglie, mi trarran di vita
vii miseria: e se d'esseqnie io manco,
ge mauco di sepolcro, il danno è lieve,
p., l'ora in qua soa io risso a tu turra
pisutil peso, òd al Rtan Giovo in irò.
Clio dal vento percosso edaju Damino
fui del folgore suo. Ciò memorando
Stava il misero pn'ìlrc a morto additto,
>; d'intorno tri. or' io. Creusa, Inlo,
j casa tutta con preghiero e pianti
Stringendolo a salvarsi, a non trar seca
Ogni cosa in ruiua, a non offrirsi
Da sò stesso alla morto. Ei fermo e saldo
Nò di proponimento, nò di loco
Punto si cangia: ond'io pur, l'armi!. grido
Di morir desioso. E qual v' ora altro
Kiniedioo di consiglio o di fortuna?
Ahf che di questa soglia io tragga il piede
Padie mio, por lasciarti? Ah che tu possa
' 1643-658]
94 i/«mwi. [1070-IOMl
Creder tanto di moV da la tua bocca M
Tanto di aceleranza e di vilfcato
È d'ini tuo figlio uscito? Or s'ò destino 1
Che di si gran città nulla rimanga.
Se piace a te, se nel tuo cnje è fermo
Che nè di to, nè dogliluoi si scorni
La ruina di Troia; e cosi vada,
E cosi fla; ch'io roggio. a mano a mano ■
Qui del sangue del re tutto cosperso,
E bramoso del nostro, apparir Pirro J
Ch' i padri occido anzi agli altari, o i ftgfl
Anzi agli occhi de' padri. Ah! uiadro mlaj
Per quosto fino qui sali» o difeso
M' hai da l' armi e dal foco, acci" eh' io vergU
Con gli occhi miei no la'mia casa stesa»!
I miei nemici o'I mio padro e-l mio figlio i
E la mia donna crudelmente occisi
I/un nel sangue del' altro V Mano a l'anta
Chi mi dà l' armi ? Kcco cho '1 giorno estro*
Vinti a morto no chiama. Or mi lasciata»
Ch' io torni infra unnici, o elio di nuoto M
Mi razzuffi con essi; chè non tutti I
Abbiam sonza vendotta oggi a perirò, J |
E già di ferro cinto, a la sinistra
M'adattava lo scudo, e fuori uscia,
L658-672]
pi' - inni libro n. 03
Quand'occo 8U lo soglia attravoisata
Creusa avanti a' più ini si distende,
f „n irli abbraccia; o Tfanaiullotto luto
j[' : . -.-ni 1. 1- mi '1^'-": Ah ' mi" . •■
Poto ne lasci? S'a morir ne Tai,
Ohe no" tec0 n'*d<lucl? E se ne l'armi
y n0| l'esperienza hai speme alcuna.
Che non difendi la tua casa in prima?
Ore Ascimi» abbandoni? ore tuo padre?
Ore Crcusa tua, che tua, s'e detta, ,
Per alcun tempo? H ciò gridando, empioa
pi pianto e di stridor lamagion tutta:
Quand'ccco innanzi agli occhi, e fra lo mani
pepli stessi paredti. un repentino
E mirabile a dir portento apparvi-;
Chi sopra il capo del fanciullo Itilo
Chiaro un lume si vide, o via più chiara
Una fiamma cho troiuola o sospesa
la Suo tempie rosate o I biondi crini
Reo già come leccando, o senza oflbsa
Lievemente pascendo. Orrore o téma
Ne presi in prima. Indi a quel santo foco
D'intorno, altri con acqua, altri con nitro,
Ognun facea per ammorzarlo ogn'opra.
Sin il padre Anellino a rotai vista allegro,
1678-687J
08 L'FXKIOK. [II20-1U4B
Lo man, gli occhi e In voce ni ciol rivolto
Orò dicendo: Etemo, onnipotente
Signor, s' umana prece uuqua ti mosso, m
Vèr noi rimira, e ne fin questo assai.
Ma so di morto alcuno in tuo cospetto j
K In nostra pietà, padre benigno.
Danne anco aita; e con felice segno
Quest'nnumizio ratifica e conferma. •
Avea di ciò pregato il.vocchio appena I
Che tnuò dn sinistra e dal convesso
Del ciol cadde una stolln che per mezzo
Fendè l'ombrosa notte, e lunga strisci»
DI face e di splender dietro si trasse
Noi la vedemmo chiaramente sopra
Da' nostri tetti ire a celarsi in Ida,
SI che lasciò, quanto il suo corso t . uno,
Di chiara luco un solco: e hinge iutornol|
Fumò la terra di sulfureo odoro.
Allor vinto si diodo il padre mio;
E tosto n l'aura uscendo, ni santo sog
De In stella inchinossi, e con gli Del
Parlò devotamente: 0 do In patria
Sacri numi Penati, a voi mi rendo.
Voi questa casa, voi questo nipote
Mi conservato. Questo augurio ò vostro
IG87-703J
j]lir, 1169] Litnii il. 97
g Dol ]>oter di roi Troia rimatisi.
j>0scia. rivolto a noi. Fa', fìgliuol mio,
0m;,i. disse, ili mo clic più t'aggrada.
Ch'ai tuo voler son pronto, e d'uscir toco
,,„„ roctiso. Avoa gii '1 Toco appresa
\jx città tutta, o'già lo fiamme o i vampi
Ho fei ian da vicino, allor dio '1 vecchio
Cosi dicea. Caro mio padre, adunque,
gairgioiis' io, com'è d'uopo, lusu 1« spallu
\ me ti reca., o mi t'adatta al collo
Acconciamente: cV io. robusto efft»ito
Sono a tal peso; e sia poscia dio vuolo:
Ch' un sol periglio, una salute sola
pia d'ambcduo.*Seguami lulo al pari:
Crciisa dopo: o voi miei servì, udito
Quel ch'io divìso, fc do la porta fuori
Un colle, ov' ha di Cererò un nntico
% deserto delubro, a eoi vicino
Sorgo un cipresso, già molt'anni e molti
In onor do lo Dea serbato e colto.
Qui per diverso vio tutti in un loco
VI ridurrete: o tu con lo tue mani
Sosterrai, padre mio, do' santi arredi
J. jc' patrii I'enati il sacro incarco,
Ch' a llie' sl lo"l°' c sl re™»'0 n*dto
Cabo.-T. [703-718)
98 l'bxeidk. [1170-1 1MJ
Ila tanta occlsYon. toccar norloce
Pria che di vivo fiumo onda mi lave.
Ciò detto, con la vesto o con la pcllo
D'un villoso leon m'adeguo il tergo,
K il caro peso agli omeri m* impongo.
Indi a la destra il fanciulletto Iulo
Mi s'nggavigua, o non c>)ii*moto eguale
Ei seguo I passi mici, Crctisa l'ormo.
Andiam por luoglii solitati e bui:
E me, cui dianzi intrepido c sicuro
Vidor do l'armi i nombi e degli armati
Lo folte sebiore, or oyni suono, ogn'au
Empie di téma: s\ goloso fammi
E la soma o il compagno. Era vicino
A l'uscir de la porta, o fuori in tutto.
Coni' io credo», d'ogni sinistro incontro^
Quanti' ecco d'improviso udir mi sembra ]
Un calpestio di gente, a cui rivolto
Disse il vecchio gridando: Oli! fuggi, flgl^
Fuggi, chi no son presso. Io veggio, io seu
Sonar gli scudi, o lampeggiare i ferri.
Qui ridir non saprei conio, nò qualo
Avverso ninno a nio stosso mi tolse;
Clio mentre da la frotta c dal timoro
Sospinto esco di strada, o per occulto
[718-737]
[1105-1219] libro il. 90
j unii osato vie m'aggiro o colo,
i; • i, misoro dio! senza la mia
inietta muffile, in dubbili so dal Fato
jli si rapisso, o traviata errasse,
0 pur lassa a posar posta si josse.
Basta ch'unqua di poi non la rividi,
Uè per vodorla io mi rivolsi mai,
Hi mai mo no sovvonno, infln che giunti
j)i Cerere non fummo al sacro poggio.
Ivi ridotti, na miyicò di tanti
Sola Creusa, oimù! con quanto scorno,
£ con quanto dolor dal suo consorto
E del figlio e dot suocoro o di tutti !
]o che non feci allora, o che non dissi ?
Qual ilegli uomini, folle! o degli Dei
Con accusai? qual vidi in tanto eccidio,
0 ch'io provassi, o ch'avvenisse altrui,
Caso più miserando o più crudele?
Qui mio figlio, mio padro o i patrii numi
Inscio in guardiaa' compagni, ed io de l'anni
Pur mi rivesto, o 'ndietro me no torno,
Disposto a ritentare ogni fortuna,
A cercar Troia tutta, a por la vita
Ad ogni ripcnlnglio. Incominciai
In prima da le muri» e dn la porta,
[70M52]
lOo l' kkkidr. [1220 1244J
Ond'or» uscito; c le vie stesse c l'orme
Ripetei tutte, por cui dianzi io ronui.
Gli occhi portando per vodeila intenti.
Silenzio, solitudine e spavento
Trovili per tutto. A casa aggiunsi in piana.
Cercando se per sorte ivi smarrita
Si ricovrusse. Era già presa e piena
Di nemici e di foco; e già da' Tetti
Usciali, da' venti e dn U fuy'e spinto,
Kapide damme e minaccioso al cielo.
Torno quinci al palagio; indi a la ròcca:
Seguo a le piazze, n' puitici, a l'asilo
Di tìiunon, che già fatti eran conserve
De la preda di Troia a cui Feuice
E '1 fiero Ulisse orai) custodi eletti.
Qui d'ogni parte le troiane spoglie
Fin de le sacristie, fin degli altari
Lo sacro mense, i preziosi vasi
Di solid'oro, o i paramenti e i drappi
E le delizie o lo ricchezze tutte
Agi' incendi ritolte, erano addotto.
D'intorno innumerauili prigioni
Stava» di funi e di catene avvinti,
E matrono o donzelle o pargoletti,
L'ho di soidi lamenti o di muggiti
[753-767J
mo.|.-,-12691 libro n. 10)
farcini no l'aria no tuono; e men fra loro
Era 1" donna mia: nò. doro Tosse,
più ripensar sapendo, osai dolente
Cridiif per le vie tirila; c, benché invano,
jlillo volte iterai l'amato nome.
Mentre cosi tra furioso o mesto
r>cr 1» citta m'aggiro, « senza fino
La ricerco e la chiamo, ecco davanti
oli si fa l'infelice simulacro
Di lei, maggior del solito. Stupii,
Aggricciai, m'ammutii. Prose ella adirmi
E consolarmi: 0 mio dolce cousoito,
A che si follo affanno? Agli Dei piaco
Che cosi segua. A te quinci non loco
Di trasportarmi. Il gran Giove mi viota
Ch'io sia toco a provar gli affanni tuoi;
Che soffrir lunghi essigli, arar gran mari
Ti converrà pria ch'ai tuo seggio arrivi,
Che (la poi no l'Esperia, ovo il tirreno
Tcbro con placid'ondo opimi campi
Di bellicosa gente impingua e riga.
Ivi riposo o regno c regia moglio
• Ti si prepara. Or de la tua diletta
Crcusa, signor mio, piii non ti doglia;
Ch'i Dolopi supoibi, o i Mirmidóui
1768-7851
102 L'nsiioE. [1270-1204|
Non vedranno già ino. dardaniu prole,
E di maino figlia, e nuora n Venero,
Nò donna lor, uè di lor doline nncolla,
Cliìi la gran genitrice dogli Dei #
Appo sé tienimi. Or il mio caro luto.
Nostro continuile amore, ama in tuia vecoi
E lui conserva, o te consola. Addio. 1
Cosi detto, disparire. Io che «Ini pianto.
Era impedito, ed avoa molto a dirlo.
Me l'avventai, por ritonerla, al collo;
E tro volto abbracciandola. altrottante,_ I
Como vento stringessi o fumo o sogno, j
Me no tornai con lo man voto al petto. (
E così scorsa e consumata indarno
Tutta la notte, al poggio mi ritrassi
A' mio' compagni, ove trovai con molta
Mia meraviglia d'ogni parto accolta
Ulta gran guitto, un misornbil volgo
D' ogni età, d'ogni sesso e d'ogni grado, J
A l'essiglio parati, e 'nsicmo additti • I
A seguir mo, dovunqito io gli adducessi, I
0 por mare o per terra. Uscla già d'Iti» j
La mattutina stella e '1 di u'apria,
Quando in dietro mi volsi, o vidi Troia
Fumar gii tutta; e do la ròcca in cima,
[786-8021
n295-12flfl libbo n. 103
I f di sovr*"- ìiì porta inalborato
Lo "rocho insogno: ondo, nù ria ni «pomo
jìini.iiit ndomi più di darle aita.
CtJt-i; riprosi il carco, o salsi al monto.
1802-804]
104
1 1 i oi ,
DELL' ENEIDE
Libro Terzo.
Poi cho fu d'Asia il glorioso regno
E '1 suo re seco o '1 suo lognaggio tutto*
Com'al cicl piacque, indegnamente estint
Ilio abbattuto e la nottunia Troia
Desolata o combusta; i santi augùri
Spiando, a vari essigli, a varie terrò
Por ricovro di noi pensando andammo:
E no la Frigia stessa, a pio d'Antandro,]
No' monti d'Ida, a lubricar no domino
La nostra armata, non ben certi ancora \
Ovo il cicl ne chiamasse, o qual altrovo
No desso altro ricotto. Ivi lo genti
D'intorno accolte, ni mar ne riducemmo, j
E n'imbarcammo alfine. Era do l'anno
I,a stagion prima, o i primi giorni a pOD
Quando. sci»l£e lo sarto c date a' venti
Le volo, corno vollo il padro Ancliiso,
Piangendo abbandonai le rivo o i porti
E l campi ove fu Troia, i mici compagni^
[1-11]
[gO-U] irnao m. ,,',>
jfPcn traendo e 1 mio figlio o 1 mici Binili
A l'orni» in preda, o do In patria iu band >.
È de In Frigi» incontro un gran paese
p.,' Traci arato, al fioro Marte addillo.
Ampi" roP10 0 ramoso, c seggio un tempo
pel feroco Licurgo. Ospiti antichi
S'ora» Traci e Troiani; o fin cu' a Troia
yeta arriso fortuna, ebbero entrambi
Comuni alberghi. A questa terra in prima
Drizzai '1 mio corso, o qni primieramente
Kel curvo lito con destino avvorso
Una città fondai, elio dal mio nomo
Eaòailc nomossy e mentre intorno
Mo le travaglio, e i santi sacrifici
l Vcnore mia madre od agli Poi,
Che sono al cominciar propizi, indico:
Mentre che 'n su la riva un bianco toro
ii supremo Tonanto offro per vittima,
Udito elio m'avvenne. Era nel lito
Un piccini monticollo, a cui sorgea
pi mirti in su la cima e di corgnali
Una folta sclvctta. In questa entrando,
perdi fronde velaro i «acri altari,
Mentre do' suoi piti tenori o più verdi
Arbusti or questo, or quol diramo e svolgo
106 t{ «KEim. [45-
. Orribile a veder, stupendo a dire, ' -
M'apparve un «ostri): clic ilivult.i il piimoj
Db le priine radici, uscii di sangue
Lurido gocce, o no fu '1 suolo asporso.
Ghiado mi strinse il coro; orror mi scoaifl
Lo membra tutto; e di paura il sangue
Mi si rapprese. Io lo cagioni ascose
Di ciò cercando, un altro ne divolsi:
Ed altro sangue uscinne: ondo confuso
Vio più rimasi, e nel mio cor diversi
Pensici' volgendo, or do l'agresti ninfo,
Or dol scitico Marte i santi numi
Adorando, porgea preghiere umili.
Che di si fiera o portentosa vista
Mi si togliesse, o si temprasse nlmono
Il diro annunzio. Ritentando ancora,
Vengo al terzo virgulto, c con più foriaj
Mentio lo scorpo, e i piedi :il suoli apponi
E lo scuoto e lo sbarbo (il dico o '1 taccia
Un sospiroso o lagrimabil suono
Da l'imo poggio odo cho grida, o dico:'
Ahi! perche si mi laceri e mi scempi?!
Perchè, di cosi pio, cosi spiotato,
Enea, vèrme ti mostri? A che molesti
Un eh' 6 morto e sepolto? A cho contai
[26-42]
1*0-911 libro m. W
<vi| sangne m'° '° consanguineo mani?
rliii no di patria nò di gente esterno
tfcju io 'e. n0 «.«osto atro liqnoro
vsic da sterpi, ma 'la nwubra umane.
Ah! f"-'-''- Enea, *n I06**0 empio paese,
j-npei i» questo abbotnjnevol lito:
Chè r«li|loro io sono' 0 con,itto
«•ha nembo micidiale e ria semenza
ni fùrri e d'asto che dal Corpo mio
Umor l" esn c radicii lian fatto selva. i
A cotal suon, da (fobia t«.ma oppresso,
Stupii, mi raggricciai, moto divenni,
pi |Y,lidoro udendo. Un do' figlinoli
Era questi dcl rc- =h'al tracìo tos°
A, con molto tesoro occultamento
Accomandato nllor, elio da' Tioiani
illComin.-iossi a diffidar do l'armi,
K tomer de l'assedio. 11 rio tiranno.
Tosto che a Troia la fortuna vido
Volger lo spalle, anch' ei si volse, e l'armi
E la sorto segui do' vincitori;
SI che de l'amicizia o de l'ospizio
j de P umanità rotta ogni legge,
Tolto al regio fanciul la vita e l'oro.
Ahi do l'oro empia ed essocrabil fumé!
142-65)
108 u'Kntm*- t95"^
E clic por te non osn, e clic non tento
Quest'umana ingordigia? Or poi clio'l;
Mi fu da l'osso uscito, ni primi capi
Ilo! popol nostro ed a mio padre in ptf
Il prodigio refersi, c di ciascuno
Il parer ne spiai. Via. disscr tutti
Concordemente, abbandouiam quest'
E scolerà ta terra; nndiam lontano
Da questo infame c tiaditorc ospizio
Bimottiancl nel mare. Indi l'cssequi
Di Polidoro a celebrar no demmo:
E. composto di terra un aito cumulo
Gli aitar vi consacrammo ai numi in
Clio di ceruleo bende c di funesti
Cipressi cran coverti. Ivi le donno
D' Ilio, com'è fra noi rito soldino, ,j
Vestito a bruno o scapigliato e mesto
Ulularono intorno: o noi di sopra
Di caldo latto o di sacrato sangue
Pieno tazze spargemmo, o con suprenj
Riclilami amaramente al suo sepolcro:
Rivocainmo di lui l'anima errante.
Nò pria ne si mostrar l'ondo sicuro,
E fidi i vonti, che, del porto usciti,
Incontinente no vedemmo avanti
[56-72]
I | 80-1 1 LIBUO 111. 100
Sparir l*©dIo«» terra, e gir da noi
pi pano in man fuggendo i liti o i monti.
j.- ,„.| iwr./.o n l'Egèo, diletta a Pori
n Nettuno, un'isola famosa.
Clio g''' mobile e Tnga intorno,»' liti
Agitata da l'ondo cria»do nudava;
jla fatta di I.atona e do' suoi figli
ghetto' un tempo, dal pietoso arciero
Tra GTaro e Micou fu stretta in guisa.
Ch'immota, e oolta,^ consacrata a lui,
Ebbe poi lo tempesto e 1 venti a scherno.
Qui l,or,° lucidissimo 0 wcnro
Stanchi no ricevotfe, e già smontati
Venoraram d'Apollo il santo nido;
Qnand'ccco Aulo suo rogo, e roge bulMM
E sacerdote, che di sacre bondo
E d'onorato alloro il crino adorno
Ne si fa 'neontro. Era al mio padro Anch'so
Già di moli' anni amico; onde ben (osto
Jjo riconobbe, o con sembiante allegro
Lai primamente, indi noi lutti accolti,
N'abbraccii'', ne 'nvitò, seco n'addusse.
Quinci al delubro, eh' ad Apollo in cima
Era d'un sasso anticamente astratto,
Tutti salimmo: ed io devoto orai:
172-84]
jjO h'T.s. |115-1(
Danno, padre Timbrilo, propria magio»
E propria terra, ovo già stanclii «I bia"
Posa o ristoro, e ne dà' stirpo e nido .
Opportuno, durabile a socuro:
Danne Troia novella; e de' Troiani
Sciba questo reliquie, che avanzato
Sono a pena agli storpi, a le ruine.
Al foco, a' Greci, al dispietato Achille.!
Mostrano chi ne gnidi, ove s'indrlttj ;
Il nostro corso, e qnal fia '1 nostro sei
Coi tuoi più ciliari e manifesti unirmi,
Signor, tu ne predici e tu n'inspira. J
Avca ciò dotto a pena, che repente |
11 limitare, il tempio, e "1 monto tutto i
Crollossi intorno; scompigliarsi i laurir
Aprissi, o dagli interni suoi ridotti •
Mugghiò la formidabile cortina.
Noi riverenti a terra ne gittamino;
E '1 suon, eh' era confuso, a l" aura a»6
Articolossi, e cosi dire udissi:
Dardanidi robusti, onde l'origine
Traeste in prima, ivi ancor lieto o fortìi
]ii vostra antica madre il grembo nspeffl
Di lei dunque corcate: a lei tornatoTltT
Ch'ivi sovr'ognì gente in tutti i secol^
185-97]
p70-I94]| Lineo ITI. Ili
pgmiiiiTnnno i gloriosi Ricadi,
» |R posterità degli lor posteri.
fio disse Apollo: o del suo detto féssi
Infni noi gran letizi» e gran bisbiglio,
Interrogando c ricercando ogimno
Qual paoso, 4ua' madre, qual ricetto
No s'accennasse. Allora il padre Aneli,: j
Da lungo i tempi ripotendo o i casi
nei nostri antichi eroi, Signori, udite,
Ite disse, ch'io dar^luma o compenso
^ le rostro speranze. È del gran Giovo
Creta quasi gran cuna io mezzo al mare
Jsola chiara, e regno ampio e ferace.
Che cento gran citta nodrlsco o reggo.
Itì sorge un'altr'Ida. ondo nomata
fu l'Ida nostra; ond'ha soino o radice
Nostro legnaggio; ondo primioranicnto
Teucro, padre maggior do' maggior nosti i
(So ben me no rammento), errando venne,
A le spiagge di Roto, ov'egli elesse
Di fondare il suo regno. Ilio non era.
Nò di Pergamo ancor sorgean le mura
Tino in quel tempo; o sol no l'Imo vaMi
Abitava!! le genti. Indi a uoi venne
Lagiau Cibolc madre; indi son l'armi
[97-111]
jj2 L'k.NÉlDB- 1105-2|
po' Coribnnti, indi la selva Idea, ^
E quel Udo silenzio, ondo celati
Sou quei nostri misteri, e quei leoni
Ch'ai carro de la Dea son posti ni giotf
Di la dunque veniamo o là vuol Febo J
Che si ritorni. Or via seguiamo il Tato»
Vlnchiamo i venti, o ne la Crota nudl^
Che non è lungc; o 80 n'ù Giove amte%
Anzi tro di n'approderemo ai liti.
Ciò detto, a ciascun dio, come con
Sacrificando, due gran tori occiso:
E l'un diede a Nettuno e l'altro a Fo"
Dm pecora negra a la Tempesta;
Al Sereno una bianca. Era in quei gio
Fama, che Idomonòo cretese croo, ,
Da la sua patria e da' patemi regni j
Era scacciato; ondo di Creta i liti
D'armi, di duco c di seguaci suoi.
Nostri nimici, In gran parto spogliati,
Stavano a noi botimi contesa esposti.
Tosto d'Ortigia abbandonammo i
Trapassammo di Naso i pampinosi
Colli, o Bacco onorammo: i verdi liti
Pi pònto, o d'Olearo varcammo;
Uiuugemnio a Taro, e lo suo binncho
[111-126]
[22'1-244| LiHiut ni. 113
fasciammo indietro; indi di mano in ninno
faltrc Ciclndi tutto o "I mar ebo rotto
pa tanl' isolo o chiuso ondeggia o forre;
% seguendo, com'. .!, ' untanti
Marinaresca usanza, in^Creta,! in Creta!
Lietamente gridando, «on un rento
Che no feria scura ritegno in poppa.
Quasi a volo nndnvamo; onde ben tosto
Pc' Curcti appressaiunio i liti antichi;
£ gli scoprimmo, o T'approdammo alfine.
Giunti i-lie fummo, avidamente diemmi
\ fabiic.tr le desiato mora,
E Pergamoa da largamo lo dissi.
Con questo amato nomo amore c «pome
pestai di nuova patria, e studio intenso
P' alzar lo mura o di fondar gli alberghi.
Ermi le navi in su la rena addotto
Per la più parto; ora la gonto intenta
A l'arti, a la coltura, ai maritaggi.
Ad ogni affare; od io lor ministrava •
leggi e ragioni, o facoa tempii a strado.
Quando fera, improvvisa pestilenza
Ne sopravvoline; o la stagiono o l'anno
E gl! uomini egli nrmontlo l'aria o l'acquo
E tutto altro infettoniio; onde ogni corpo
OBO.-8. 112(1-1401
,u l'imi»». [245-2«
0 cadeva o languivi»; e 1» «omento
E i frutti e l'erbo e le campagne stosso,
Pa la rabbia di Sirlo o dal veleno
Po l'orribil contado arse e corrotto,
Ci negavano il vitto. Il pnùro mio
Por consiglio ne dio che un'altra volta,,
Kiuavigando il navigato mare,
Si tornasse iu Ortigia. o elio di nuovo
Ricorrendo di Febo al sauto oracolo,
Pcrdón gli si cbiedesso, aita o scampo
Da si maliguo c velenoso influsso,
Ed del camino e do la stanza
Chiaro no si traesse Inditelo e lume.
Era gii notto, o già dal sonnu vinta
Poso e ristoro uvea l'umana gente,
Quando lo sacro effigi de' Penati, j
Quello elio nioco nvea tratto dal foco
De la min patria, quello stosso in sogno,
Vivo mi si mostrili' voraci 0 chiare,
Tal piena, avversa o luminosa lunn
Penetrava, por entro al chiuso albergo,
Di puii vetri i lucidi spiragli;
E come oran visibili, appressando
La sponda ov'io giacca sonvemento.
Mi si focoro avanti, o 'u cotnl guisa
[U0-1S3]
[STO COI] LIBRO III. 11
jli confortaro: Qnol che Apollo stesso,
gc tornaste in Ortlgia. a voi direbbe,
Qui immilliti dit lui ri digiuni noi:
j: nei si"'11 'l"c' «ne dopo Troia iucensa
per tanti mari, a tniit»affanni toco
N'uscimmo, e te sogniamo e l'armi tue.
i compagni ti siamo, e noi saremo
Cu'a la nova citta, elio tu proculi;
Daremo eterno imperio, o i tuoi nipoti
Ergeremo a l.e stelle. Alto ricetto
Tu dunque, e degifb de l'altezza loro,
Prepara intanto; e 1 rischi e lo fatiche
Non rifiutar di più lontano essiglio.
Corca loro altro seggio; ergi altro mura
Yio più chiaro di queste; elio di Creta
Nò curiali) noi, nò lo ti dice Apollo.
Una parte d'Europa è, che da' Oroci
Si disse Esperia, autica, bellicosa
E fertil terra. Dagli Enotrl cólta,
Filma Enotria nomossl: or, com'è fama,
Freso d'Italo il nonio, Italia ò detta.
Quest'ò la terra destinata a noi.
Quinci l'ani. ino in prima o Iasio uscirò;
K Dardano ù l'autor del sangue nostro.
Sorgi dunque e riporta al padio Auchiso
1158-169]
j!6 i.' i'm-.idk. I-".'". :1I9] 1
Quel ch'or noi ti dioiain, chi diciam vero:
£ tu corca di Còrito o d'Ausonia
L'untichi terre, che da Giovo in Creta . \
Regnar ti s'interdico, lo di tal vista,
E di tai voci, ch'cran voci e corpi
Ile' nostri. Ilei, non simolacri e sogni
(Chù no vid'io le snere hendo e i volti '.
Sfilanti e vivi), attonito e cosperso
Di gelato sudore, in un momento
Salto dal letto; e con le mani al ciolo
E con la voce supplicando, spargo
Ili doni intemerati i santi fochi.
Riveriti i Penati, al padre Anchiso
Lieto nièn vado, e del portento intera-
mente il successo e l'ordine gli espongo.
Incontinente riconohbc il doppio
Nostro loguaggio.oiducpadri oiduo trono'
Be' cui rami siam noi vette e rampolli;
E d'erro uscito, Ora io m'avveggio, disti
Figlio, che segno sei de le fortuno
E del fato di Troia, e ciò rincontro
Clio Cassandra dicoa: sola Cassandra
I.o previde o 'I predisse. Ella al mio snng
Augurò questo regno; o questa Italia
E questa Esporla avea sovente in bocca. „
1 170-185]
[820-844] libro m. 117
jln ehi nini no l'Esperia nTrln creduto
Che regnosscio I Teucri? E ehi erode»
]n quel twnpo a Cassandra? Ora, mio Aglio,
Oliam i a Febo: o ciò eho '1 dio del vero
;Co dà per meglio, per miglior s'elegga.
Ciò disse, oi dotti suol tostò ossegli iniino;
Ed ancor questa terra abbandonammo,
go non se pochi. N'andavamo a rcla
Con se '"ini' aura; e già d'alto mirando,
Non più torra appaila, ma cielo od acqua
Vedevnm solamcnto; quando oscuro
Y. denso e procolloso on nembo sopra
Mi stette al capo, ondo tempesta c notto
Ne si fcco repente, o di più siti
Rapidi uscendo imporrorsaio i vanti;
S'abbuiò l'aria, abbaruflbssi il maro,
E gouAaro altamente o mugghiar l'ondo,
llciel frcmondo.in tuoni, in lampi, in folgori»^
SI squarciò d'ogni parto. 11 giorno notto
Féssi, o la notte abisso: o l'un da l'altro
Non disccrnondo Palinuro stesso
Do la i in diflldossi o do la vita.
Cosi tolti dal corso, e quinci e quindi -
Por lo gran golfo dissipati o cicchi,
Da buio e da caligine coverti,
[180-802J
jjg I.* BHWDE. [315-86
Tro Soli inferi senza luco errammo,
Tro notti senza stelle. Il quarto giorno
Vcdommo nllln. quasi dal mar risorta, ••
La tcrrn «primo i monti e gittar fumo..
Caggion Io tele: o 1 romignnti a pi-uova..
Di bianche schiume il gran comico golfuì
Sognando, inverso i liti 1 logni affrettano!
Nò prima fui di si gian rischio uscito,
Cho giunto no lo Strofndi mi vidi.
Strofadi grecamente nominato
5on corto isole in mozzo al grande Ioni
Da la fora Colono e da quell'altre
Rapaci o lordo suo compagne nrpio
Fin d'allora abitato, che per téma
I,asciàr le primo mense, o di Kinòo ( i
Fu lor chiuso l'alborgo. Altro di qnest*
Più sozzo mostro, altra piti dira pesto
Da lo tartaree grotto unqua non venne
Sembrali vergini a' volti, nccogli o cag
A l'altro membra: hanno di ventre un
Profluvio, ond'ò la piuma intrisa ed I
Le man d'artigli armato, il collo smn
I,a faccia per la famo e por la rabbia
Tallida sempro, o raggrinzata e magra.
Tosto che qui sospinti in f ito entrai»
1203-21«J]
[370-394] unno m. 1,9
jcco sparsi vogglam per la campagna
gonza custodi nudar gran torme errando
pi cornuti e villosi armenti e gregiri.
-,,,.,,,(■1:11110 in terra: ojcr far carne. preso
ì/ariui. a predare andmmo, 0 do la preda
Jli liei chiamiamo e Giove stesso n parto.
Fatta la strago e gU parati i cibi,
E disteso lo uronso, craram lungo
Al curvo llto a ricrcaruc assisi,
Ouand'occo elio da' monti in un inoinouto
Con dire voci 0 spaventoso rombo
vc si fan sopra le bramato arpie;
E con gli urti e con Tali 0 con gli ugnonl,
Col tetro, osceni), nl.bominovol puzzo
«Io sgominar le mouse, ne rapirò.
Ne infettar tutti 0 i cibi 0 i lochi 0 noi.
Era presso un ridotto, ove alta 0 cava
Rupe d'arbori chiosa 0 d'ombro intorno
Faceo capace od opportuno ostello.
Ivi ne riducemmo, 0 no lo monso
Biposti i cibi 0 negli altari i fochi,
A convivar tornammo, ed ecco un'altra
Volta d'un' altra parte per occulto
E non provisto vio no si scoverse
i;0rrìbil torma; 0 con gli ndunclii artigli,
(219-2S3J
120 j/kxkid». [895 lift]
Co' fieri denti c con le bocche impure
Ghermir In preda, e ne lasciAr di novo
Voto le mens/ì scompigliato e sozzo.
Allor, Via! dico a' mici, di guerra è d'uoj
Contra a si dira gente: o tutti a l'arme «j
Ed a battaglia incito. Eglino in guisa J
Ch'io gli disposi, i ferri ignudi e l'asta J
E gli scudi c lo (rombo e i corpi stessi
Infra l'erba acquattarci :, il lor litoruo
Storo aspettando. Era Misuii» in alto
A la veletta asceso; o non più tosto
Scoprir lo yido, o schiamazzare udillo.
Che col (janoro suo cavo oricalco
No diè conno a' compagni. Uscir d'aggnat
Tutti in un tempo, e nuova zuffa e strana
Tentar contra i marini uccegli invano; .
Chò le piume o lo terga ad ogni colpo •
Aveano impenotrabili o sceme;
Ondo seciiramcnto al cicl rivolto
So no fuggirò, o no lasciar la proda
Sgraffiata, smozzicata o lorda tutta.
Sola Celeno a l'alta rupe in cima
Disdegnosa fcrmossi ; o d' infortuni! M
Trista indovina, infnrtossi, o disse:
liuniiue non basta averne, ardita rozza
[233-SU7J
[420-444J libro m. 121
pi l.aoiucdopto, depredati o scorsi
gli (irmeli tic i campi nostri, clicniicorgiiorra,
Gueira ancor ne t.«* E l'innoconti
Ai i-i- -••*••"■•'»»' «lei patri» regno osate?
Jla sentite, o nel cor fl riponete
QhcI eli' io T'annunzio. |o son Fili iasnpioma
ChViimmiiioa voi quel che 'I gran Giove a Febo
E Febo a ino predice. Il vostro corso
fi per Italia, e ne Pitali* areto
E porto e seggio, ila di mura avanti.
In città che dal ciel vi si destina.
Non cingerete, elio d'un tale oltraggio .
Castigo aretc; e dira fame a tanto
Vi condurrà, elio ìino anco le mense
pivororcte. E, cosi detto, il volo
Riprese in vèr la solva, o dileguimi!
Sgomenlaronsi i mici, cadde lor l'ira;
E prieglii. invoco d'armi, e voti oprando,
Mercé cbiesero e paco, o Divo o Hiro
Clic si fnsser l'alato ingordo belva;
E 'I padre Anchiso in su la riva sporto
Al ciel lo palme, 0 i gran celesti numi
Umilnicnto invocando, indisso i sacri
A lor dovuti onori: 0 bit possenti,
0 Pii benigni, voi rendete vane
12I7-2G5]
122 i.' KNF.inìl. [4 I5-46B|
Questo minacce; voi di caso lalo
No liberate; e voi giusti o voi buoi
Siate pietosi a noi Hi' empii non si
Indi ratto romnndn clic dal lit»
Si disciolgnno i legni. Entriam ne! mari
Spieghimi! le vele agli austri, e via per l'osi
Spumoso a tutto corso in fuga andiamo]
I,à ' ve '1 vento o '1 nocchicr ne gu ida e spln^
E già d'alio apparii v«ggiam le selve
Di Zacinto: passimi! DollcWo e Same;
Varcliiam Nèrito alpcstro; e via fuggonjj
E bestemmiando, trapassiam gli scogli ,
D'Itaca, imperio di Lnorto. e nido
Del fraudolento Ulisse Indi ne s'apro
11 niniboso Loueiite, o quel che tanto
A' naviganti e spaventoso. Apollo. . 4
Ivi stauchi approdammo; ivi gittate
L'ancoro. ed accostati i legni al lito,
Ne la picclola sua citUdc entrammo.
Grata vio più quanto sperata meno
No fu la terra; onde purgati ergemmo
Altari e voti, ed ostie a Giovo offrin
E d'Azio in su In riva festeggiando,
Ignudi ed unti, uscir de' mioi compa
I più robusti, e, com'è patria usanza,
(265-2S1I
[j;0-494] libro in. 128
V.u le palestre a lotlt-ggiar ni dicro;
gjoinsi che por tanto mare e tante
greche torre luimiche a ulvamcnto
fofic' tant' oltre «(Motti. Km do l'ami >
Comi1"0 " &T0' 0 ' gelidi aquiloni
Inastavano il maro: nnd'io lo scudo,
CI,, di forbito 0 concavo metallo
fu già del grando Aliante insogna o spoglia,
,'„ii un tal motto in su le porte appesi:
^•GBK<"t VIKCITORI KNRA I.KVOl.l.O.
jn a te 'lsacka, A pollo* Indi al mar giunti
Ko rimbarcammo: o remigando a gara,
fnnimo in un tcmjo du' Felici a vista,
H»li varcammo: poi rivolti a destra.
Costeggiammo l'Epiro, e di Caonia
Giungemmo al porto.cd in Butroto ontrammo
Qui cosa udii, cho meraviglia e gioia
ìli porse insieme; o fu ch'Eleno, figlio
Di Priamo re nostro, ora a quel regno
Di grecho terrò assunto, o die di Pirro
E del suo scettro e del suo letto credo,
Troiano sposo, a la troiana Andrninaclio
S'era congiunto. Arsi d'immeuso amore
pi visitarlo, e di spiar da lui
Come ciò fosse; o de l'armata nsccudot
[•282-300]
124 l'.kskidk. [195-51
Scesi nel llto, c me n'andai con pochi
A ritrovarlo. Era. quel giorno a sorto
Andromache regina in su la riva
Del novo Siraoenta a far solenne
Sopolcral sacrificio; o corno è rito
De la mia patria, nvea, fra due grand'»
Di verdi cespi, unn gran tomba eretta,
Mouumonto di Ingrimo e dtoduolo;
Ovo con tristi doni 0 con lugubri
Voci, del grand' Ettòr l'anima e '1 noma*
Chiamando, il finto suo corpo onorava. 1
l'oichè venir mi vido, o cho dì Troia
Avvisò l'armi, e me conobbe, un mostro
Veder le parve, o forsennata e stupida
Fermossi in prima: indi gelata o smorta
Disvonnc o cadde: e dopo molto, n pen'
Uisensundn, mirommi, o cosi disse:
Oh! sci tu vero, o pur mi sombri Ero}
Sei corpo od ombra? So da'morti udita'
jì '1 mio richiamo, Ettòr perchò te ma"
Perch'ei teco non vieno ? E soi tu cor
Nunzio di lui? Ciò detto, lagrimando,
Empia di strida o di lamenti i campi.
Io di pietà e di duol confuso, a pena
In poche voci, e quelle anco interrotto)
[300-3UJ
p20-M4] libro in. 125
I.ii la lingua: Io tìvo so pur vita
j; menar giorni si gravosi o duri :
jla ■■■■sì spiro ancora, o roramcnte
goti i<> <iuui cho ti sembro.' 0 da qual grado
Scaduta, o da quanto inclito marito!
j^nli oc- ho d'Ettór a Cirro, a'Pirro
fosti congiunta? Or qua) altra più lieta
f incontra, o più di to degna fortuna?
abbassò '1 volto, o con sommessa voco
(^si rispose: 0 fortunata lol •
govr' ogni donna, elfo regina e vergine,
j[c la sua patria a sacrificio offerta,
pel nimico fu vittima e non preda,
jji del suo viucitor serva nò donna!
Io dopo Troia incensa, e dopo tanti
£ tanti arati mari, a sorvir nata,
De la stirpe d'Acliillo il glog.i e '1 fasto,
j '1 superbo suo figlio a soffrir ebbi.
Questi poi con Ermionc congiunto,
E lei. ebo de la razza era di Leda
£ del sangue di Sparta, a ine proposta.
Volle eh' Klcno od io, servi ombiduu,
{■"accoppiassimo insiomo. Oreste intanto,
Che tór l'amata sua donila si vide,
Da l'amore infiammato e da lo faci
[3U-381]
]og l' exkid'k. [54ó-580j
Po le furio materno, anzi «sii «"ari
Pél padre Aehillo, insidTosamouto
Tolse la vita a lui. Por la sua morto
Fu 'I suo regno diviso, o questa paito
Do la Caouia^'l Eleuo ricadde,
Clio dal nume di Càone troiano
Cosi l'ha Sotta, conio disse ancora
Ilio da l'Ilio nostro quosta ròcca
Che qui su vodi; o Siuioeuta e Pergamo
Questo picciolo mura o questo riro. 2
Ma te quai venti, o qual nostra veutnwj^
Un qui condotto, fuor d'ogni pensioni , j I
Di noi corto, o tuo forse? Ascanio nostrS
Vivo? crosco? c'ho fa? come ha sentito j I
La morte di Ciousa V K qual presagio
No dà, eh' Knca suo padre, Kttor suo zio
Si rinovino in lui? Cotali Audroraacho
Spargca pianti u parole; ed ecco intanto ,
11 teucro oroo elio do la torra uscendo, M
Con molti intorno a rincontrar uo vcn«^
Tosto cho u'adocchiò, meravigliando
No conobbe n'accolse, o lietamente
Seco n'addusse, do' communi aifaunì
Molto con mo, mentre andavamo, ancli'ea
Kagiouaudo o piangeudo. Entrammo al fiat
|33 1-310]
J570-S941 vano in. 127
}(o I» lucciola Troia, e con Allctto
fu arido ruscello, un cerchio augusto
gi.ntii con Unti o rlnovati nomi
Chiamar Pergamo e Xanpo; odo la Seca
porta entrando abbracciai l'amata soglia.
Cosi Tecoro i mici, meco, godendo
1,'aniica terra, conio propria. o vera
fosse lor patria. Il ro lo sale o i -portici
pi m ompiondo, fé lor cibi c viui
Pi' - '1 serri realmente esporro
Con vaselli d' argon fo o eOMft4'oro.
Passato il primo giorno e Paltr>> oppressi,
Soffi"" prosperi i venti; ond'io emulato
l' indovino ro chiedendo, seco
Mi ristrinsi o gli dissi: Inclito siro
Cai non son degli bei lo menti occulto,
Che Fono spiri e '1 tripode e gli allori
Del suo tempio dispensi, o de lo stella *
E de' volanti ogni secreto intendi,
Danne certo, ti priego, indicio e lume
De le nostro venturo. Il nostro corso,
Coro'ogui augurio accenna od ogni mimo
Ne persuade, è per Italia: e lieto
E fortunato ancor ne si prometto
lutino a qui. Sola Colono arpia
jog i.' kseide. [.VKi-Mfl
Novi o tristi iufortunii, e fumo ed ira
Degli Dei ne minaccia. Io da te cliiogg;
Avvertenze o ricordi, onde ila saggio
A tai perigli, e forte a tanti affanni.
Qui pria'solounemento Eluno, occisi
] dovuti L'inventili, in atto limilo
Impetrò dagli Dei fnvoro e paco;
Poscia, raccolto in sf>. le bendo sciolse
Del sacro capo; e me, cosi coni' ora
A tanto officio attonito o sosposo,
Per man prendendo, a la febea spelone»
M' nddnsso avanti, e con divina voco
Intonando proruppe: 0 do la Dea
Pregiato figlio (quando a gran fortuna
È chiaro in prima eho 'I tuo corso ò riti
Tal e del ciel, do' fati o di colni
Clio gli reggo, il voler, l'ordine o 'I aiottf
Io di molte o gran coso che antiveggo I
Dol tuo poregrinaggio, acciò più franco1]
Navighi i nostri mari, o '1 porto ausonia
Quando che sia seenramentc attinga.
Poche no ti dirò; eh' a te lo l'nreho
Victnn che pili no sappi ; ed a ino liiuno,
Ch'io più te no riveli. In prima il porto,
E l'Italia che cerchi o si vicina
1365-8811
jg-2 ;i OH) ubro in. 129
sentirà, è da tal via, da tinti intrichi
Scevra da te, ch'anzi cho tu v'aggiunga.
Ti parrà malagevole, e lontana
r>jn , hi non credi : o ti fh d'uopo avanti
gtniicar più volte i remiganti e i remi,
jj '] mar de la Sicilia e 'I nyir tirrcnj,
% i laghi inferni o l'isola di Circo
Cercar ti converrà, pria che vi fondj^
Securo seggio, lo di ciò chiari segni
Darotti, o tu no fa' noto e conserva.
Quando più stanco e travagliato a riva
Sarai d'un fiume u'sottó un'eleo accolta
gara candida troia, od ari trenta
Candidi figli a lowio poppo intorno,
Allor di' : Questo 6 '1 segno e '1 tempo o 'I loco
Da fermar la mia sodo, e questo è'1 fino
Po' miei travagli. Or cho l'ingorda latti
4ddur ti deggia a trangugiar lo monso,
Comunque ovvonga, i fati a ciò daranno
Oportuno compenso; e questo Apollo
Invocato da voi presto saravvi.
Queste terre d' Italia o questa riva
Vèr noi volta o vicina ai liti nostri,
jj tutta da'nimici o da'malvagi
Greci abitata o cólta: o però lungo
Cìbo.-O. 1381-39»!
180 l'wtkbb.* [C45-(
Filtrici «In 'oro. I Locri di N'inizia
Qui si posaro; o qui ne'Snlentiiii
1 suoi Orotosi Idomenèo • • disse.
Qui Filottete ilmeliboo campiono
La pieclole'tta sua Potilia crosso.
Fuggili dic:o, o quando anco varcate
Sarai di là no l'alto lito, intonto
A sciorro i voti, di purpureo ammanto
Ti vola il capo, acciò tra i santi fochi,
Mentro i tuoi numi adori, ostilo aspetto
To coi tuoi sacrifici non conturbi:
E questo rito poi sia castamente
Da te servato e da'nepoti tuoi.
Quinci partito, allor elio da vicino
Scorgerai la Sicilia, o di Puloro
Ti si discovrirà l'angusta foco,
Tionti a sinistra, e del sinistro maro
Solca pur via quanto a di lungo iutorno
Gira l' isola tutta, e da la destra
Fuggi la terra e l'ondo. È fama antica
Che questi or duo tra lor disgiunti luchl
Erano iu prima un solo, che pe» forza
Pi tompo, dì tempeste odi ruine I
(Tanto a cangiar questo terreno cose
Può de'secoli il corso), un dismembrato
I39U-116|
[f,70-*94J liiiho m. 131
fu poi da r altro. Il nutrirà mozzo entranti»
Tanto urtò, Unto róse, che l'esperio
Poi sicolo terreni) alfln diviso:
K ' '""l"' 0 II' città, cltin su Io riro
Kestaro, angusto (Veto or bagna e sparto.
Noi destro lato ò Svilla: nel sinistro
È l'ingorda Cariddi. Una vorairo .
D'un gran baratro è quosta, elio tre volto
I vasti flutti rogirando assorbe,
£ tro volto a vicenda li ributta
Con immenso bollo* fino a le stelle.
Scilla dentro a lo suo bnic caverne
Stnsseni: insidiando; e con lo bocche
Dc'suoi mostri voraci, cho distese
Ticu mai sompro od aperte, i naviganti*
Entro al suo spoco a sè traggo e trangugia.
Dal mezzo in su la faccia, il collo o '1 petto
Ha di donna o di vergino; Il rcstanto,
D'una pistrico immano, che simili
A'delflni ha lo code, ai lupi il ventre.
Meglio ò con lungo indugio e lunga volta
Girar Pachino e la Triuacria tutta.
Che. non ch'altro, vodor quell'ini t i o orron lo,
Sentir quegli urli spaventosi e fieri
Di quei cerulei suoi rabbiosi cani.
[416-432J
J32 L'KrtiDi. f<!95-7:
Oltre a ciò, se prùdenti, so fedeli
Sembrar ti può clje siai; d'Eleno i detti,
E se scarso non m'òdol vero Apollo;
Sovr'a tutto io t'assenno, ti predico,
Ti ripeto più' rolto e ti nimnionto,
La gran Giunone invoca: a Giuiion roti
£ preghi e doni e sacrifìci offrisci
Devotamente; chù, lei vinta alfino,
Torrai d'Italia il desiato lito.
Giunto in Italia, allor che ne la spiaggia
Sarai di Clima, il sacro averne lago
Visita, o quello selve o quella rupe,
Ove la vocchia vergine sibilla
Profotozza il futuro, o 'n su lo foglie
Bipono i fati: in su le foglie, dico,
Scrive ciò cho prevede, o no la grotta
Disteso od ordinate, ove siau lette,
In disparte le lascia. Glie serbando
L'ordine e i versi, ad uopo do' mortali1
Parlali do l' avvenire e quando, aprond^o
Talor la porta, il vento lo disturba,
E va» per l'antro a volo, ella non prendo
Più di ricorlc e d' accozzarlo afTanuo;
Onde molti delusi e sconsigliati
XoiMn sovente, e mal di lei s'appagano.
[4S8-463]
[720-744 J libro 411. 103
Tu per soverchio Mie ti sembri indugio,
pertichiamo de' venti 0 do' compagni.
jOni lasciar di vederla, « d'impetrarne
Grazia, clic di sua bocc* ti rispondi,
jj non con frondi. Ella daratti avviso
D'Italia, de le guerre • de lo genti
Che ti finn contra; e mostreratti il modo
Pi fuggir, di soffrir, d'espugnar tutte
Le tue fortune, e di condurti in portò.
Questo ù quolcho ni' occorro, 0 che mi lece
Ch'io ti ricordi. Or vanne, 0 co' tuoi gesti
Te porta e i tuoi con la gran Troia al cielo.
Poscia che ciò,como profeta disse.
Comandò come amico eh' a lo navi
Gli portassero i doni, opro e lavori
Ch'avea d'oro 0 d'avorio apparecchiati,
Egran masse d'argento 0 gran vaselli
Di dodonèo metallo: una lorica
Di forbite azziraino, 0 liiitcrzato
Maglie, dentro d'acciaro o'ntorno d'oro;
Una targa, un cimiero, una celata.
Ood'era a pompa ed n difosa armnto
Neottolomo altero. Il vecchio Anchiso
Ebbe anch' egli i suoi doui: ebber poi tutti
Cavalli e guide ; e fu di remi e d'armi
1453-471]
|34 KSF.IDR. ["l'i-TTO]
CIascui) legno pfovìsto; o porcili '1 vontoj
Che secondo feria, non punto indarno
Spirasse ordine uvea di scior lo velo
Gii dato Anchise, a cui con molto onore 4
Si foce Elcno avanti, o cosi disse:
0 ben degno a cui fosso amica o sposti
I,a gran madre d'Amore; o de' colesti
Sovrana cura, eh' a l'eccidio avanzi
Già due volto di Troia, eccoti a vistSl
Giunto d'Italia, A questa il corso indrizz»
Ma fa mesticr di volteggiarla aucora
Con lungo giro, poiché lungo assai
t la parte di loi che Apollo accenna.
Or lieto te no va', padre folico
Di si piotoso figlio. Io, già elio l'aura
SI vi spira propizia, indarno a bada
Più non torrovvl.Indi lamosta Andromaca»
Foco con tutti, o con Ascanio alfino
La suprema partenza. Arnesi d'oro
Guarniti e ricamati, o drappi e giubbe
Di morosco lavoro, od altri degni
Di lui vestiti o fregi, o ricca o larga
Copia di biancherio donógli. o disse:
Prendi, figlio, da ino quest'opre uscite
Da lo mio mani, o por memoria tionlo
[471-487J
|770-"9*] LIBRC^ HI. 135
p0] grande e lnngo amor che sempre avratti
Androniache d'Ettorro: ultimi doni
Clu. ricevi da'tnoi. Tu mi sei. figlio.
Queir unico sembiante elle ini resta,
p- AsKanatte mio. Cosi la bocca.
Osi le man, cosi gli oeehi move».
Quel mio figlio infelice; o d'anni ogualo
X te. dèi pari or snria teco in fioro.
Ed io da loro, anzi da nio partendo.
Con le lagrime agucchi aliln soggiunai:
Vivete lieti voi. cui gii U sorte
Vostra è compita: noi di fato in fato,
pi mare in mar tapini andicm cercando
Quel che voi possedete. A noi l'Italia
Tanto ognor so no va più lungc, quanto
Più la seguiamo; 0 voi già la scmbiania
P'Ilio o di Troia in paco vi godete,
Kegno e fattura vostra, ah! che do l'altra
Sia sempre e più folico e mono esposta
A lo forze do'Grcci. Io, s'unqua il Tobro
Vedrò, so fia già mai che no' suoi campi
Sorgan lo mura dostinato a noi;
Come la nostra Esperia o '1 vostro Epiro
Si non vicini, e conio ambo lo torre
Fien vicino o cognate, od nmbo avranno .
[487-603]
130 L'UBBÌE. l"9."»-81ff
Jlardano per auturo,' o per fortuna
Un caso stesso ; cosi d'ambedue
Mi proporrò elfo d'animi od'amoro
Siamo una Troia; e ciò perpetua curi
Sia de' nostri nipoti. Entrati in maro
No spingemmo oltre agli certuni monti l
A Butroto vicini, onde a le spiagge
Si fa d'Italia il piìibrovo tragitto.
Già dechinava il solo, o crcsccau l'nìhb
Do' iti' n i opachi, quando a torra vòlti
Col desire, e co'rcmi in su la riva
Por n'adducemmo, o procurammo a' co
Cibo, riposo o sonno. Ancor la notte
Non era al mozzo, cito del suo stram
Surse il buon Palinuro; e poscia eh'eb
Con gli orocchi spiati il Tento fi 'I ma
Mirò lo stollo, contemplò l' Arturo,
L'Indi pioTOse, i gemini Trioni,
Kd Oriono armato: o visto il ciclo
Sereno o '1 mar sicuro, in su la poppa
Ri -cussi, o '1 segno diclino. Immaiitincn
Movemmo il campo, e quasi iu un baie
Giunti o posti nel mar, vela facemmo.
Avoa l' Aurora già vermiglia e rancia
Scolorito le stello, allor elio lunge
[503-522]
J820-644] libro in.
geoprimmo.enon ben chiari, i monti in piim.'».
j>0sriA i liti ti' Italia. Italia! Acato
Qfiilù primioramonto: Italia! Italia!
pa ciascun legnò ritornando, allegri
Tutti la salutammo. Allora Anchise
Con una inghirlandata, o piena" tazza
In su la poppa alteramente assiso,
0 del pelago, disso, e de la terra,
E do lo tempesta numi possenti,
Spirate auro seconde, e ver l'Ausonia
De' nostri legni agevolata il corso.
Rinforzaronsi i venti; apparve il porto
più da vicino: npparvo al monto in cima
Di rallado il dolubro. Allor le velo
Calammo, o con lo prore a Urrà demmo.
fc di vèr l' Oriento un corvo sono
In gu"'54 d'arco, a cui di corda in veco
Sta d'un lungo macigno nn dorso avanti,
Ove spumoso il mar percuote e frange.
So' suoi corni Ita duo scogli, anzi due torri,
Cbo condue bracciali mardentro accogliendo
ly, fa porto e l'asconde; o sovra al porto
Long* dal lito è '1 tempio. Ivi smontati,
Quattro dostrior vio pia che nove bianchi,
Che pascovano il campo, al primo incontro
1522-538]
133 l>" WWOfc (845-889]
Por nostro niifcurio avemmo. Oh ! disse Anchii
Guorra ne si inina/cia;-a guerra additti
Sono i cavalli ; o pur sono anco al carro
Talvolta aggiunti, o van del pari a giogo;
Guerra ila dunque in prima, e pace dupo.
Quinci dovoti venerammo il mimo
De l'armigera Palla, a cui gioiosi
Prima il corso indrizzammo. In su la riva
Altari ergemmo; e noi d'intorno, corno
Eleno ci ammoni, lo teste avvolte
t)i frigio ammanto, a la gran Giuuo argiva
Preghiere o doni-o sacrifici offrimmo.
Poiché solonncmonte i prieghi e i voti
Furou compiti, al mar ne radducemrao
Iminantinonto: o rivolgendo i corni ,
Do le velate antenne, il greco ospizio
E 'I sospetto paeso ahliandonammo.
£ prima il tarcntino erculeo seno
(Se la sua fama e vera) a vista avemmo:
Poscia a rincontro di Lacinia il tempio,
1m ròcca di t'aulóne e '1 Scillacòo,
Onde i navili a si gran rischio vanno.
Indi ne la Trinacria al mar discosto
IV Ktna il monto vodemino, e lunge udimmo
11 fremito, il muggito, i tuoni orrendi
[5a8-5óó|
[S70-894] ubbo m. ,s"
Che faccan ne' suoi liti o'ntorno a' sassi
E dontro a lo caverne i flutti e i fuochi,
\l del ruttando insicmo U maro e 'I monto
fiamme, fumo, faville, amie o schiumo.
Qui disse il vecchio Anchiso : K Torso ciucsl :.
Quella Cariddi? Quosti.»cogli «erto.
E questi sassi orrendi Beno dianzi
jjc profetava. Via, compagni, a' remi
Tutti in un tompo. e vincitori usciamo
D'un tal periglio. Palinnro il primo
Rivolse la sua vela* la sua proda
Al manco lato: o cio«li altri seguendo.
Con le sarte o co' remi in un momento
Kc glttammo a sinistra: o '1 mar sorgendo
Prima al cicl ne sospinse; indi calando,
Ko l'abito ne trasse. In ciò tre volto
Mugghiar sentimmo i cavornosi scogli,
E tre volto rivolti in vòr lo stollo
D'umidi sprazzi e di salata schiuma
11 ciel vedemmo rugiadoso e mollo.
Eravam lassi; o 'I vento o '1 solo insieme
Ne mancar si. che del viaggio incerti
pisavvcdutmiento a le contrado
Po" Ciclopi approdammo. K per sè stesso
A' venti inaccessibile e copaco
[565-6701
HO i.' Fjtiinr. |S'.r.-ui9|
Di molti legni i\jf orto ove sorgemmo;
Ma si d'Etna Ticino, che i suoi tuoni
E lo suo spaventevoli mino
Lo tempestano ognora. Esce talvolta
Da questarfffbnto a l'aura un'atra uubo
Mista di nero fumo o di rovonti
Faville, che di cenere e di poco
Fan turbi e groppi. ed ondeggiando a scosse j
Vibrano ad ora ari or lucide flammo
Che van lambendo a scolorir le stollo;
E talvolta, lo suo viscere stosso
Da si divette, immani sassi e scogli
Liquofatti e combusti al eie) vomendo
In fin dal fondo romoreggia e bolle.
È fama, cho dal fulmine percosso
E non ostinto. sotto a questa molo * i
Giace il corpo d'Eucclado superbo; 1
E che quaudo por duolo e per lassezza
Bi si travolvc, o sospirando anela,
Si scuoto il monto e la Trinacria tutta;
E del ferito petto il foco uscendo
Per lo caverne mormorando esala,
E tutte intorno le campagne o 'I ciclo
Di tuoni empie e di pomici e di fumo.
A questi mostri tutta notte esposti,
[570-683J
[920-944] i. unto in.
{Intro una seira stemmo, non sapendo
j,e cagion d'essi, c di cercarlo ogu'usij
jfe si togliek. poiché 'I paese conto
jfon c'era: nò stellato, ni «crono
gi vcoVa 'I elei, ma fosco je nutritolo,
«'tra le nubi ora la luna ascosa.
GiJ del giorno seguente era il mattino.
E chiaro albore area l'umido reto
T„lto dal mondo; quando occo dal bpsco
«e si fa 'ncontro un non mai Tisto altrore
Di strana o misoralrHc sembianza,
Scarno, smonto o distrutto; nna figura
più di mummia elio d'uomo. Area la barba
lunga, io chiome incolto, indosso un mautu
Ricucito da spini : orrido tutto,
F. squallido o difforme con lo mani
Verso il Uto distese, a lonto passo
Vonia mercè chiedendo. Era costui,
Como prima no parvo e poscia udimmo.
Croco, c di quei cho militerò a Troia.
Onde noi per Troiani o i nostri arnesi
E le nostr'armi conoscendo, in prima
Attonito fermossi: o poscia quasi
Rincorato a noi renne, o con preghiere
E con pianto no disse: Oh! so lo stello,
ISS3-599]
• io l'eku'dk. |0I."i-9
* •'vi
Su gli Del. so qiujsTaura ondo spiriamo,
Onerosi e magnanimi Troiani,
Serbili la jrffa a voi. quinci ini tolga
La pietà vostra, o vosco m'adducete,
Ove che sia; die ini fin questo assai ;
Poich'Io sou greco, o di quei Greci nncoi^
Che venner (lo confesso) ai danni vostri.
Se 'I fallo è telo, e se '1 vostro odio è tau
Ch'io no doggia morir, morte mi date,
E se così v'aggrada, a brano a brano
Mi lantate, e ne fato esca a' pesci;
Chò so per man d' umana gente io péro,
Perir mi giova. E, cosi detto, a' piedi J
No si gittò. Noi l'essoitammo a dire
Chi fosse a di che patria e ili ohe sangue,
E qual era il suo caso. Il vecchio Ali ìii-e
La sua destra gli porse, o con tal pegno
L'affidò di saluto; ond'ei socuro
Tosto soggiunse: Itaca è patria mia, '
Achomcnido il nome, lo fui compagno
De l'infelico Ulisse, o venni a Troia,
La povertà dol mio padre Adamante
Fuggendo (cosi povero mai sempre
Foss'io stalo con lui!): qui capitai
Con osso Ulisse; e qui. meati' ci fuggi»
[600-C1UJ
[ "70-994] libito in. U3
Con gli altri snoi questo crudele ospizio,
Per toma ahband»n»mml e per oblio
jic rniitì ojilcl clclopo. Ì5 questo uu antro
Opimo, ImmenSo', che. macello è sempre
!>' umana carne, onde aìioor sempre intriso
j di sanie e di sangue, od è '1 ciclopo
jjd mostro spavontoso,Ain oho col capo
Tooca le stollo (o Dio, leva di terra
Una tal pesto), eh' a mirarlo solo,
Solo a parlarne orror sento ed angoscia.
Pascosi de le visconte del sangue
De la misera gente; od io l'ho visto
Con gli occn' mici no1 800 8P0C0 rovescio
Stender lo branche, e duo presi de' nostri.
Botargli a corco, 0 sbattergli, o schizzarne
Infra quei tufi le midolle e gli ossi.
Vist'lio quando le membra de' meschini
Tiopidc, palpitanti o vive ancora
Di sanguinosa bava il mento asperso
Frangea co'donti a guisa di maciulla.
Ma noi soffri senza vondetta Ulisso;
Kè di sè stesso in si mortai periglio
Punto obliossi; chò non prima stoso
Ijo vide ebbro o satollo a capo chino
Giacer no l'antro, e s uinacchioso e gonfio
[61C-C31J
H4 ^KvKtPK. [9!i:--1019j
Buttar pezzi di c»rnc o sangue o vino,
Che ne restrinse: ed invocati in primi
1 santi niimlfilivrsò le veci
Sì, che parte il .tenemmo in terra saldo,
Parto, con un gran palo al foco aguzzo,'
Saprà gli fumili"; o quel ch'unico ave» i
Di targa e di febèa lampade in guisa
Sotto la torva fronte occhio rinchiuso,
Gli trivellammo, vendicando alllno
Col tor la luco a lui l' ombro de' nostri.
Ma voi che fato qui? che non fuggito;
Miseri voi? Fuggito, c senza indugio
Taglili te il fune e v'allargate in maro:
Cho cosi smisurati e cosi fieri.
Com'è costui cho Polifemo è detto,
No son via più di conto in questo lito,
Tutti ciclopi o tutti antropofiigi
Che vanno il di per questi monti errando.
Già visto ho la cornuta o scema luna
Tornar tro volto luminosa o tonda,
Da cho son qui tra solvo o tra burroni,
Con lo fere vivendo. Entro una rupe
E '1 mio ricetto: e quindi, benché lungo
Gli miri, ad or ad or d' avergl' intorno
Mi sembra, e 'I suon n' abbono « 'I calpesti»
[632-C18J
i:020-10M] LIBRO HI. Ho
lit- la voce e dj' pie. Pasoomi d'orbe,
)ii coccole o di more di corgnali,
y Ai tali nlfrl cibi acerbi e fieri:
\ ita e vitto Infelice. In q«i"-st.. tempo,
Rantolio scoperto intorno, iniqua uon vidi
di' altro legno gin mal qui capitasse.
Salvo ch'i vostri. A voi dunque del tutto
M'addico: o, che che Bla, pari animi assai
jruggir questa nefanda 0 dira gcnto.
Voi, 1" ift eho qui lasciarmi, ogni supplizio
j|i date ed ogni nrorte. A pena il Greco
Ave» ciò detto, ed ecco In su la vetta
pel ino»1" avverso, Pentono app*rr«.
Sembrato mi sarebbe un altro uioute
A cui la gr^BK0 SUR pasecsse intorno,
Se non che si movea con essa insiemo,
K torreggiando, inverso la mariua
l'or l'usato scuticr se no calava:
Mostro orrendo, difforme o smisurato,
Che avea conio una grotta osi-ma in front»
Invece d'occhio, e por bastone un pino,
Ondo i passi fermava. Avea d'intorno
La greggia a' piedi, c la sanipogna al collo,
Quella il suo amore, e questa il suo trastullo,
Oud'oibo alleggeriva il duolo in parto.
Cako.-10. IC18-BCII
un i/fNiiDK. [104Ó-1069]
Giunto n la ri va, filtro ue l'onde a guazzo-
E pila de l'occbiuMa sanguigna cispa
Lavossi, ad ortd or per irs i denti
Digrignando e fremendo; indi si steso " I
J'or entro 'I mare, e n*l più basso tondo ■
Fu pria co' piò che nou furi' onde a l'anche.
Noi per paura, ricevuto in prima,
Come ben meritò, l'ospite greco.
Di fuggir n'affrettammo; e chetamente
Sciolto le funi, a remigar no demmo
Più elio di l'urja. Udì '1 ciclope il suono 1
E 'l trambusto de' reuii : o vòlti i passi
Vèr quolla parte e 'l suo gran pino a cerco,
Poiché lungi scntinne. e lungamente
Pensò seguirne por *' Ionio iu vano,
Trasse un mugghio.cho'l mare, i liti intorno
Ne tiomàr tutti, no soutl spavento
Fino a l'Italia: no tonaion quanti
La Slcania avea seni, Etna caverne.
L'udir gli altri ciclopi, e da lo selvo
E da' monti calando, in un momento
Corsero al porto, o se n'ompioro i liti.
Gli vodovam da lungo in su l'arena,
Quantunque indarno, minacciosi e torvi
Stender lo braccia a noi, le teste al cielo:
ICC2-678]
pOTO-1094) . ubro DJ. 147
Concilio orrendo, chu ristretti insidilo
grano quai di querce annoso a Oiove,
pi cipressi coniferi a Diana
g'crgono i boschi nlterunent* al' aura.
rVru timor n'assalsO;'e da l'un cauto
Pensammo di lasciar che '1 vdnto stesso
Ko portasso a seconda ovunque fosse,
purché lungo da loro; ma da l'altro,
p'Klcno cél vietava il detto espresso,
Che per mezzo di Scilla e di Cariddi
l'assai' non si dovesse a si gran rischio,
£ di sì poco spacio e quinci e quindi
Scevri da morte. In questa, che gii formi
Eravam di voltar lo vele a dietro,
Ecco che da lo stretto di Poloro,
Ko vien Hora a grand' uopo, ondo repento
A la sassosa foco di Pantagia,
Al megarico seno, ai bassi liti
Ne trovammo di Tapso. In cotai guisa
Riferirà Achcmenide, compagno
Che s'è dotto d' l'I isso, osscr nomati
Quei lochi, onde pria seco era passato.
Giace de la Sicauia al golfo avanti
Un'isolctta che a Plcmmirio ondoso
È posta incontro, e dagli antichi è detta
1 079-0931
148 fc'ESJtiDK. fioor. 1118]
por nomo Ortiafa*. A o/iost' Isola è fama.
Che ]ier vie sotto al maro il groco "Àlfeo
Yien. da Doride intatto, infili d'Arcadi»
Ter bocca d''Ar»tusa a mescolarsi
Con l'onde dì Sicilia. E qui del loco
Venerammo i gran numi: indi rnrcauimc
Pel paludoso Eloro I campi opimi.
Rademmo di Pachino i lassi alpestri,
• Scoprimmo Camarilla, e 'I fato udimmo.
Che unii per lei f.'.n il su., stagno asl'ìuttfJ
I,a pianura passamano de' Geloi,
Di cui Gela è la terra e Gela il fiume.
Molto da lungo il gran monto Agragaatt
Vedemmo, e lo sue torri e lo siio spiagge
Che di razzo Tur già madri famose.
Col vento stesso indietro ne lasoiammo
La palmosa Sclioc; e 'n su la punta
Giunti di Lilibeo, tosto girammo
Le sue cieche secengne, e 'I porto alfine
Del mal veduto Drepano afferrammo.
Qui, lasso me! da tanti affanni npprer
A tanti esposto, il mio diletto padre,
Il mio padre pordoi. Qui stanco o mesto,
Padre, m'abbandonasti: e pur tu solo
M'eri in tante grarose mio fortune
[U91-Ì10J
[1120-1134] libro iti. 149
Quanto nvcn di conforto o di sostegno.
Oiinì ! cho Indarno di il gran perigli
Salvo ne ti rendesti. Ab, che Tra tanti
q,-,, „,li e niisornbili infortuni,
Ch'Eie"" ci predisse e Compi» arpia,
Questo non ora già, ch'era il maggiore!
Oh fosse questo ancor l'ultimo affannOi
Com'è l'ultimo corso! Chi partendo
Pa Propano, se bon fora tempesta
Qui m'ha gittato.^orto amico mimo
M'ha, benigna regina. »Toi condotto.
Cosi da tutti con silenzio udito.
Poich'oblio Ene» distesamente esposto
l,a mina di Troia e i rischi e i fati
E gli crror suoi, fece qui fino o tacque.
[711-718J
150
[1-1
DELL' ENEIDE
Libro Quarto.
Ma la regina d'amoroso strnlo
Già punta il -coro, e no lo reno aerosa j
D'occulto foco, intanto ardo o si sfuco;
E de l'amato Enea fra su volgendo
Il legnaggio, il valore, il sonno, l'opre,
E quel elio più le sta no l'alma impresso
Soavo ragionar, dolco sembiante,'
Tutta notte ne pensa, o mai non dorme.
Sorgea l'Aurora, quando surse ancli'e
Cui le piume parcan gin stecchi o spini j
E con la sua dilotta e Ada suora
Si ristrinse e le disse: Anna sorella,
Che vigilie, che sogni, cho spaventi
Son questi mici? che peregrino è quosto
Cho qui norellamonto è capitato?
Vedesti! mai si grazioso aspetto?
Conoscesti iniqua il più saggio, il più fo
E il più guorrioro? Io credo (o non è t»
La mia credenza) che dal ciel discenda
[1-121
[20-4*1 LIBRO IT. 151
Vera'-'''''!'''!0- 1/nltorojZB è soglio
p'nnimi generosi. E che flirtano.
v olii" guerre ne coniti lo, se non fosso
CI,,, fermo o stabilito ko noi cor mio
Che nodo maritai più non mi stringa.
Poiché >' primo si ruppe; e se d'ognuno
Schiva non fossi, solamente a Ini
Torse m'inchinerei. Ch'a dirti 'I roro,
Anna mia. da che morte e l'empio frate
)Ii privar di Sichèo, sol questi ha mosso
I miei scusi e 'I min core, e solo in lui
Conosco • segni dell'antica fiamma.
Ma la terra m'ingoi o '1 ciel mi fulmini,
E ne l'abisso mi trabocchi in prima
Ch'io ti violi mai, pudico amore;
Col mio Sichèo, con chi pria mi giungesti,
Giungimi sempre, o 'ntomorato o puro
Entro al sepolcro suo «oco ti sorba.
E qui piangendo o sospirando tacque.
Anna risposo: 0 più de la mia vita
Stessa, amata sorella, adunque sola
Vuoi tu vedova sempre o sconsolata
Passnr questi tuoi verdi e florid'anni,
Che frutto non no colga, o mal non gusti
La dolcezza di Venere o '1 contento
[12-331
!52 i.' «union. [45-09]
Da' cari fluii ? DM gran cura corto
Unii di ciò l'ombro o '1 coìior de' sepolti!
Abbiti insilili a qui fatto ritinto
K del frettilo larba e di tant' altri
Possonti, generosi o ricchi duci
Peni o Fenici, eli' io di ciò ti scuso,
Com'allor dolorosa, o non amante.:
Ma poi ch'ami, ad amor sarai ruhella.
E ritrosaa to stossa? Ali! non - >vvi< oli I
Qual cinga il tuo reame assedio intorno?
Com'ha gl'insuperabili Gettili
Sa l'ima parte, i Numidi da l'altra.
Fora gente o sfrenata? indi le secche.
Quinci i deserti, o più da lungo infesti
1 fervei Barcòi? Taccio lo gnorro
Clio gin sorgon di Tiro, o le minacce
Del fioro tuo fratello. Io ponsò certo
Che la gran Ghino, e tutto il ciel benigno
Ne si mostrasse allor che a' nostri liti
Quosti legni approdaro. Oh qua! cittade,
Qual imperio fia questo! Quanto onore,
Quanto prò, qnanta gloria a questo regno
No vorrà, quando ei teco, o l'armi suo
Saran giunte allo nostro! Or via, sorella,
Porgi preci agli Dei. fa' vezzi a lui,.
[33-51]
|*n-94] libro tt. 158
Assecondo, onoralo, intrattiollo;
Clio '1 crudo Terno, il tempestoso mare,
lì i .\..s«i Un'uno, i venti, il cielo,
], "iiuuassutc nin i in ci» no danno
Miilo scuso di niorn e di ritegno.
Con questo dir. cho/u qual'nura ni foco
Ond'era il cor de In regina acceso,
1/ infiammò, r incitò, spome le diodo,
K \oi gogna le tolse. Andaro in prima
A visitino i tempii, a chieder paco
E favor da' celesti.^ porger doni,
X far <i' ciotte pocorollo offerta
A Cerere, ad Apollo, al padre Bacco,
E pria elio a tutti gli altri, a la gran Giulio,
Cui son le nozzo e i maritaggi a cura,
La regina ella stessa ornata o bolla
Tien d'oro un nappo, o fra lo corna il rersa
D'una candida vacca; o ai ravvolgo
Intorno a' pingui altari, ed ogni giorno
Rinova i doni, e de lo aperto vittime
le palpitanti fibre, i vivi moti.
E lo spiranti viscorc contempln,
E con lor si consiglia. 0 monti (Ciocche
Degl'indovini! E che ponno i delubri,
E i voti, esterni aiuti, a mal eh'è dentro?
151-60J
154 l'rctidb. [05-119] j
Noi cor. no lo midollo o ne lo vono
E la piaga ■ fiamma, ond'nrdo e pére.
Ardo Didoi infelice, c fiirtosa
Por tutta In città s'aggira o smania:
Qunl no' boschi di Creta incanta cerva J
D'insidioso arcicr fuggo lo strato
Clio l'ha già colta: e seco, ovunque vada.
Lo porta al fianco infisso. Or a diporto
Va con Enea por la città, mostrando
Lo fabrieho, i disegni e lo ricchozze
Del suo nuovo reame: or disinsa.
Di scoprirgli il suo climi prende consiglio:;
Poi non osa, o s' arresta. E quando il giorno]
Va dechinando, a convivar ritorna,
E di nuovo a spiar degli accidenti
E do' fati di Troia, e nuovainonte
Pendo dal volto del facondo amante
Tolti da mensa, allor che notte oscura
In disparto gli traggo, o cho lo stella
Sonno, dal cicl caggondo, agli occhi infondono]
Dolonto, in solitudine ridotta.
Ritirata dagli altri, ù sol con lui
Che lo sta lunge, o lui sol vede c sento.
Talvolta Ascanio il pargoletto figlio
Per sembianza dui padre in grembo accolto,
L6U-64J
1 120-144] muso rv. 155
Tenta, se coi) può, l'ardente amore
( i spegnere o scemare, o farli Inganno.
I>o torri, I tempii. ogn'ediflViu intanto
(',. ssa di sormontar: costa da l'armo
1.3 gioventù. 1.1! porte. Il poi lo. il molo
Non sorgon più; dismesse od interrotto
Pendoli l'opero tutte e la gian machina
Clio fo3 diauzi ira a' monti c scoino al cielo.
Vide da l'alto la saturnia Giono
]1 furor di Bidone, e tal che fama
E rispetto d'onor più non raffrena;
Ondo Venere nssalse, a 'n cotal guisa
Disdegno*» le di^se: Una gran loda
Certo, un gran m'erto, un mcniorahil nome
Tu col fanciullo tuo, Ciprigna, acquisti
jyarcr due sì gran dii vinta una femina!
10 so hen che guardinga o sospettosa
Di me ti ronde o delia mia Cartago
11 temer di tuo figlio." Ma fla mai
Che questa teina e questa gelosia
Si finisca tra noi? Clio non più tosto
Con una oterua pace e con un saldo
Nodo di maritaggio nnitameuto
No ristringcmo? Ecco hai già vinto: e vedi
Quel che più desiavi. Ama, arde, infuria;
I&.-101I
150 .l'enkibk. [145-1691
Con ogni affato ó Torso Enea tno figlio
La min Hido rivolto. Or Ini si pronte;
E noi concordomouto in pace abbiamo
Ambedue questo popolo in tutela;
Nò ti sdegnar clic si nobil regina
Serva a frigio marito, o ch'oi le genti
N'aggia di Tiro e di Cartago in doto.
Tonerò, elio ben vide ove mirava
Il colpo di Giunone; e elio l'occulto
Sno bersaglio ora sol con questo avviso
Distor d'Italia il destinato impero
E trasportarlo in Libia, incontra a loi
Cosi scaltra rispose: E chi si follo
Sarebbe mai eli' un tal fésse rifiuto
Pi qnol ch'oi più desia, por toco averne,
Teco che tanto puoi, gara o tenzono.
Quando ciò eho tu di' possibil fosse?
Ma non so cho si possa, nò che 'I fato,
Nò che Giovo il permetta, che due gontl
Pivorso, conio son Tiri o Tmiani,
Una sola divenga. Tu consorto
Gli sei; tu nel dimanda, c tu l'impetra,
Ch'io.pcr mo.mc n'appago. Kd in. soggiunse
Giuno, sopra di mo, l'incarto assumo,
Ch'oi nói consenta. Or odi brevemente
1101-11C]
1 170-104) muro IT. 157
]1 modo che a ciò far già ne si porge.
Ti 'Sto elio 'I sol dimnuu uscir» fuori,
l'scir anrnr l' innamorata Indo
l' ! troiai! duco a cac4M(' apparecchia,
li., opportunamente a In foresta.
Jk-ntre do' cacciatori £ do' cavalli
•. • .sii le schiero in volta, io loro un ncinlio
Spargerò sopra tempestoso c nero,
tu» un turbo di -i .unirne o di piemia,
i ili si fieli tuoni il cielo empiendo.
Ch'indi percossi Hot seguaci tutti,
Andraii dispersi e d'atra nube involti.
Solo con sola W<\p Enea ridotto
111 un antro medesimo aecorrassl.
Io vi sarò: saravvi anco Imeneo;
E se del tuo voler t u m'assecuri,
lo farò si, eh' ivi amhidue saranno
]ii nodo indissolubilo congiunti.
Venere in ciò non disdicendo, insieme
Chinò la testa: e de la dolce froda
Polcemciitc sorrise. Uscio del maro
J,' aurora intanto; od ecco fuori minati •
Di spiedi o di zagaglie a suon di corni
Venirne ^cacciatori, nltii con reti,
Altri con cani. Ha questi un ginn molosso,
[UG-131]
158 i'kxkidr. [195-219
Quelli un voltr^a guinzaglio, <■ lunghe Rie
Vini di seguavi incatenati aranti.
Scorrono intorno i caralier .Mussili;
K i maggior Peni, c più chiari Fenici I
Stanno in sella aspettando anzi al palagio,
Mentre ad uscir fa la regina indugio;
E presto intanto, d'ostro e d'oro adorno
11 suo (ridotto e vagamento fioro,
Ringhia, e spargo la terra, e uiordo il freno
Esce a la fine accompaguata intorno
Da regio stuolo, e non con regio arnese.
Ma loggiadro e ristretto. È la sua rosto
Di tirio drappo, o d'arabo lavoro
Riccamente fregiata: ò la sua chioma
Con nastri d'oro in treccia al capo avvolta
Tutta di gemino conio stello aspersa;
E d'oro son lo fillio, onde sospeso
Le sta d'intorno de la gonna il lombo.
Bagli omeri le pende una farotra;
Dal fianco un arco. I Frigi, e '1 bello Inlo
Le cavalcano avanti; e via più bollo,
Ma di beltà feroce o graziosa, . >
Le giva Enea con la sua schiera a lato.
Qual so no va da Licia o da lo rivo»
Di Xauto, ove soggiorna il freddo inverno
[181-113)
[220-Mj muro iv. -159
A la materna Dclo il biondo Apollo.
Allor che festcggiand. ^accolti o misti
Infra gli altari i Drlopi, i Cretosi,
K 'lipinti Agatirsi in vario trcscho
(ili s'aggirano intorno; o quando spazia
Tei le piagge di Cinto, a l'aiint sparsi
I boi cria d'oro, o de l'amata fronde
ys tompie avvolto, o di faretra armato;
Tal Tra la gente si mostrava, o tale
Era ne' gosti e nel sembiante Enea,
Sovra d'ogn' altro valoroso e vago.
Poscia che furo a' monti, e nel più folto
Penetrar do lo selve, ecco dai balzi
jjc l'alte rupi uscii capri e camozze,
E cervi altronde elio d'armenti in guisa,
Quasi in un gruppo, spaventati, a torme
Fuggono al piano, o fan nubi di pulvo.
Pi ciò gioioso il giovinetto lulo
Sai feroce destrier per la campagna
Gridando e traversando, or questo arriva,
Oruuol trapassa; e nel suo core agogna
Tra lo timido bolvo o d'un cignale
Aver rincontro, o ebo dal monto scenda
Vn velluto leone. In questa il ciolo
Mormorando turbossi, o pioggia e grandmo
[144-160J
160 'l'intuii. [215-269J]
PiluvTando, d'oVni parto In fnga
Asolilo, i Teucri, i Tiri ni più proprinquf
Tetti si ritirarci; e fiumi in tanto
Sccscr da' monti, od allagalo i piani. '
Solo con sola Pido Enea ridotto
In un antro medesimo, s'accolse.
Diè di quel cho segui la terra segno
K la pronuba Ghino. I lampi, i tuoni
Far de lo nozze lor le faci e i canti;
Testimoni Resistenti e consapevoli
Sol ne furl'aria e l'antro; csopra'l moni
N'ulularon lo ninfe. Il primo giorno
Fu questo, o questa fu la prima origine '
Di tutti i mail, e de la morte alfine -
Pe la regina; a cui poscia non calso
K6 do l'indegnità, ne do l'onoro,
Nò do la socretezza. Ella si foco
Moglie chiamar d'Enea; con questo nor
Kicoversc il suo fallo; e di ciò tosto
Per le terre di Libia andò la fama.
È questa fama un mal. di cui nuli' altro
È più veloce; e com' più va. più cresce;
E maggior forza acquista. È da principio!
Picciola e debbil cosa, e non s'nn ischi*
Pi palesarsi; poi di mano in mano
11C1-175J
■
[270-294] libro ir. 101
SI diseuopro o s'avanza, o sopra terra
Sòu va movendo e sormontando a l'nura.
Tanto clic 'I capo infr»lo nubi asconde,
picon che gii la nostra madre antica,
Per la mina de' giganti Irata
Contr'a' celesti, al mondo l&'produsso,
p'Encelado e di Ceo minor sorella;
Mostro orribile e grande, d'ali presta
JJ veloce de' pie; che quante ha piume.
Tanti ha sotto occhi vigilanti, e tanto
(Meraviglia a ridirlo) ha lingue e boccho
Per favellare e per udire ortiochi.
Vola di notte per l'oscure tenebre
Pc la terra e del elei senza riposo,
Stridendo sempre, e non chiude occhi mai.
Il giorno sopra tetti, e per le torri
Sen va de le citta, spiaudo tutto
Che si vode e che s'ode; e seminando,
Koumon che'lbeiico'l vero.il inslee'l falso.
Pi rumor empio o di spavento I popoli.
Questa gioiosa, bisbigliando in |* ima,
Poscia crescendo, del seguito caso
Mi Ite cose dicea vere e non vero.
Picea, ch'ini di ti ninna stirpe uscito,
Venuto era in Cartago, a cui degnata
j6i V FNEIDB. [295-819J
8' era la bolla ftdo esser congiunta,
Cbi con nodo dicea di maritaggio, 4 à
Chi di (ascivo amore; o eh' ambedue,
Posti i regni in non citlc, a l'ocio, al lusso,
A la lascivia bruttamente additti,
Consumavan del verno i giorni tutti.
Questo, o cose altro assai, la sozza Dea
l'er le boccilo dogli uomini spargendo,
Tosto in Getulia ni gran Iarba pervenni»;)
E con parole o con puuturo acerbo
SI do l'offoso re l'animo acceso.
Ch'arso d'ira c di sdegno. Era d'Amm
K do la Garamautide Napea,
Già rapita da lui, questo re nato,
Ondo a Giove suo padro entro n' suoi r
Cento gran tempii o cento pingui altari
Avca sacrati, e di continui fochi
Mantenendo agli Dei vigilie eterne, '«
Di vittime, di fiori e di ghirlando
Gli tonea sempre riveriti e cólti.
Ei si com'era afflitto e conturbato
Da l'amara novella, anzi agli altari
E fra gli Dei, lo mani al cielo alzando,
Colali, umile insiomo o disdognoso,
Porso prieghi o querole: Ouuipotcnto
L192-206J
[320-344] libro iv. 1G8
Padre, a cui tanti opimi e sontuosi
Conviti, e di I.euèo si larghi onori
Offrisce oggi ile' Mauri il gran paese.
Vedi tu questa coso? a pure invano
Tonni"!" c folgorando et spaventi?
Una lumina crranto, una che dianzi
Ebbe a prezzo da me noi mio paese,
Ter fondar la sua terra, un pieciol sito;
Una ch'arena ha per araro, ha vitto,
Jjoco o leggi da me, me per marito
Kiliutii; c di sò dotino o del suo regno
Ha fatto Enea. Questo or novello l'ari
Con quei suoi delicati e molli eunuchi,
Jlitrato il mento o profumato il crino,
Ya del mio scorno e del suo furto altero:
Ed io qui me ue sto vittime e doni
A te porgendo, e son tuo Aglio indarno.
Cosi larba dicea: nò da l'altare
S'era ancor tolto, quando il Pudro udillo;
E gli occhi in vèr Cartagino torcendo
Vide gli limanti eh' a gioire intasi
Avcnn posti in oblio la fama o i regni.
Ondo vólto a Mercurio: Va', figliuolo,
Gli disse; chiama i venti, e ratto scendi
Là 've si neghittoso il troian duce
[206 -224 J
164 *• F.KEID». [tffiJI
Buda in Cartagine "1 desinato impero
Non (Tradisce o non cuta; e ciò gli .niiiuMia
Pa parte mia, che Venero sna madre
Non por tal lo mi dludo, e eh'a tal fino
Non è stato da lui da l'armi grecho
Gii due volto scampato. Ella promise
Ch'ti sarebbe atto a sostener gl'imperi
E le piorro d'Italia, o trar qua suso
La progonie di Toucro, a porro il freno,
A dar lo loggi al mondo. A ciò so 'I pregi
Pi si gran cose o do la gloria stessa
Non muove lui. perchè non guarda al figli
Porche di tonta sua grandezza il froda.
Pi quanta finn Lnvinio ed Alba e Ituma
No' secoli a vonìro? E con che speme.
Con che disegno in Libia fa dimora,
E co' nomici suoi? Navighi in somma.
Questo dilli in mio nomo. Udito ch'ebbe
Mercurio, ad csseguir tosto s'accinse
I procetti del padre; o prima a' piedi
I talari adattossi. Ali son queste
Con pernio d'oro, ond'ei l'aria trattando,
Sostenuto da' venti, ovunque il corso
Volga, o sopra la terra, o sopro al maro,
Va per lo ciel rapidamente a volo.
[225 24 1J
■ [870-394] limo tt. 165
1 Indi prendo In verga, nini' ha possanza
I Fin ne l'inferno, onde richiama In vita
I.'uninie spi nte, onde le vive Addii™
l'ini" aliisso. e di Anno o vigilia
E rifa e morte: Aduna e sparge I Tonti,
* E trapassa lo nulli. Era volando
Giunto la 've d'Atlante il capo o 'I fianco
Scorgca. de lo cui spallo il cielo è soma;
D'Atlante, la cui tosta irta di pini.
Pi nubi involia, a piogge., a venti, a nomili
È sempre esposta ;Tl cui mento, il cui dorso,
E per nievi e por gicl «Muto e gobbo,
È da fiumi rigato. In questo monto,
Clic 1 padre di :.!.V.i. avo di lui,
■ Primamente forniossi. Indi cnlando
I gj gjttù sovra l'ondo, o lungo al iito
' Di Libia se n'andò, l'auro secando
• In quella guisa elio marino augello
H' un'alta ripa, a nuora pesca inteso,
Terra terra sòn va tra rive o scogli
' Umilmente volando. A pena giunto
I Era in Cartago, elio d'avanti Kuca
Si vide, intento a dar siti e disegni
Ai superbi edifici. Arca dal manco
V Lato una storta, di diaspro o d'oro
[243-2CIJ
160 i'.' KXKini!. [395-419]
(ìuarnita. c di utente «emme adorna.
Dal tergo gli pendea di tiria ardente ■
Purpura un ricco manto, arnesi 0 doni
Ile la sua Dldo: ch'ella stessa intesta
Avon la tela, o ricamati i fregi.
Ne '1 rido pria, cho li fu sopra, c disso:
Tu to no stai si neghittosamente,
Enea, servo d'amor, ligio di donna,
A fondar l'altrui reguo; c '1 tuo non cuti
A te mi manda il rcgnator cotesto,
Ch'io ti dica in sua veco: Che pensiero, J
Che studio è il tuo? con cho speranza indugi
In queste parti? So '1 tuo proprio onore,
So la propria grandezza non ti spingo;
Che non miri a' tuoi posteri, al destino,
A la speranza del tuo figlio Iulo,
A cui si dovo il glorioso imporo
Do l'Italia o di Roma? E più non disse,
Nò più risposta atteso: anzi dicendo,
Uscio d' umana forma, o dilcgoossl.
Stupì, si raggricciò, tremanto c fioco I
Divoune il troian duce, il gran procotto
E chi '1 portava e chi '1 mandava udendo.
Già ponsa di ritrarsi: ma che modo
Terrà con Dido ad impetrar cotniato?
[868-888]
r 120-4+*] i-'»bo Iv- 107
Con quoi parole' assalili, con quali
pjsporrà mai la furiosa amante?
TYrisa, volge, rivolge; in un momento.
Or questo, or quel partito, or tutti insicino
\:i ,|iscorrcndo; ed ora ad un s'appiglia.
Ed ora a l'altro. Si risolvo alfine:
E fatto a sò venir Memmo, Sergosto,
E l'ardito Cloanto: Andate, di*so,
Kaunnte i compagni : itene al porto:
E con liei modo cliotamentc l'armo
Apprestate c l' nrmataj esnon mosti ato
Signo di novità nò di partenza.
Intanto io troverò loco opportuno,
E tempo accomnìodato. c destro modo
P' ottener da quest'ottima regina,
Clic da lei con dolcezza mi diparta.
Nulla sapendo ancor di mia partita.
Nò sperando tal fino a tanto amore.
A l'ordine d'Enea lieti i compagni
Obbedir tutti: o prestamente in punto
fu ciò cho impose. Ma Didon del tratto
Tosto s'avvide; o che non vode amore?
Ella pria s« n'accorse; ch'ogni cosa
Tornea, benché sccura. E già la stessa
Fama importunamente lo rapporta
[284-299]
1C8 l^se™. [445-Ì69]
Armarsi I legni, esser i Teucri accinti
A navigare. Onde «l'amore o d'ira
Accesa, infuriata, e fuori uscita
pi sè incdosma iniporvorsando scorro
Per tutta la città. Quale ai notturni
Gridi di Citeron Ttade, allora
Cho 'I trleunal di Bacco si rinova.
Nel suo moto maggior si scaglia e fi omo,,
E scapigliata e fiera attraversando,
£ mugolando al monte si conduce;
Tal era Pido, o da tal furia spinta
Enea da sò con tai parnlo assolse:
Ali perfido! celar duni|ue sperasti a J
L'na tal tradigionc. e di nascosto
Partir de la mia terra? E del mio aurora,
De la tua data le, di quella morto
Che no fari la sfortunata Dido,
Punto non ti sovvieno o non ti cale? "l
Forse cho non t'arrischi in mozzo ni ver
Tra' più fieri Aquiloni a l'ondo esporti,
Crudele? Or cho faresti, so straniero
Nou ti fosser le tene, ignoti i lochi
Cho tu procuri? E elio faresti, quando
Fusse ancor Troia in piede? A Troia andresti
Di questi tempi? E me lasci, o me fuggi?
UU0-3MJ
[470-404] moro ir. 169
Deh ! per queste mio lagrime, per qnollo
Clic tu de In tua fu pegno mi désti
<|\.i rlie a I idi) infelice altra non resta
CI»' :i se tolto nuli nggta). por lo nostro
jl;iiit»l nullo, por l'impreso nozzo.
per quanti ti foi nini„so nini ti fui
Coinmoilo o grazia alcuna; o t'Alena dolco
Avesti iniqua da ine, ti pricg» ch'abbi
pioti del dolor mio, do la mina
Clio di ciò m'. avverrebbe; e (so più luogo
Ha» le preci con fb) elio tu dol tutto
Liisci questo pensiero. Io per to sono
In odio n Libia tutta, 'a'sjjoi tiranni,
A'niieiTirii.a m'o stessa. Ho già macchiata
I„i pudicizia; e (quel ohe più mi duolo)
Ho perduta la fama, ond'io pur dianzi
Sorvolava lo stello. Or come in preda
Solo a morto mi insci, ospite mio?
Ch'ospite sol mi resta di chiamarti.
Di marito che m'ori. E perche deggio.
Lassa, viver lo più? Per veder forso
Clio '1 mio fratcl Piginalton distrugga
Queste mie mura, o '1 tuo rivale larb.i
|n servitù m'adduca? Almono avanti
M tua partita avcss'io fatto acquisto
1314-3281
170 rfv.SEinE. [495-516]
D'un pargoletto Enea, che per le sale
Mi scherzasse d'intorno, e solo il rotto,'
E non altro, ili to sembianza avesse;
Ch'esser uon mi parrebbe abbandonata.
Né delusa del tntto. A tai paralo.
Enea di fiiovo al pian precotto affisso, j
Tcuca il pensiero <• gli occhi immoti esalai
E brevemente le rispose alfino:
Regina, e' non fin. mai ch'io non mi tonM
Doverti quanto forso nit(|ua potessi
Riniprovorarmi, o non Ila mai che Elisa j
Non mi ricordi infin che ricordanza i
Avrò di me medosmo, o che 'I mio spirto
Reggerà questo membra. Ora in il isoarco
Di mo dirò sol questo, che sperato
Ne pensato ho pur mai d'allontanarmi
Da te, come tu di' l'urti vamente:
Nò d'esserti marito anco pretendo:
Ch'iniqua di maritaggio, o di soggiorno 1
Teco non patteggiai. Se '1 mio destino
Fosso che la mia vita, e i miei pensieri
A mia voglia reggessi, a Troia in prima
Farei ritorno: raccorroi le dolci
Suo disperso reliquio; a la mia patri*
Di nuovo ronderei la vita e i figli,
[32'J-3431
[520-541] libro it. ITI
jj in regi» o lo torri o mo con loro.
jla ne l' Italia il mio fato mi chiama.
Italia Apollo in Dolo, in Lioio. otiiihiu?
Va,i,i n mando a spiarne, mi prometto.
Qncst'é l'amor, quest'i la patria mia.
Se tu. clic di Fonicia*oi"Tonutn.
Siedi in Cartago, e ti diletti e godi
Del tiio libico rogno. qual divieto,
Qual invidia 6 la tna, oh'l miei Troiani
Prendano Ausonia? Non loco anco a noi
Corcar do'rogn i esterni? 8 non cuopre ombra
La terra mai. non mai torgon le stollo,
Cho del mio padre una turbata imago
Non veggio in sogno, e elio di ciò ricordo
Non mi porga o spavento. A tutto l'oro
Pel mio figlio sovvienimi, e do l'ingiuria
Che ricevo da mo si caro pegno.
So del rcguo d' Italia io lo dofraudo.
Cho li son padre, quando il fato o Giove
Nel privilegia. E pur dianzi mi venno
Dal ciel mandato il mossaggier celeste
A portarmi di ciò nuova imbasciata
Dal gran ro degli Dei. Donna, io ti giuro
Per la lor deità, por la saluto
D'ambedue noi, cho con quest'occhi '1 vidi
[344-8581
172 l^nhhk. [545-569]
Qui dentro in chiaro lume; e la sua voce
Con quest' orecchi udii. Rimanti adunque
Di più dolerti ; c con le tue querele
Nò to né ini! più conturbare Italia
Non a mia voglia lo segno. K più tuoi 'l'uso*
Ella, meiitro dicca. crucciata o torva J
Lo rimirava, e volgea gli occhi intorno I
Senza far motto. Alfln. da sdegno vinta 0
Cosi proruppe: Tu. perfido, tu
Soi di Vonere nato? Tu del sangue
Di Dardano? Non già; chò l'aspre rupi
Ti prodnssor di Caucaso, o l' li cane » I
Tigri ti fur nutrici. A che tacere? » s m
11 simular elio giova? E elio di meglio VI
No ritrarrci? l'orso ch'a'miui Inmcnti
Ila mai questo crmlcl tratto un sospiio,
0 gittata una lagrima, o pur mostro
Atto o segno d'amore, o di pictadc?
Di che prima mi dolgo? di che poi?
Ali! elio né (iiuno o imi, li" (liove slesso A
Cura di noi: nò c m ginsf occhi miri
Più l'opro nostre. Ov\ qua -iù i iù fede?
E chi più la ni. ni licii Era costui
Dianzi uel lito mio naufrago errante,
Mondico. lo l'ho raec"lto, io gli ho ridotta
[3ÓS-374|
[570-5941 unno iv. 173
] suui compagni o i aito! invili insieme,
Cli'tTan morti o disponi; od in l'ho mosso
(Folle!) n parto con ma del reguo mio,
£ di dio stesso. Ahi d»<fnror, da foco
K„|,ir mi sento! Ora.il profeti! Apollo,
Qr lo sorti di Licia, ora un araldo,
Cho dal ciel gli si monda, a gran facondo
Quinci lo chiama.Un gran pensiero han certo
pi ciò gli Ilei: d'nn man traraglio è questo
A lor quieto. Or va', che per innanzi
più non ti tcgua, « più non ti contrasto.
Va' pur. segni l'Italia, acquista i regni ■
Cho ti dau 1' ondo e i Tenti. Ha se I numi
Son pietosi, o so* pomi», io spero ancor i
Che da' venti o da l'onde e dagli scogli
K'avrai degno castigo; o cho più volto
Chiamerai Dido, che lontana ancora
Co' neri fuochi suoi ti ila presente:
£ tosto che di morto il freddo giolo
L'anima dal mio corpo avrà disgiunta,
Tasso uon inorerai, cho l'omhra mia
Non ti sia intorno. Avrai, crudolu, avrai
Ricompensa a' tuoi morti, o uo l' inferno
Tosto ino uo verrà lieta novella.
Qui '1 suo dire interruppe: o lui por téma
[875-888J
J74 V KNKIDB. ' " ''"■-019]
Confuso, e molto a replicarle inteso,
Lasciando, con disdoguo e con angoscia .
(ili si tolse davanti. Incontinouto
Lo fur l'ancollo intorno; o al com'era
Egra o dolente, entro :il suo ricco alhergoi
Lo dicr sovra lo piuino agiu c riposo.
Encaquautunquo pio, quantunque afflitto
E d'amore infiammato e di desiro
Di consolar la dolorosa amante
Noi suo cuore ostinami. E fermo e saldo
II' obbedire agli Dei fatto ponsioro, «■
Calossi al mare o i suoi legni riride.
Allor furo in uu tempo unti o rispinti
E posti in acqua: o per la fretta, i romi
Diventarono i rami che dal bosco
Si portavano allor frondosi e rozzi.
Era a veder da la cittado al porto
Do' Teucri, de le ciurme, e de lo robbe ' i
Ch'ai mar si couduceau, pieno il sentiero;
Qual è, quando lo provide formiche
Do lo lor vornaricco vettovaglio
Fonsoso e procacciovoli, si danno
A depredar di biado un grande aeorro,
Cho va dal monte ai ripostigli loro
La negra torma, e per angusta e lunga
1389-4041
[620-644] libro IT. 17
gomita lo campagne» attravorsando,
Altro al carreggio intese o lo s' sdossano
0 traendo, o spingendo lo conducono;
Altre tt-ngon lo schiera unite, od altro
Castigai) !' infingardo; • tutto insieme
fan che tutta la via brulica, fa forre.
Che cor, misera nido, che lamenti
Erano allora i tuoi, quando da l'alto
XJu tal moto scorgovl, e tanti gridi
No sontivi dal mare? Iniquo amore,
Clio non puoi tu nS'petti.dc'morJali ?
Ella di nuovo al pianto, a le preghiere,
A sottoporsì a l'amoroso giogo
Da la tua forza o suo mal grado «stretta.
j[a per faro ogni schermo, anzi elio muoia
ì..i sorolla chiamando: Anna, lo disse.
Tu redi che s'affrettano e sen vanno.
Vedi già loro in su la spiaggia accolti,
le rote in alto, e le corone in poppa.
Sorolla mia, s'avessi un tal dolore
Antiveder potuto, io potrei forse
Anco soffrirlo. Or quosto solo all'alino
Prondi per la tua misera sirocchia.
Poiché te sola quel crudolo ascolta,
E sol di te si fida, e i lochi c i tempi
1401-1231
176 fj.' ninno*. [M6-6ÌH
Sai I1 esser seco, e di trnttnr con lui;
Truova questo supeibo m'o nimico, M
E supplichevolmente gli favella.
Pilli elio Pido io sono, o che non fui
In Aulido co'Grcci a far congiura
Contro a' Troiani, e che di Troia a'dannn
Nò 1 mioi legni mandai, nò le mio genti,
pilli che nò lo ceneri, nò l'ombro
Nò del suo padre mai né d'altri suoi
Non vtolal. Qua! dunque o mio domarti ■
0 sua durezza fa eh' fi non ascolti %V
11 mio dire, o mo fugga, o sò precipiti?
Chiedili per mercè do l'amor mio,
Por salvezza di lui. por la mia vita,
Ch' indugi il su i partir tanto che 'I maro
Sia più sicuro, o più propizi i venti.
Nò più dol maritaggio io lo richieggo
Ch'ha già tradito, nò vo'più elio manchi
Pel suo bel Lazio, o i suoi regni non curi.
Un pieeiol tempo, e d'ogui obligo sciolto
Io li dimando, o tanto o di quieta
0 d'intervallo al mio cieco furoro,
Ch'in parte il duol disacerbando, impari
A meli dolermi. Questo o '1 dono estranio
Che da lui per tuo mezzo agogna e brama
1 123-4351
[870-694] libro nr. 177
Questa tua miscrabilo sorella:
E se tu lo m'impetri, altro cho morto
forza non avrà mai ch'io rrib u'oblii.
Qih-st* e tali altre cose ella piangendo
Picca con Anna, ed Anna al frigio duco
nisso, ridisse o riporto più volto
Or da l'una, or da l'altro, o tutto in vano;
Cbò ni pianti nò proci nò querele
Vanto Io niuovon più. Oli ostano Mali,
v solo iu ciò gli ha Dio chiuso l'orecchie;
Benché dolco e trattabile o benigno
yussc nel resto. Como annosa o valida
Quercia, che sia no l'Alpi esposta a Borea,
«•orda l'uno or» da l'altro do' suoi turbini
£ combattuta, si scontorce o tituba, '
Stridono i rami 0 '1 suol di frondi spargcsl,
E "1 tronco al monto infisso immoto o solido
Se ne sta sempre; e quanto sorge s-l'aura
Cou la sua cima, tanto in giù stendendosi
So ne va con le barbo influo agi' infori;
Cosi da preci, o da quorele assiduo
Battuto duolsi il gran Troiano ed angosi,
E con la mento in sè raccolta e rigida,
Citta Indarno per lui sospiri e lagrime
La sfortunata Dido, poi che tronca
Caro. -12. L48Ó-450J
j78 ^l' xxiidi. [C95-7
Si vido ogni speranza, spaventata
Dal suo fato,.» di sè schiva e del sole.
Disiò di ninrire, o gran portenti
Di ciò presagio o fretta anco lo fero.
Ella, mcntro agli nltari incensi e doni
OlTria devota (orribil cosa a dire!).
Vide avanti di sè con gli occhi suoi
Farsi lurido e negro ogni liquore
E '1 puro vin cangiarsi in tetro sangne;
E '1 vide, e M tacque o 'nflno a la sorsi
Lo tonno ascoso. Entro al suo regio albe
Avea di marmo un bel delubro cretto,
E dedicato al suo mnrito antico.
Questo con molto studio, o molt' onore
Fu mai sempre da lei di bianchi velli
E di festiva fronde ornato o cinto.
Quinci notturno voci udir le parve
Del suo caro Sichèo elio la chiamasso;
E del suo tetto un solitario gufo
Molte ftato con lugubri accenti
Fe di piauto una lunga querimonia.
Oltre a ciò, da l'antiche profezio.
Da pronostichi orrendi e spaventosi
De la vicina morte era ammonita.
Vodeasi Euca tutte le notti avanti
1450- 40ó]
|720-7«] lib«o :v. 179
Con fora imago, che turbata o mesta
La tonea sempre. Le parea da tutti
Restare abbandonata, o por un lungo
g deserto ramino andar lolinga
rie' suoi "l'i ri ■ cercando. In cotal guisa
r,c schiero de l'Eumenidi vodoa
pèiiteo forsennato, o doppio il solo
E doppia Tebe. In cotal guisa Oreste
Per lo scone imperversa, o furioso'
Tede, fuggendo, la sua madre armata
Di serpenti e di fa«, o 'n su le porto
Le Furio ultrici. Or poi che la meschina
Fu da tuuto furor, da tanto affanno
Appresa e viuta,"b di morir disposta.
Divisò fra sè stessa il tempo o 'I modo:
Ed Anna, si com'era afflitta e mesta,
A sè chiamando, il suo fiero consiglio
Celò nel core, e noi sereno volto
Spiegò gioia o speranza; Anna, dicendo,
Rollégiati con mo, ch'alfin trovnto
Ilo com'io debba o rncquistar quoll' tuipiu,
0 ritormi da lui. Nel lito estremo
De rOceàu, là dove il sol si corca.
De l'Etiopia a l'ultimo confino.
E presso a dove Atlanto il ciol sosticuo,
1166-182J
180 ^ '•' >-m [T !.,-7r,0f
Giace un paese, ond'ora è qui venuta
Una sacerdotessa incantatrice,
Chu. Massim di gente, è «tata poi i
Del tempio do l' Esperidi ministra, j
E del drago nudriee. e de li- pianto N J
Del pomo d'oro guardiana un tempo.
Questa, d'umido mèle e d' obliosi
Papaveri composto un suo miscuglio, i
Promette con parolo e con malio
Altri scior da l'amore, altri legaro,
Com'a lei piace, distornare i l'unni,
filtrar le stello, e convocar por forza,
Lo notturne fantasma. Udrai la t. i ra
Mugghiar sotto a'tuoi pie. Vedrai da' monti
Calar gli in ni e le querce. Io per gli Dei,
Per to, per la tua vita a me si cara.
Ti giuro, suora mia. che mal mio grado
M'adduco a questi magici incantesml;
Ma gran forza mi spini.'.-, i r va', sorella.
Scogli por entro a le mio stanco un luogo
11 più remoto e solo a l'aura esposto.
Ivi ergi una gran pira, e vi conduci
L'armi che a la mia camera sospeso
Lasciò quel disleale, e quelle spoglie
Tutte e quel lotto, ov' io, lussa! perii;
1 482- 137 J
[770-704 1 libro ir. 181
j„ somma ogni suo arnese; citò la maga
Cosi m'impone, c vuol ch'ogni memoria.
Ogni sogno di lui si spenga e itera.
'fusi eletto, si tacque,'* di pallore
Tutta fi tinse. Non però s'nvvido
Amia, clic sotto a' nuot i sacrifici
Si celasse di lei morto si fera;
Che si foro concetto non lo vonno,
E „oii temi elio poggio l'avvenisse
Ch'i» morto di Sichòo. Tosto fc dunqno
Quel ch'imposto lo'fu. Fatta la pira,
E d'ilici e di tede aride e scisso
Altamente composta, la regina
D'atre ghirlando e di funesto frondi
Omar la fece intorno; Indi le spoglio
E la spada e l'effigie do l'amante
Sopra a giacor vi poso, ben socura
Di ciò che 11'avvcrrobbo. Ernn dintorno
(ìli altari erotti: era tra lor la maga
Scapigliata e discinta; o con un tuono
DI voce formidabile invocava
Trecento deità. l'Èrebo, il Oao,
Ecatc con tre formo, o con tro facco
I La vergine Diana. Avea già sparso
Le fiuto acquo d'averno, o I suffumigi
1407-5121
182 y.' knridk. |"05-8i
Fatti da lo nocivo orbo iiotoIIo,
Ohe per punti. di luna e con la falco
D'incantato metallo nran segato.
Si fo venir la'inalTosa carne
Ohe de la fronte al tenero pulledro 1
Oon l'amor de la madre si divelle.
Essa stessa regina il farro o 'I salo
Con le man pie so vr' agli altari impone
E d'uu piò scalza o di tutt' altro scio!
Solo accinta a morir, por testimoni
Chiama li Doi.JVotestasi a le stelle
Del suo fato consorti: c s' alcun nume
Mira agli ufllitti o sfortunali annuiti.
Questo prega e scongiura che ragione
E ricordo ne tenga, o ne li caglia.
Era la notte; o già di mezzo il corso
Cadeau le stello ; ondo la terra e '1 mare,
Le selvo, i monti o lo campagne tutto,
E tutti gli animali, i bruti e i pesci
E i volanti e i serpenti, e ciò che rive
Avea da ciò elio la lor vita affanna
Tregua, silenzio, oblio, sonno o riposo.
Ma non Dido infelice, n cui la notte
Nò gli occhi grava, nò 'I ponsioro alleggi»
Anzi maggior col tramontar del solo
[US-Mi]
[820-8+tl libro it. 183
jn lei risorga l'amorosa cura:
g non men elio u*amor.jTir» avampando,
(•„si fra sò farnetica c farcita:
|/ die Tirò cosi dolosa poi?
fili più mi seguirà du' primi amanti?
proferiromnii por consorto io'stessa
p'nn Zingaro, d'un Moro, o d'un Arabo,
Quando n'ho vilipesi e rifiutati
Tanti c tai, tante volto? Andrò co'Toucrl
la su l' urinata? mi fari soggetta,
pi regina ch'io sono, e serra a loro?
Si certo, che gran prò In qui riporto
Do lo mio lor usato cortesie;
; grAdo me n'iranno, o grazia poi.
ila ciò, dato ch'io voglia, chi permette
Ch'io l' inseguisca? Chi cosi schernita
Volontier ini raccoglie? Ahi sfortunata
Dido! ch'aucor non vodi a che sei giuuta,
£ le frode non sai di questa iniqua
Schiatta di Lunmodoute. K poi elio Ila
Her questo? Dvggio, sola, in compagnia
Di marinari andar femina crrimto?
0 condor meco i miei Fenici tutti
Con altra armata? o trarli uu' altra volta
D'uu'altia patria in mare in preda ai voliti
I532-5-1G]
184 ^.'fxiidk. f$4ó-86^
Senz'alcnn j)ro,.sonza cagione alcuna; I
Quando anco a pena di Sldi'm gli Massi J
Per ritorli da man d'empio tiranuoV
Ah! muor più tosto, conio degnamente
Itai meritato; o pon col ferro fino
Al tuo grave dolore. Ali, mia sorella!
Tu sci prima cagion di tanto malo:
Tu, vinta dal mio pianto, in quest'ang i^L
M'hai posta, e data ad un nemico in pie li
Chò devoa vita solitaria e fera
Menar più tosto, che commetter fallo
SI dannoso o si gravo, e romper fedo
Al cencr di Sichòo. Questi lamenti
Uscian del petto a l'affannata Dillo,
Quando già di partir fermo o parato
Knoa, por riposar pria che sciogliesse.
S'era a dormir sopra la poppa agiato;
Ed ecco un'altra volta, in sonno, avanti
Del modesmo celeste mossaggicro
(.ili appar l'imago, con quel volto stesso,-
Con quel color, con quella chioma d'oro '
Con elio lo vide pria giovino o hello;
E da la stessa voce udir gli parve:
Tu cori i. Enea, si gran fortuna, o donai
Non senti qual li spira aura socomla?
154G-5C2)
[870-894] mbbo iv. 183
pi.!., cose nefande ordisco ed osi,
Certa pi» di morire, e d'ira accesa
jl diro impreso 4 vòlt»; e tu non fu^pi
Mentre fuggir ti lece? & ninno a mano
pi legni travagliar vedrassi il muro,
pi focbi il lito, e di furor leggenti
Incontra a te, se tu qui '1 giorno nspotli.
Via di qi» tosto; dà' le velo a' venti.
Femina è cosa mobil per natura,
F. per disdegno impetuosa o fora.
E qui tacendo entro noi baio, e sparvo.
Knon. preso da subito spavento,
Pestossi. o fe destar la gente tutta:
Via. compagni, dicendo, ai banchi, al remi;
Ch'or d'altro uopo ne fa che di riposo.
Fato vela, sciogliete, elio di nuovo
Frocotto ne si fa dal ciolo, o frotta.
Kcco. «t'inl tu ti sia. mosso celeste.
Che '1 tuo detto seguiamo; e tu benigno
N'aita, e '1 cielo e 'I mar ne icndl amico.
' Ciò detto, il ferro strinse, e. fulminando,
li Pel suo legno la gemina rocisc.
MCotl fer gli altri, e col medusmo nrdoro
Tutti insieme, sciogliendo, travasando,
E spingendosi in nlto, in un momento
1503-5821
I86 1,'kmidf. [895 919]
Lasciare 11 llto^-o 'I mar, dai legni aacOMM
SI fe per tanti-remi o tante velo
Spumoso e bianco, fera vermiglio e ìanclofl
Fatto già de la notte il bruno :imimuto,J
Lasciando di Titón l'Aurora il lotto,
Quando d'uu'alta loggia la regina
Tutto scoprendo, poi eh' a pieno volo
Vidole frigio navi irne a dilungo,
E vóti i liti, 8 senza ciurma II porto;
Contra sò fatta iugiuitosa o fora,
Il delicato petto o l'auree chiomo
Si percuote, si lacerò più volto;
E 'neon tra al ciel rivolta: Ali. tiiovc, disso, j
Puuqtie pur so n' andrà V Dunquo son io
Fatta d'un forostier ludibrio o scliorno
Noi regno mìo? Nò Ha chi prenda l'armi
Nò chi lui segua nò i suoi legui incoudat
Via tosto a lo lor navi, a l'armi, al foco.
Mano a lo volo, a' remi, oltre nel mare.^
Clio parlo? 0 dovo sono? K che furori 1
F. il tuo, Dido infelieo? Iniquo fato, .
Misera, ti pcrsogiio. Allor Tu d'uopo
Ciò elio tu di', quando di to signoro
E del tuo regno il fofti. F.cco la dostr»,
Ecco la fede sua. Questi è qirol pio
[5B2-598I
[920-944] muro tv. 181
Che seco adduce i suoi putrii Penati,
£'1 vocchio padre agli omeri s'imposo.
jioii potoa farlo prendere e sbranarlo.
f. gjtt.irlo nel mare? aBcl'lor lui
Con tutti i.suoi? dilantaro il fìllio,
E darlo in cibo" al padre'/ Qbl perigliosa
Fora stata l' impresa. E di periglio
La si fosse, e di morto; in ogni guisa
Morir dovendo, a che Utncrc indarno?
Arsi avrei gli steccati, incesi i legni,
Occiso il paàro, ilUplio. il some in tutto
pi questa gente, o mo spento con loro.
Sole, a cui do'jnortall ogn'opra è conta;
Giuno, do le mie cure, o do' miei falli
Pronuba consapevole e mezzana;
Ecate, che ne'trivii orribilmonto
Sei di notte invocata; nitrici Furio,
Spiriti inferni, e dii de l'Infelice
Dido.ch'a molto e giunta, il mio non degna
Caso riconoscete e 'nsieme udito
Queste dolenti mie partilo ostromc.
Se forza, so destino, o se decreto
E di Giove e del cielo, e fisso e saldo
È pur elio questo iniquo in porto arrivi,
E terra acquisti; aluieu da Dura gente
IÓUS-C15I
188 ^yrs-rjDK.
Sia combattute!: e de' snni fini in linndoj*
I)a suo figlio divelto implori aiuto,
E perir voglia i suoi di morte indegna. I
Nò leggi che riceva, o paco talqn»
Cho accetti, nnco gli giovi: n6 del regno!
Né de la vita lungamente goda;
Ma enggia anzi al suo giorno, e ne l'areni
Oiaccia insepolto. Questi prieghi estrerafl
Col mio sangue consacro. E voi, miei T1H|
Coi discesi da voi tcnoto seco
E co' posteri suoi guerra mai sempre.
Qncsti falli al mio filiere mandato.
Morta ch'io sia. Nò mai tra queste genti
Amor nasca, no pace; anzi alcun sorga
De l'ossa mie, elio di mia morto preuda
Alta vendetta, e la dardania gento
Con lo fiamme e col ferro assalii e spenga
Ora. in futuro, e sempre: e sian le fon»
A quest'animo eguali: ì liti ai liti
Contrari eternamente, l'ondo a l'ondo,
E l'armi Incontro :i l' armi, <■ i nostri ai lori
In ogni tempo. E. ciò dotto, imprecandéB
Schiva di più veder l'otoria luce.
Affrettò di morire. E Bnrco in prima
Vistasi intorno, una nutrico antica
IC15C32J
[!<70-994] unno ìv. lvv
l)A suo Sichèo (chò la sua propria in Tiro
Eia cenere già). Cara nutrice,
I... disse, va', mi chinina Anna mia suora,
i; 1. di' che solleciti, e site l'onda
pel fiume o l'ostie o i suffumigi adduca,
y ciò cb'e d'uopo, come pria Io dissi,
_\ prepararmi; chè finire intendo
]l sacrificio che a Plutono inforno
Solennemente ho di già fare impreso,
por fine imporro a' miei gravi martiri,
E dar foco a la pirft, ov'è.l'imago
pi quell'empio Troiano. A tal precetto
>l„>s:i la vccchiarella, a suo potoro
lentamente affrèttossi ad osseglielo.
pido noi suo pensiero immano o fiero
piornmente ostinata, in atto prima
pi paventosa, poi di sanguo infetta
1« torvo luci, di pallore il volto,
E tutta di color di morte aspersa,
So n'entrò furiosa ove segreto
Era il su0 ro»° R ,,aur* ■PP»"!«<:ni,lto'
Sopra vi salse; e la dardania spada.
Ch'ebbe da lui non a tal uso ili dono,
Distrinse; e rimirando i frigii arnesi
E'1 noto letto, poi ch'in sè raccolta
1632-C49J
19» ^«*KTD«. i— ,.,„
Lag-rimando o.pensando alquanto H||^|
Sovra vi ai inchinò col ferro al patto, il
K Miami" fuor qm-st' ultimo parole: ')
Spoglio, menti e al ci< 1 pi "l"'. amate»
A voi reud'io quest'anima dolente.
Voi l'accogliete: e voi ili questa angoge|- I
Mi Iil,.-iat.-. K.V" i . *»n into al fine
Ile la mia vita, e ili mia suite il cor«o
Ilo già compito. Or la mia granili., in,,,-.
N'andrà «otti-ria: e qui -li ine e|,0 lasei()»
Foudata ho pur questa mia noliil terra-
Viste tu> pur le mie mura: ho vendicato
Il mio consorto: ho castigato il fiero
Mio nimico fratello. Ah elio felice,
Felico assai morrei, s' a questa spiagj|t
Qlunte non fo«sor mai velo troiane!
K qui sul letto iiiihandonossi, o '1 volto
Vi tenne impresso: indi sugl'illuso: Aduaui
Morrò senza vendetta? Kli. elio si muoia
Comunque sia: cosi, cosi mi giova
(iirne tra l'omhre inferni-; e poi ch'il cruda
Mentre meco era. il mio luco non vide,
Veglialo di luiitanu, e '1 trist.i augurio
Do la mia morto aluion seco no porto,
Avea ciò detto, quando le ministro
I01D-GC3I
■Lj04l| LIBRO IV. 191
I • lor sopra B' furro " 'n"ssa'
r' (1 ,.0„ le man di sauguc intriso
o ,. M .. Iu pianti, in ululati
SP""*k"0 in ,m iuoniout<ml eouvorso
ia tutta. e 'usino*! eie' n'amlaro
j |jc 0 fioche, e »u<jti «li ulwn con elio.
ludi per '» tittA Srid"° 0 tum,,lto-
?;* (.prosa da' nemici a Tonta
Tiro oCartago arsa o distrutta.
'Tua tosto ,-h'udillo. il volto o-l petto
B,Me.siel^orossi;«0frf>genU
L„lan,oril-.".aa sua «rolla,
d ndo e il itoiui.- suo gridando, corso:
^.r0(lue»to-dic0a',8llOra-8On Ì0
Il te cosi tradita? Io t'ho per questo
, ira e l'aro e 'I foco apparecchiato?
rta mo! I»i phe dorrommi in prima?
morir dovendo, una tua suora
Scompagna rifiuti? E perchè toco.
, tassa' non m'invitasti? CI.' un doloro.
j£f,.rro, un'ora stessa ambe n'avrebbe
Tolte d'affanno. Olmo! con lo mie mani
T-bo posto il rogo. Olmo! con la mia voco
Ho gl' "e' du la v'iUm * C>!> cnìalim,i-
Tn-U, folle! ho futt' io. perchè tu muoia,
1663-6 il\
.10O .dm» U"irl0<!
Pcrrh- lo. nel tuo morir teco noi. sia.
Con te, me. questo popò), questa terra.
E-lsidonio senato Lai. suora, esimio.;
Or mi date che il corpo ornai componga
Clio lavi la ferita, che raccolga v
Con le mi" laVta « <"><> spirito estremo,,
Se più spirto lo rosta. E, ciò dicendo, ,
Già do la pira era salita in cima.
Ivi lei che spirava in seno accolta,
La sanguinosa piaga, lagrimando,
Con lo sue roste lo rasciuga e tergo;
Ella talor le gravi luei alitando
U mira a pena, che di nuovo a fona
Morte lo chiude; o la ferita intanto
Sangue o nato spargendo anela e striò.
Tre volto sopra il cubito risorso;
Tre volto cadde, ed a la terza giacque: j
E gli occhi vòlti al cicl. quasi cercandol
Veder la luco, poiché vista l'eneo,
No sospirò. Do l'affannosa morto
Fatta Oiuno pietosa, Iri dal dolo
Mandò, cho'l groppo disciogl.csso tor
Che la tonea, malgrado anco di morto,
Col suo mortai si strettamente avvin'
Ch'anzi tempo morendo, e non dal fa
[678-M6J
|1070-10831 libro iv. »J
>ta dal furore ancisa, non l'are»
l'roserplna divelto anco il fatalo
Suo dorato capello, nò dannata
Kra ancor la sua tosta » l'Orco Inferno.
Katto spiosó Ijs. rugiadosa Dea
La sue penne dorato, e 'ncontra al solo
pi quei tanti suoi lucidi colori
1 unga striscia traendo; indi sospesa
Sopra al capo lo stetto, e d'oro un filo
Ite svelse, o. disse: lo qui dal ciol mudi
Onesto a l'iuto consacro, e te disdoro
H„ lo tuo membra-. Ciò dicendo, sparve.
Kd ella, in aura il suo spiri» converso,
l'ccsto senza caforc e sen/a vita.
IC97-70&]
Caro. — 13-
194
\
[1
DELL' ENEIDE
Libro .Quinto.
Intanto Enea, spinti dal vento in Mtofl
Veleggiava a dilungo: o pur con gli occhia
Da la forza d'amor rivolto indietro,
Kiniirava a Cartago. Ardea la pira
Già d'Elisa infelice: e lo suo flamine
ltaggiavan di lantan gran luce intorno. I
La cagion non sapea; ma In temenza
Lo rimordea del violato amore,
E 'I saper quel che punti- .-.pi. I che ordisco;
Fcmina furiosa; e 'I tristo augurio
Del foco, cho lugubre era o funesto.
Lo tem a con lo stuol de' Teucri tutti'
Disanimato o mesto. Ermi di vista
Già de la terra usciti, o cielo ed acqua I *
Appartati solamento d'ogu'intorno, I
Allor ch'itti denso e procelloso nembo |
Si fe lor sopra; ondo tempesta e notte J {
Surse repente, e Palinuro stesso J
Da l'alta poppa il ciel mirando: Oh! diti
[M8]
[20-44J libro r. 193
Oftu fia con tante intorno accolte nubi?
g clic ponsi o che fai, padre Nettuno?
|n,|i i- ..monda: Via. compagni, armianci,
Opi i;iiii > i remi, acconudiapi le relè,
fogniamo al vento avverso obliquo il sono.
^ rivolto ad Enea: Con questo ciolo.
Signor, diss' egli, ornai più non in' affido
Prender Italia, ancor che Giove stesso
Vi promettesse, ed ei nocchier ne fosso.
Vedi il vento mutato, rodi il maro
Ili vèr ponente, ci» s'annera o gonfia:
Vedi nel ciel qual ne s'accampa stuolo
Di folto nubi. Traversia di corto
N'assalirà, si clìe nè girlo incontro
Nò durar la potremo. Or poi ch'a forza
Cof.1 no spingo, noi por nostro scampo
Assccondianla; cho già prosso i porti
No son do la Sicilia o 'I Udo ospizio
p'Èrico tuo fratello, s'abbastanza
Ile l'arto mi rammento o de le stelle.
Rispose Enoa: Ben conoscb'io cho duro
È '1 contrasto do' venti; o '1 nostro ò vana
Volgi lo velo. E qual più grata altrovo,
0 più commoda riva, o più sicura
Aver mai ponno le mie stanche navi,
[18-29]
,96 l'^F.ID». H5-6J)
Di quella che no Serba 11 curo Acosto, \
E l'ossa accoglie del buon padre mio? «
Cosi vòlti a levante, e preso in poppa J
Il vento o '1 flutto, a tutta vela il golfo Jj
Correndo, fur subitamente a pruda "M
De l'amica riviera. Avea di cima
Visto d'un monte if cacciatore Accsto I
Venir la frigia armata: ondo in un tempo
Fu con essi a la riva: e rincontrolli
Allogramontc, si com'era incólto.
Di dardi armato e d'irta pollo cinto
Ili 1 Iole' orso, umano insieme o rozzo,
Do la troiana Kgosta o di Criniso
Fiume onorato figlio. F.i degli antichi
Suoi parenti membrando, con gioioso
Volto, se ben con rustico, apparecchio, 1
Gl'invita, gli ricevo e gli consola.
Fra de l'altro di l'aurora o '1 solo
Già fuor do l'onde, allor elio '1 fiiglo duo
Convocati i suoi tutti, alto in un greppoj
Posto In mezzo di lor cosi lor disse:
Generosi o magnanimi Troiani,
Degna prolo di Dardano o del cielo,
Questa 6 l'amici t-rra. ove oggi >'■ l'anno
t'Ii'o le santo ossa 'l' I mio padre Anelli»
130-17]
|70-!>4] Lineo T. 1°"
pomni" requie 0 Sepolcro. 0 i mcsli alluri
Oli consecrammo. Oggi i-.s'i» non m'inganno,
Qia l Minine acerbo od onorato giorno,
onorato od acerbo mi fia sempro
(Poi che si piacqoea I)io),quautuuqiic ovunque
Questo cssiglio infelice mi trasporti;
Pongami ne l'arcuo 0 ne le sacche
j)e la Betulla; spingami agli scogli
poi mar <!' Grecia; 116 Urepia stessa
Mi chiu|>gft- c tlcutro al cerchio di Miccno;
Ch'io l'arò sompro por *oleinio, e voti
Farògli ogni anno 0 sacrifici e ludi. *
Or poi elio du'culosti, oltro ogni avviso
Nostro, tra' nostri siamo in prtiova addotti
Por onorar le suo ccnori sante,
Onorianle, adorianlc, e dal suo nuuio
Imploriamo devoti amici i venti,
E stabil seggio, ovo gli s'erga un tempio.
In cui siau quest'ossequio e questi onori
Innovellati eternamente ogni anno.
Può pingui buoi I»« ciascun nostro loglio
■Vi profferisce il buon troiano Acosto.
Voi d'Acesto e di Troia i patrii numi
Ko convitato; od lo, quando l'Aurora
Tranquillo e quoto il nono giorno adduca,
[4S-64J
108 LV.xr.mK. [95-llJ
A'solonnl spettatoli v'invito
Pi imvi, di pedoni e df cnvalll.
Al coreo, a la palestra, al costo, a l'area
Ognun vi si prepari, ognun ne spori J
Degna del suo valor mercede o palma. '
E voi datovi assenso, e tutti insieme
V'inghirlandato. E, ciò dicendo, il primo
Del suo mirto materno il crin si ciusc.
Èlimo lo segui, seguillo Alotc,
Un di verd'anni e l'altro di maturi;
Poscia il fanciullo Iulo; e dietro a loro
D'ogni età gli altri tutti. Enoa. disceso
Pai parlamento, in mezzo a quante intoni
Avea schiere di gonti. umile e mesto
Al sepolcro d'Anchise appi osen tossi :
E con rito solenne in terra sparto
Due gran coppe di vino e due di latto
E due di sanguo, di purpurei fiori
Vi nevigò di sopra un nembo, e disso:
A voi sant'ossa, a voi concri amato
E famoso e felici, auima ed ombra
Del padre mio, torno di nuovo indarno
Per onorarvi; poi cho Italia o 'I Tobro
(Se pur Tebro è per noi) no si contendo. I
Or, quel ch'io posso con devoto affetto
[C6-88|
[1-20-144] LIBRO V.
V udore o 'nchino conio cosa Bnntn. _
Mentre cosi dicci, di sotto ni cavo
ji,. l'alto avello un ginn lubrico serpe
I .. ... placidamente; o ietto volto
fon «etto giri al tumulo s'avvolse.
Indi, strisciando infrit gli altari e i vasi,
le vivande lambendo, in dolco guisa.
Con le cerulee suo squamose terga
Seii B'" divincolando, o quasi un'lri
^ sole avvedo, scintillò d'intorno .
jlillo vari color di lue» «"d'oro,
gtnj.issi Knea di cotal rista; c lingue
PI lung" tratto infra le mense o l'are,
Ond'ern uscito aitili si ricondusse.
Binovello gì' incominciati onori
Il frigio duco, del sorpento incerto,
S« del loco era il gonio, o pur del padre
Sergente o mosso. K com'era uso mitico,
Cinque pecore elotto e cinque porci.
Con cinque di morello il tergo aspersi
Orassi giovenchi ami a la tomba occiso,
Nuove ta/70 versando, e nnovanionto
yin d'Acheronte richiamando il nomo
g l'anima d'Anchiso. Indi i compagni,
Ciascun secondo la sua possa offrendo,
183-100]
orni i.'rraiDK. [113 1
Lieti <-f>lmftr di «Ioni i santi altari:
Altri di lor lo » it : fi».- iminolara.
Altri cibi no fóro; e tutti insieme
Sul verde prato a corivivar ai dioro.
Era già '1 nono destinato giorno
Scrono o lioto a l'orfontc apparso,
K gii! In vaga fama e '1 chiaro nomo
Avea d'Acestd convocati intorno
1 vicin tutti, e pieni erano i liti
Di gente, cui traea parto vaghezza
Pi vedoro i Troiani, e parto ardire
Di provarsi con loro. In prima esposti
Con pompa riguardevole o solenne
Furo in mozzo del circo armi indorate,
Purpureo vesti, e tripodi e corone,
K più guise d'aruosi e di monote
D'argento e d'oro, e paline ed altri prò
Di vincitori. Indi sonora tromba
D'alto dio segno ai desiati ludi,
E dal mar coininciossi. Avean di tutta
La teucra armata quattro legni scolti
Più di remi e di remigi guarniti,
E di tutti più destri. Un fu la Pistri,
E Memmo la regea: Memmo che poi
L'Italo fu nomato, e diede il nome
[100-117]
[170-194] libro r. -ul
\ la stirpe dò' Menimi. La Chimera
fa l'altro, a cui preposto era il gran Ci i.
Un gran vascello che a tre palchi ave j
|ii>pusti i remi: e i remiganti tulli
Kran troiani o giovini e robusti.
Fu'l gran Centauro iUcr/.o;ui quost'era
' Sorgeste il capo, che a la Sergia prole
Diede priucipio. L'ultimo la Scilla
Guidata da C'Ioauto, onde i Chianti
Trasser uomo o legnagffio. È luuge incontra
X la spumosa riva un buco scoglio
Clic, da' flutti percosso, è talor tutto
Inondato o sommerso. Il verno i vooti
Vi tcndon sopra nn nubiloso ve|o
Che ricuopro lo stelle, e quando è il tempo
Tranquillo, ha no l'asciutto una pianura
Ch'i) di marini ucccgli aprica stanza.
Qui d'uu eleo frondoso il segno poso
Il padro Euca, fin dovo il corso avanti
Stender pria si dovesso, e poi dar volta.
Indi, sortiti i lochi, a) suo ciascuno
Si pòse in fila. I capitani in poppa,
Addobbati di bisso e d'ostro e d'oro,
Bisplondcan di lontano; o gli altri tutto
U'uua livrea di pioppo incoronati,
1117-134J
202 L'tntpm. [105-21J5j
Stavnno con le torgn ipeiudi ed unti.
Ri che tri» l'olio è '1 sol lumiere e spcechjB
Pnrean du luugc. E giù no' bnnclii astrisi J
Teso H'roini lo braccia, al siimi 1 "iccchìaJ
Aspettavano il segno. I cori intanto
Palpitando movoa disio d'onore,
K timor di vergogna. Avea la tromba
Squillato appena, che in un tempo i roml I
Si tuffir tutti, e tutti i legni Insiemi
Si spicc4r da le mosse. 1 gridi al cielo
N'niidùr do' marinari. Il mar di schiuma j
S'asperse intorno, e'n quat tro solchi eguali
Fu con molto stridur da' rostri aperto
E da' rumi stracciato. Ijupoto pari
Non fer nel circo mai bighe e qtrndi igho ,
Da lu carceri uscendo, allor eh' a sciolto
Ed ondeggianti rodine gli aunghi
Ai volanti destrior sferzali lo terga.
Lo grida, il plauso, il fremito o le voci, 1
In favore or di questi ed or di quelli,
Tra i curvi liti avvolto, c da le selve
E da' colli riprese o riporcosse,
Faccun l'aria intonar fino a le stelle.
Nel primo uscire, il priin» avanti a tutti
Si vide (iia, ìnontio la gente fremo;
[133-152J
[230-844] libro r. S!Ui»
E ilopo lui Cloanto, cho do' remi
Migliore assai, per la gravezza indietro
liimanca del suo legno. Indi del pari,
,|i ]infO infra loro .nei» contesa
jl Centauro e la Pistri: o quando questa.
Quando quello era avanti, o quando eu trambi
Or le fronti avean giunte od or le code.
Eran del sasso già presso a la meta.
E di buon tratto vincitore avanti
Già se ne già; quand' ci »òn vido in alto
D» la ripa più lunge: onde rivolto
Al suo nocchiero: E dote, disse, andrai
j[t.nt te? AtHenli al lito o radi il sasso :%
Vadano gli altri In alto. El tuttavia
n'urtar temendo. In pelago si miso;
E Già di nuovo: In qua, Mcnote, al sasso.
Al sasso, a la sinistra, a la sinistra.
Picea gridando: e vòlto indietro vido
Ch'avca Cloanto addosso. Era Cloauto
Gii tra lo scoglio e la Chimera ontrato,
Y vin radendo la sinistra riva,
Tenne giro si breve e si propinquo,
Cho lui tosto c la mota anco varcando.
Si vide avanti il mare ampio o sicuro.
Grand1 ira, gran dolore c gran vergola
1152-172]
go4 i^tmm>«. [2t.")-200|
No sont) 'I fioro giovine: n piangendo
Di stizza, o non mirando il «lo decoro, |
Né che Menotc del suo legno seco . M
Fosse guida e saluto, in mezzo il preso, M
E da la poppa in mar lunge avvcntollo. |
Poscia, ci nocchiero e capitano insieme, I
Più di piglio al timone, e rincorando
1 suoi compagni, al sasso lo rivolse.
Mvnutu, che di veste era gravato,
E ria più d'anni, infino a l'imo fondo
Ricevè '1 tulio; o risorgendo a pena
Iiampicossi a lo scoglio, e si com'era
Molle v guazzoso, de li rupe in cima
Qual bagnato mastino al sol si scosso.
Rise tutta la gente al suo cadere;
Rise al notare; e più rise anco allora
Ch'n flutti vomitar gli vide il mare. J
Mommo intanto «• Serge>to. ••«.: del pari
Erano addietro, parimonto accesi
Su l'indugio di Già prcscr baldanza,
Sergcsto in vèr lo s 1 i " ai. -a 1 vantaggio
Del primo loco: ma non tutto ancora
Era il suo legno avanti, che la l'istri
Premoa col rostro del Centauro il fiauco.
E Menniio confortando i suoi compagni
| j70-20t| LIBRO V. 203
i 'n su e 'n tri fi per la corsia gridando:
Via! fratelli, dicea, ria! degni alunni
Ii'Kttorre invitto, via! compagni elotti
Al grand' uopo di Troia; Ora ù mestioro
l>i>' remi, do le forze o del coraggio,
Ch'a le Sirti, a Cai iddi, a la'Malea
Mostraste già. Non piti vincer contendo.
Che pur dovrei, se pur Mommo boii io:
Vinca cui ciò da te, Nettuno, ò dato.
fin eh' ultimi arriviamo, ah non, fratelli,
Questa vergogna:** ciò vincasi almeno,
Che di tanto rossor tinti non siamo.
A cotal dir tutti insorgendo, a gara
Stesor le braccia, ed innarcaro I dorsi,
E fcr per avanzarsi estremo sforzo.
Tremava ai colpi il bon ferrato legno;
poggia di sotto il mare; ansando i romigi
Aprimi l'asciutto bocche: o sposso i Amichi
Battendo, a grondo di gudor colavano.
Ih. lor fortuna il desiato onore;
Chò, mentre furióso oltro si spinga
Sergosto, e con la prora arditamente
Kade la ripa, ebbe il meschino intoppo,
Uitando de lo scoglio in mia roccia
Che nel mar si sporgea. Schcggiossi il sasso,
1189-205J
4 »
*t
200 VimiDK. [205-8H
' Fiaccarsi i remi, si scosceso il rostro; »
E fon luto pendente o scossa tutta
Trcniò In nave, e scompigliossi, e stette
1 remiganti attoniti, con gridi.
Con ferrato aste, con tridenti e pali
Starali piugeudo o puntellando il Ugno,
K ripescando i remi, lutnnto allegro, '
K del successo coraggioso o baldo
Mummo ratto s'avanza, e vinco il sasso:
E via vogando ed invocaudo i venti
Fendo a la cliiua ed a l'aperto il mare, j
Quul d'una grotta, ov'nggia i dolci (Ig
E '1 caro nido, spaventata in prima
Da subito schiamazzo esco rombando, ^
Ed arrostando una colomba a l'aura,
Clio poi giunta ne' campi a l'ner quoto
^lietamente per via diitta o sicura
Sùn va con l'ali Immobili o veloci;
Cosi la Pistri pria travolta o vaga
\enia da sozzo; indi nftllata e strutta ,
Passò prima Sorgesto che nel sasso,
Como da vischio rattenuta augello
E spennacchiato, i suoi spezzati romi
Dibattendo, chiedoa soccorso invano;
Poscia spingendo, la Chimera aggiunse
[20&-223J
[3-.-0-844J unto v. 201
i trapassolla, chè la sua gran molo
: '1 perduto nocchie* la f . » più tarila.
Sol restava Cloauto: e verso lui
Affilandosi, al Un quasi tei corso
Con ogni sforzo il segue, e pia l'incalza.
Levossi al ciclo un'altra volta il grido
jlel favor che facea la gente tutta,
]', - r ■ • 1 > ■ • > secondi divenisse!- primi.
Quolli cacci» lo sdegno e la vergogni,
p-, non tenero, il conseguito onoro,
Che la gloria antepongono n la vita;
Questi il successo inanima e la speme
pi ciò poter: poi ch'altrui par elio possmio.
S'cran già presso, o, pareggiati i rostri.
Del pari i premii avrian forse ottenuti ;
Se noli ch'amile le mani al cielo alzando,
Cotal fece agli Del Cloanto un voto:
Santi numi del pelago ch'io corro,
So 'l corso agevolato al legno mio,
Nel medesimo lito un bianco toro
Lieto consacrorovvi, e do l'opimo
Suo viscere, e di vili limpido o puro
L'arena spargerovvi o l'ondo salso.
Furon da l'imo fondo i preghi uditi
Del huon Cloanto da la schiera tutta
[224-289J
2Q8 l' kxkidk. 1345-oB
Do lo nìnfo di Nereo e di Forco,
E di 1» Panopèa vorgino intatta;
E 'I gran padre Portuno di su» mano J
Oli spinso il legno; unde,i|iml untoostr^
Lancio»*! a terra, e si scagliò nel porto.
11 padre Enoa (com'è costumo) avantt
Convocati a se tutti, a,suon di trombai
Dichiarò vincitor Cloanto il primo,
E le tempio di lauro incoronigli.
Poscia a ciascuna de lo navi in dono
liiè tri' grassi gicivonelii. e tre giand'un]
Ili prezioso vino, c di contanti
Un gran talento. Une. di maggior doni ,
1 primi condottieri. Al vincitoro
Presentò di broccato un ricco arno», J
Clio d'ostro a groppi sopra l'oro ave» J
Doppio un lavoro di ricamo o d'aco.
Nel mezzo entro al frondoso bosco Id
Un rcal giovinetto ora tessuto.
Ch'anelo o Aero con un dardo in manoJ
Segui» per la foresta i cervi in cacci»»
E poco indi lontano un'altra volta
Era il medesmo da l'ucccl di liiovo
Rapito in alto; o i suoi vecchi custod
E i (idi Mai lo miravan sotto,
[240-25G]
[370-894] unno t. _20»
Qur^li indarno lo mani ni ciclo alzando,
£ i|iii'8ti il muso, «d abbaiando a l'aura.
A l'altro poi, che. por valore il piimo,
fu per sorto socoudo, In promio diodo
v pcr ornamento e per difesa in armo
Una lorica ebo d'antica maglia
j Jj lucente o rinterrato acciaro,
pi massiccio oro avoa le flbio e gli orli.
Questa di Simoenta in su la rifa
gotte l'nlto Ilio, o di soa propria mauo
Tolse al vinto Demolecfi» al gravo,
Cho da Kegco e da Sigari, due forti
E robusti sergenti, ivi condotta
jra stata a gran pena: o pur in dosso
L'area Domoleo il di cho combattendo
Mise in lineili» riviera i Teneri in volta.
I terzi doni due gran nappi fòro
Di forbite metallo, o duo gran coppo,
pi puro argonto figurate intorno
Con mirabile intaglio. E già donati,
E de' lor doni altieri e fosteggianti
Se ne gian tutti di purpureo bendo
Lo tempio avvinti, o di lentischio adorni:
Quando ecco da lo scoglio con grand' arto
jj C0I, molte fatica appena svelto
CABO.-U- I257-270J
210 à/ aurina. 1395-4
Sei-gesto, eoi suo legno infranto o iiionc
K tarpato du' remi, in vèr'la terra
50 no venia disonorato o mesto.
Com'anguc suol, eh 'o sia da ruota o,>pi«
Tra la ripu c 'I sentiero, o sia di sasso
Dui viator percosso o di randello,
Procacciando fuggir, con lunghe spire
S'arrosta indarno, e inalberato e lluro
Dal manzo in suso arde negli occhi e fisca
E d'altra parto dilombato e tardo
Dehilmcntc guizzando, in sò medestno
51 ripioga, s'attorco e si raggruppa;
Cosi co' remi la fiaccata nave
Se ne già lenta, e con lo velo a volo,
Oh' a pieno vele al fino in porto aggiunti
Kd a Sergcsto anco i suoi doni assegni
11 padre Enea, di ricovrar contonto
11 suo buon logno o i suoi (idi compagni,
E furo i doni una cretoso ancella,
Fèloo di nome, o di tolaro e d'aco
Maestra esperta 0 da Minerva instrutta.
Giovino e bella, e con duo figli al petto.
Questo primo spottacolo compito,
Enea per gli altri una pianura elegga
Che di teatro in guisa d' ngu'iutoruo
[27I-288J
[420 444] libro v. 211
jjn solvo e colli, od un gran circo armiti,
Oro in un palco alteramente cstnitto
fr:, molti mila colloco»! in mezzo.
quì prima ni corso i corridori invita
fon preziosi premii. e i premi! capono :
E de' Teucri o do' Sicoli mostrarsi *
I più famosi. Apprescntossi in prima
Eurlalv con Niso. Un giovinetto
pi singolnr bellezza Kurlalo era;
■a }}jso un di liii fido o rasi . amante,
popò questi DiòroTEra. costui
pcl legnaggio di Priamo un rampollo.
Glorino gonorosoj o Salio o Patro
Tennero appresso; d'Ammaina l'uno,
P' Arcadia l'altro o del togòo paoso:
E due Siciliani, Elimo e Pànope,
Ambvduo cacciatori, ambi seguaci
Pel rocchio Accsto; o oon quosti, altri assai
P' oscura nominanza. A cui nel mozzo
Stando il (tran padre Enea, cosi ragiona :
Nissun da me di questa schiera eletta
Andrà senza mio' doni, e parimente
Una coppia di dardi avrà ciascuno
Di rilucente acciaro, od una d'oro
E d'aleuto commosso a l'arabesca
[288-307]
212 I.' EXEIIIE.- [4-15-441
Non piti vista bipenne. I principali
Tre vincitori i primi progi ««ranno, «
E flan tutti d'oliva incoronati.
E °1 primiero do'tre d'un buon destriero!
Sarà provisto ben guarnito o bollo.
L'altro avràtd'iin'Ainazono un turcasso
Pien di tracio saotto, e un arco d'osso, <
Ed un bel cinto, a cui sono ambi apposij
C'han di gemme il fermaglio o d'or la DM
11 terzo d'un'argolica colata
50 ne vada contento: o sarà questa.
Ciò dotto, c presi i luoghi, o 'I segno iti
S' avventar da la sbarra: e quasi un nomi
L'un da l'altro dispersi, insieino tutti >
Toblr, mirando al fino. Il primo avanti
51 tingffo Xiso, e di irran lunga avanti;
Chù va di vento o di saotta in guisa.
Prossimo a lui, ma prossimo d'un tratto
Molto lontano, è Salio. A Salio, Eurialo;
EurTulo ha di poco Èlimo nddiotro;
Ad Èlimo Diòro appresso tanto
Clio già sopra gli anela e già l' incalza;
E se '1 corso durava, anco l'arebba
0 provenuto o pareggiato almeno.
Erau presso n la mota, ed orali lussi,
I 308-8271
[470-494] libro T. 213
Quando ne l'erba, pria di sanguo intrisa
Degli acciai g uvenchi, il pie formando
Sinistramente o sdrucciolando a terra
Cadde Niso infelice, o t Tolto impresse
jìol sacro loto, si che gramo e sozzo
fco surso poi. Ma del suo amore intanto
Non obliosBi; chò sorprendo, intoppo
gì fece a Salio: onde con esso avvolto
Stramazzò no l'arena: o mentre ei giacquo
Eurtalo del danno e del favore
S'avanzò de Tamifo, e du le grida.
Con che dicrlo genti animo o forza:
Ond' ei fu '1 primo, ed felimo il secondo;
Piòro il terzo. E tal fino ebbe il corso.
Ma di rumor se n'empie e di tenzono
11 circo tutto: e Salio anzi al cospetto
Do' giudici o do' padri or si protesta.
Or detesta, or esclama: e del tradito
Suo valor si rammarca, o ragion chiede.
In difesa d' Eurfalo, a rincontro,
È '1 favor de la gente, o quol docoro
Suo dolce Ingriuinre, e quell'invitta
Forza c'ha la vortìi con beltà mista.
Grida Diòro anch' egli, o lui sovviene,
E sò stesso difeude, poi ch'il terzo
1.328-347]
gjl l' rotini. [495-6
Esser non può quando sja Sullo il pria»)
Knou cosi decise: Aggiato voi,
flouorosi garzoni, i pregi vostri;
E nulla in ciò de 1" ordino si muti: |
Cli' io sopplirò con dJgna ammenda al ci
Orni' ha fortuna indegnamente afflitto
1,'amico mio. Ciò detto, una gran pelle
I'roscnta a Salio d'un leon sellilo,
O'Iia il tergo irto di volli e l'unghie d'<
E qui Niso: 0 signor, disso. di tanto
Guiderdonate i perditori, o tale
Di chi cado piota vi prende: ed io
Di piota non son degno nò di pregio,
Io cho son di fortuna a Salio eguale,
E di valoro a tutti gli altri avanti?
E ciò dicendo, sanguinoso il volto
E livido mostrossi e lordo tutto.
Riso il Imon padre Enea, poscia un prog
E degno scudo, eh' a lo porto appeso
Era già di Nettuno, ed ci riscosso
1,'avea da'tìreci, con mirahil arte
Dal saggio Didimàono construtto.
Venir tosto si foco, o Kiso aruionno.
Finiti i corsi 0 dispensati i doui.
Or, disso Euea, qual sia cho vaglia od
[347-3GUJ
[520-644] libro t. 215
pi forza o d'ardimento, ni co«to imito.
Cliinii'l"» accetta, col tuo braccio in alto
Si mostri accinto. K. ciò diccud<i, in im/./.o
propoli duo pregi: al v(ncitor un toro
jii |„ lido il tergo adorno c d'or lo corna;
ITn elmo ed un cimiero od una spada
Por conforto del vintB. Incontincnto
Uscio Darete podoroso in campo,
jj con gran plauso si mostrò del volgo.
Era Darete un. elio, di forze estremo,
fu solo ardito a star con Pari a froiito,
E elio a la tomba del famoso Kttorro
In su l'arena il gran Boto distoso:
E fu Muto un attata. anzi un colosso
pi corp0 immane, che in Bebrizia nato,
P'Xniico si vantava esser disceso.
Por tal da tutti avuto o tal comparso
In su la lizza, altero ed orgoglioso
Squassò la test*: e, i grandi omori ignudo,
Le muscolose braccia e M corpo tutto
Brandi più volto, e nionò colpi a l'aura.
Ccrcossi un pari a lui, uè fu tra tanti
Chi rispondesse o elio di costo armato
S'apprcsentasse. Ond'oi lieto o sicuro,
Como d'ogni tenzon libero fosso,
laoa-osuj
8,0 l'ìxkidk. I545-&W
Al toro avvicinossi, c il destro corno
Con la sinistra sua gli prese e disse:
Signor, poiché non è chi meco ardisca
Di stare a pruova. a elio più bado? e quanj
Badar più doggioV Ordì' che 'I piegio ò m
Porch'io meco l'adduca. A ciò fremendo
Assentirono i Toucri; o già co- gridi
Do l'onor lo faccan degno o del dono; -
Ijnando verso d'Entello il vecchio Ace*t<
SI come gli era in un cespuglio a canto,
Si volse e rampognando : Ah ! disse, finteli
Tu soi pur fra gli croi do' nostri tempi
11 più noto e il più forte; o conio soffri
Ch'un si gradito pregio or ti si tolga
Senza contesa? Adunque è stato invano
Fin qui da noi rammemorato e cólto
Erico, iu ciò nostro maostro e dio?
Ov'ò la fama tua che ancor si spaudo
Per la Trinacria tutta? Ove son tante
Appose ai palchi tuo famoso spoglie? j
Risposo Entello: Nò disio d'onoro.
No vaghezza di gloria uuquu, signoro,
Mi lasciar mai nò mai viltà mi prese:
Mi» l' incarco dcitli anni, il fn-ddo -saugu»,
E la scornata mia destrezza e forza
[3Sl-a'J0J
pTO-BM] limo
jli ritraggono a dietro. Io qoando avessi
0 meu quei giorni, o non meo quel vigore,
ODile costui di so tanto presume.
Già per diletto mio soao alle mani
Sarei venuto, e non dal premio indotto.
Che premio non no chero. E -pur qui sono,
pisse, o sorgendo, due gran cesti e gravi
(jitti nel campo, o quelli stessi, ond'era
Solito a le suo pugno Erico armarsi.
Stupir tutti a quell'anni elio di setto
Dorsi di setto busi, di grave piombo
E di rigido ferro eran conserti.
Stupì Darèto in prima, e ricusolle
A viso aporto, ónde d' Anchiso il figlio
Lo preso avanti, e i lor volumi o '1 pondo
Stava mirando, quando il vecchio Entello
Osi soggiunso: Or elio dirla costui
Se visto avosso i costi e l'armi stosso
D'Ercole invitto, e l'infelico pugna.
Ondo in su questo lito Èrico cadde?
D'Erico tuo fratello eran quest'armi;
Tedi elio son ancor di sanguo infette
E d'umano cervella. 11 grande Alcide
Con queste Èrico assalso: e con quest'io
M'esscrcitai, mentre le fono o gli anni
13D0-415J
gl8 L'rsr.ini!. • GI8J
Eran più verdi e nuli canati i crini.
Ma posria che Darete or lo lìGutn,
Su piace a te, «e mèi consente Acosta j
Por cui son qui, di ciò, Troiano ardito,. I
Non to' elio ti sgomenti, lo mi rimetto, 1
E cedo a questo, e tu cedi a le tue, • j
Combattiam con altr'armi, e slam del par|
Cosi detto, spogliossi; e si com'era
Do le braccia, degli omeri o del collo
Edi tutte lo membra o d'ossa immane,
Quasi un pilastro in su l'arona stolta.
Allor Enea foco duo cesti addurre
P' ugual poso e grandezza; ed cgiialmon
No furo armati. In prima in su le punta
Da' pfe pun contra l'altro si levaro:
Brandir le braccia; ritirarsi in dietro
Con lo teste alte: in guardia si posare
Or questi or quelli: alfine ambi ristretti I
Miscliiùr le mani, ed a ferir si diero. . J
Era giovino l'uno, agilo o destro
In su le gambe; ora monibruto e vasto |
L'altro: ma (lacco in sn'ginoccbi e lenta
E per lentezza (il flato ansio sentendo jj
Le gravi membra e l' affannata lena)
Palpitando anelava. In molte guisa
I415-133|
[G20-644] ubko t.
In rati pria si tontaro, c molte mito
S'avvisar, s' accennare e B'iuvostiro.
A le piene percosse un suon a' lidia
Pu'oavi (lancili, un i intonar di putti,
Un crosciar di mascella orrendo e fiero.
Cadean lo pugna a noinbi, o vèr le tempio
jliravau la pili parte: e s'oran voto.
Bombi facoan por l'aria e fischi o vento.
Stava Entello fondato: o quasi immuto,
Poco de la persona, assai degli occhi
gi valoa per suo schermi). A cui Datelo
Girava intorno, qual ehi ròcca oppugna.
Quantunque indarno, oho por ogni via
Con ogni arte la stringo o la combatto.
Alzò la destra Entello, ed in uu colpo
Tutto s'abbandonò contra Daròto;
Ed ei, elio lo previde, accorto o presto
Con un salto schivollo; ondo no l'aura
Percosso a vóto, o dal suo pondo stesso
E da l' impeto tratto a terra cadde.
Talo un alto, ramoso, antico pino
Carco de' gravi suoi pomi si svelle
IV un cavo greppo, e con la sua ruiua
D'Ida una parto o d'Erimanto ingombra.
Allor gridò, gioì, tornò la gento,
1433-4Ó0J
g20 i" umidi. pr>l"> 669]
SI coni' crnn dc'Sicoli 0 do' Teneri
Gli animi o i voti ai due coinp.ignijiffntttj
Lo grida al ciol ne giro. Acostc il ]>i imo ì
Corse per sollovare il vecchio amico; M
Ma né dal caso ritardato Entello,
Nò da tóma sorpreso, in un baleno • |
liisiirse e più spedito e più foroco: 1
Cliè l'ira, la vorgogna e la memoria
Del passato valor forza gli accrebbo.
Tornò sopra a Pai ite, e per lo campo
Tutto a forza di colpi orrondi e spessi
Lo miso in volta, or con la destra in alto
Or con la manca, Bcnza posa mai
Dargli, nè spazio di fuggirlo almeno.
Non con si folta grandine percuoto
Oscuro nembo do' villaggi i tetti, :t
Como con infiniti colpi e fieri
Sopra Darete rivorsossi Entello.
Allor il padre Enea, l'un ritogliendo
Da maggior ira, o l'altro da stanche»» I
E da poriglio, ontrò nel mezzo; e prima j
Fermato Entello, a consolar Darete
Si rivolse dicendo: E cho follia
Ti spinge a ciò? non vedi a cui contrasti?
Non senti e le suo forze e i numi avverili)
[450 -4.0K]
|f,70-«M] LIMO T. 221
Cedi a Dio, cedi : e, cosi dotto, imposo
fine a l'assalto. I suoi lidi compagni
Cosi com'era afflitto, infranto o lasso.
Cui cip" spenzolato, e eon la bocca
Che sangue insicnio \.. mit.ua e denti,
lo portaro a lo navi;.© fu lor" dato
L'elmo, il cimiero o la promessa spada.
Rimase al vincitor lo palma e '1 toro,
pi elio lieto e superbo: 0 ilo la !>oa,
plssc. famoso. Aglio, o roi Troiani,
Quinci vodctoquarno'mlei veni' anni
Fu la mia possa, e da qoal morte aggiato
liberato Darete. E, ciò dicendo,
Recossi anzi al gìurenco, e '1 duro costo
Gli vibrò fra lo corna. Al fiero colpo
S'aperse il tMOhlO, si schiacciaron l'ossa.
Schizzo 'lccrvollo: e'I bue tremante e chino
Si scosso, barcollò, morto cadè.
Ed oi soggiunse: Erico, a to quest'alma
Più degna di morire offriseo in voce
pi quella di Darèto, e vinoitoro
Qui '1 cesto appendo, o qui l'arto riponga
Immantinonto Enea l'altra contesa
Propoli do l'arco, e i suoi premii dichiara.
Ma l' ulboro condur pria do la navo
(467-487]
222 l' BifEiD». f GA5-7
Fi» "11 Sorgesto, o no l'arena il pianta:
Borri unii fimo, o no 1» fimo Apponile
Una vira colomhn, o per bersaglio
La pon do lo saetto e dogli furieri, "il
Forsi i più chiari avanti, o i nomi loro
Del fondo si caviir d'un olmo fi sorte.»
Uscio primiero Ippocoonte, il figlio '
D'Irtaco goneroso, a cui con lieto
Grido 1» gente applauso. A lui soconflo
Fu Mommo, clic pur dianzi il pregio ottetti
Del naval corso: o Mommo, si com'era.
Di vord» oliva Incoronato npparro.
Apparve Boriilo il terzo; ed era «.uosti
Minor, ma ben di te degno fi Otello,
l'àndaro glorioso, che de' Teucri
Rompesti I patti, o saettasti in mezzo
A l'oste greca il gran campione argiro. ,
Ultimo si restò de l'elmo in fondo
Il rocchio Accste. che si vecchio anch'ij
Ardi di porsi a giovonil contrasto.
Tesoro gli archi e tiassor lo qnadrell»
Da le farotre. A tutti gli altri avanti
D'irtnco il figlio a saettaro accinto
Col suon del norvo o del pennuto strai»
L'aura percosse e si dritto feudella
|4o7-508J
[7 JO-T44] libro r. 223
Clio l'albero investi. Tremonno il legno,
Spaventassi l'augello; o d'nltc grida
Risonò il campo o In rivieni tu t i.
Jli'innioviendnpo.eponla mira. e se • va:
E'I misero .fra' piò colpisce appunto
|u su la corda, e no recide il nodo.
J,ibern la colomba a volo nl/ossi,
j; por lo ciel veloce a fuggir diesai.
Eurizio allor, ch'aron già l'an'n teso
£ la coiva in. sul nervo, al suo fratello
Votossi, e trasse: o" ne le nubi stesso
(SI conio lieta so ne gir» e sciolta)
La feri si che con lo strale a terra
Cadilo trafitta, e lasciò l'alma in cielo.
Sol vi restava Acesto, a cui la palina
Era gin tolta: ond'ei scoccò ne l'alto
Lo stralo a vóto e la destrezza o l' ai te
Mostrò nel gesto o nel sonar de l'arco.
Quinci subitamente un mostro apparve
Di meraviglia 0 di portento orrendo;
Come si vide, e conio interpretato
Fn poi da formidabili indovini.
Chi la saottn in su le nubi accesa
Quinto volò, tanto di fiamma un solco
Si trasse dietro, infili ch'ella nel foco,
I504-52C]
£21 L'ESKIDK. [71Ó-769J
E 'I foco in aura dileguossi o sparvo.
Tal sovente dal ciol divelta cado
Notturna stella, e trascorrendo lascia
Dopo sé lungo e luminoso il crino.
A questo augurio attoniti i Sicani '
E i Teneri tutti, uinllemcnte a terra *
dittarsi, ed agli dii paco chiederò.
Solo Enea por sinistro o per infausto
Non l'ebbe: o'I vecchio Acosto, che gioivi
Era di ciò. gioiosamente accolso,
E molti doni apprescntògli, e disse:
Prendi, padro, da me questi che scorri
Dagli altri onori a te destina il ciclo
Con questi auspicii.eqnosta coppa in prim
Un de' più cari a me patemi arredi,
E caro e prezioso al padro mio,
E per l'intaglio, e per la riiuomhrania
Dol buon re Cisso, che fra gli altri doni
Questo in Tracia gli diò pegno e ricordo
De l'amor suo. Cosi dicendo, il fronto
Gli ornò di Tordo alloro, e dichiarullo
Vincitor primo. Né di ciò sentissi
Il buon Eurizlo offeso, ancor eh' ei solo
Eosse de la colomba il feritore
Di lui fu poscia il guidcnlon secoudo.
[627-542J
1770-79-!] unito r. 225
Chi recise la corda ottenne il terzo:
K l'ultim'obbo chi confisse il legno.
Non ora ancor questa contesa al fine,
quando in disparte Epltido chiamando
I n che di lulo ora custode c guida.
Va', gli disse a l'orecchiò, o to' elio Ascanio
Si spinga aranti, se le schiero in punto
Ila de' fanciulli, e ch'armeggiando onori
La memoria do l'avo. Impono intanto
Clic la gonto s'apparti, o il circo tutto
Quanto ò largo si «gombri e quant'ù lungo.
Già si mettono in vis; già nel cospetto
Tengon de' padri i pargoletti croi
gii frenati dcstifor lucenti e vaghi.
Solo a veder gli abbigliamenti e i gesti.
No sta di Troia o di Sicilia il volgo
Meraviglioso, e ne gioisce e fremo.
Parte ha di lor una ghirlanda in tosta,
E sotto accolto o raccorciato il crine:
Parte ha l' arco o '1 turcasso, e d'oro un fregio
Cho da le spallo attraversando il petto
Sin va di serpo attorcigliato in guisa.
Erau tutti in tro schiero; avean tre duri,
E ciascun duce conducca di loro
Tre volto quattro, e 'n tre luoghi spartiti,
Caso. -15. 1543-5C2J
225 t' KffttT». [705-8
Facean pomposa od ordinata mostra.
I/una do lo tro schiero avea por capo
Prianfo novello, di Polito 11 figlio.
E di cui nomo avoa nipoto illustro,
Grand' acquisto d'Italia. 11 suo destri»»
Era nato di Tracia d'un mantollo * jf
Vario, balzdn d'un piò, stellato in front»
Ati fu l'altro, onde i Latini limi dutoB
Nome a l'Attla famiglia: uu r.iu-iul caro i
Al garzonctto lulo. Iulo il torio,
Ma di bellezza e di valore il primo,
Cavalcava un corsler clic sortano
Era di razza, e do la bella Dido
L'avoa por un ricordo o per un pegno
Do l'amor suo. Gli altri fanciulli tutti
Eran d'Accsto in su' cavalli assisi.
Con gran letiziacrou gran plauso (Tenerti
Gli ricover, corno che timidotti
Fossero in prima, o le sembiante in loro
Avvisaro o '1 valor de'padri stessi.
Poscia cho passeggiando al circo intoni
Girarsi in lenta o graziosa mostra.
Si disposoro al corso; o mentre accolti
So ne stavano a ciò schierati in fila
Pai' un do' capi, Epltide da l'altro
[502-570J
[S20-844] libro v. 227
piò lor col suon do la su» sfora» il conno,
(àrsero . tro por tre, pari e disgiunti
j/una schiera dn l'ultra, o rivole ndo
l\.in.ìr di durdi c di saetto armati.
Indi a cacciarsi, a rincontrarsi, a porsi
In vai io assiso, ad uno, ad uno, a molti,
£ tutti insieme, a far volte, rivolte,
E giri o mischie in più modi si dicrn:
Or fuggendo, or seguendo: or come infesti,
Or come amici. In quanto guise a zuffa
Si viene in campo* in quanto si discorra
IV r le molto intricato e cieche strado
pel labirinto cho si dico in Creta
Esser construtto; in tanto s'agglraro,
Si confusero insieme, o si spartirò
Po' Teucri i Agli: e tali anco I delfini
Per l'IBnio scherzando o per l' Egeo
Fan giravolte e scorribande e tresche
Questi tornTamcnti o queste giostro
Rinovò poscia Ascanio, allor ch'ercsso
Alba la lunga; approsongli i Latini;
Gli mantennor gli Albani; o d'Alba a Roma
Knr trasportati, e vi son oggi; e conio
E J'nso e Roma o i giuochi derivati
-'oli da Troiani, hanno or di Troia il nomo.
[579-602)
228 L* KMK1DK. [?4'i-8W
Questi t'unì fliio a qui ilei santo vocchio
Celebrati al sepolcro ouori o ludi,
Allor cho 1« fortuna ni Teucri infida
Un nuoro storpio Agi' infelici ordio: «
Che mentre orano in ciò parte occupatLl
E tutti intesi, la saturnia Giulio . 3
Da l'antico odio spinta, o de'lor danni 1
Non ancor sazia, Iri coi venti in prima
Venir si foce; o poiché instrutta l'cbba
Si ciò eh' or' uopo, n la troiana annata
Le commise ch'andasse Ella veloce
Infra mille suoi lucidi colori
Occulta ed invisibile calossi.
Vide sul lito uua gran gente accolta
Da l'un de' lati; il porto abbandonato
Da l'altro, o vóti e senza guardin i legnL
Vide poi elio dagli uomini in disparto
Stavan lo donno d'Ilio, il morto Anchis»
Piangendo anch'esse; enu' h» pianti il mari
Mirando, Oh. dicoan tutte, ancor di tu
E con tanti perigli o tanti affanni
Ne resta a navigarlo, e siam già vinto
Da la stanchezza! in ciò desio mostraud
Di ricetto e di posa, o téma o tedio
Di rimbarcarsi. Ella, che a nuocor luogo
LC08-C18J
[970-804] libro v. 220
K (ompo vide accommodato ed atto,
pcposto do la Dea l'abito e '1 volto,
Tra lor si mise, e Bórdo si fece:
Vii» vecchia d'aspotto e d'anni grave,
Cho del tracio Doriclo ora già moglie,
pi famiglia, di nomo • di flgllunli
ìlatruna illustre, e tal sembrando disso:
0 mescliinello, a cui per man do'Groci
Non fu sutto Ilio di morir coucosso.
Gente infelice, a clic strazio, a elio scempio
Ij» fortuna vi serba! Ecco gii volgo
Il settim'anno, da elio Troia caddo.
l'ho'l mar, la terra, il clol.gli uomini, i sassi
Avete incontro; o pur Lazio segnito
Che vi fugge davanti? Or che vi toglio
pi uni fermarvi? Non fur questi liti
p'un già frate d'Enea? Non son d' Acosto
Ospite nostro? E perchè qui non s'orgo
La città elio dal ciol no si dostina?
0 patria! o da' nemici invan ritolti
Santi numi Fenati! invano ndunquo
Aspottorcm de la novella Troia
Le desiate mura? e non Ha mai
Che più Xanto veggiamo o Simocnta?
gii figlie, mauo al fuco, o queste infausto
L018-C35J
280 '■' RKRio». [R95-91M
Navi ardete con me. eli' io da fnssandn n
Di cosi far soli ammonita in sogno.
Ella con un'ardonto fuco in mano
Questa uotto m'apparve, e m'eri avvisa 1
P'essor, coni' or son, vosco, e eh' din voltai
Vèr noi, prendete no dicosso, o Troia * 1
Cercato qui; clic qui posar T*è dato.
Orquestaò nostra patria, e questo ò'I tempo
Di compir l'opra cho '1 prodigio accenna, <
Più non s'indugi. Ecco, Nettuno stesso
Con questi quattro a lui sacrati altari
No da l'occasKon, l'animo o '1 foco.
Ciódisse: ed ella in prima un tizzo ardenti
Kapl da l'are; o '1 braccio alto vibrando
Via più l'accese, e vèr le navi il trasse.
Confuso no rostaro o stupefatte
Le donne d'Ilio; e Plrgo, una di loro,
Ch'ora d' anni maggiore, o fu di molti
Figli del gran re Priamo nutrice.
Potine, disse, non ò, non è costei
Nò Troiana, nò Bórdo, nò moglie
Fu di Doriclo: è Dea. Notato i segni:
Coni' ardo no la vista, e quali spira
Ne l'andar, ne la voce e nel somliiniite
Celesti ornili. Io pur testò mi parto
I635-6Ó0I
[020-944] t unno T. 231
lm Bèroc, eho di corpo egra lanir-. •
Stassi, o sdognnodo che a quost'atto sola
Ibisco non intervenga. E qui si taccimi.
1.. nmilri paventoso-* dubie in prima
Con gli occhi biechi rimirar lo navi.
Sospeso le nicschiuo infra l' amoro
pi godorei la terra, o la speranza
Che pordean do' reami a cui chiamato
Er.in dal fato. Intanto alto in su l'ali
La ]lea levossi, o tra le opache nubi
Per entro al sùognuid'arconsccso.o sparvo.
Allor dal mostro spaventato, o spinto
Da cieca furia, s'avventar gridando;
E di faci « (li ffo"*0 " virgulti
Spogliar» altro gli altari, altro Infocaro
1 legni si, che in mi momento appresi
I banchi, i romi e l'impociato poppd
Mandar flanimo e scintille e fumo al cielo.
Portò di questo incendio Eumòlo nvviso
Là 'vo al sepolcro ora la gente accolta,
E do P incendio stosso un atro nembo
Xe die fuinaudo e scintillando indizio.
Ascanio il primo (si coni' ora avanti
lineo del corso) al mar si spìnso in guisa
Ubo ì suoi maestri impallidir per toma,
1G50-6C9I
832 L' KNKI0K. ['J
E richiamando lo seguirò invano.
Giunto che fu: Clic furor, disse, è questo?
Dorè, doro no gite? e che tentate,
Misoro cittadine? Ali! che non questi
De'Oroci i legni, o gli steccati sono.
Voi di voi stosse lo speranze ardete.
Io sono il vostro Ascanio. E qui 1* . luiotW
Ondo a la giostra ora comparso armato, ,1
Oittossi a pie. Corsevi intanto Enea:
Vi corsero de' Teucri o do'Sicani
Lo schiere tutte. Allor per téma sparso
Le donne per lo lito e per le solvo
Se no fuggirò, ed appiattarsi ovunque
Ebher di rupi o di spelonche incontro;
Che pentito del fallo odiar la luce,
Cangiar ponsieri, o con l'amor do' suoi
Ili del petto disgombrarsi e Oiuno.
Ma non poro l'iudomito furore
Cessò dol foco; che la secca stoppa,
E l'unta pece, o gli aridi fomenti
L'avean fin dentro a le giunturu appreso:
Ondo noi mollo, ancor vivo, esalava
Un lento fumo, e penotrava i fondi
SI, ch'ogni forza, ogni argomento uni»
E '1 maro stesso, cho da taute genti
[6C9-68IJ
(.•70-9941 li unii v. 233
Sopre gli si versava, erano invano.
Squarciassi Enea dagli omeri la reste.
Ch'area lugubre, e ila' celesti aita
Chiedeudo. al elei rolso le palme e disse
Onnipotente Oioro, se do'Tcucri
Ancor non t'è, senza rjscrvo, in ira
I„i gente tutta, e su. qual sci. pietoso
Miri agli umani affanni, a tanto incendio
Ritogli, padre, i male addetti legni;
gitogli a morto questo podio afflitto
Reliquie de'Troianf; o quel che resta
>fu col tuo proprio telo, e di tua mano
(Se talo è il mcrto mio) folgora o spegni.
Ciò disse a pena, elio da torbidi austri
g da nera tempesta il cielo involto
In disusata pioggia si converso.
Tromaro i campi, si crollaro I monti
Al suoli do' tuoni: n cataratte aporto
Traboccar da le uubi i nombi o i fiumi.
Cosi sotto dal mar, sovra dal ciclo
Le già qunSI ftrse nBV' mczzo accolto
Furon da l'acquo: ondo le fiamme in prima,
Poscia il vapor s'ostinsc. e tutte spente,
So non se quattro, si salvaro alfine
Di si fero accidente Enea turbato,
LG81-7O0J
284 i.'FirrwE. f09rl-1019J
Molti o gravi peusior tra si Tolgondo, >
Stava infra due. ho per suo novo seggi» J
(l'usto il lato in non cale) ei s' elcggoiaoM
Se la Sicilia i pompi, n pur di lungo «J
Cercasse Italia, hi ciò N'unte un vecchioni
Ch'era (morcè di I'nllade e degli anni) 4 <f
Di molta ospcrTonia e di gran senno,
0 fosse ira di Dio che lo movesse,
0 pur ch'era cosi nel ciel prescritto,
In cntal guisa a suo conforto disse:
Magnanimo signor, comunque il fato
No tragga o no ritragga, e che elio sia,
Vincasi col soffrirò ogni fortuna.
Acestc è qui, ch'il dol dardanio senio
E di stirpe celeste un ramo anch' egli.
Prendi lui por compagno al tuo cunsigli^,
E con lui ti confedora o t'aduna,
Che in grado prcuderallo: e tu de' tuoi '
Ciò che t' avanza por gli adusti legni,
0 fastidito è di si lungo cssiglio,
0 che langua o elio toma o che sia multi
Per etate o per sesso, a lui si lasci,
Ch'é pur troiano; ed ei lor patria assegni
Che dal nome di lui si nomi A cesta.
S'accese al dott.. .1.1 mi.i vecchio amico'
1701-719J
[1020-1044] limo t. 23o
]1 : Man duco; e trapassando d'uno
In uu nitro pensiero, era già notte.
Quando l'imago dui suo padre Ancliisc
Vi'dur gli parvo, che dui elei discosa
In tal guisa dicesso : 0 fllflio. amato
Yie più de la mia vita infili olv'io vissi,
figlio, elio segno sei do le fortuno,
j; jel fato di Troia, io «di mandato
S-ui dui gran Giovo, che dal del piotoso
Ti mirò dianzi, e 1 tuoi legni ritolso
D» l'ut ri l'ile* incendio. Attendi al detto
Ilei vecchio Naute, e né l'Italia adduci
(S) come ei fodelmonto ti consiglia)
Do In tua gioventù soli ì più sciiti,
I più sani, i più forti o i più famosi.
Ch'ivi aspra gente e ruvida o feroco
Domar convionti. Ma couvienti in prima.
Per via d'Averno ne l'inferno addurti,
E meco ritrovarti, ov'ora io sono,
Figlio, non già nel Tartaro, o fra l'ombro
De le perdute genti; ma felico
Tra i Mici o tra'pii, por quelli amoni
Elisii campi mi diporto e godo.
A onesti lochi, allor elio molto sanguo
Avrai di negre pecorollo sparso,
1719-7-JuJ
230 i/nreiD». [1045-101
Ti condurrà In Tergine sibilla.
Ivi conto saratti il tuo legnaggio, . i
E '1 tuo seggio fatale: e qui ti Inscio.
Gin che varcato è do la Hutto il mezzo,
E del nimico sol dietro anelando
I votoci desti ier veuir mi souto.
E ciò dicendo, allontanossi o sparve.
Dove, padre ne vai, dovo t'ascondi?
Ilicendo Euen, chi fuggi? o chi li tiglio ì
Da le mie braccia? al già sopito foco <
Si trasse, e lo raccese: e incenso e farro
Offri devoto ai sacrosanti numi
De l'alma Vesta e do' suoi putrii Lari.
Didi i compagni, e pria di tutti Acosto,
Do l'imperio di (iiovo o de' ricordi
Vcl caro padre incontinento avvisa,
E '1 suo parer ne porgo. In un momento
Si propon, si consulta e s'essequisco.
Accsto nou recusa; o già doscritti
I nomi do lo madri, dogi' infermi,
E de le genti cho mistioro o cura
Avenu più di riposo che di lodo.
Essi pochi, ma scolti, e guerrier tutti,
ltivolti a risarcir gli adusti legni
Kiuuvavou lo sarte, i remi, i banchi,
[730-753]
[! '">70 -1094] unno v. 23
E ciò che '1 foco htc» corroso ed arso.
Knoa de la città le murn intanto
Insolca, e I lochi UMfll; e parta Trota,
j: | :irt» Ilio ne chiama,* re n'nppcll.i
; buon troiano Accsto. Hi lieto il carco
Kc prende; indico il fijro, eleggo i padri,
li,! giudica e manda. Allora in cima
jH. IVricinio giogo il gran dolubro •
Sursc a Venere Idalia: e i sacerdoti
Gli si addissoro in prima. Allor s' aggiunga
il tumulo d'AnchfSo il sacro bosco.
Avea già nove di fatti solonni
Sacrifìci e conviti; e '1 mare e i venti
Eran placidi e qneti. Austro sovento
Spirando, in alto i lor legni invitava.
Quando un pianto dirotto por lo llto
1 . un condolersi, un abbracciarsi
Che tutto il di duro, tutta la notte
Le meschincllc donno, e quegli stessi,
Cui dianzi spaventosa era la faccia
JJ '1 nomo intollerabile dol mare,
Voglion di nuovo ogni marin disagio
Soffrire, e do l'cssiglio ogni fatica.
Ha li racnuota o li consola Enea
Con dolci modi, o lacrimando alfine
1751-770J
ggg L1 kkfipk. [100:i-1I19J
Da lor si parto, ed ni suo caro Acosto «
Qunnto può caramonto gli acconimand«.i«
Poscia, fatta al grand' Erico i* sul lito j
Di tro giuvenchi offerto, o d' un' agnelli^- I
A le Tomposto, si rimbarca e scioglie.
Kd ci stosso altomento in su la proda, 4
Cinto il capo d'oliva, una gran Uzza
In man sì roca, e di lenèo liquoro
E di viscere sacro il mare aspergo.
Sorgoa da poppa il vento, e le sjls'uiid»
Ne gian solcando i remiganti a gara,
Quando del figlio Citcroa golosa
Nettuno assalso, 0 seco querelossi '
In cotal guisa: La grav'ira e l'odio
I>i (iiuno insaziabile m'inchina al
Ad ogni priego; poscia che né 'I tempo,
Nò la pietà, nè Giovo, nò 'I dostino •
Acquetar non la ponno. E non le basto
D'avor già Troia desolata ed arsa.
Che le reliquie il nomo e l'ossa e '1 ccnor*
No perseguito ancora. Ella ne sappia,
Ella no dica la cagiono. Io chiamo
Te por mio tostimon de l'improvisa
Mieidtal tempesta che pur dianzi
Per mozzo de l'eolide procello
ri 120-1144] libro v. 2S'J
jlnssu lor contri (tua inorctdu) invano.
Or ha I" iniqua per lo mani (tosse
Ilo ie tenero mattono i teucri lefriii
ji •; -1 bruttamente al feco in preda,
p, i Ih'' i meschini, arselo navi loro,
ginn di lasciare i lor compagni astretti
per le terre straniero. Or quel elio rosta,
£ eh' a. te chieggo, è elio il tuo regno ornai
gjj ]or sicuro, e ch'una volta alfine
Toccliin del Tebro e di Lauronto ì campi.
Se però quol ch'io •hieggo è elio dui ciclo
il mio fìllio si debba, 0 M quol soglio
Ne dan 1° l'arche o '1 fato. A loi do l'ondo
Rispose il domatore: Ogni fidanza
prender puoi, Citerea, ne' regni mici.
Ondo tu pria nascesti. E non son pochi
Ancor teco i mici morti ; chè più volte
Ho per Euoa l'ira o il furore estinto
£ del mare o del ciolo. Ed anco in torra
Non obb'io (Xanto o Simocntn il sanno)
Do la saluto sua cura minore,
Allor eh' Achille a le troiane seniore
SI narve amaro, o cho fin sotto al muro
Ite cacciò d' Ilio, o tal di lor fe strage,
Che no gir gonfi e sanguinosi i fiumi;
[7J2-806J
5>40 l'kxkii'R. [1145-IK
E Xanto da' cadaveri impedito
Sboccò ne' campi, e deviò dal mare.
Era quel giorno Enea d'Achille a front».
Né dii nò forre avea eli' a lui del pari j
Stessero incontro. Io fui elio ne la :mbe
Allor l'ascosi; io che di man nel trassi,
Quando piti d'atterrar avea desio
., Quelle mura odtose o disloali,
Clio pur do le mio mani oran fattimi.
Or ti conforta che vèr lui son io
Qtial fui mai sompro,e,come agogni, il po
Attingerà sicuramente; e 'I lago
Yodrà d' Avorno, e de' suoi tutti un solo
Gli manchora. Sol un convion elio pòra
Per condur gli altri suoi lieti e sicuri.
Poiché di Cìtorea la niente quota 1
Ebbe do l'ondo il padre, i suoi cavalli
Giunti insieme o fronati, a lento briglia
Sovra do l'alto suo coruleo carro
Abbundnnossl, o llevomonto scórse
Per lo mar tutto. S'adeguaron l'onJe,
Si dileguar lo nubi : ovunque appai vo,
Tutto sgombrassi, del suo corso al snon
Cb'avoa di torbo il cicl. di gouflo il mai
Ciugcan Nettuno allor da la man dea
1,807-822]
[1170-1198] " unno v. 241
forme di pistii c di balene ìmniani.
pi Glauco il vecchio coro, o A' In» il figlio,
: i veloci trìtoni, a tutto insieme
I_„ stimi di Forco. Da sMstra intorno
Gli era Tcti, Melilo o Panoplia, .
Spio, Nisea, Cimodoco.e Tallii.
Qui per l'amara dipartenza afflitto
Il padre linea rasstrenossi in parte,
% ciò clic a navigar Cacca mistiuro
Gioiosnuiciitaa' suoi compagni impose.
Tiiàr l'antenne. iilalborar le relè.
Sciolsero, ammainar, calalo, al/aro,
pcr le marinaresche lor bisogne
Tutti in un tempo, ed in nn tempo Insieme
Drizzar le prore al mar, le poppe al vento.
Innanzi a tutti con più legni in frotta
Già Palinuro. il prorido nocchiero,
JJgli altri dietro lui di mano in mano.
Era l'umida notto a mezzo il cerchio
pel ciel salita, o già languidi o stanchi
Sui duri legni i naviganti agiati
Prendcan quiete: quando ecco da l'alto
Stello placido o Movo il Sonno sceso
Si foce quanto nvoa d'aero intorno
Ciao.- 10. [822-839]
242 l'kxkidr. J 1 19 1-1211
Scrono e quoto: a te. buon l'alinuro,
Senza tua colpa, insidioso assalso
Portando «gli occhi tuoi toutbre eterne.;]
Ki di Forbante marinato esperto
I'rcsa la forma, come liuto, appresso '
In su la poppa gli si pose, o disse:
Tu vedi, Paliuuro, il mar ne porta
Oli lostosscondo, o '1 routo ugual tic spirj
Tcmp'è che pósi ornai: china la testa, J
E fuga gli occhi a la fatica un poco.
Poscia ch'io son qui teco e per te veglio.
Cui Paliuuro. già gravato il ciglio,
Cosi rispose: Ali! tu non credi adunque
Ch'io conosca del mar le pcrlld'onde,
E 'I falso aspetto? A tnle infido mostijo
Ch'io fidi il mio signoro o i legni suoi?
Ch'ai fallace sereno, ai venti iustabili
Piesti fedo io, che son da lor deluso
Già tante volte? E ciò dicendo, avea
Le man ferme al Union. gliocchialcstolle*
Il Sonno allora di letèo liquore,
E di stigio veleno un ramo asperso
Sovra gli scosse, o l'ima tempia e l' altra,'
(ili spruzzò si, clic gli occhi uucor lubelli
1839-8501
(1218-1241] libbo v. 248
(ili strinse, gli gravò. gli chiuso alfine.
A pena nTonu la plinto gocce infusa
I ., 'mi virtù, elio 'I Inni» nocchie! ilist.<;,i
\, - i.u''|uo: e'I dio cui Mio mentito corj'O
Sepia irli si. recò, pinse o s li-. ••
l'M ghcron de la poppq, o lui con esso
K col temon precipitò nel maro,
jfi. sii valse a gridar, cadendo, aita,
Chi 1* un qual pesco, e l'altro qual augello,
Questi ne l'onda, e quei no l'aura sparve.
Uè l'armata ne glo*peiù men ratta,
fct. un n si.-iira ; chi Nettano stesso.
Come promesso ave», la fesso e spirilo.
Eia de lo Sirene ornai solcando*
Giunta agli scogli perigliosi un tempo
A'navignnti; onde di teschi e d'ossa
D'umana pento si vedoan da lungo
Biancheggiar tutti. Or sol, di canti invoce,
So n'odo un roco suon di sassi e d'ondo.
Kra, dico, qui giunta, allor ch'Enea
Al vacillar del suo legno s'accorso,
Che di guida eia scemo o di temono:
Ond'ogli stesso, infili che 'I giorno apparve,
Se no pose al governo, e 'I caso indegno
[6ÓG-80UJ
24 4 BHieiDB. [ 1 21 2 - 1 a
Pel cnro amico in tal guisa ne pianse:
Troppo al sereno. e troppo a la bonacct
Credesti, Palinnro. Or ne l'arena
Dal mar gittate in qualche strano lito
Ignudo e sconosciuto giacerai, »
Nò chi t'onori avrai nò chi ti copra,
[869-871]
[1-19J 245
DELL' ENEIDE
Libro Sesto.
Cosi piangendo disse: e navigando
Di Climi» in vèr l'eubolc* riviera
Si spinsi' a tutto corso, onde ben tosto
Vi fui un sopr/i, c v'approdino alfine.
Volser le prue, gittir l'ancore; o i legni,
SI eoine storo un dopo l'altro in fila,
pi lungo tratto ricovrir hi riva.
Lieta la gioventù noi lito osporio
Oittossi; ed in un tempo al vitto iutosi,
Cbi qua. chi là si dicro a picchiar selci,
A tagliar boschi, a cercar fiumi c fonti.
Intunto Enea verso la ròcca ascese,
Ove in alto sorgea di Febo il tempio,
E là dov'era la spelonca immane
Do l'orronda sibilla, a cui fu dato
Dal gran delio profeta animo o mento
D'aprir l'occulte o le futuro cose.
Avca di Trivio, già varcato il bosco,
(Quando avanti di marmo ornato o d'oro
11-13]
SIC i.' KNKtnz. |20'
Il bel tcuiiti» ni vide. È Tullia enCic» j
Clio Dedala, di Creta nllur l'uggendo
Ch'ublie ardimento di lemmi a volo
Culi |ilù fulici o con più destre pestio t
Che M 6UO Aglio non mosse, il freddo poj
Yido più presso: e per sentici- non tUtoi
A l' umnn seme, a questo monte aitino
Del Calcidico seno il corso valso.
Qui giunto o fermo, n te, Febo, de l'ali
I/ordigno appose, o'I tuo gran tempio or
No Io cui patte cTa da l'un de'lati
II' Andn'igeu hi tuoi i .•. e Un pena
Clio di Cècropo i figli a dar costrinse
Sotte lor corpi a l'empio mostro %'u'ann
Miseiabil tributo ! c v'era l'urna,
Ondo a sorto eron tratti. Bravi Creta
Un l'altro lato, alto diti mar levnta,
Ch'arca del tauro istoriata intorno
E di l'nslfo il bestiale amore,
E la bestia di lor nata biforme,
DI si nefando arder memoria infame.
Kravi l'intricato laborinto;
Kravi il Alo, onde gl'intrighi suoi
K le sue cieche vie Pedalo stesso,
Per pietà ck'ebbo a la regina, aj erso.
118-8(1]
J4.-.-69] libbo ti. 247
K in. «e 'I pianto del tuo padre o 'I duolo
}Col contendali, saresti, Icaro, a parto
p; -1 nobil lavoro. M* duo volto
Tento ritrarti in oro, o4 altrettanti'
gì l'aliliorrl, che l'opera o lo stile
Di man crii cadde. Krn-con gli altri Enoa
Tutto a mirar sospeso, quando Acato
Tornò; ch'era precorso: e seco addusso
Doifobo di Glauco, una ministra
pi Diana e d'Apollo. Ella rivolta
jU frigio duce. Non è tempo, disse,
Ch':i <-ió si hadi. Or è d'offrir mestiere
Sette non domi ancor giuvoiichi, e sette
Kogro pccoro olettc. E ciò spedito
Tosto, come s'impose, ella ne) tempio
Seco i Teucri condusse. E da l'nn oanto
Doll'oubolca rupo un antro immenso
Cho nel monte pouòtra. Avvi d'intorno
Cento vie, cento porte; e cento voc!
K'oscono insicmo allor che la sibilla
Le sue risposto intuona. Era a la soglia
]1 padre Enea, quando, Ora o il tcmpo.disse
jji vergine, di', di': chiedi tue sorti:
geco lo dio ch'ù già comparso o spira.
Ciò dicendo, de l'antro in su la bocca
[81-471
248 L'amo*. [70
In ptt volti CTitiffiossi « in |iiù colori
Scompigliossi le chiome; aprissi i^p<
Lo batto '1 Umico, o 'I cor di rabbia far
Farvo in vista maggior: maggior il tubi
Fu clic d'umana voce: e poiché '1 mimo
l'iu le Tu presso, A che badi, soggiunse.
Figlio d'Anchisc? So non di', non s'apra
Questa di Febo attonita cortina.
K qui si tacque. Orror por l'ossa e ginlo
Corso allor do' Troiani; 0 '1 tonerò duce
Iufln da l'imo petto orò, diccudo:
Fobo, la cui pietà mai sempre n Troia
Fu propizia e benigna, ondo di l'ari
Già reggesti la man, drizzasti il tèlo
Contro al corpo d'Achille, io, dal tuo,]
Scòrto fin qui, tanto di mare ho corso,
Tante torre ho girate, a tanti liscili
Mi son esposto; insino a le remoto
Massilo genti, insili dentro a le Sirti
Son penetrato; od or, pur tua mercede,
Di questa fuggitiva Italia il lito
Ecco ho già tocco, o ci son giunto nifi
Ah! che questo sia il lino equi rimai
L'infortunio di Troia! E tempo ornai,
Dii tutti o Dee, cui la dardauia gente
[47-04J
I'Cj-119] libro ti. B*9
I nqua feco onta, clic perdono o pace
1 . concediate. E tu. vergine santa,
pel futuro presaga, or ue dimostra
II ;;t.*io e '1 regno che ne danno i fati
( -, pur nèJ danno) ore i Troiani afflitti,
Ovi 'i> Troia i travagliati nagii.
i; i dispersi renati alberghi e pòpi ;
Ch'allor di saldo marmo a Trivia, a Fobo
grgero tempii, o del suo nome i ludi
Consacrcrolli, e ì di fusti e solenni.
Ed ancor tu nel nostro regno avrai
Sacri luoghi reposti, ore serbati
per lumi o specchi a le future genti
rjg venerandi a ciò patrizi eletti
gamnno 1 detti c I vaticini! tuoi. •
Quel elio prima ti chioggioò che i tuoi carini
S'odnn per la tua lingua, o non ch'ili foglie
Siali da te scritti, onde ludibrio poi
Sian di rapidi venti. E più non disse.
Ella già presa, ma non doma ancora
D»l febeo nume, per di sotto trarsi
A si gran salma, quasi poltra e fiera
Scapestrata giumenta, per la giott*
Imperversando o mugolando andava.
Ma coni' più si scotoa, più dal gran dio
164-79]
250 fKSFins. 1 1 20- W
Era affronata, e le rabbiose labbia 3
E l'efferato core al mio misturio
Pili mansueto « più vinto remica.
1 i ni da lor già de la grotta aperte ì
ha conto porte, allor ch'ella gridando I
Cosi inandò la sua risposta a l'juira: J
Compiti son del mar tutti i plMicdì; J
Kcstan quei do la terra, che ten ibili \
Rnrnu veracemente e formidabili.
Vorranno i Teucri al regno di Lavlnloj j
Di ciò t'affido. Ma bon tosto d'esservi j
Si pentiranno. Guerre, guorro orribili
Sorgerne veggio, e pien di sanguc.il TevorJ
Saiavvi un altro Xanto, un altro Simoi
Altri Greci, altro Achille, che progeufo j
Ancor egli è di Dea. Giuno implacabili
Allor più ti sari, che sopplirhcrola
Andrai d'Italia a quai uon terrò o popoli
D'aita mendicando o di sossidiil
E fiali di tanto mal di nuovo «rigino
D'esterna moglie esterno spousaluie.
Ma il tuo cor non paventi, anzi con l'ani
Supera lo fatiche e gl'infortuni! ,
Che tua salute ancor da terra argolic»
(t|uel cho inen credi) avrà Iuuio e principi
[80-97]
| I l.")-IG9j . MUSO n. Sol
Questi intricati c spaventosi detti
Pai Jllil rcposto loco alto mugghiando
; i Oumò» profolossa, anpica lo spero
li'orriliil tuoni: ecomoflsno furore
Kra ila Febo raffrenato o spinto.
0 dal «no raggio arca Jinrbaglto o lume,
Cosi miste lo tenebro co) voro
Sciogliea la lingua e disgombrava il petto,
poiché la furia o la rabbiosa boera
Quctossi, Enea ricoinineiandn disse:
Vergine, a me nnllif si mostra ornai
jVr'ui nò dì fatica nò d'affanno.
Che mi sia nuova, o non pensata in prima.
Tutto ho provistò, tutto ho presentito.
Che da te ni' 6 predotto; e tutto io sono
A soffi ir proparato. Or sol ti cliioggio
(Poscia rhe qui si dice esser l'in trota
So' regni inforni, e d'Acheronte il lago)
Che por te quinci nel cospetto io venga
Ile) mio diletto padre: e tu la porta,
Tu 'I senticr me no mostra, o tu mi guida-
lo lui dal foco o da militarmi infesto
Tratto ho di meuo a lo nimichc schiere
Su questo spalle; ed ci «corta e compagno
Del mio viaggio e del mio cssiglio, meco
[03-112]
252 L' tmiDt. 1 1 70-]
] perigli, i disagi e le tempeste
Del mar, del cielo e de l'età soffrendo.
Vèglio, dcbilo e stanco. Iia lue seguito}
Ed egli stesso m'ha nel sonno imposto.
Che a te ne venga, o per tuo mezzo a lsj
Mi riconduca. Abbi pietà, ti priogo,
I del padre e del figlio: ed ambi insiemi
Come puoi (che puoi tutto) or ne congiunirl
Ch'Ecuto non indarno a questo solve
T'ha d'Avorno preposta. 11 tracio Orfeo ■
(Sola mercè de la sonora cetra)
Sccndir potevvi, e richiamarne in vita
I/amata donna. Ne potè Polluce
Ritrarre il frato, ed a vicenda soco
Vita o morte cangiando, irvi e redirvi
Tanto (Vate. Andovvi Teseo; andovvl
II grande Alcide; ed ancor io dal cielo i
Traggo principio, o s»n da (linvc anch'io.
Cosi pregando avea lo braccia avvinto
Al sacro altare, allor elio la sibilla
A dir riprese: Enea, germe del cielo.
Lo scender noli' Averno è cosa agevolo,
Chè notte o di ne sta l' eutiata aperta;
Ma tornar poscia e riveder lo stelle,
Qui la fatica o qui l'opra consisto,
[112-129]
| nló-2191 • UHM ™ Boa
questo :■ pochi ò concesso, ed a quei pochi
i'Ii'ii Dio son cari, o pur uman raion)
S. ne poggiano al cielo. A questi è dato
Onno a'cclcsti. Il loco tatto in meno
j.; da selvo intricato; o da uegro acquo
De l'infornai Cocito intorno è cinto.
SI» se tanto disio, se tanto amore
T'invoglia di veder duo volte Stigo
E duo volto l'abisso, c soffrir osi
Un cosi gravo affanno, odi che prima
0lilin- couvlcnti. K fio la selva opaca.
Tra valli oscure o dense ombro riposto
E ne l'nrborc stesso, un lonto ramo m
fjon foglie d'oro, il cui trouco ó sacrato
A Giono infcrna: o chi seco divelto
Questo non porta, no' secreti rcgui
Penetrar di Plutone iniqua non poto.
Ciò la bella Proscrpìna comanda.
Che per suo dono il chiodc : o svelto l'uno
Tosto l'altro risorgo, o parimente
Ha la sua verga o lo suo chiome d'oro.
Futrn nel bosco, 0 con lo luci in alto
Lo cerca. Il truova, o di tua man lo sterpa;
Ch'agevolmcnto storperassi, quando
U, ti consento il fato. In altra guisa
[129-H7J
251 t' kxkidk. ' [220-1
No con man, nò con ferro. ne con altra
Umnnii forza inni fin clic si schiAqti,
i ■ elio si tronchi. Oltro ili ciò. nel lito.
(Mentre qui lindi o In risposta attendi)
Giace, lasso! d'un tno, che tu non sai.
Disanimato o non sepolto un corpo.
Che tutti rende i tuoi legni funesti.
A questo procurnr seggio o sepolcro
I'ria conrerratti.Qr pur sua purga in p
Nogro pecore adduci; o'n cotal pulsa
Vedrai gli elisii campi, e i stigii regni,
Cui rederc a' mortali anzi la morto
Non è concesso. K qui la hocca chiuse.
Enea gli occhi abbassando, affli ttoeraoJ
I)a l'antro uscio, tra si ^t. -mi vulgendo 1
1/ oscuro profezie. Giva con lui
Il fido Acato, e con lui parimente
Truca pensieri e passi. Erano ontrnmuffl
Ragionando in pensar di qual amico, i
Ili qual corpo insepolto ella parlasse, J
Che coprir si dovesse; nllor che giunti J,
Nel secco lito in su l'nrona steso J
Vider Miseno indognnmento estinto; ^
Miscno il figlio d'Eolo, ch'araldo
Era supremo, o col suo fiato solo
[M7-lCt)
i:ir,-eoo] ur.=o ti. »>0
v, -~i iitc » suscitar Mnrto e Bellona,
già costui del grand' Ettor compagno,
y ,|, ' più sognalafi intorno a lui
Combattendo, or la tromb*j»4- or '» lancia
^luporava: o poi elio '1 Auro Achille
Ettorro uncino, comò ardilo o fido.
gc(r,il l'armo d'Knoa: cho non Tu punto
jnfortoro -a lui. Stara sul mare
Sonando il folle con Tritone a gara.
Quando da lui. ch'aschio «entiuuo o sdegno
(So creder dòssi), insMioiamento
Tr!it|., h'iù da lo scoglio or'era assiso,
fu un l'ondo sommerso. Al coipo intorno
Convocati già tutti,*amaro pianto
E,l alto stiidn insieme no gittaro;
y ji, degli altri Enea. Poaeia soguondo
q,u.| ch'era lor da la sibilla imposto.
fflUpprestaron l'esse inio. Entrar noi bosco,
pi foro antico albergo; ed elei ed orni
e frassini atterrando, alzAr gli altari;
poser la tomba, fabbricar la pira,
E la spinsoro al cielo. Il fiigio duco
Fra lo suo schiero di bipenno armato
A par de^li altri e più di .tutti ardonto.
Di propria mano adoperando, a l'opra
105 1S3J
250 l'kxkide. [270-91
EssortAVA i compagni; e fra se stosso 1
Pensoso, in iti mi il bosco il {n'ardo iute!
Cosi pregava : Oh se quel ramo d'oro
No si scoprisse in questa selva intanto,
Come n'ha la sibilla, oimè, pur troppo
Di te. Miscno, annunziato il vero! . j
Ciò dieso a pena, ed ecco da travortfj
Due colombe venir dal ciol volando,
Ch'avanti a lui sul verde si poSAro.
Conobbe il magno eroe le messaggicro
De la sua madre, e lieto orando: 0, disse
Siatemi guide voi, materni augelli,
S'a ciò sentier si truova; ite por l'aura
Drizzando il nostro corso, ov'ò de l'om
Del prezioso arbusto il bosco opaco.
E tu, madre benigna, in si dubbioso
Passo, del lume tuo no porgi aita.
E, ciò detto, formossi. Elle pascendo, '
Andando, saltellando, a scosse, a volo,
Quanto l'occhio scorgila, di mano in m
Giunsero ove d' Avorno era la bocca:
E '1 tetro alito suo schivando, in alto
Katto l'ali spiegalo, e dal ciel puro
Al desiato loco in giù rivolte,
Si posàr sopra a la gemella pianta;
[184-203J
[C05-819} libro n. 251
Indi tra fiutidl o frolliti il color d'oro,
Clic direno dal verde uscio raggiando,
l'i trcmuln splendor l'nura percosse.
Cerno no'bnschi ni limami .tempo suola
Di vischio uu cesto in altrui sconta nato
fnitgar verdi le frondi ejrialli i-pomi,
v c,ip le sue radici ai non suoi rami
abbarbicarsi intorno; cosi '1 bronco
Era de l'oro avviticchiato a l'elee,
Oiid'cra surto, o cosi lievi al vento
Crepitando movea l'aerato foglie.
Tosto che 'I rido Enea di pigilo dielli,
g disfogo, ancor che duro e valido
Gli sembrasse, a la* fin lo svelse; o seco
^ l'indovina vergiuc lo trasse.
Jiou s'intermise di Miseno intanto
Condnr Tesseiiulc al suo cimerò estromo.
j primanicnte la gran pira ostruita,
DI pingui tedo o di squarciati roveri
V'aUàr catasto: di funoste frondi,
D'atri ciprossi oruiir la fronte e i lati,
E piantar no la cima armi e trofoi.
Parte di loro al foco, 0 parte « l'acquo,
E parte intorno al fi a ldo corpo intenti.
Chi lo spogliò, chi lo lavò, chi l' mise.
Cìbo.-H. [204-210J
258 l' esuma. |"20-ft
Poiché fn pianto, in una ricca nara
Lo collocare, o di purpuree vesti.
Do' suoi più noti è più graditi arnosi 1
UH feron (Vetri o mostro omonti intoni»
Altri (pietoso e tristo ministero)
11 gran fcrotro agli omori addossarsi; I
Altri, com'è de'più stretti congiunti
Antica usanza, vólti i vólti indietro,
Tcnner le faci o dior foco a la pira;
K gran copia d'incenso o di liquori
E di cibi o di vasi ancor con essi,
SI come ò l'uso antico, ontro gittùrvi.
Poiché cessar le fiamme, o 'ncenortrst
Il rogo o 'I corpo; lo reliquie o l'ossa
Furon da Corinòo tra lo favillo
Hicorche o scolte, o di vin puro asperso,
Poi di sua mano acconciamento in una
Di dorato motallo urna reposte.
Lo stesso t'oriuòo tro volte intorno
Con un rampollo di felice oliva
Spruzzando di chinr'ouda i suoi compagni
Li purgò tutti, o '1 vaio ultimo disso.
Oltro a ciò, foco Enea por suo sepolcro
Krgcro un'alta e sontuosa molo,
E l'armi « 'I romo o la sonora tuba
121ÌO-1Ì33J
[HI5-8C9] unno ti. 259
Al monte Appeso, elio d'Aedo il nomo
fino aliar cblio, od or di lui nomato,
Jliscno è dotto, o ai diri mai sempre.
Ci ' finito, a fluir quel che tri' impose
I,i profetessa incontinente mosse.
Era un'atra spelonca, la cui Lucca
fin dal baratro aperta, ampia vomirò
pacca di rozza e di scheggiosa roccia,
ji... negro lago ora difesa intorno,
% in solvo ricinta annoso o folte.
Uscio do la sua loro» a l'aura un flato,
Aikì mia posto, a cui volar di sopra
Con lo vita agli uccelli era interdetto; .
Onile da' i itoci poi si disse Avcrno.
Qui pria quattro giovenchi Knoa condotti
Pi negro tergo, la sibilla in fronte
Riversò lor di viti lo tizzo intoro;
£ da ciascun di mozzo lo duo corna
pi setole maggior il ciuffo svelto
Piè por saggio primiero al santo foco,
Ecatc ad aita voco in ciò chiamando,
Pel'Krobo odel ciel nume possente.
Parte di lor con lo coltella in mano
Lo vittimo svoltando, o parte in vasi
Slava il snnguoaccogliendo. Egli a la Notte,
[S84-2M]
SCO l' kkkide. ptTO-8
t
Clio do lo Furie è madre, ed a In. IVrra»
Cli'è sua sorella, con la propria spada
Pi negro vello utì'ngna, ed una race*.
Storilo a te, Proscrpina, percosse.
Poscia a l'imperador de' regni inferni
Notturni altari ergendo, i tauri interi
Sopra a le fi:. lume impose, e dj^inguo
Lo bollenti lor viscoro consperse.
Ed ceno a l'apparir del primo solo
Mugghiò la terra, si crollnro i monti,
Si sgominar lo solvo, nrlàr lo Furio
Al venir de la Dea. Via, via profani,
(Iridò la profetessa, itene lungo
Pai Losco tutto; c tu nioeo to n'ontr»,
E la tua spada impugna. Or d'uopo, En
Fa d'animo o di cor costante o fermo.
Ciò disse: e da furor spinta, con lui.
Ch'adeguava i su'ii passi arditamente, -
Si mise dentro a lo secreto cose.
0 dii, che sopra l'almo imperio avete
0 tacit' ombro, o Flogctontc, o Cao,
0 no la notto e nel silenzio eterno
Luoghi sepolti e bui, con pace vostra
Siami di rivelar lecito a' vivi
Quel c'uo do' morti udito. Ivan por cu
[219-2G8J
[395-416] libro ti. 261
I,o cieeho erotte, por irli oscuri o vóti
Beffili di Dite: c sol d'errori o d'ombro
\\< nn rineontri: coinè ehi per selve
f.\ n.itturno viaggio, allorché 'ccnia
nuora luna è da Io uubi involta,
E In grnnd'oinhra del tesrestro globo
privn di luce e di color lo cose.
Sei prhno entrar del doloroso regno
Stanno il Pianto, l'Angoscia, e le Toraci
Cure, e i pallidi Morbi o '1 duro Affanno
Con la dcbil Vecchiezza. KytI In Tenia,
litri la Fame: nna eh" è freno al bene,
I/altra stimolo al igale: orrendi tatti
Ji spaventosi aspetti. A» vi il Disagio,
jj Povertà, la Morte, o do la Morto
Parente, il Sonno. Avvi dc'eor non sani
Lo non sincero Oloic. Avvi la Guerra,
De le genti omicida, e de lo Furio
1 ferrati covili, il Furor follo.
L'empia Discordia, elio di serpi ha '1 rrinc,
E di sangue mai sompro il volto intriso.
Sei mezzo ergo le braccia annoso al ciolo
Un olmo opaco o grande, oro si dico
Che s'annidauo i Sogni, o ch'ogni fronda
V'ha la sua vana imago e '1 suo fantasma.
[2G8-2SI]
IN t' ItHKlD». [420-4
Molte, oltre a ciò. ri son di varie fero ■
Mostruoso apparenze. In su le poi te
I biformi contami, o le biformi
Imo Scilla; BrTarèu di conto doppi;
La Chimera di tre. clic con tre h'iylic
II foco avventa: il gran Serpe di Lorna
Con sette testo; e con tre corpi umani
ferito o G orióne; e con Medusa
Le Gòrgóni sorelle; e l'empie Arpio,
Clio sou vergini insieme, augelli e caga
({ni preso Enea da subita paura
Strinse la spnda, o la sua punta volgo
Incontroa l'ombre; ose non ch'.ombroet
Voto do' coi pi o nude fonile o Uovi
Conoscer ne le fe la saggia guida,
Avrebbo Impelo fatto, o vanameuto
In vano coso ardir mostro o valore ,
Quinci prcser la via là 've si varca
11 tartareo Acheronte. Un (lume è ipiosto
Fangoso o torbo, o fa gorgo e vorago,
Che bolle o frange, o col suo negro luto
Si devolve in Cocito. E guardiano
E passeggiero a questa riva imposto
Caroli Demonio spaventoso o sozzo,
A cui lunga dal mento, incolta ed irta
[285-300]
[ 1 15-469] unno vi. -63
1'. rido Minuta barba. Un irli oc-Ili accesi
Omo di bragia, ila con un groppo ni eolio
Ap poso ■<■■ lordo ammanto, ocon un pillo,
Clio gli fn remo, e co» In Teln reggo
1/ affumicato loglio, ondo tragitta
Su l'altra riva ognor la jeiito morta.
Vecchio e d'aspetto o d'anni; mn di forzo,
Como dio, vigoroso o vordo ii sempre.
A qiiosta riva d'ogn' intorno ognora
jr ogni età, d'ogui sesso o d'ogni grado
v . . . io si traonn 11»nimo sponto,
E de' figli »"co innanzi a' padri estinti,
jlon tante foglio no l' estremo autunno
Per le solvo codor, ìion tanti augelli
Si veggo» d'alto mar calarsi a terra.
Quando il freddo gli caccia ai liti aprichi,
Quanti ermi qnosti. I primi avanti orando
Chiedenti passaggio, o con lo sporto mani
Mostravano il disio do l'altra ripa.
Ha iUovoro nocchiero, or questi or quolli
Scegliendo o rifiutando, una grati parto
lungo tene» dal porto o da l'arena.
Enea la moltitudine e 'I tumulto
Mora» igr'«»<>o. Ond'è, vergine, disse.
Questo concorso al fiume ? e qual disio
[300-310]
SGI l'kskidi. [470-4^H
Mona quest'alme? c qual grazia a divhj^B
Fu chequestcdan volt», e quelle apprudaii<aHi
A ciò la profetessa lue-veniente t ,
Così rispose: Knea, stirpo divina
Voracemente (elio di ciò n'accerto
Il qui vedorti),'!» Oocito stagna;
Quinci va Stige, la palude .e 'I mimo
Per cui di spergiurar lino agli Del
Del cielo è formidabile o tremendo.
Questi 6 Caronte il fin tristo uochicro; |
Quella turba che passa, 6 de'sepolti;
Questa che torna, è de' meschini , ••tinti
Olio uè tomba nò lagrime nò polvo
Ehber morendo. A lor non ò concesso
Traiettar questo ripo e quest i fiutilo
Se pria l'ossa non hnn seggio e covcrelilg
Erran cent'anni vagolando intorno
A quosti liti, o '1 disiato stagno
Visitando sovente, infili ch'ai passo
Non sono ammessi. Enea di ciò pensando
Mosso n piota de la lor sorto iniqua
Fermossi; ed ecco incontro gli si t .imo
Mesti, d'ossequio privi e di sepolcro
Lcucaspi, o '1 conduttur de' Lidi Oront
Ambi Troiani, ambi dal vento insidilo
[a 10-335]
105-510] LIBRO TI. *no
Vi Licii tutti, o con l' inora nnvc
Sci mnr sommersi. Appresso Tiiliniiro
Il gran imccliior itu li li"iana minata.
, h,- dianzi «fi turimi 'li Mbla. il M"
Il lo stollo mirando, in mar fu tratto.
,\ costui si rivolso, o poicjiò l'ubbo
l\ r entro una grand' ombra a pena scòrto
C .si prima gli disse: 0 I'nliuuro,
K(|iial fu degli Dei eh' a noi ti tolso,
Kd a l'onde ti dipde? Or lo mi culo :
i !„•• deluso da Febo uTìqoa, npn fui.
Se non so in to: Febo protese puro
Che tu nosco del mar scettro o salvo
jt-ilia attingorcsti.\b! dun-fuc un dio,
K dio del vero, in tal guisa no froda?
jtisposo ralinuro: Inclito duce,
liò l'orncol d'Apollo ba to deluso,
lic l' ira ba me di l'io nel mar sommerso;
Cl,;. l temono, ond' io mal non mi divelti
per tua saluto, ancor per man ritenni
AUor ch'in maro io caddi, lo giuro, Enea,
Pcr l'onde irate, clic di ine non tanto
Quanto del tuo poriglio ebbi timore
Che non la navo tua. del mio governo
SuoclinU o del suo freno, al mar giù gonflo
^ 1335-058] '
2CC L'uxmnr. i',-"-.Vi4]
Kcstnsso in prodn. Austro tro nntUjiit
Con In sun correntia per l'nmpio mar» .1
Mi trasse a forzn. Il quarto giorno a pe
Discorcrtn l' Italia, n poco a poco
M'accostava n In terra; e giunto ornai
Cosi com'era nucor di veste grato
E stanco 0 molle, con l'adunche ninni
M'aggrappava a In ripa, e snlvo (óra;
So non ch'ignara e fora genio iucontro,i
Coni' a prodn innrinn, mi si fece,
ì. col ferro m'nncise. Or lungo ni liti
Vnssono il corpo mio ludibrio a' venti
E scherzo ni fiuti i. I-M i.>. signoro invitto, |
Per la superna luco, per quell'aura
Ondo si vivo, per tuo padre Anchise,
For lo speranze del tuo Aglio Iulo,
Priogoti a sovvcniimi: 0 elio di terra
Mi cuoprn (corno puoi) cercando il cor
Per la spinggia di Velia, o in altra gu|
S' altra no ti sovviene, 0 ti si mostra
Ufi In tua diva madre; che non senza
Nume divino un tal passaggio imprond
Porgimi la tua destra, e toco traumi
Oltre a quell'acque, perchè morto nlmooél
Paco ti uovi 0 riposo. Arca ciò detto,
I3Ó3-372I
1 545-56»! hbbo ti. w1
(jiinmVi cosi la vergine rispose:
Ah! Palinuro,* qunl dira follia
A ciò t* invoglia? Non sepolto adunque
1,' acque di Stigo e la sorta» foco
Traiettar do l'Egmenldi presomi?
Tu di qui torti a l'altMutft» intendi
S.nza comlato? Indarno indarno speri
Clic per nostro pregar fato si cangi.
Sia con questo t' acqueta, e ti eonfoita
)).■ T infortunio tuo: eh* quello terrò
\U ino al luogo ove Ti tuo eorpo giace, .
pestilenza e da prodigi astretto,
Lo raccorranno, e, con solenne rito
Gli faian sacrifici, ossequie e toml)a;
E da te por innanzi avrà quol loco
j)i Pallnoro oternainento il nomo,
j^.t» d'un tanto onoro, e consolato
Da tale annunzio, il traTagliato spirto
jt^st» contento ed appagato in parto.
Indi il camin seguendo, a la riviera
§• appi ossimoro; o il passeggier da lungo,
Poiché senza far motto entro a la solva
Passar gli vide o 'ndirizzarsi al vado:
Oli. forma costi, disso gridando,
Oual che tu sci, ch'ai nostro fiume armato
1372-388]
2' ÙWCT. [ói»-6
Tcn vni si baldanzoso; e di costinci,
Di' clii sci, quel cho corchi, o porcili vie
Clio notte solamente, o sonno ed ombro
limi i|iii ricotto, o non lo genti vivo,
Cui di varcare al mio legno non loco.
E s' Ercole e Tosèo o l'iiitóo
Già v'accottai, scorno e doloro io n'ebl
Chi- l'un d'ossi il tartareo custode
Incatcuovvi, e, di sotto anco al seggio
Del proprio re. tronianto a l'ama il ti ai
V. gli altri infili dal maritali' albergo
Rapir di Dito la regina osare
Nulla di quoslu insidie, gli risposo
La profetessa, a macchinar si viene.
Stanne sicuro: e quest'arme a difesa
Si portaa solamente, o non ad onta. <
Spavcuti il can trifaucc a suo dilct'.o •
Le pallid' ombre; eternamente latri
Ne l'antro suo; col suo marito o zio
Si stia cnsta Proserpinn inai sempre,
Chù di nulla cen cale. Enea troiano
E questi di pietà famoso o d'armi,
Che por disio del padre indilo al fondo
Do l'Èrebo discende; e se l'ossompio
Di tanta carità non ti commuovo,
1889-405] ■
[r,95-619] unno n.
<>ucsto alinoli riconosci. K fuor del «ano
li1 oro il tronco traendo, altro non dis^o.
Ki rimirando il vonoiabìl dono
\. la verga fatai, già di «tran tempo
K„n taduto da Ini. l'orgoglio o l'ira
T„sto depose, o la sua nt$ra cimila
,\ lor rlTolsc, e no la ripa stette.
],„li i banchi sgombrando o'I legno lutto,
j; animo che già dentro orano assiso
Ou sùbito scompiglio uscir no fece,
;.-raiid'Enoàv* ac!t>lse,AJlorben d'altro
pflrvc olio d'omlirc enreoj e si com'era
jlal contesto e scommosso, cigolando
Chinnssi al poso, o'pi'i d'"nR Hss,lra
jl la palude aporso. Alfin pur salvi
vc l'altra ripa, tra lo canno o 1 giunchi
gal palustre suo limo ambi gli espose.
Giunti che furo, il gran Coiboro udirò
Abbaiar con tre gole, e '1 buio regno
Intonar tutto; indi in un antro immenso
Sei Ti<lcr pria giacer disteso avanti,
Poi sorger, digrignar, rabido farsi.
Con tre colli arruffarsi, o mille serpi
Squassarsi intorno. Allor la saggia maga,
Tratta di mèlo o d' incantate biado
1406-1 20Ì
B70 t' erudì. [020-
Una tal soporifera mistura.
La gìttò dentro a le bramoso canno.
Egli ingordo, fnmolico o rabbioso
Tro boccilo aprendo, per tre gole ni venti
Trangugiando maudolla, e con sei lumi I
Chiusi dai sonno, anzi col corpo tutt i I
Giacque no l'antro abbandonato e vinto
Corbcro addormentato, occupa Enea
D' Èrebo il passo, e ratto s'allontana
Dal fiume, cui chi varca unqua non ri
Sentono al primo entrar voci e vagiti
In pargoletti infanti, che dal latta
E dn lo cullo acerbamente svelti
Vidor no'primi di l'ultima sera.
Varcano appresso i condannati e morti
Senza lor colpa, e non sonza compenso
Di giudizio o di sorti. Han quelle goutt
Cosi disposti e divisati i lochi.
StA Minos no l'ontrata, e l'urna avan
Tion do' lor nomi, e le lor vite essamlna,
E le lor colpe; e quale è questa o quella,
Tal le dà sito, e le raunn e parte.
Passan di mano in mano a quei cho fa
Incontro a su, la luco in odio nveudo
E l'alme a vile, ani al prescritto giorno
1420 435 J
[G45-WJO] i.ibho Tt 271
Si son ila loro Indegnamente anrisi.
Mh quanto ora voriehbono i monchini
l'.ssor di sopri», c povertà. rivendo,
.il ri re o de la vita oipii Magio!
Sia '1 fato il niega. o note Tolto intorno
Stigo odiosa gli ristringe, o fascili.
Quinci non lungo si distondo un'ampia
Campagna che del l'imito i nominata;
per cui fra chiusi colli o fra soliiigho
gel ve di mirti, occulto so ne vanuo
L'aline, c'Ita feramente arso c consnnto
fiamma d'amor, ch'ancorne' morti ù viva.
Qui vidor Fodra e Proori ed liiifilo
infida moglie e sfortunata madro,
pi cui fu parricida il propriu Aglio;
Yider Laodamla. Paslfo, Evadno,
li Cenilo con osbc, elio di donna
jp uoiii". e d'uomo nlfln cangiossi in donna.
gri( con questo la fenissa Dido,
Che di l'i"!» recento il petto aperta
Per 1» FrBD se'v* spaziando andava.
Tosto cho lo fn presso. Enea la scórso
Per entro a l'ombro, (inai chi vodo e credo
Veder tal volta infra le nubi o '1 chiaro
li uova luna, allorché i primi giorni
[186-468]
272 L'KXKroB. JO7O.0
Del giovinotto mcio appena spunta:
E di dolcezza intenerito il coro
Dolcomonto mirolla. e pianse e disse:
Dunque Dido infelice, e' fu pu; ver»
Queir empi» che di te novella udii,
Cbo col ferro finisti i giorni tuoi?
Ah ch'io engion ne fui; Ma per lo s
Ter gli superni Ilei, per quanta fode
Un qua giù, se pur v' ha, donna, ti jf
Che mal mio grado dal tuo I ito sciol
Fato, fato coleste, imperio espresso
Fu del gran Giove, o quella stessa fo
Che da Potoria luce a questi oirori
Do la profonda notte or mi conduco,
Che da te mi divolso; e inai creduto
Ciò di mo non avrei, che '1 partir mio
Cagiou ti fosso ond'a morir ne gissi. .
Ma forma il passo, e lo mie luci app
Do la tua vista. Ah! perchè fuggi? e
Quest'è l'ultima volta, oimè! che 't fa
Mi dà ch'io ti favelli, e teco io sia.
Cosi dicondo o lagrimando intanto
Placar tentava o raddolcir quell'alma,
Ch' una sol volta disdegnosa o torva
Lo rimirò; poscia o con gli occhi in te
Uòi-icyj
1 095-7 19] LIBRO TI. IP
0 con gli omeri volta, ai detti suoi
ptettoqna] alpoal'aura. o scoglio a l'ondo.
Uiin mentre dicea. cjiiio nimica
(ili si tolse davanti, e no >» selva
^l suo caro Sicbèo, cui fiamma uguale
f. |.nr cura accondea, si ricondusse.
jCè però men dolònto o roen piotoso
lj. -tonno il toucro dnco : anzi quant' olirò
Potè con gli occhi, e lungo spazio poi
(;0I pianto e eoi .sospiri aecompagnolla.
r.iscia tornando aXsuo fatai viaggio
Giunse là 'vo accampata ere in disparto
gente di ferro o di valoro armata.
quì -| gran Tidòo. qui 'l gran figlio di Marto
Partenopeo, qui del famoso Adrasto
La palli'l' ombra incontro gli si fece.
Quinci de' suoi piìl nobili Troiani
Un gr»n drappello avanti gli comparo,
pianse a veder quei glortosi eroi,
Tanto di sopra disiati o pianti,
Como lilauco, Tersiloco, Medonto,
I tre figli d'Antenore, il sacrato
A Cerorc ministro Polirete,
E -l chiaro Idèo con l' armi anco o col carro.
l?atto gli avean costor chi da man destra,
Cabo. -13. [470-4861
271 L'ENEIDE. I720-T
Chi da sinistra ima corona Intorno.
Nò d'avorio Tcduto eran contonti,.
Ch6 ciascun dosiava essergli appro»'
Hngionar, passeggiar, far seco indugi-
E spiar conio o d'onde e. perchè verni
Ma degli Argivi e lo falangi o i du
Quand' egli apparve, o elio tra lor ne Po
I lampi folgorando Panni suo.
Da gran timor furo assaliti ; e parto
Volser le terga, corno già fuggendo
Verso lo navi, o parte alzar lo voci
Clio per téma sombrar languide c floch
Dcifobo, di Pi'Yamo il gran figlio,
Vide ancor qui, elio crudelmente ano! 1
In disonesta e miserahil guisa
Avca le man, gli orecchi, il naso e '1 T
Lacerato, incischiato o monco tutto.
Per temenza il moscliino o por vergo
D'esser veduto, con lo tronche braccia
Un si brutto spettacolo celando,
Indarno si facca schermo o riparo;
Ch'ai fin lo riconobbe, o con l'usata
Domestichezza incontro gli si fece,
Cosi dicendo: Poderoso eroe,
tiran germoglio di Teucro, e chi si ero.
1480-501 1
| ;|5-769| libro ti. 27
Fu mai, clii tanto ostò, cui si pomii.so
Che facesse di te strazio ri doro?
J. i notte che segni l'ori ibii caso
li, hi nostra mina, io di le sojtpi
Ch'assaliti I. nomici e di lor fatta
Stinge che memorabile Jla sempre.
Tra le caterve de' lor corpi estinti,
glauco ria più cho vinto, alfln cadesti;
Ed nllor io di Keto in su la riva
\ 1' ombra tua con le mie mani un vóto
Sepolcro creasi, o torrida! tro volto;
i; '1 nume c l'armi tue riserbi ancora
Jl loco stesso. Io tg, dolce siguoro, ^
Hi veder nò coprir di patria terra
Avanti al mio partir mal non potoi.
Dcffobo rispose: Ogni pietoso,
Ogni onorato officio, Enea mio caro.
Ha l'amor tuo vèr me compito a pieno.
Ma l'empio fato mio, l'empia e malvagia
Argiva donna a tal m'ha qui condotto;
E tal di sù lasciò memoria al inondo.
Ben ti ricorda (e ricordar tcn dèi)
Pi queir ultima uotto elio si lieta
Hostrossi in pria, poi no si volse in pianto,
Quando il fatai cavallo il salto foco
[501-515]
270 i.'fsfidf. l"70-7jj
Sopra lo nostre mani, o 'I ventre plono
D'armato schiere ne votò fin dcntr,o
A J'nlta ròcca. Allora ella di Racco
Fingendo il coro, e con le frigio donno
Scorrendo in tresca, una ginn face in
Si prese, e diè con ossa il cenno a'(/rc
Io dontro alla mia camera (infelico!)
Mi ritrovai sol quolla notto; o stanco
Di tante che n'avea con tanti a (Tanni
Vegghiate avanti, un tal prcndea ripoto
Che a morte più che a sonno era simile.
Fece la buona moglie ogn'nrmo intanto
Sgombrar di casa, e la mia fida spada
Mi sottrasse dal capo. Indi la porta
Aperso, e Menelao dentro v'accolso.
Cosi sperando un prezioso dono
Faro al marito, e de'suoi falli antichi
Riportar venia. Che più dico? Basta
Ch'ontràr la Vlo dormia; o con essi o
Per consultoro Ulisse. 0 dii, so giusto
È 'I prlego mio, ricompensato voi
Di quest' opero i Greci. E tu che vivo
Sci qui, dimmi a rincontro, il caso o '1 11
0 l'errore o 'I precotto degli Dei,*
0 qual altra fortuna t' ha condotto,
1515-Ó33|
^[793-818] udrò ^•^^wi
Ore il sol mai non entra e baio è tempro.
Cosi tra lor parlando e rispondendo.
Avi :i (ria '1 so! del suo cerchio diurno
Varcato il mezzo, e l'avfhl forse intero;
gè non che la sibilla rampognando
Cosi gli Te del brovc tempo accorti:
Enea, già notte Tassi, e noi piangendo
Consumiain l'ore. Ecco siam giunti al loco
povc la strada in due sentier si parte.
Questo a man dritta a la città ne porta
pel gran Plutone, eT|uindi ai campi Klisi;
Quest'altro a la sinistra a l'empio abisso
Kc guida, ov' hanno i rei sopplizio eterno.
Il Aglio a ciò di Vitame soggiunse:
Kon ti crucciare, o del gran Delio amica,
Ch'or or da voi mi tolgo, o ini ritiro
y le tenebre mie. Tu. nostro onore,
Yatton felice, già che scòrto sci
Ila miglior fato: e meglio te n'avvenga.
Tanto sol disse, e sparvo. Enea si volse
Prima a sinistra, e sotto un'alta rupe
Yide un'ampia città che tre gironi
Avi - di mura, ed un di ti .une intorno;
Ed era il Aume il negro Flcgotonto,
Ch'ai Tartaro con suono o con rapina
ÌÓ&M-551J
878 l'emkidi. . [8flg
L'onde seco traoa. lo fiamme o i sassi
Vede nel |irinio incontro una gran por)
C'Irà la soglia, i pilastri e le colonne
D'un tal diamante, clic le forze umana
Nò degli stessi Dei, romper noi ponilo.
Quinci si spicca una gran torre in allo
Tutta di ferro. A guardia do l'entrata
La notte e 'I giorno vigilando assisa
Sta la fiera Tosifone succinta.
Col braccio Ignudo, insanguinata o torr
Quinci di lai, di pianti e di percosso
E di stridor di ferri e di cutono
Cotale un suono udissi, che spavento
Enea sentinne; e rattonuto il passo,
Dimmi, vergine, disse, o che delitti
Son qui puniti? e che pianti son ques
Ed ella: Inclito siro, a nessun loce,
Clio buono o giusto sia, di portar oltre
Da quella soglia scolorata il piede,
ila me di ciò elio dentro vi s'accoglie
Ecal j instrusso allor ch'ai sacri boschi
Mi prepose d'Averno; e d'ogni pena
E d'ogni colpa e d'ogni loco a pieno,
Quando seco ri fui. notizia diommi.»
Questo 6 di Radamanto il tristo regno,
[551-560]
[S45-869] unno vi. =™
I.i'i dov' egli ode, essamioa, condanna
E discuopro i peccati cho di sopra
S.in da le (tenti o vanamente ascosi
In vita, o non purgati m/i a la morto:
pria di Kadauianto esco il precetto,
Clio Tosifone è presta ad cssegairlo.
Ella con l'una man la sferza impugna.
Kc l' altra ha serpi ; ed ambo intorno arrosta,
E grida e fere, o de le sue sorelle
I,o mostruose ed empio schiere tutto
Al uiinisterio de' tormenti invita.
Animisi 1'cssecrato orrendo porto
Stridendo intanto. Tu, che quinci vedi
Che faccia è quofla cho di fuor lo guarda,
I>e„sa qual a veder sia dentro un'Idra
Ancor più flora aprir ciuquauta ingordo
Sabbiose bocche. Il Tai taro viou dopo;
Uoa vorago cho duo volto tonto
Ha di profondo, quanto in su guardando
j: a„ la terra al ciolo: c qui ne l'imo
Suo baratro dal fulmino trafltti
Son gli antichi Titàni al ciel rubclli.
Qui vidi ambi d' Alòo gli orrendi figli.
Chi scinder con le mani il ciolo osaro,
E tur lo scettro del a io regno u Giovo.
I5C7-Ó8I]
280 L* exridr. [870-694]
Vidivi l'orgoglioso Salmonèo
Di sur temerità pagare il do;
Chu temerario veramente et] empio * I
Fu di voler, qunlu il Tonante in riolo, J
Tonar qua giuso c folgorare a pi uova. J
Questi su quattro suui giunti destrieri, ■
I.a man di fnco armato, alterainoute
Per la Grecia scorrendo, e fin per mezzo ■
D'Elide, ov'è di Giove il maggior teurpiojjfl
Di Giove stesso il nume, e de gli Dei
S'attribuiva i sacrosanti onori.
Folle, che con lo fiaccole o co' bronzi,
E con lo scalpitar de' suoi ronzoni
I tuoni, i nembi o i folgori imitava
Ch'imitar non si ponno; o ben fu degno J
Ch'ei provasse per man del padro otorod
D'altro fulmine il colpo e d'altro vampo.
Che di tede o di fumo, e degno ancora '
Che noi baratro andasse. Kravi Tizio,
Quei do la terra smisurato alunno,
Che tion disteso di campagna quanto
Un giogo in novo giorni ara di buoi.
Questi ha sopra un famelico avoltoro.
Che con l'adunco rostro al cor d'intornili
Gli picchia e rodo ; e porr.hu sempre il pasci
I&8Ó-698J
[395-919] libro tt. 291
Non mai lo scoma ni, elio '1 pasto eterno
Kil eterna non sia la pena sua:
Clio fati • a chi lo^fempl
liei suo proprio miirtir n* Manza e cu se
1. perché sempro langua, unqua non moro.
Ili Liipiti a elio parlo? dJIssTónft
pi Piritòo, e di quegli altri tutti,
Cui sopra al capo un'atra sclco pende.
Che gravo e ramosa ad ora ad ora
Sembra che caggin? Avvi la mensa d'oio
C«n preziosi cibi in Teoria guisa
A]iparocchiati o proibiti insiemo:
Che la Fame, infornai furia maggioro.
Oli siede accanto ; è coni' più 'I gusto incende
pi lui, più dal gustarno indietro il tragga,
E soigc, o la sua face estollo e grida.
Quei che son vissi ai lor fratelli amari;
Quei c'han battuti i padri; quei che frodo
Hanno ordito a' clienti; i ricchi avari.
E scarsi a' suoi, di cui la turba ò graiido ;
Oli occisi in adulterio; i Tiolenti,
gl'Infidi, i traditori ili questo abisso
Dan tutti i lor ridotti o lo lor pene.
K che pena e che forma o elio fortuna
Di ciascun sia, non ò d'uopo ch'Io dioa :
[598-0151
282 l' movi. f 920-
Ma olii sassi rivolgono, c chi vòlti
Son da le ruote, ed altri in altra imiti
Son tormentati. In ini |>etmn confitto
Vi siede e sederavvi eternamente
Tòsoo infelice: o Ficaia infelicissimo .
Va tra l'ombro gridando ad alta voce
Imparato da me voi cho mirato
La pena mia: non violato il giusto,
Riverite gli Dei. Tra questi tali
È citi vendo la patria: ehi la poso
Al giogo de' tiranni: chi per prezzo
Foce leggi o disfece: chi da stupro
E di figlia macchiato, o di sirocchia;
Tutti che brutto ed empie sccleranzo
limino osato, o commesso; o cento liti
E cento bocche, o voci anco di ferro,
Non basterian per divisare i nomi
E lo formo do' vizi c do le peno
Ch'entro vi sono. Poi cho la sibilla
Ebbo ciò dotto, Via, soggiunse «(tondi
A l'impreso viaggio, o studia il pasao
Che gin le mura da' Ciclopi ostrutto
Mi veggio avanti, e sotto u quel grand'
La sacra porta che 'I tuo dono aspotta.
Cosi mossi ambidue, lo spazio tutto,
[613-G33J
1 045-9601 unno ti. 88 '
Ch'era noi mezzo, por sentiero onjfo
Tosto Tarcando, anzi a la parta furo.
; .ntinente Kncn l'intrata occupa;
Ili vivo ooqua si spruzzai o '1 sacro lauio
A !» regina do l'inforno affigge.
Ciò fatto, a i luoghi di letizia pieni,
A l'ameno vordiiro, a le gioioso
Coutrado de' felici e do'heati
Giunsero alfine. K questa una 'campagna
Con un fior più largo, e con la terra
Che di un lum'o di pBrpura.ò vestita,
£,1 h» '1 suo solo e lo suo stello anch'olii.
Qui se ne stali lo fortunate guiiti.
Parto in su' prati o parte in su l'arena
Scorrendo, lottegglnndo, o vali giuochi
])i piacotol contesa osscrcitaiido;
Parlo in musiche, in foste, in halli, in suoni
So no vnn diportando, od limi coli essi
Jl tracio Orfeo, ch'in lungo abito o sacro
Or cmi le dita ed or col plettro diurno,
Setto nervi diversi insiemo uniti,
Traggo del muto loglio umani accenti.
Qui di Teucro l'antica e bolla razza
Facea soggiorno: quei famosi eroi-
Ch'in quei tompi migliori al mondo furo,
ioaaoiaj
284 l' f.nfiiie. [970-994]
Ilo, Assàraco, Pèrdano, quei primi . j
Do la grnn Troia fondatori §>rcgi.
Veggo n da lungo lo vane armi- c i carrifl
A lor d'intorno, d'aste in terra l'isso, M
E gli sciolti dostrier per la campagna, J
Vagar pascendo; che 'I diletto antico
E de l'armi e de' carri o de' cavalli
Gli segue anco sotterra. ludi altri altrove
Scorgono, che da destra o da sinistra
Convivando o cantando, sopra l'erba
Si stanno assisi, ed lian di lauri intorno
Un odorato bosco, ondo 11 Po sorga
Sopra la terra, e spazioso inonda.
E questi cran color che combattendo
Non tur di sanguo a la lor patria avari;
E quoi elio sacerdoti erano in vita '
Castamente vissuti, e quei veraci
E quei pii c'ban di qua parlato o scritto
Cose degne di Febo, o gl'inventori
So l'arti oud'e gentile il mondo o bello]
E quei elio, ben oprando, bau tra' mortali
Fatto di Tania e di inomoria acquisto,;
Cui tutti, in segno di celeste onoro,
Candida benda il Tronto orua o colora.
A questi, ch'ala Tergine sibilla
LOiO-CGCJ
f995-1010| LIBRO TI. m
Ycr cerchio intorno, ed a Musco Ira loro,
( ho dagli omeri in a» gli altri avauiaf»,
liiss'ella: Alma felici. « tu buon vate,
pitone in qual contrada' «*n qual magiono
(jiii tra toì si ripara il grn'ndo Anellino,
Che Ini cerchiamo, e soljicr lulvarcatl
li- Èrebo i numi e lo caverne avemo.
A cui Musco cosi breve risposo:
fcullo è di noi eh' in alcun luogo alloggi
Como in suo proprio; e tutti o per le sacro
Opache selve, o por T amono rivo
I,,- chiari numi o per gli erbosi prati
T,a rivi e fonti i nostri alberghi avemo.
Ha se di ciò ri colo, itene meco
Sovr'a quel giogo; e quindi agevolmente
i, seutier ne vodrotc. In ciò si mosso
Come lor guida, o sopra al collo asceso
Mostrò lor d'alto i luminosi campi,
Additò '1 calle, ed iuviolli al piano.
Eia per avvontura in una vallo
Anchisc, che da poggi era ricinta,
I di verdo coverta. Ivi in disparto
Do- suoi nopoti avea l'anime accolto
Ch'a la vita di sopra orali chiamato,
v facendo di lor rassegna e mostra
[0G0-681J
S80 t' eskimi. [1^20-10
Oli annoverava, cssaminava i fntl.
Le fortune, il vnlor di mano in ninno.
Gli ordini fl i tempi loro. Knca coinparr*
Sul campo intanto; a cui, tosto che '1 ri
Lieto Aneliiso avventori, e con le br»ccl
In atto d'accoglienza, 0 Aglio, disse
Dolcemente piangendo, io pur ti veggio,
Tur sei vetiuto, ha pur la tua pietade
Superati i disagi e la duiozza
l>i si strano viaggio. Ecco m'è dato
Di veder, figlio, il tuo bramato aspetto,
£ sentirti e parlarli. Io di ciò punto
Non era in forse, o sol pensava al quand
Coniando i giorni. Oh dopo quanti alTann
Dopo quanti perigli, o quanti storpi!
E di maro e di terra io ti riveggio!
E quanto obbi timor che di Cartago
Yenisso al corso tuo sinistro intoppo!
Ed egli a lui: La sconsolata imago,
Cho m'è, padre, di to soveuto apparsa.
Per te per to vodor qua giù m'ha tratto
E di sopra fin qui salvo a la riva ,
Del mar tirreno il min naviln , sorto.
Or dammi, padro mio, dammi ch'io giunga
La mia con la tua destra, o grazia lumini
[G82-098J
oh
11045-1060] libro ti. 287
Cho di vederti e di parlarti io goda.
Montre cosi dicea, di largo pianto
Tlipava il volto, o disteudca le palme:
K tre volte abbracciandole, altrettanto
(Come vento stringesse o'fumo o sogno)
Se no tornò con le man voto al petto.
Intanto Enea per entro a la gmn vallo
Vide scovra da l'altre una forosta,
1 cui rami sonar ò> lungo udiva.
A piò di questa era di Lete il rio
Ch'ili dilettosi e forfnnati campi
Correa davanti, o pieno svoa lo ripe
pi genti innumerabili ch'intorno
A caterve allandoìvaiio in guisa
Che fan le pecchie a' chiari giorni attivi,
QUBncb> di fioro in fior, di giglio in giglio
Si van posando, o per l'apricho piagge
polccmcuto ronzando. Enea, cho nulla
pi ciò sajica. di sùbito stupore
Fa sovraggiunto, e la c-agion spiando,
0, disse, padre, che riviera ò quella?
Ecne gente, e che mischia, o cho bisbiglio?
L'anime, gli risposo, a cui dovuti
Bone altri corpi, a questo flumo accolte
Beon dimenticanze e lunghi oblii
|C»a-716J
288 l" f.nktdf. [Iu70-109!
Do l'altra vita; e questi io desiava
Clic tu vedessi, e che da me n'udisti
J nomi e i gesti, onde contezza a pieno
Del nostro sangue e piena gioia avessi
1)0 l'acquisto d'Italia. 0 padre, aduno;
Soggiunse Enea, creder si deo ci» l'ai
die son qui scarchc c libere e felici,
Cerchili di nuovo a la terrena salina,
Di nuovo a la prigion tornar àV corni?
E qual. misero loro! empio desire
Del lume di lassù tanto le invoglia?
Figlio, rispose Aucliiso, acciò sospeso
Più non vacilli in questo dubbio, accolta.
E 'n tal guisa per ordine gli narra:
Primieramente il ciò), la terra e'inuv
L'aCr, la luna, il sol, quanto ù nascosto,
Quanto apparo e qnant'è, muove, nudri
E regge un, elio v'ù dentro, o spiito o mi
0 anima che sia do l'uuivorao;
Clic sparsa per lo tutto c per le parti
Di si gran molo, di sò l'empio, e seco
Si volge, si rimescola o s' unisco. ,
Quinci l'union legniiggio. i bruti, i pesci,
E ciò clic vola, o ciò elio serpe, bau vita,
E dui foco e dal cicl vigore c seiuo
I715-781J
[1095-1119] MBBO
Traggon. «e non «a quanto il pondo e '1 gelo
l>e'graYÌ corpi, e lo caducho membra
I,o fan torrcne e tardo. K quinci ancora
Avvion cho tema o spora* o duolo e gioia
Vivendo lo conturba, e cho rinchiuso
jCcl touebroso carcere. • no l'ombra
pd mortai velo, a lo bellone otorno
ìCnn orgon gliocchi.Edoltreaeiò.morcndo,
perchè sian fuor do la torrona vesta,
Non del tutto ai spoglian le meschino
pc le suo macchio; chè '1 corporeo lezzo
<?1 l'ha per lungo suo contagio Infette,
Che scovre anco dal corpo, in uuova guisa
te tlen contaminato, impuro e sozzo.
Perciò dì purga han d'uopo, 0 per purgarlo
Son do l'antiche colpe in vari modi
Punite e travagliate: altre no l'aura
Sospese al vento, altre ne l' acqua Immerso,
Ed altre al foco raffinate ed arso:
Che quale è di ciascuna il gonio o '1 fai!.),
Talo ò '1 castigo, ludi a venir n'ò dato
Negli ampi clisii campì: e poche s.amo
Cui si lieto soggiorno si dostini.
Qui stiamo inftncho'ltompoaciòprcscntto
D'ogni immondizia ue forbisca o terga,
Ciao. -19- 1731-746]
g90 l'enkidR- (U2MUq
SI eh' a nitida fiamma, a semplice aura,
A puro cterlo senso ne riduca.
Quest'alme tutto, poiché di mill'anni
Han vòlto il giro, Rlfln son qui eliminata.
Di Leto al Dumo, 0 'n quella riva fanno,
Qua! tu vedi coli, turba a concorso.
Pio lo vi chiama, acciò ch'ivi deposto
Ogni ricordo, mcn de' corpi schive,
E più vaghe di vita, un'altra volta
Toruin di sopra a riveder le stello.
Ciò detto. Anchise a quelle genti i n mot^
Condusse il figlio, e la sibilla insiomo; f
E prese un colle, ovo lo schiero tutto, .
SI conio no venian di mano in mano
Avoa d' incontro, o le scorgea nel volto.
Or qui ti mostrerò, soggiunso Anchiad
Quanta sarà no' secoli futuri
La gloria nostra; quanti e quai nopotf ■)
Do la Dardania prole a nascer hanno; -
E quanto del mio sangue animo illustri
Sorgoranno in Italia. Indi a te conte
Lo tue fortune e i tuoi fati saranno.
Vedi colà quel giovinetto ardito
Cho su quell'asta pura il braccio appoggi
Quegli a la luce ò destinato in prima,
[717-7C1]
(1H5-1109] L„,B0 vj. 291
Primo elio di Lavinia in Lniio avrai
1' postumo a to eia d'anni gravo,
rh'alfln da lei fuor do le selve addutto,
He sarà d'Alba, o deifH albani regi
Autore e padro: c Silvi dal suo nome ,
finn tutti i nostri, che da lui discosi
Ivi poscia gran tempo importo avranno.
Prócft e quel dopo lui, gloria e aplondoro,
Pc la stirpe troiana: e quegli è Capi,
E quegli è Numi toro; o l'altro appresso
j; Silvio Enea, che '1 tuo nome riuova;
E se fin "ini eh» 'I suo regno ricovrì,
Non sarà mcn dj to pietoso o forte.
Mita che gioventù, mira che fono
Mostran, solo a vederli. Appo costoro
Quei che son la di quercia inghirlandati
Di Gabii, di Nomento e di Fidoue
Parte propagheranti il picciol regno.
Parto su' monti il tempio ti porranno
p'Iuuo, e la torra cho da lui dirassi,
E Collana o Pomezia e Boia e Cora;
Che questi nomi nllor quei luoghi avranno
Ch'or ne son senza. In compagnia de l'avo
ltomolo se no vien, di Marte il figlio.
Di Koiuu il padre. Al mondo Dia darollo
[761-77UJ
292 i/Bjmn». [1 170-1 mjj
Do 1» stirpe d' Assàraco un rampollo. ' |
Vedll colà, c'ha iu su Ir tosta un olmo :
Con due cimiori, e tal, che il padro stesa» j
Già par eh' in cielo e nel suo seggio il pon
Quosti, figlio, sarà quel grand' eroe,
Ondo i suoi primi gloriosi auspiciì
Avrà l'inclita Roma, quolla Roma,
Che, sette monti entro al suo cerchio accolt
Tanto si stenderà, cho fia con l'armi
Uguale al mondo, e con le menti al cielo:
Roma di cosi prodi e chiari figli
Madro felice. Tal di tìcrecinto
La maggior madro infra i leoni assisa
E di torri altamonto incoronata
Va por la Frigia, gloriosa o lieta
Cho tanti ha figli in ciol, nepoti in boiio,
Tutti che dii già sono o dii si fallilo.
Or qui, figliuolo, aniho le luci affisa
A mirar la tua gente e i tuoi Romani.
Ccsaro è qui, qui la progenie e tutta
Del grando lulo, a cui già s'apro il cielo.
Questi, questi ò colui che tanto tolto
T'è già promesso, il gran Cesare Augn
Di divo padro figlio, o divo anch' egli.
l*or lui risorgerà quel sccol d'oro,
I779-7U3J
[1195-1219] libro ti. 293
Quel dol rocchio Saturno antico regno
Clio fo '1 Lazio sì bullo e '1 mondo tutto.
Questi oltre ai Garantenti od oltre agi' Indi
luiperorà fin dove il sole e l'anno
Non giungo, o più non va se non s'arretra:
Trapasseri di là daUnanro Atlante
Che con gli omeri suoi folce lo stello.
Al venir di costui, sol de la toco
Che no danno i profeti, i caspii regni,
La meotica terra, o quanto inonda
U setto volte geminato Nilo,
Tremar gii veggio, o star pousoso o mosto.
Tanto del mon<]o il glortoso Alcido
Non corse mai, se bon do'Coreniti,
Di Lenin o d'Erimanto i mostri anciso;
Né tinto ne domò chi domò gl'Indi,
E noi trionfo suo di riti o pampiui
A le tigri di Nisa il giogo impose.
E sarà poi cho 'I valor nostro manchi
Di gloria, o tu di speme e d'ardimonto
Di far d'Ausonia il desiato acquisto?
Ma chi fia questi che da lungi scorgo
SI venerando, il crin cinto d'olivo,
Con quelle bende e con quei sacri arredi?
A la chioma, a la barba irta o canuta
[794-8101
29i L'Kntmi. [1220-12***
Mi sembra, od è di Koma il santo rogo,
Cho dal |iicciolo Curi a grande impero
Suià da lei cliiumatu, o Bara il primo
Che cerimonie Introdurr»» ri e leggi,
A lui Tulio vion dopo, il forte e saggi
Ch'ai dismessi trionfi rivocando
Da.gento già per lunga pace imbelle, |
La tornerà, di neghittosa e mite.
Un'altra volta armigera e guerriera.
Anco è quell'altro che !•. seguo .l'i'resso,
Clio d'ouor troppo o del favor del volgo.'
Di già si mostra ambizioso o vago.
Or vedi là. se di vederli agogni.
Anco i Tar.|iiini regi, e quel superbo
Vondicator do la superbia loro.
Bruto, consol primiero, o quei suoi Casei
E quollo accetto ond'ei, padre crudele,
Do la patria buon figlio, i figli suol
Por l'altrui bolla lihortado ancide.
Infortunato lui! cho cho dopo!
Da la postorito so no favoilo.
Vince il publico amore, o '1 gran doslo
D'umana lodo in lui l'affetto interno
Do la natura e dui suo sangue stesso.
Mira poco iu disparto i Deci!, i D
[811-825]
[li 15-1809] LtBHO vi. 205
Il sovoro Torquato e 'I buon Camillo;
1,'uno cbo tiun già In secare in uiauo,
). l'altro elio da' Galli ne riporta
1 | . ululi vessilli. I duo, che vedi
SI risponder no l'armi, o che rinchiusi
jn questa notte, sembrano a fa rista
Gir di pari o d'accordo, oh se a la vita
Yeiigou di sopra, quanta (morra e quale,
Culi elio strago di genti o con che forzo,
Jùiinti tra loro.' Il suocero da l'Alpi
K da l'occaso, il g Aero da l'orto
Vena l'un contra l'altro. Ah figli, ah figli,
Non cosi rio. non cosi fiero abuso
D'arimir voi cantr'a voi, conlr'a le viscero
Do la patria vostra! e te che traggi
Pai ciel legnaggio, tu mio sanguo, astienti
Sa tanta lei iti; perdona il primo,
£ gitU l'armi in terra. Ecco chi vinco
Corinto o 'I popol greco, e 'a Campidoglio
Trionfando ne snglio. Ecco chi d'Argo
E di Nieeua ancor lo torri abbatto,
E ohi Pirro debella o '1 seme estinguo
Del bellicoso Achille; alta vondutta
Cho ben degli avi ricouiponsa i danni,
E '1 tempio violato di Minorva.
1826-841]
29G l'eskid*. [1270-lSMj
Dove InssMo te. gran Catone, o Costo»
E i Gracchi, o ì duo gran folgori di guerra
Ambedue Sciptoni, ambi Africani.
Strage Tira di Cartago, e l'altro osa
Boto Fabriiio il povero, e potente,
Con la sua povertà? Dove Serrano,
Ch'è.di bifolco.nl grande imperio asso
Dove restano i Fabii? Eccone un solo.
Massimo veramente, che con arte
Terrà il nonveo tranquillaudo a bada.
Abbinsi gli altri de l'altre arti il vanto;
Avvivino i colori e i bronzi e i marmi;
Muovauo con la lingua i tribunali,
Mostrin con l'astrolabio e col quadran
Moglio del ciol lo stello o i moti loro:
Che ciò moglio sapran forse di voi:«
Ma voi, Romani mici, reggete il mondo
Con l'imperio e con l'armi?o 1' arti v
Sion l'osser giusti in paco, invitti in gu
Pordonarc a' soggetti, accòr gli umili,
Dobellare i superbi. In questa guisa
Parlava il santo vèglio, ed essi attenti
Stavan con meraviglia ad ascoltarlo:
Quando soggiunse: Ecco di qua Min coli
Mira come so n'entra adorno o carco
I8I2-8ÓC]
[1295-1319] unno ti. 207
1 l'opime spoglie e quanto agli altri avanza.
Quest' ò quel generoso, eh' a grand' uopo
Vien dì Roma a domare i Peni, i Galli,
K del gallico duco i frigi e l'armi
I,a terza volta al gran Quirino appendo.
Qui vide Enea eh' un giovinetto a pari
Gli si traca, ch'ora d'arnesi o d'armi
E via più di boltà vago e luconta;
Se non ebo poco Mota avea la fronte,
E chino il viso. Ondo rivolto al padro,
; chi, disse, o costui che l'accompagna?
Saria do'figli o do'nipoti alcuno
poi gran nostro legnaggio? E cho bisbiglio
Echo mischia ha" d'intorno? Oqualeoquaiito
pi già mi sombra! Ma gli veggio al capo
D' atra notte girar di sopra un nembo.
Auchiso lagrimando gli risposo:
Amaro desiderio il cor ti tocca
A voler, figlio, un gran danno.un gran lutto
Udir do'tuoi. Questi a la luce a pena
Vorrà, cho no fi» tolto. 0 dii superni,
Troppo parravvi la romana stirpo
Possente allor cho in sul fiorir preciso
fia si vago e si gentile arbusto.
0 cho duolo, o che pianto, o che funebre
1856-8781
208 l'kxkidf. [1820-1844
rompo no vedrà Roma o '1 Marzio campo!
Qual. 'fillorino padre, a !.. tua riva
Nuova so n'urgerà funesta mole!
(ieimo non sorgerà del seme d'Ilio
Più di questo gradito, uè elio tanto
Du' latini avi suoi la spemo estolla;
Nò la terra di Jtomolo ara mai
Figlio onde più si pregi e più si vanti.
0 pietà non più vista! o fede antica!
0 vertù senza pari ! E qual uo l' unni
Sani? Obi sostuirà l'incontro suo
Pedone o cavalior ch'armato in giostra, '
0 pur nel campo, il suo nemico assalga?
Wisuiabil fanciullo! Cosi morto
Tu non vincesse, come invitto fora
11 tuo valore, o conio tu, Mai cullo,
Non meli de l'altro, eroica vertuti
£ più splondoro e più fortuna avresti)
Datemi a piene maui ond'io di gigli
£ di purpurei fiori uu nembo sparga,
Che, se ben contro al già fisso destino
U'adopro invano, almeii con questi don]
L'ombra d'un tanto mio nipote onori.'".
llopo ciò detto, per gli aorei campi
Vagando, a parte a parto e l'ombre e i loe
[878-888]
[1345-1302] unno ti. 209
Gli mostrò, l'invaghì, tutto d'amore
pi' la futura gloria il cor gli acceso,
[lidi le guerre 0 le fortino suo
|i' Italia, di Lniirento, e di Lutimi
La figlia, il regno, i popoli e lo stato
Tutto gli rivelò. D'ogni suo affanno
(Come a fuggir, come a soffrir l'avesse)
Gli dio lume e compenso. Escono i Sogni
p' inferno por due portai una ò di corno,
L'ultra è d'avorio. Alauda il corno i vorL
L'avorio i falsi; o p*or l'oburua Anchisa
piede (quando lor dio comiato Hlfiuo)
\ In sibilla ed al suo figlio uscita.
Enea verso lo navi a' suoi compagni
Fece ritorno. Indi sciogliendo dritto
Lung" la riva il suo'corso riprose;
E giunto ov'oggi è di Caicta il porto,
L'afferrò, gittò l'ancore, e funnossi.
188D-0JÌ]
300
DELL' ENEIDE
Libro Settimo.
H ancor tu, d'Enea fida midrice
Caieta. ai nostri liti eterna fama
Désti morendo, od essi anco a te diero
Sedo onorata, se d'onore a' morti
È d'avor l'ossa consccratc e '1 nome
No la famosa Esperia. Ebbe Caieta
Dal suo pietoso alunno ossequie o lutto,
E sepoltura alteramente eretta.
Indi, già fatto il mar tranquillo e quoto.
Spiegar le vele a' venti, o i venti al corto
Erau secondi; e 'n sul calar del sole,
l.a luna che sorgoa lucente e piena.
Chiaro l'onde facea tremule e crespe.
Uscir del porto; o pria raserò i liti
Ore Circe del Sol la ricca figlia
Gode felice, e mai sciupio cantando
Soavomento al periglioso varco
Do le sue solvo i peregrini invita:
E do la reggia, ovo tessendo stassi
U-13J
[20-44] i.idbo tu. 801
I,o ricche tele, con l'arguto snano
Che fan le spuole e i pottini u i tclnri,
E co'fuochi do' cedri e de' ginepri
forge lungo la notte indici» o lume.
Quinci là verso il di. lontano udissi
Bug - leoni, urlar lupi, adirarsi,
j; fremirò o grugnire orsi o cignali,
Ch'ernn uomini in primate 'n questo forma
pa lei con erbe e con nuiio cangiati
Giacenn di ferri 0 di forratc sbarro
■ge )c sue stalle incatenati e chiusi,
g perché ciò non avvenisse ai Teucri
Cho buoni orano.0 pii, da cotal porto
I da spiaggi» sl r'a Nettano stesso
Spinse i lor legni, o diè lor vento o fuga.
Tal che fuor d'ogni rischio gli condusse.
Già rosseggiava d'oriento il balzo,
g nel suo carro d'ostro ornata e d'oro
L'Aurora si trnoa de l'onde fuori,
Quando subitamente ogn'aura, ogn' alito
Cessò del vento, e no fu '1 maro in calma
SI ch'a forza ne gian de' romi a pcua.
Qui la torra mirando il padro Enea
Vede un'ampia foresta, e dentro, un fiumo
Rapido, vorticoso e queto insionio,
113-301
802 l'kxuid*. [45-60]
Clic per l'amena selva, e per la biond» \
Sun molta arena si devolve al maro.
Questo era il Tebro. il tanto desiato,
Il tanto cerco suo Tcbro fatalo:
A le cui ripo, a le cui selve intorno,
£ di sopra volando ivan le schiero
Di più canori suoi palustri augelli.
Allor, Via. dice a' suoi, volgete il corso,
Itone a riva. K tutti in un momento
Rivolti e giunti, de l'opaco Dumo
Preser la foco, o lietamente entrar».
Porgimi. Erato, aita a dir quai resA
(juai tempi e quale stato avesso allora t
L'antico Lazio, quando prima 1 Teucri
Con questa armata a'su >i liti approdarti'
Ch'io dirò da principio le cagioni
E gli accidenti, ondo con ossi a l'arme
Si venne in pria: dii<< battaglie orrende
Dirò stragi d'osserciti, e duelli
Di regi stessi, o la Toscana tutta,
E tutta anco l'Esperia in arme accolta.
Tu d'Elicona Doa, tu ciò mi detta,
Ch'altr' ordino di cose, altro lavoro,
E maggior opra ordisco. Era signoro,
Quando ciò fu, di Lazio il re Lutino,
[81-45]
[70-94] libso Tn. 803
Un re che ròglio o placido gran t<*mpo
Area 'I suo regno amministrato in paca.
Questi nacque di Fnuno-c di Marica
Ninfa di LaDronto, e Fanno a Pico
tra figliuolo, e Pico a to, Saturno,
])cl suo regio leguaggio ultimo autore
Non area questo re stirpo Tirile,
Com'era il suo destino; e quella ch'ebbe
Oli fu noi Bor do' suoi rerd'anui ancisa.
Sola d'nu sangue tal, d'on tanto rcguo
Jlestara una sua figlia unica crede,
Che già d'anni matura, a di bellezza
Più d'ogni altra, famosa, era da molti
Eroi del I-azio e de l'Ausonia tutta
Desiata e ricorca. Avanti agli altri
Ij» chiede» Turno, un glorino, il più bello,
Il più possente o di più chic ra stirpo
Che gli nitri tutti; e più ch'agli altri.n lui,
Ami a lui sol la sua regina madre '
Con mirabile allotto ora inchinata.
Ha elio sua sposa fosse, arrorso fato,
Vari portenti e spaventosi augiiri
Faccan contesa. Era un eortilo in mezzo
A lo stanzo reali ovo un gran lauro
Gii di gran tempo consacrato e cólto
[40-60]
804 L'rsv.in». 195-110)
Con molta riverenza era serbato.
Si dioca cho Latino esso re stesso
Nel designare i suoi primi edifici.
Là 'vo trovollo, di sua mano a Febo
L'aveadicato; ecb'iudi il nomo dieda
A'snoi Lauronti. A questo lauro in cim»
Meravigliosamente di lontano
Romoroggiando a la sua vetta intorno
Venne d' api una nugola a posarsi;
E con l'ali e co' piò l'una con l'altra,
E tutte insidilo aggraticciato e strotta
Ktier d'uva in guisa a le sue froudl appesa,
Ciò l'indovino interpretando, Io veggo,
Disse, venir da lungo un duco osterno,
Ed una gonto cho d' un loco uscita
In un loco modosmo si rauna
Ed altamente ivi s'alloga e regna.
Stando un giorno, oltre a ciò, Lavinia virgq
Sacrificando col suo padre a canto,
Ed a l'aitar casto facelle offrendo,
l'arve (nefanda vista!) che dal foco
Fossero i lunghi suoi capolli approsl,
E che stridendo, non pur l'oro ardesia
De le sue trocce, ma il suo regio arnese
E la corona stessa, che di gemmo
L00-76J
[1 20-144 J muro vii. 805
gra fregiata. Indi con roglo vampo.
Con nero fumo o con voltimi attorti
S'avventarne d'intorno, e l'alta reggia
Tutta di fiamme empiette: orrendo ni"-,! i i,
i di L'ine meraviglia a^ehiunque il vide,
(ili auguri ne dlcean che fama Illustre
j gi nn fortuna a Io! si portendoa:
y riiina a lo stato, e guerra a' [minili.
A questi mostri attonito e confuso
j] io tosto a l'oracolo di Fauno
Suo genitori!» l'alta Albunea selva
pcr consiglio ricorso. E questa selva
Immensa, opaca, ove mai sempre suona
Un sacro fonte, ondo mai sempre essalo
Una tetra vorago. Il Lazio tutto
E tutt i Italia in ogni dnbia caso
Quindi eerlezza, alta e 'ndrizzo attendo.
% l'oracolo e tale. Il sacerdote
jjc| piofondo silenzio do la notte
Si falle l'immolato pocorello
gotto un covile, ove s'adagia o dormo.
Kel sonno con mirabili apparenze
Si vede Intorno i simolacri e l'ombre
j)i ciò ch'Ivi si chiodo, e varie voci
Ne scnte.c con gli Dei parla o con gì' Infeii.
Caro. - 20. f70-9Il
300 i/knkidi. [140 U
In quosta guisa il io Lutino -•
Al vaticinio del no padre intento
Cento pocoro ancide, e 1 volli e i torchi
Nel suol ne stonde, o vi s'involro e corei
Ed ceco uu'nlta repentina roca
Che. do la selva uscendo, intuoiia o dice
Invali. Aglio, procuri, invan t'imnginl
Che tua figlia s'ammogli a sposo ausonio
Vano o nulle saran le sponsalizio
Ch'or lo propari. Di lontano un ginoro
Venir ti veggio, per cui sopra a l'etera .
Salirà il nostro nome: o i nostri posteri
No vedrau sotto i piò quanto l' Oceano
V'ambi i lati circonda e 'Isolo illumina.
Questa risposta e questi avvì i irnienti
Pcrchò di notto e di secreta parto
Fossor da Fauno usciti, il re non tonno
In so stesso celati; un/i la faina
Per lo terre d'Ausonia gli spargoa,
Quando la frigia armata al Tobro aggina
Enea col Aglio e co' suoi primi duci
A l'ombra d'un grnnd'alboro in dispar
Dagli altri a prender cibo insieme uni
Eran su l'erba agiati: e. conio avviso
Goder si dee ebo del gruu liiovc fosse,
(92-110] . '
(170-104] libro ni. 807
Avcan poche vivando; o quelle podio
Gran forme di focacco e di farrate
jn vece avoan di tavole e di quadro,
Y '-ria medosma e ! snl.-hi suoi
jii pomi agresti eran Ascelle e nappi.
\ltio per avventura qllor non v*cra
pi che cibarsi. Onde. Uniti i cibi. ^
Volscr per fame a quei lor deschi i denti,
E motteggiando alli>ra„0, disse litio.
Finn a le mense ancor no divoriamo?
f, rise o tacque. A*questa voco linea,
pi come a fin de lo fatiche loro.
Avvertì primamente, «stupefatto
Pel suo mistorlo, subito inchinando
piste: 0 da' fati a me promessa terra,
lo te devoto adoro: o voi ringrazio.
Santi numi di Troia, amiche e fide
Scorto degli error miei. Questa ò la parila,
Quest'è l'albergo nostro e questo ò'i segno
Che '1 mio padre lasciommi (or mi ricordo
Degli occulti miei fati), Allor, dicendo,
Che sarai. Aglio, in pcregriua terra
Pa fame a n:anducnr le mense astretto,
Fia'l tuo riposo: allor fonda gli alberghi,
Alter le mura. Or questa è quella fame,
IU0-128]
aos L'tvT.ttìk. [ior>-2i
Ultimo rischio «il ultimnr prescritto
Tutti i nostri altri perigliosi affami!.
Or via. dimane a l'apparir del snle
Ver diversi sontier lungi dal porto
Tutti gioiosamente investighiamo
Clio paese sia questo, da che gente
Sia cólto, o dove sian le terre loro.
Ora a Giove si bòa; facclnsi preci
Al padre Anchiso: » sian lo mense tutti
Ili vin piene e di tazze. E. ciò dicendo,
1U (rondi s'inghirlanda: e del paoso
li gonio, e de la torra il primo ninne
Priinici amento inchina, e lo sue ninfe,
E '1 fiume ancor non conto. Indi la Notte,
E do la Notte lo snrgontl stello,
E Giovo idèo, e d' Ida la gran madro,
E la madre di lui An\ cielo invoca.
E da l'Èrebo il padre. E qui di lampi
Cinto, di luce e d'oro, e di sua mano
Folgorando il gran Giovo a ciel sereno
Tonò tre volto. In ciò repente nacqui
Tra lo squadro troiane un lieto grido.
Ch'era già '1 tempo di fondar venuto
Le desiato mura. A tanto annunzio
Tutti commossi, a rinovar lo mcn;c, J
(128-1401
|-220-24 4] libro VII. 800
,\d invitarti, a coronarsi, a nero
Lietamente si dicro. Il di Seguenti)
Ne! sorger de l'aurora uscir divani
\ spiar dol paese, elift conti ade
E che liti unni quelli, o di che genti.
Trovar rho di Xuniicn ora lo stagno.
E che '1 fiume era il Tello, o la citlade
Da' feroci Latini era abitata.
Allor d'Anchiso il gonoroso figlio
Cento fra tutti i più scolti oratori
D'oliva incoronati al ro destina
Con doni, con avvisi «con richiesta
D'nmici/ia, di commodi a di pace.
Questi il viaggio lor sollecitando
Se ne van senza indugio. Ed ogli intanto,
Preso nel lito il primo alloggiamento,
Di picciol fosso la muraglia insolca;
E 'n sembianza di campo c di fortezza
D'argini lo circonda o di steccato.
Seguon gl'imbasciatori, e già da presso
L* città, l'alto torri o i gran palagi
Scoproudo de' Latini, anzi a lo mura
Veggono il fior de' giovinetti loro
Su' cavalli e su' carri essercitarsi,
Lotteggiar, tirar d'arco, avventar pali,
[147-1 G4|.
810 l'ckmm. [245-9(
K cotali nitro oprar conteso c provo
Di corso, d'attitudine o di forza.
Tosto elio compariscono, no messaggi
Quindi si spicca in fiotta, e precorrendo
Riporta al vecchio re. che nuova «onte
Dì gran sembiante e d'abito straniero
Vicn dal mare a sua coite. 11 re comandi
Clio siano ammessi: « ne l'antica soffio
Per ascoltarli in maestà si roc».
Era la corto un ampio, antico, augnai
Di più di cento colonnati ostrutto
In cima a la città sublime albergo:
Pico di Lntlronto il vecchio rogo
I/nvca foudata. Era d'oscure solvo,
Era do' numi de' primi avi suoi
Sovra d'ogn'nltrn venoinndn e saer\
Qui do'lor scettri, qui de' primi fasci
S'investivano i regi. In questo tempio
Era la curia, eran le sacro cono,
Erau do'padri i publici conviti
Do l'occiso arYetc. Avca d'antico
Cedro, nel primo entrar, un diotro a Val
Do'suoi grand' avi i simolacri erotti.
Italo v'ora, e il buon padre Sabino,
Saturno con la vite e con la falco, 'I
[105-1S0]
[270-294] libro ni. 811
ninno con I; duo tosta, egli altri regi
Tutti di insito in man. elio combattendo
Non fur di uugue n la lor patria avari.
|', udean da le pareti «da' pilastri
Vii gran mimerò d'armi 6 d' altro spoglia
Prese in battaglia. Ai portici d'intorno
funi, trofei, catene elmi e cimieri
K seenri e corazze o scudi e lanco
i; rostri di rinvili e ferri e sbarre
pi fracassate porte orano affisse.
In abito auccirrto, o cou la verga
Clio fu poi di Quirino, e con l'nncile
Kc In sinistra esso re Pico assiso
V'eia. pria cavaliero. e poscin augello:
Ch'in augello il cangiò la maga Circe,
Sdegnosa amante; o gli suoi regi fregi
Gli converso III colori, e '1 manto in ali.
In questo tempio sovra ni seggio agiato
po'suoi maggiori, a sò Latino I Teucri
Chiamar si foco: e dolcemonto in prima
Cosi parlò: Dite, Troiani amici,
A che venite? cUò venite in luogo
C'ha di Troia e di voi contezza n pieno;
Siatevi, o por orrore o por tempesta
0 per bisogno a questi liti addotti,
1180-1991
312 l.'*XKTDK. |2fló-8ll
Como a gente di mar sovente avviene; I
Ob'a buon fiume, a buon portoabum o^piij
Siete arrivati. Da Saturno secsi
Sono i Latini, ed ospitali o buoni.
Non por forza o per leggi, ina per uso ^
E por natura; e del buon vecchio dio "
Seguitiain l'ormo o du'suuì tempi d'o'ro,.
10 mi ìicoido (ancor die questa rama
Sia per molt'annl ornai debile e scura)
Che per vanto solcano i vocchi Animici
Dir elio Dàrdano vostro in queste parti
Ebbe il suo nascimento; e quinci in I
Passò di Frigia, e no la tracia Suino,
Ch'or Samotracia ù delta. Da'TirroojJ ,
E da Córito uscio Dardano vostro,
Ch'or fatto ò dio, o tra' celesti in cielo
D'oro ha la sua maglou, di stelle il segg
E qua giù tra' murtali altari e voti. (
Avea ciò detto, quando a'detti suoi
11 snggio llTonèo cosi risposo:
Alto signor, di Fauno egregio fi;rlio.
Non tempesta di mar, non venti avve
Non di stelle o di liti 0 di nocchioii
Error qui u'avo. od ignoranza addotti.
Noi di uostro volor, di nostro avviso
[200-2101
I ;-_>0-3441 libro vii. 313
l'i ■.inni venuti, discacciati 0 privi
|>'iin roguo do' maggiori e do' più diiail,
Qh' iniqua vedesso d'orTonte il sole.
Da Durdnuo e da tiiovt il suo Icgnnggio
ll.i quella gente, e quo! troiano linea
Cli' a to no manda. La tempesta, i fati,
; la mina che ne' campi idèi
Venne di (irocia, onde l'Europa e l'Asia
]■; 'I mondo tutto sottosopra andonuo,
Cui non è conta? chi al lungo è posto
l>a noi. che non Uudisse? o che da l'acque
Ile l'estremo Occino.o che dal foco
De la torrida zumi sia diriso
Da la nostra notizia? Il nostro affanno
Tal fece intorno a sé diluvio e moto,
Clic scosse ed allagò la terra tutta.
Da indi ili qua dispersi e vagabondi
Per tanti mari, un sol picciol ridotto
Agli Dei nostri, un lito che n'accolga,
Non da nemici, un poco d'acqua e d'aura,
Lassi! quel ch'ogn'uom ha, corcando andiamo
Non disutili, credo, o Don indegni
Sarem del rogno vostro: a voi non Uovo
Ne verrà fama; o d'uu taL morto tanto
Vi sanili grati, elio l'ausoula terra
[216:982]
311 L'EXKine. [3I5ÌW
Non mai si pontirA d'aver i figli
De In misoia Troia in grembo accolti. ']
10 ti giuro, signor, per lo futiclie.
Por (eli fati d° lìnea, per In possente
San destra, già per fedo e per valore
Famosa ni inondo, die da molto gentil
Molte Tinte (o ciò vii non ti sembri,
Cile dn noi stessi n te ci proferiamo
E ti preghiamo) siam pregati noi,
E per compngni desiati e cerchi :
Ha dai fati, signore, e èrtigli Dei
Siam qui mandati. Illudano qui nacque.
Qua Febo ne richiama. Febo stesso,
E quel di Dolo, è cb'ni Tirreni, ni Tobr<
Al font* di Numico, a voi c'invia.
Queste, oltre a ciò, poche reliquig e son
Do l'andata fortuna c del suo muoio
11 ro nostro vi manda, che dal foco
Son do la patria ricovrate a pena.
Con qnosta coppa il suo buon padre AncM
Sacrificava Questo regno in tosta.
Quando era in solio, il gran Priamo arai
Questo ò lo scettro, questa ò la ttara, 1
Sacro suo portamento; e questo vesti
Son do le donno d'Ilio opre o fatiche,
1233-218]
[370-894) libro vn. 815
Al dir d'iitnnrn stava Latino
Fisso col volto a tona immoto o saldo
Ccime in astratto, o solo arca lo luci
pigli occhi intesn a rimirar, non tanto
Il .lipint' ostro o gli altri regi arnesi.
Quanto in pensar doja diletta figlia
Il maritaggio, c 'I vaticinio uscito
pai vecchio Fauno. K 'n ut «fosso raccolto
Questi è certo, di«n. quei elio da- fati
Si denunzia venir di «tran pacso
Genero a mo, spo.?o a Lavinia mia.
Del mio regno partecipa e consorte.
Questi è da cui vorrà l'egregia stirpe,
Che col valor Tarassi e con le forze
Soggetto e tributario il mondo tutto.
Ed aitili lieto, 0. disse, eterni Dei,
Secondate voi stessi i vostri auguri
K i pensier miei. Da me, Troiani, moto
Tutto che desiato; e i rostri doni
Gradisco e pregio: e mentre ic Latino
Sarà, sarete voi noi regno suo
Cortesemente accolti ; o '1 seggio e I campi
E ciò eh' è d'uopo, come a Troia foste,
In copia aretc. Or s'ei tanto desia
L'amistà nostra o 'I nostro ospizio, regna
1219-205]
SIC l'cxiioi. [395-4
Egli in persona, • non aborra ornai
11 nustru amico aspetto. Arra c corte
No fia di pace U convenir con lui,
E dì Ini stesso aver la fede in pegno.
Da l'altra patto, a mio nome gli dito
Quol cb'io dirorvi. Io senza più ini tip
Una mia figlia. A questa il mio paterno
Oracolo, e del ciel molti prodigi
Vietali cb'io dia marito altro ch'estera
D'esterna parte, tal d'Italia 'f iato,
Un gcnoro dal ciel mi si promette.
Por la cui stirpe il mio nome e'I mio sai
Ergorussi a le stelle. Or se del vero
Punto è '1 mio cor presago, egli è quel
Crcd'io elio 'I fnto acceuna, e 'I credo o'I bi
Ciò detto, de' trecento, clic mai seinpra
A'suoi presepi area, nitidi e pronti
Dcstrier di fazione e di rispetto,
Per gli cento orntor cento n'eleggo, ,
Cb'avean le lor covette e i lor gii olii, J
Lo potticre e le briglie iti vario guisa J
D'ostro o di seta ricamati e d'oro,
E d'àr le ghiere e d'or lo borchie 0 I (
Al troiau duce assento uu carro invia
Con due corsier cb'eran di quei del Sol
[265-2811
[420- 444 J libro vii. 817
Generosi bastardi, e rampa e foco
Sbruffatati por lo nari. Al Sol suo padre
Iji razza ne (arò la acnitra Circo
All'"" eh' a ricantato rat giumente
j> e Piròo fiirtivainpnte impose.
Tali in su tal cavalli alteramente
Tentando i Teucri al teucro duce, allegro
PorUr novelle e parentela e paco.
Ed ecco che di Grecia uscendo e d'Argo,
t'empia moglie di Giove, alto da terra
Sospesa, infln dal slcolo Pachino
Vide i legni troiani; e ride Enea
Con tutti i suoi, che lieto e fuor del mare
E secur de la terra, incominciava
D'alzar gli alborghi, e di fondar le mure
Già d'un altr'llio. E, punta il cordi doglia,
Squassando il capo. Ah, disse, a me pur troppe
Nimica lazza! ah troppo a'fati miei
Pati dc'Frigi avversi! E forse estinti
Pur ne'campi sigèi? forso potuti
Si sou prondor già prosi, ed arder arsi?
Per mezzo do le schiere e de gl'incendi
Han trovata la via. Stanca (la dunque
Questa mia deitA, quando ancor sazia
Non è de l'odio? E giù s'è rosa, quando
[281-S98J
gi8 i.'exkidf. !r>9]|
Ila fin qui nnlla oprato? K che mi giova J .
Che sino del regno e de hi pati ia in Imudofl
Che mi vai eh' io mi sia con tutto il maral
A loro opposta? Ah! che del mar giiituttj
E del ciel coutra lor le forze ho logre.
E che le Siiti, e che Scilla e Cariddi
A me con lor non valse? Roso han del Tebij
La destata foce; e non han tóma
Del mar più, nò di me. Malte potilo
Disfar la gente de'Laplti iinmano;
Potè Diana aver da (liove in preda
Del buo disegno i Calidòiiì antichi,
Quando de'Calidóni e de'Laplti,
Vèr le pene, era il fallo n nullo e levo:
Ed io consorto del gran Giove o suora.
Misera, incontro a lor elio non ho ino»«
Che di me non hit fatto? E pur son ria
Enea, Enea mi vince. Ah se con lui
11 mio nume non può. perchè d'ognuno
Chiunque sia, non ogni aita imploro?
So mover contra lui non posso il ciclo.
Moverò l' Acheronte. Oh non por ques<
Il fato si distorna; ed ei non meno
1)1 Latino otterrà la figlia e '1 regno.
Cho più? Lo tratterrò: gli darò uriga:
12U9-310]
[470-4W) libro ni. 81
l'errò, l'altro non posso, in Unto aitai o
li u uiiidugiooscon>piglio:astragc,amoi t
^,1 .'(riii strazio condurrò lo genti
p, ;' un rogo e do l' nitro; c questi nTan.'.i
>-:iran primieramente i lor suggelli
])o la 'ni' amistà. Con yucsto mi prima,
s| sian suocoro o gonoro. Di sangue
pg'Trniani e do' Ruttili dotata
N'andrai, regia donzella, al tuo marito;
£ del tuu maritaggio e del tuo letto
jlnsjiii'0 (in llelloua*in roco mia.
Cotal non partorì di face pregna
Eculia a Troia incendio, qua! Ciprigna
iji con questo sùo novello Pari
Partorito altro foco, altra ruma
l nuost'altr'llio. Ciò dicendo, in terra
piscese irata, e da l' interne grotto
A so chinino la nequitosa Alctto.
Po le tic dire Furio una è coatei.
Cai sou l'ire, i dannnggi, i tradimenti,
Le guerre, lo discordio, lo ruino,
Ogn'cmpio officio, ogni mal opra a coro.
Z tale un mostro in tanti o cosi fiori
Sembianti si trasmuta, o do' serpenti
SI tetra copia le germoglia intorno,
1815-840]
820 1,'rscwm. [495-610
Che e lo tartaree sorelle
Suo stosso In odio ed in fastidio l'hanno.
Oiunon lo puri», e via più co'tnol dotti
In tal guisa l'accende: 0 do In Notte
Possente figli», io por mio proprio «(Tot
Per onor del mio mime, por salvezza
De la mia fama nn tuo servigio agogno.
Adnprati per me, che, mal mi» grado,
Questo troiano Enea del re Latino
Genero non divenga, e nel suo regno
Con gran mio pregiudicio non s'annidi»
Tu puoi, volendo, armar l'un mntra l'ai
I concordi fratelli : odil e lizzimi*
Seminar tra' congiunti; e per le cns*
Con mill'arti no.-endo, in mille guise
Infra mortali indur morti e mine.
Scuoti il fecondo petto, e lo sue forzo
Tutte a quest' opra accampa. Infermn.ao
Questa lor paco; infiamma i cori a l'i
Arme ognun brami, ognun le gridi e pi-
Di serpi e di gorgon*! voncnl
Guarnissi Metto; o per lo Lazio in prl
Scorrondo, o per Lauronto, o por la co
Ho la regina Amata entro la soglia
Insidiosamente si nascoso.
L327-ataj
[:>20-544) libro tu. 321
Era allor la refina, come donna.
f, come madre, dal materno affetto,
Pa lo scorno do' Teucri, dal disturbo
IN- le nozze di Turno hi molte guise
Afflitta e conturbata, qnando Aletta,
l'cr rivolgerla in furja. e co'suoi mostri
Sossopra rivoltar la reggia tutta,
Jla'suoi comici crini un anguo in seno
j/arvontó 8), che l'entri poscia al core.
Ki primamente infra la gonna e '1 petto
Strisciando, e norfmordeudo, a poco a poco
Col suo vipereo fiato un non sentito
Furor lo spira. Or le si fa monile
Attorcigliato al' collo, or lunga benda
j/i penile da le tempio, or quasi un nastro
L'annoda il crine. All'in lubrico errando,
Per ogni membro le s'avvolge e serpe.
Ha fin clic prima andò languido e molle
Soli i sensi occupando il suo veleno,
Fin elio il suo foco penetrando a l'ossa
Non avea tutto ancor l'animo acceso.
Ella donnescamente lagrimando
Sovra la figlia e sovra lo suo nozze
Con tal queto rammarco si dolea:
Adunque si darà Lavinia mia
Ciao. -21. |344-359J
822 l* kxeidr. [545-561
A TroinnI? a banditi ? E t» suo padre,
Tu cosi la collòchi ? E non t' incrusca
Di lei, di te, di sua madre infelice?
Ch'ai primo vento ch'ai suoi ledili spirici
Di cosi caro pegno orba rimasa
(Come dir si potrà), da questo infido
Fuggitivo ladrone abbandonata.
Del mar vediolla e do' corsari in preda? '
0 non cosi di Sparta anco rapita
Fu la figlia di Leda? E chi rapilla
Non fu Troiano anch' egli!1 Ah! dov'è,
Quella tua santa invTolabil fede?
Quella cura dc'tuoi? quella promessa,
Che s'è fatto, da te già tauto volte
Al nostro Turno? Se d'esterna gente
Genero ne si doe: se fisso e saldo
È ciò noi tuo ponsicro; se di Fauno
Tuo padro il vaticinio a ciò ti stringe;
Io credo che ogni terra, ch'ai tuo scettri
Non è soggotta, sia straniera a noi.
Cosi ragion mi detta, e cosi ponsò
Che l'oracolo intonda. Oltro che Turno 1
(So la sua prima origine si mira)
Per suoi progenitori Inncn. Acrìsio,
E per patria ha Micene. A quosto diro
[8ÓO-878]
|.»70-594] 1.1BBO ni. 323
Stava noi suo proposito Latino
Ou'iior più duro.. E la regina intanto
l'in da) veleno era del serpe infetta:
t; r-iii tutta compresa, • da gian mostri
Abitata, sospinta e forsennata,
Senza ritegno a correre, a scagliarsi,
A gridar fra le genti o fuor d'ogni uso
\ tempestar per la città si diede.
Qual per gli atrii scorrendo e per le salo
Infra la turba do' fanciulli n volo
Va sforzato palèo th'a salti, a scosse,
£,1 a suen di guinzagli roteando
E ronzando s'aggira e si tra voi vo.
Quando con meraviglia e con diletto
gli va lo stuo) de'scmplicetti intorno,
Egli dan co'flagelli animo e forza;
Tal por mezzo del Lazio e du'foroci
Suoi popoli vagando, insana andava
La regina infelice. K, quel clic poscia
fa d'ardire e di scanalalo maggioro,
pi linceo simulando il mimo '1 coro
Per tur la figlia ai Teucri, o lo suo nozzs
Distornare o 'ndugiare, a' monti ascesa
Ne le solvo l'ascose: 0 Bacco, o Libero,
Gridundo, Kttiie, questa mia vergine
1373-38U]
82 1 L' «KHIDI. [59.>-(
Sola a te si coiiTicn. sola a te serbasi.
Ecco per te noi tuo coro s' esserci to,
Perteprcndoi tuoi tirsi, a te s'impaniai
A te la chioma sua nodriscc e dedica.
Involgasi di ciò la fnma intanto
Fra le donno di Lazio, e tutto insiom*
Da furor tratte, e d'uno ardore accese
Saltan fuor degli alberghi a la foresta.
Ed altre ignudc i colli e sciolte i crini.
D'irsuto polli involto, e d'aste armate,
Di tralci avviticchiate e di corimbi,
Orronde voci e tremuli ululati
Mandano a l'aura. E la regina in mezzo
A tutte l'altre una facolla in mano
Prende di pino ardonto, e l'imeneo
De la figlia e di Turno imita e canta,
E con gli occhi di sangue e d'ira infetti
Al cielo ad or ad or la voce alzando,
Uditemi, dicoa, madri di Lazio,
Quante no siete iu ogni loco, uditemi.
So può piotato in voi, so può la grazia
Do la misera Amata, e la miseria
Di loi, ch'ad ogni madre è d' infortunio
Disvelatevi tutto e scapigliatevi;
EQOé; a questo sacrificio
13U0-103J
(020-044 1 unno vii. 82
No renilo con me. meco ululitene-.
Cosi ila Bacco e da le furio spinto
Ni- gin per selve e por desorti alpostii
l.a regina infelice, quando Alctto,
Ch'issai già disturbato aven, il consiglio
Di ro Latino o li sua-reggia tutta,
Batto su le fosc'ili i l'aura alzossi;
E là 've già d' Acrisio il seggio poso
I/avara figlia, ivi dal vento esposta,
A l'orgoglioso Turuo si rivolse.
Ardóa Tu quella terra allor nomata,
E d'Ai dèa il nome iusino id or lo resta,
Ma non già li fcytuua. In questo loco
Entro al suo gran palagio a mezza notte
Prende! Turno riposo. Allor eh' Aletto
Vi giunse, e '1 torvo sno maligno aspetto
Con ciò ch'uvea di Furia, in sonil forma
Cangiando, raggrnppossi, incanutissi,
E di hende e d'olivo il crin volossi:
Calibe in tutto fessi, una vecchiotta
Ch'era sacerdotessa e guardrail.-!
Pel tempio di Giunono: o 'n cotal guisa
Si pose a lui davanti, e cosi disse:
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno
Tanto fatiche, e questi Frigi avranno
[408-488]
S2fl i/ knkidk. [04ó-g*mb
La tua sposa o 'I tua regno? 11 re. la figlia
E la «loto, eh' a to per gli tuor mortK .
Per lo sparso tuo sangue, era dovuto,
K già da lui promessa, or ti ritoglie;
E ile l'uria e de l'altro crede e sposo
Fossi un ostcrno. 0 va' cosi deluso,
E por ingrati la porgono e l'alma
Inutilmente a tanti rischi esponi.
Va', fa'strngo do'Toschi. Va', difendi
I tuoi Latini e in pace li mantieni.
Questo mi manda apertamente a dirti j
La gran saturnia Giulio. A i. mina i tuoi;
Preparati n In guerra: i-m-ì in '-ampagii»; I
Assogli i Frigi, o snidagli dal fiume
C'han di già preso, e i I r uavili incendi. I
Dal cicl ti si comanda. E se Latino
A le promissynn non corrispondo.
Se Turno non accetta e non gradisce jH
Nè per suo difensor né per suo genero, I
Pruovi qual sia ne l':u mi..- .jh.-I < ViuipurtJ
Averlo per nimico. Al cui parlaro
II giovine con beffe e con rampogno
Cosi rispose: Io non son, vi :cliia, ancor*,!
Come te, fuor di' sensi: e ben semita
Ilo la nuova de'Teucri, o ino ue culo
[422-430)
| 670-694 J unno tu. 827
Più che non credi. Non però no tomo
• : ri clic tu ne inneggi; e non m'ha ni no
l l'unno) in tonto dispregio o 'u tale oblio.
Mn tu dagli anni rimbambita o scema
Kntri, follo, in pousior d'anni e di alati,
Ch'a te non tocca. Quel nh'ò>tuo mesi toro,
Governa i templi, attèndi ai aimolocri,
K di pace pensar lascia o di guerra
A chi di guerreggiar la cura è data.
Furia a la Furia questo diro accrohbe,
SI elio d'ita avvampando, ella il suo volto
]ii|ttuse e rincagnossi: ed ei itegli occhi
Stupido ne rimase, o tremò tutto:
Con tanti serpi*»' arruffò l'Krittne,
Con tanti ne fischiò, tale una Tacci»
Le si scoverse. Indi le bieche luci
pi foco accesa, la viperea sferza
(ìli girò sopra, e si com'era immuto
Per lo stupore, ed a piti dite inteso,
Lo risospinse; o i suoi dotti e i suoi scherni
Cosi rabbiosamento improverògli:
Or vedrai ben so rimbambita e scema
Sono entrata in pensicr d'armi e di stati,
Ch'a me non tocchi; ose son vecchia e folle;
Guardami, o riconoscimi; ch'a questo
|I37-454|
82S i.'ixeidk. [R9Ó-7M
Son dal Tartaro uscita, e guorra e rnnrM^
Meco no porto. E, ciò dotto, avvcntogll 1
Talo una face e con tal fumo un foco.
l'In' Te tenebro agli occhi e flamine ni eoa
Lo spavento del giovine fu tale,
Cho rotto il sonno, di sudor bagnato
Si trovò per angoscia il corpo tutto:
E stordito sorgendo, arme d'intorno
Cercossi, armi gridò, d'ira s'accese.
D'empio disio, di scolorata insania
Di scompigli e di guerra: in quella guisa
Cho con alto bollor risuona e gonfia
Un gran cablar, quand' ha di verghe a'fiane
Chi gli ministra ognor foco maggioro,
Quando l'onda più ferve, o gorgogliando
Più rompo, più si volvo e spuma e versa,
E '1 suo negro vapore a l'aura essala: i
Cosi Turno commosso a inuovor gli albi
Si volgo incontinente; e de'stioi primi,
Altri al re manda con la rotta pace.
Ad altri l'apparecchio inipon de l'armo,
Onde Italia difenda, onde i Troiani
Sian d'Italia cacciati: ed ci si vanta
Contra de'Toucri e contra de' Latini
Aver forze a bastanza. E ciò commesso,
1454-471]
(720-744) libro Tit. 329
E ne'suoi roti i jnoi numi invocati,
I Kutuli infra loro a gara armando
S'ossortavnn l'un l'altro; o tutti insiemo
Kran tratti da lui, chi por lui stosso
(Che giovin era amabile e gontilo).
Chi per la nobiltà de' suoi maggiori,
E chi per la virtute, e per le pmove
Di lui risto altre Tolte in altro guerre.
Mcntro cosi de' suoi Torno dispone
Gli animi e l'armi, in altra parte Alctto
Sin vola a'Teueri, e con naov'nrto appusU
In su la riva un loco, ore in campagna
Correndo e 'nsidtando, il bello luto
Scguia le foro fuggitire in caccia.
Qui di sùbita rabbia i cani accese
La virgo di Cocito. e por la traccia
Gli mise tutti; onde scoprirò un corro
Cho fu poi di tumulto, di rottura
pi guerra, e d'ogni nini prima cagione.
Quosto era un cerro mnusueto e rngo.
Già grande e di gran coma, che divelto
])a la sua madro, era noi gregge addotto
Di Tino e de'suoi figli: ed era Tirro
II custode maggior do' regi armenti
E de' regi poderi ; od egli stesso
[471-480]
830 t'nrniD». [745- 7<W
L'nvea midrito o l'alto umile e mnnse, %
Silvia, una giovinola sua figliuola,
L'avea por suo trastullo: o con gran OHM
Di fior l' inghirlandava, il pettinava,
Lo lavava sovente. Era a la mensa
A lor d'intorno; e da lor tutti amava.
Esser pasciuto e vezzeggiato e tocco.
Errava per le selve a suo diletto,
E da sè stesso poi la sera a casa,
Como a proprio covil, se ne tornava.
Quel di per avventura di lontano
Lungo il fiume venia -tra l'ombic o l'o»
Da la seto schermendoti e dal enido,
Quando d'Ascanio l' arrabbiate cagno
Gli s'avvontaro, ed esso a farsi iuteso
D'un tale onoro o di tal preda acquisto,
Diede a l'arco di piglio, e saettollo.
La Furia sfossa gli drizzò la mano,
E spinse il dardo s\ oh' a pieno il colse
No Puu do' «anelli, e pcuctrógli a l'opa^
Ferito, insanguinato, e con lo strale
Il mescliinello no lo coste infisso,
Al consueto albergo entro ai pro&apjj
Mugghiando e lamentando si ritrasse;
Ch'uu lamentarsi, un dimandar aita
[ 187-50! |
1770-794] libro VII. 331
D'uomo in guisa più tolto che di fera.
Krnno i mugghi ondo la casa empiei.
Silvia lo vide iu prima, e cui suo pianto,
Col batter de lo mani, o con le stiiila
Mosso i villani a far turbo o tumulto.
Sta questa posto por le macchio ascosa.
Ili topi in guisa, a razzolar la terra
In ogni tempo, s) elio d'ogni lato
V uscirò» d'improvviso; altri con pali
E con forche e cou bronchi aguzzi al foco;
Altri con mazze uodorose e gravi,
E tutti con quell'armi eh' a ciascuno
Feri r l'ira e la fretta. Era per sorto
l'irro in quel punto ad una querciu intorno,
E per forza di cogni o di bipenne
Jj'avea tronca o squarciata: onde affannoso,
Di gudiir piono, fieraincuto ansando
Con la stessa ch'arca securc in mano
Orse a le grida, e le masnade accolse
L' infornili Dea. eh' a la veletta stava
Di tutto elio seguia, veduto il tcuipo
Acconimodato al suo pcnsier malvagio,
Tosto nel maggior colmo se ne salso
De la capanna, e con uu corno a bocca
Sonò ile l'unni il pastorale acconto.
[502-5 13)
832 1,'F.xriDK. [Tfló-8191
I,n spaventosa voco elio n'usefo
Dal Tartaro spiccossi. E pria le solve
No tremar tutte; indi di mano in mano '
Si Nemo udilla e di Diana il lago,
Udilla de la Nera il bianco fiume,
E di Velino 1 fonti, e tal l'udirò,
Che no stringer lo madri i figli in sena. 1
A quella voce, e verso quella parte
Onde sentissi, i contadini armati.
Comunque ebbor tra via d'armi rincontro,
Subitamente insieme s'adunaro.
Da l'altro lato i giovani Troiani
Al soccorso d'Ascanio in campo uscirò,
SpiegAr lo schiero, miserai in battaglia,
Vennéro a l'armi; si che non più zuffa
Sembrava di villani, e non più pali
Avean per armi, ma forbiti ferri
Serrati insieme, che dal sol percossi,
Per le campagne e fin sotto a lo nubi
No mandavano i lampi; in quella guisa
Che Movo al primo vi nto il m:ir s' iiu-rospi,
Poscia biancheggia, ondeggia o g. ni fin fi anjt
E cresce in tanto, che da l' imo fondo
Sorge fino a lo stelle. Aimone, il primo
Figlio di Tino, primamente cadde
[514-533]
^20-844] unno TU. 333
ii quosta pugna. Ebbe di strale un colpo
n su la strozza, che la ria col sangue
ili chiuso e de la voce e de la vita,
'.iddero intorno a lui mulCaltri corpi
li bona gente. Cadde tra' migliori,
llentre l'armi detesta, e por la paco
ir con questi or con quelli si travaglia,
lalòso il vecchio, il più giusto e 'I più ricco
[lo la contrada. Ciuque gretti area
L'oti cinque armonti; e con ben conto aratri
Coltivava e pascca l'ausonia terra.
Mentre cosi no' campi si batto
fan ogn»! Marte, Metto gii compita
j,a sua promessa, poi eh' a l' armi. ni sangue
jjd n lo stragi era la guerra addotta,
l'scl del Lazio, e baldanzosa a l'aura
verossi. ed a Giunon superbi disse:
Jccoti l'armo e la discordia in campo,
j 1» guerra già rotta. Or di' ch'amici,
n|' che confederati, e che parenti
gj sieno ornai, poichò d'ausonio sangue
gii sono i Teucri aspersi. Io, se più vuoi,
pia farò. Di rumori e di sospetti
Empierò questi popoli vicini;
Qonuurrógli in aiuto; andrò per tutto
L533-51UJ
83» l'eskimi. |S4ó-86^i
Destando amord! guerra: nndr* spargeir"
Per le campagno orror, furore cil armi.
Assai, (ìiiino rispose, hai «li Errore
E ili frode commesso: ha già la guerra
Le suo cagioni: hanno (comunque in p-
La sorte le si regga) ambo le parti
Le genti in campo.el'armiinmann.crft
Son già di sangue tinte, e 'I sangue è frot;
Or quostc sponsalizio e queste nozze
Comincino a godersi il re Latino,
E questo di Ciprigna egregio figlio.
Tu, porche non consontc il padre etorno*
Ch'in questa otcrea luco o aopra terra
Cosi licenziosa to no vada.
Torna a'tuoi chiostri : ed io. s'altro in ciò
Da finir, finirò. Ciò disse a pena
La figlia di Saturno, che d' Aletto
Fischiar le serpi, e dispieghisi l'ali
In vòr Cocito. È do l'Italia in mozzo
E do' suoi monti una famosa vallo.
Che d' Amsanto si dico. Ha quinci o qo
Oscuro solvo, e tra le selve un duino
Che per gran sassi rumoreggia e cado,
E si rode lo ripo o lo scoscendo,
Clio fa spolonca orribile o vorago, •(
ló&O- 5G8J
-S70-894] libro tu. 335
ndc spire Acheronte c Pite essai»,
ii questa bue» l'odiano mime
i.' la crudele e sjiavcntonJprlnno
littossi, e dismorbò l'aura di «opra.
Non però Giono di condor la guerra
;;mansl iutauto. ed oceo dal conflitto
fenir ne la città la rozza turba •
i, 'contadini, e riportare i corpi
[lil giovinetto Aimone e AiCtltto,
;0si com'oran sanguìnjsi e sozzi.
Sii mostrano, ne gridano, n'implorano
psgli Poi. d» Latino e da la genti
testimonio, pietA, sdegno e vondetta.
■ivi Turno presente, che con essi
Tumultuando esclama, o '1 fatto agsrava,
j detesta o rimprovera e spaventa.
Questi, questi, dicendo, aon chiamati
A regnar ne l'Ausonia: ai Frigi, ai Frigi
pi Latino il suo sangue, e Turno esclude.
Sopravvengono intanto i furiosi.
Che, con le donne attonito scorrendo,
Gian con Amata por lo solvo In tresca:
Chò grando era d' Amata in tutto il regno
1» stima 0 '1 nome; e d'ogni parte accolti
Tutti contra gli annunzi, coutra i Kati
1560-5841
3.16 i/kxkiue. tsy;.-9n|
L'armi chiedendo e la non giusta guerra,
Van di latino a la magione intorno.
Egli di rupe in guisa immoto stasai,
Di rupe che, nel mar fondata o salda
Ne per venti si crolla, né por ondo
Clio le fremano intorno, e gli suoi scogli
Son di spuma covorti c d'alga invano.
Ma poiché suporar nou puott- il cieco
Lor malvagio consiglio, e che lo coso
Givan di Turno e di Giunone a vóto.
Molto pria con gli Poi, con lo van' aura
Si protestò; poscia. Dal fato, disso,
Son vinto, 0 la tempesta mi trasporta.
Ma voi per questo sacrilegio vostro
li (lo no pagherete. E tu fra gli altri.
Turno, tu pria n'avrai supplizio e morte;
E preci e voti a tempo no farai,
Ch'a tempo non saranno. Io, quanto a
Già de' mici giorni e de la mia quieto
Son quasi in porto: o da voi sol m'è tol
Morir felicemente. E qui si tacque,
E '1 governo depose, e ritirossi.
Era in Lazio un costume, che venuto
E poi di mano in man di Lazio in Alba,
E d' Alba in Roma, eh" or del mondo è CA
IÓ84-60U]
[020-9141 i.]mto vii. 337
Clic nel mnoTor de l'armi ni Ueti, afri' Indi,
Agli Arabi, ngl'Ireani, n qunl sin franto
(Ch'elle siati masse, si coui'orit a' Parti
l'or rlcovrar le nini perduto insegne,
S'npron le pqrto do In guerra in primn.
Queste son due. che iier la riverenza,
l'or la religione e por In téma
Poi fiere Mnrtc. orribili o tremende .
S,iiio alle genti: o con ben cento sbarro
Ili rovere, di ferro e di metallo
St \n sempre chiusore lorcustodoèOinno.
jlii quando por consiglio e per decreto.
De' Padri si determina e s'appruova
Clu.' si guerreggi. Il consolo egli stesso.
Si mino è l'uso, in abito e con pompa
C'hn dn'Gabini origine e da' regi.
Solennemente le disferra e l'apre:
Ed egli stosso, al suon de le catone
£ de In ruginosa orrida soglia,
La guerra intuona: guerra, dopo Ini
Grida la gioventù: guorra o battaglia
Suolimi lo trombe; ed ò la guerra inditta.
In questa guisa ora Latino astratto
D'annunztarla ai Teucri; a lui quest'atto
D'aprir le triste e spaventoso porto
Caro. -22. [604-0171
838 L* KXE1DH. [0I5-989B
Si dorea come a rcgc. Ma '1 buon padre, S
Schivo di si nefando ministoro,
S'asteuno di toccarlo, c gli occhi indietro
Volse per non roderlo, o si nascose.
Ma por torre ogni indugio, un'altra volt*
Ella stossa Regina de' Celesti
Dal ciel discese, e di sua propria mano
rinso, disganghorò, rnppo e sconfisse
De lo sbarrato porto ogni ritegno,
SI che l'aperse. Allor l'Ausonia tutta,
Ch'ora dianzi pacifica e qulota.
S'acceso In ogni parte. E qua pedoni.
Là cavalieri; a la campagna ognuno,
Ognuno a l'armo, a maneggiar desti ioli,
A fornirsi di scudi, a provar elmi,
A far, chi con la cote, e chi con l'unto,
Ciascuno i ferri suoi lucidi o tersi.
Altri s'addestra a sventolili- l'insegne,
Altri a spiegar lo schiere, e con dilotto
S'ode annitrir cavalli o sonar tubo.
Cinque grosse citta con mille inculi
A fabricare, a risarcir si danno
D'ogni sorto armi. La possente Atina,
Ardèa l'antica, Tivoli il superbo,
E Crustumeiio, e la torrita Antenna.
IG17-C31J
(070-804) libro ni. 889
Qui si Tede cavar olmi e colato;
Jj\ torcere o covrir targhe e pavosi;
lYr tutto riforbire, aOzzar ferri,
Annestar maglie, rint»r*ar corano,
K per fregiar più nobili anuatnro.
Tirar lamé d'acciaio, fila d'argento,
c/ni bosco fa lance, ógni fucina
Jiisfà vomeri e marre, e spiedi o spade
Si ! 'i man dai bidenti e da lo falci.
Suonali le trombo, (lassi il contrassegno, '
di illusi a l'armi: a chi cavalli accoppia,
K chi prende elmo, e chi picca, e chi scudo
Questi ha la piastra, o quei la maglin indosso
E la sua fida spada ognuno a cauto.
Or m'aprito Elicona, e di consorto
Meco il canto moveto, alme sorello,
A dir qua! regi o qua! genti e qual' armi
Militassero allora, e di cho forze,
E di quanto valoro era in quei tempi
I_i milizia d'Italia. A voi con violisi
Di raccontarlo, n cui conto o ricoido
De le cose e do' tempi ò dato ctonio:
A noi per tanti secoli ilmasa
y .'■ di picciolo fama un'aura a pena.
Il primo, elio lo genti a questa guerra
[632-C17J
340 l' ES'KIDf . [90".-ini(
Toncsso in cnnipo. fu Mozcnzio, il fiero I
Poi ciò) dispregiatore e degli Dei.
D' Etrui la ora «ignora, o di Tirreni
Condncea molto squadro. Aron suo figlio!
I.auso con esso, un giovino 11 più bello.
Da Turno in fuori, cito l'Ausonia avesse.
Gran cavalloro, egregio cacciatore-"
Fino allor si mostrava; e mille armati
Avoa la schiera sua, elio seco uscita
Fuor d'Agillina, ne l'esslglio ancora
Indarno lo segnia; degno die fosso
No r imporlo del padre. A questi dopo
Seguo Aventino, de l'invitto Alcldo
Leggiadro figlio. Questi col suo carro
Di palme adorno, o «'vittoriosi
Suoi corridori in campo npprescntossl.
Avea nel suo cimiero u nel sin scudo,
In memoria del padre, un'idra cinta
Da cento serpi. D'Ercole e di Rea
Sacerdotessa ascosamente nato
Nel bosco d'Aventino era costui;
Che- con la madre H poderoso iddio
Quivi si mescolo quando di Spagna,
Da Gerirono estinto, ai campi venne
Di Lullrento, e nel Tirreno fiume
[G47-t>uaj
[1020-10-14] libro vu. 841
Lavò d'Ibero II conquistato Brillanto.
y.rnn di mazzafrusti, di spuntoni,
1 .liiavniino. e ili satolli spiedi
A linaio lo suo schiero. Ed egli, a piedi,
D'un cuoio di loon velluto od irto
\Y.tin gli omeri e "I dorso, o dui suo ceffo,
Clio quasi digrignando ignudi e bianchi
Al strava i denti e l'ima e l'altra got».
Si coprio '1 capo. E con tal fiera mostra,
, Krcolo in guisa^ a corto si condusse.
Vennero appresso i .In. fratelli argivi
f afillo o Coro, o di Tiburte il terzo
Guidar lo gonfi, elio da lui nomato
Fur tilinrtine. Dai lor colli entranti)!
Calando avanti a l'ordinate schiere,
Duo contanri sembravano a vedergli,
Che giù correndo da' nevosi gioghi
D'Ómolo o d'Otri, risonando fansi
Dar la via da' virgulti o da lo selvo.
Còcolo, di Prenesto il fondatore,
Comparvo anch' egli: un ro che da bambini)
Fu tra l'agrostl bolvo appo d'un foco
Trovato esposto; onde di foco nato
Si credè po«cia, o di Vnlcauo figlio.
Area costui di rustici d'intorno
I6G3-6811
U-ì L'KXF.inr. fl04r)10(Wj
Unn gran compagnia, eli' ermi de l'alt» V
Prenesto. de' sassosi ùmici monti.
Do la Gnbitia Ghino c d'Amano,
K il' Amasèno o de la ricca Aliatili
Aliitnnti c* cultori: e corno gli altri.
Non orano in su'carri.o d'asto armati
0 di scudi coverti. Una gran natte
Ermi frombolatori, o spargean gliimido
Hi grave piombo, o parto avena due da
Ne la sinistra, e cappelletti in testa
D'orridi lupi: il manco più discalzo,
Il destro o d'uosa o di corteccia involto,
Mcssi'ipo venne poscia, de' cavalli
Il domature e di Nettuno il Aglio,
Contro al ferro fatato e contro al foco.
Questi subitamente armando spinso
Lo genti sue per lunga pace imbelli;
Deviò dallo nnzzo i Fescennini,
Da lo leggi i Fulisci : armò Soratto,
Armò Flnvinio, e tutti elio dintorno
Ha di Ciminl e In montagna o '1 lago, ■
E di Capèna i boschi. Ivan del pari
In ordinanza, e del suo ro cantando;
Come soglhm talor da la pastura
Tornarsi in vòr lo rivo ni ciel sorcno ,
|CS 1-700]
[1<170-1094] libro tu. 3,i
1 Manchi cigni, e lo disteso gola
liisnodnr gorgheggiando, c far ili tutti
'pilo una nicludia, che di Caistro
>'o snona il flume o d' Atta la palude.
pur un si movea di tanta schiera
pa la sua fila, in oiè ig stuol sembrando
po' rochi augelli allor che di passaggio
Vicn d'alto mare, o corno intera nubo
A terra unitamente se ne cala.
Ecco di poi venir Olauso il sabino,
pi quel Tero sabini» antico sanguo:
Ch'avoa gran gente, «la sua gente tntU
pareggiava sol egli. Il nomo suo
Ecco Claudia nòmaro e la famiglia
E la tribù romana allor che Koina
picssi a' Sabini in parte. Kra con Ini
La schiora d'Amitorno o dc'Quiriti
Vi quegli antichi. Eravi il popnl tutta
p'Erito, di Mutisca. di Nomento
E di Volino, e quei cho da l'nlpostra
Tetrica, da Sevèro, da Caspòria,
pa Forali o d'Imolla orau vomiti:
Quei che bovcan del Fibari e dol Tcbro;
Cho da la fredda Norcia eran mandati;
Le squadre degli Ortini, il Lazio tutto,
I700-71G1
84+ l'kxkipr. •[1095-Hì
E tutti all'ili elio in i calarsi al mure
Bugna d'ambo lo sponde Alila iufolic*. i
Tanti flutti jioii fa di Libia il golfo
Qiinnilo cado Oiton ne Pende, il verno;
Kò tanto spiclic limino dal sole aduste, I
La state, o d'Ermo o de la Licia i camp
Quante cran genti. Arme sonare e scudi
S'udian per tutto, e tutta al suoli ile'pi
Trepidar si vedoa 1* Ausonia terra,
Quindi no vion l' Agaiiiennoiiio auriga
Aleso, del troiai] uomo nimico;
Che di mille feroci nazioni,
In aita di Turno, un gran miscuglio
Dietro al suo carro avea di montanari.
Parte de' pampinosi a Bacco amici
Màssici colli, o parte degli Aaron ci
De'Sidicini liti, di Volturno,
Di Calo, do'SaticoIi o degli Osci.
Questi per arme uveali mazzo o Innclj
Irti di molte punte, o di soatto
Scudisci al braccio, onde erano i lor co
Traendo e ritraendo, in molti modi
Continuati o doppi. E pur con essi
Avcano o por ferire o per coprirsi
Targhe no la sinistra, e storto al fian
[717-73JJ
[ll-O-UjM] LIBRO VII. . 845
Nò tu senza il tuo nome a questa ini pi eòo,
fclialo. te n'andrai dal gran Telone
1 ■ la bella ninfa di Sobeto
figlio onorato. DI costjbi dico
Che, non coutonto del paterno regno.
Capii al Toccbio lasciando c ? Tele-boi,
Fe d'ostorni pai-ai ampio conquisto,
£ fu re dc'Sarrasti e de lo senti
Che Sarno irriga. Insignorissi appresso
yii_It.it ulo, di Kufia, di Cotenne
j; de'cnmpi fruttiferi d" Avella.
Mezze picche nvean questi a la tedesca
Per avventarlo, e por colate in capo
Surcri scortecciati, o di motallo
Brocchieri a la sinistra, « stocchi a lato.
Calò di Nursa e de' suoi monti alpestri
.fonte, un condottiur ch'era iu quei tempi
pi molta faina a fortunato in armo.
Kquicoli avea soco, la più parto,
Orrida gente, por lo selve avvezza
Cacciar lo fero, adoperar la marra,
Arar non l'armi in dosso, e tulli insieme
Vivor di cacciagioni e di rnpiuo.
De la gente marrubi» un sacordnto
Yonnc fra gli altri: sacerdote iusieuio
1783- 750 J
316 i.' «rama. Il -Ufio,]
K capitan di gontc nrdito 0 forte,
l'mbrone ora il suo uomo; Arcliippo il rojj
Che. lo mandava. Di folico oliva
Avea il cimiero e l'olmo intorno avroltifl
Kra gran ciurmatore, c con gl'incanti i
E col tetto ogni sprpe addormentava: |
Dcgl'idri. de lo vipere, 0 digli aspi
Placava l'ira, raddolciva il tosco,
E risanava i morsi. E non por tanto
Potè, nò con incanti nò con orbo
De'marsi monti, risanalo il colpo
Do la dardania spada: onde il mesi:
Ne fu da lo foresto do l' Angizia,
Dal cristallino Fucino e dagli altri
Laghi d'intorno disiato e pianto.
Mandò In madre Aricin a questa gnorri
Virbio, del casto Ippolito un figliuolo,
Gentile c bollo: e da le selve il ti asso
D'Egòria, ovo d' Imito in su la riva
Piìi cólta e più placabilo ò DTana;
Chi, per fama, d'Ippolito si dice,
Poscia elio fu per froda 0 per disdegno
Do l'iniqua madrigna al padre in iia,
E che gli spaventati suoi cavalli
Strazio e scoinpio no fóro, egli di nuovo,
[751-7G7]
[1170-11941 libro vii. 347
Per virtù d'orbe e per pioti elio n'ebbe
casta Don. fu rlvocnto in vita.
Sib'irnossi il padre eterno eh' un mortale
y, -se a morto ritolto; e l'inveutoio
pi cotal arte, che d'Apollo nacque,
Fulminando mandò noVcgni bui.
Ippolito da Trìvia in parte occulta,
Scevro da tntti, a cura Tu mnndato
1 1 i i i:i ninfa, o ne la selva ascoso,
là 'vo solingo, e col cangiato nomo
Pi Virbio, sconosciuto i giorni mena
p'un' altra vita. E quinci & che dal tempio
E da lo solvo a Trjvia consociato
I cavalli han divieto: chè, lor colpa,
fu '1 suo carro e 'I suo corpo al mai in mostro,
g poscia a morte indegnamente esposto,
n figlio- cn8 Pur Virbio ora nomato,
}{on mon di Ini feroco, i suoi destriori
Esercitava. ,. 'n su '1 paterno carro
Arditnmonto a questa guerra uscio.
ì Turno infra' primi, di persona e d' anni
Riguardi-volo e fioro, o sopra tutti
Con tutto 'I capo, in campo approscntossi.
Un elmo avea con tre cimieri in tosta
E torti una Chimoni, che con tanto
[7G8-786]
348 l'knfide. [1J93-18
Bocche foco anelava, quante a pena
Non nprio Mongibolln; e con più fremii
Sparge* le flamine, come più crudelo
Km la zuffa, e piii.di sangue nvon.
Lo scudo eia ù" acciaio, e d'oro intorno
Tutto commesso, e d'or nel mez/.n un"
Era scolpita, cho già '1 manto o 'I cctW
Lo setolo e lo conia avea di bue;
Mcntorobil soggetto! Erari appresso
Argo elio lo guardava; oravi il padre
fuoco, elio cliiomandola. versava.
Non inen dogli occhi elicilo l'urna, un
Dopo Turno vouia di fanti un noni!:"
Un'ordinanza, una campagna piena.
Tutta di scudi. Eran lo genti suo
Argivi, Aurunci. Botali, Sicani
E Sacrinl o Labici. che dipinti
Tortan gli scudi. Avea del Tiborin
Avea del sacro lito di Nuiuico
I do' ruttili colli o del Circeo.
D'Ansino a Giove sacro, di FeronUW
Dilottn a Giono, do lo paludosa
Sàtura, o dol gelato e scemo Ufcnto
Gran turba di villani e d'aratori.
L'ultima a la rass.gna vion Cannila
[786-803J
1 1020-12-11 ] unno vii. 5140
Ch'era «li votaci genia min donzella.
£nii ili conocchia o di ricami espeita.
Ma il'armì c ili cavalli, a benchò virgo,
pi '.irnlivri e di caterve innato
gran condotticra, o no lo guerre avvezza.
j5ra fiera in battaglia, cjiovo al corso
Tanto, che, ritinsi un volito sopra l'orba"
Correndo, non arrobho anco dc'fìorl
Tocco né de l'ariste II soiiiino a pena;
jjon avrolibo per l'onde e per gli flutti
pel umilio mar', non t he lo pianto immerse,
jla né pur tinto. Per veder costei
Usciali do' tetti, empiemi le strade e I campi
le genti tutto; i gìovini o le donno
Stavau con meraviglia e con diletto
Mirando e vagheggiando quale nudava,
gqiial sembrava; come regiamente
D'ostro ornato avoa'l tergo, o'I capo d'oro;
E con che disprezzata leggiadria
Portava un pastoral nudano mirto
Con picciol ferro in punta; e conchograzia
Se no già d'arco o di faretrn armata.
[803-81 7J
DELL' EN-EI DE
Libro Ottavo.
Poscia clic ili Lamento iu su Li rocev'
Fo Turno inalberar di guorra il seguo, |
K chi' guerra sonili' le loclie trombo,
Spinti i carri o i destrieri, o l'armi scoti
Di Marte al tempio, incontinente i cuori
Si turbar tutti, o tutto il Lazio insieme.
Con sùbito tumulto si ristrinse.
Fremessi, congiurassi, rassettassi
Ognun ne ranno. I tre gran condottieri
Messapo, Ufcnte, o l'empio do' celesti
Disprogiator Mczcnzin, uscirò in prima.
Accolsero i sussidi ; ni nnìr gli agretti; 1
Spogliar d'agricoltor lo villo o i campi.
In Alpi a Diomede si destina
Vernilo imbasciatoro: o gli s'impono
Cho soccorso gli cbiegga, e elio gli espongi
Quanto ciò de l'Italia e del stio stato
Torni a grand' uopo; con ebegeute Knea,
Con qualo armata v'ba giù posto il piede,
[1-111
[80 44 1 libro vm. 851
K formo il seggio, e riutegrato il culto
A' suoi vinti Fenati; come aspira
\ questo regno, e come anco per fato,
■ por rotnggio dcl darilsnio seme.
\jd si promotto. Clic perciò da molti
£ già seguito, e ch'ogni gioì no -avanza
£ di forze e di nome. Indi soggiunga:
Quel che '1 duce de' Teucri in ciò disegni
E elio miri e cho tenti (se fortuna
Gli va seconda) a te via più eh' a Turno
Esser può manifesti* o ch'a Latino.
Questi andamenti o queste tramo allora
Corrcan per Lazio, o lo scaltrito cruo
Le sapea tutte, oiMo in un maro mitrata
Di gran pensieri, or la sua mento a questo,
Or a quel rivolgendo in vario parti.
D'agni cosa avoa téma o speme o cura.
Cosi di chiaro umor pieno un gran vaso.
Dal sol percosso, un tremulo splendoro
Vibra ondeggiando, e rifrangendo a volo
Manda i suoi raggi, o Io pareti e i palchi
E l'aura d'ogn'intomo empie di luce.
Era la natte, o già por ogni parte
Dei inondo ogni animai d'aria e di tetra
Altamente gincea nel smino immerso,
[12-27J
8Ó2 I.' ENEIDE. [15
Allor cho '1 padre ETioa, coal com'era*
Dal ponsior do In guerra in ripn ni Té
Gin stanco n travagliato, addormcnt'
Ed ceco Tiborino, il dio del loco
Veder gli pnrrc, un cho già T occhio al
Sembrava. A vca di pioppe ombra d' ititi
Di sotti! volo e trasparente indosso
Ccrulcoammanto. o i rrini o 'I fronte ar
D'ombrosa canna. E de l'ameno Homo
l'Iacidn useeiid». a consolar lo preso
In cotal guisa: Enea, stirpe divina,
Cho Troia da'nemici ne riporti
E la ravvivi o la conservi eterna;
0 da me, da' Laurent! e da' Latini
Uia tanto tompo a tanta speme atteso,
Questa è la casa tua, questo è « .•lira,
mento, non t'arrestare, il fatai seggi
Cho t'e promosso. Lo minacce o '1 (
Non temer do la guerra. Ogn'odio, o
Cessa già de'cclosti. E perchè 'I soni
Credenza non ti scemi, ecco a la riva
Sci già del (lume, u' sotto a l'eleo ae~
Sta la candida troia con quel trenta
Candidi Agli a le sue poppe intorno.
Questo Ha dunque 11 segnoe'l tcmpoo'HjH
[88-40|
I (0-M4J libro MB. 853
Ila formar la tua aedo. E questo ò '1 lino
]>.' tuoi travagli; oudo il tuo figlio Ascauio,
Ji.qio tront'anni. H inouiorabii voglio
l'.mdorà J'AMia. che coti nomata
fi a dal caudoro o dal fotlco imbonirò
Ili questa fera. K tutto adempirai»!.
Ch'io ti predico e t'è predetto avanti.
Or brevemente quel ch'oprar couvienti,
l'er mcir glorioso e vincitore
Ili questa guerra, ascolta. K di qui lungi
{Cui molto Kraudro»un re che de l'Arcadia
£ qua vonnto: e sopra a quosti monti
Ha degli Arcadi suoi locato il seggio.
II loco, da PallanYo suo bisavo,
È stato Pallantóo da lui nomato;
Ed essi perchè son nel Lazio esterni,-
Son nemici a' Latini ed han con loro
Perpetua guerra. A te fa di mestiero
Con lor confederarti, o por compagni
A questa impresa avergli. Io fra le ripo
Ilio stesse incontro a l'acqua a la magiouo
jj- Evandro agevolmente condurrotti.
Destati do la Dea pregiato figlio;
£ come piia vedrai cader le stelle,
l'orgi suleuucmeute a la gian Uiuno
Caro. -23. |«-60]
854 l'k.nkìdf. P5-lflJ
Preghiere o voti ; o su|ip)icnni1o vinci
T)o l'inimica Dea l'ira e l' orgoglio;
Ed a me. poi che viticitor sarai.
Paga il dovuto onore. Io sono il Tebro I
Corco da to, che qual tu vedi, ondoso
Rado questo mio rive, o fendo i campi
De la fertile Ausonia, al cielo amico
Sovr'ogni fiume. Quel che qui m'ò dato, <
È '1 mio seggio maggioro; e fin elio poschl
Sovr'ogni altra cittudu il capo estolla.
Cosi disse, e tufTossi. Enea dal sonno
Si scosse; il giorno aprissi, od ei col sole
Sorgendo insieme, al suo nascente raggio
Si volse umile: e con lo cavo palme
Do l'onda si spruzzò del dumo, e disse:
Ninfo laurenti, ninfe ond' hanno i Dumi
L'umoro e '1 corso; e tu con l'ondo tue
Padre Tebro sacrato, al rostro Enea
Dato ricotto, o da' perigli ornai
Lo liberate. E io da qual sia fonte,
Cho sgorghi, in qual sii riva, in qual sii fi
(Poiché tanta di mo piota ti stringo)
Sempre t'onorerò, sempre di doni
'l'i sarò largo. 0 do l'cspcrid'oudo
Superbo regnatore, amico e mito
L60-78J
[120-1*4] i.niRO rat 855
Xu sin il tuo niuiio, a 1 tuoi detti non vani.
Cosi dicendo, de' suoi legni elegge
I .lue migliori, u gii correda o gli arma
].i tutto punto. Ed occo fimproviso
(jlirabil mostro!) do In idra uscita
l!u.i candida scrofa, col_suo parto
Ili candor pari, sopra l'orba verde
£o la riva accosciata gli si mostra.
Tosto il pietoso Eroe col gregge tutto
A l'aitar la condusse; e poiché sacra ■
j; elilie al gran noni» tuo, massima Giuno,
^ te l'ucciso. Il Tcbro quella notte »
Quanto fu lunga, di turbato o gonfio
Ch'egli era, si renai) trauquillo e quieto
Si, che senza rumore e quasi in dietro
Tornando, conio stagno o come piena
Palude adeguò l'onde, e tolso a' remi
Ogni contesa. Accelerando ndunquo
II caini" preso, i ben unti e spalmati
;...r legni so ne vanno incontro al fiume
Com'a seconda; si che l'ondo stesso
Stavan meravigliose o i boschi intorno,
Non soliti a veder l'armi e gli scudi,
E i dipinti navili, che da lungo
Facean novella e peregrina mostra.
[78 93]
856 L'EXEibK. (1I5-1«
8c no tran notto o giorno remigando » i
Di tutta forza, e i soni o le rivolte
Varcali ili ninno in mano, or a l' nportojj
Or tra lo macchie, occulti, o via vnlnnd
Sogno l'ondo o le selre. Era il sol ginn
A meno il giorno, quando incomincia
Pa lunge a discovrir la ròcca e 'I ceri
E i rari allor del povorollo Evandro
Umili alborgbi, ch'ora al cielo adegua
La romana potenza. Immantinente
Volsor le prore a terra ed appresstntd
Là 'vo por avventura il ro quel giorno
Solennemente in un sacrato bosco
Avanti a la città stava onorando
11 grande Alcide. Avea l'allnnte seco
Suo figlio, e del suo povoro senato,
E de' suoi primi gioviui un drappello,
Clio d'inconsi, di vittimo e di fumo
DI calibi sangue empiean l'are e gli altari.
Tosto che di lontnn vider lo gregge,
E per entro do' boschi occulte e cheto
Gir navi esterno, insospettiti in prima
Si levar da lo mense. Ma l'allnnte
Arditamente, Non movete, disse,
Seguite il sacrilici". E tosto a l'armi
194-1111
[! 70-101] Muso viti. 357
I>:ito di piglio, incontro a lor si spinsi».
Oinuto. gridò dn l'argine: 0 compagni,
(jual fin v'adduco, o qua] v'intrica errore
IVr cosi torta e disusata via?
Gv' andate? chi siete? onàc venite?
Che no rocatc voi? la pace, o l'anni?
jjuea di sii la poppa un ramo alzando
pi pacifera oliva. Amiri, disso,
Vi siamo, e siam Troiani, e Coi Latini
Vostri nimici inimicizia avemo.
Quoti superhamento il nostro essiglio
Porsepiitanflo no fan guerra ed onta.
Bicorremo ad Kvajidm. A lui porgete
Da nostra parte, che do'Tcucri alcuni
Son (|tii venuti condottieri il itti
per sossidi impetrarne o lega d'arme.
Stupì primicran ente a si gran nomo
fallante, indi vèr lui rivolto limilo.
Signor, qual cho tu sii. scendi e tu stesso
Paria, disse, al mio padro, e nosco alloggia,
£ lo preso per mano od abbracciollo.
Lasciato il fiume e ne la selva entrati.
Enea dinanzi al re comparve o disse:
Signor, che di bontà sovr'ogni Greco,
E di fortuua sovr'a me teu vai
[111-127J
■
uto
Ito.
85S i.' r.sr.iw. [l')5-21i
Tanto che supplichevole o co' rami • -a
Vi l'elida avvolti a tua inngion II» vengo;
Io, porchò sia Troiano e tu ili Troia
l'er nazTou nimico e per lcgnuggio
Agli Atriili cougiunto, or non paveub
Venirti avanti, che 'I mio puro affetto, j
Gli oracoli divini, il sangue antico
Pe'ninggior nostri, il tuo famoso grido,
£ 'I falò e M mio voler ni' hau teco uniti
Dardano de' Troiani il primo autor»
Nacque d'Elettra, come i Ureci han do
E d'Elottra fu padre il grando Aliante,
Cho con gli omori suoi folce le stello.
Vostro progenitor Mercurio fuo,
Che nel gelido monte di Cilleno
De la candida Maia al ui odo nacquo;
£ Maia ancor, se questa fama è vera,
Vcnno d'Atlante, o da lo stesso Atlanta
Che fa con lo suo spalle al ciol sostegni
Cosi d'un fonte In tuo sangue o 'I mio
Traggon principio. E quinci e elio secar»
Sema opra di messaggi e senza seritti,
Pria ch'io ti tenti, e pria che tu m'affidi
Posto ho me stesso o la mia vita a rise'
E supplichcvolmeute a la tua casa
[ '.>■_'<)- 244 1 unno Tin. 3>r'9
N*c son venuto. I Ruttili eh' iufoati
Sono anco n te. se do l'Italia fuori
Caccornn noi. già de l'Italia tutta
1,' imperio si pronictton, e di quanto
! .-iia l'un mare e l'altro. Or la tua fede
ili porgi, e la mia prandi; ch'ancor noi
Siamo usi a guerra, e cor ne'petti avemo.
Il re, mentre eh' Knca parlando stolto.
Il volto e gli occhi e la persona tutta
(ili andò squadrando: e brevemouto al fino
Cosi risposo: Valoroso oioe,
Come lieto io t'accolgo, e conio certo
Batngurar mi sembra il volto e 1 gesti
K la favi lla di quel grande Anchiso
Tuo genitore! Io mi ricordo quando
Priamo por riveder la sua sorella
paiono e 'I sno regno, in nn passaggio
Che perciò fo da Troia a Salamina,
Toccò d'Arcadia i golidi confini.
Do lo prime lanugini fiorito
Era il mio monto a pena allor ch'io vidi
Quei gran duci di Troia, o do' Troiani
Lo stesso re. Con molto mio diletto
01! mirai, gli ammirai, notai di tutti
Oli abiti o le fattezio, c sopra tutti
[UÓ-162]
860 • l'un-kidr. [245-28
Leggiadro, riguardevole ed «Itero ' 1
Sembromnii Anchise Un desiderio nrdon
Mi preso nllor d'olTriiini. <■ d'esser conti
A quel signore. Il riaitai, gli pomi
La destra, ospito il fci. nel uno l'eneo
Meco l'addussi. Oud'ei poscia parteudaj
Un arco, una faretra e, molti strali
Ili Ideili piesentninnii. e d'oro appresso
Una ricca iutcssiita sopravesta
Con due freni indorati eh' ancor oggi
Son di l'aliante mio: sì elio già forma
f". tra noi quolla fede e quella lega
Ch'or ne chiedete. K non li.i il sol diiu.mo
Dal balenìi d'oriente uscito n pena,
Che le mio genti e i miei sossidi aroto.
Intuii to a questa festa, elio solenne
Facciamo ogni anno, o tralasciar non lece
(Già elio sielo venuti amici nostri).
Nosco restato, o come di compngni
Quosto monso onorato. Arca ciò detto,
Allor che nuovi cibi e nuore tazzo
Kipnr vi fece, o lor tutti nel prato
A seder pose; o sopra tutti Knea,
Di villoso leou disteso un tergo.
Seco ai suo desco ed al suo seggio accolse.
1162-1781
| -270- 294)
mbbo vm.
881
l'or man de'sat-ordoti c do'mlnistii
liei sacrificio, d'arrostite, carni
I ' dui. lìi vili puro, ili fo.M.v
« ; i mi piatti, gran canestri o gran li//
*s ' .itulur» a ionio; o co'tooi Teucri tutti
fnca Cu do le riscoro pasciuto
ivi satinato a Dio devoto bue. -
Tolte le mense, e 'i desideri» estinto
po le vivande, a ragiouar rivolti,
Evandro incomincio: Troiano amico,
(jik sto conrito o questo sacrili io
&. . ■ ■ ] . - : 1 1 1 . e questo a tanto ninno
Sacrato altare, istituiti o posti
Kou sono a caso; oliò del vero culto
E degli antichi Dei notizia avoino.
Per memoria, per merito o per voto
D'un gran periglio sua mercè scampnto,
Sou questi onori a questo dio dovuti.
Jlira colà quella scoscosa rupe,
E quei rotti macigni, e di quol collo
Quell'alpestri mina, e quel deserto.
Ivi ora già remota o dentro al monte
Carata una spelonca, or'unqua il sole
Kou penetrava. Abitatore un ladro
K'oia, Caco chiamato, un mostro orrendo
1170 101]
862 L'iveidb. [205-a|
Mezzo fora e mezz'uomo, c d' 11111:111 sai»
Avido si, clic "I suol n'avoa mai scuipifl
Tiepido. Ne grommatali lo pareti.
Ne pendevano i teschi intorno aflisal.
Di pallor, di sqnallor luridi e marci.
Volcano ora suo padre; e de'suoi fock
Per la bocca spirando atri vapori,
Già d'un colosso 0 d'una torro in giilj
Contra si diro mostro, dopo molti
Daunnggi 0 molte morti, il tempo al L
No diede e questo dio soccorso 0 scanni
Egli di Spagnn vincitor ne venno
Iu questo parti, do lo spoglie altero
Di Gorlonc. in cui tre volto estinsc
In tro corpi una vita, e ne condusse
Tal qui d'Inoro un copioso annonto,
Ch' avea. pion quosto fluino e quest* va
Caco Indrou feroce 0 furioso,
D'os»i misfatto e d'ogni scoleranza
Ardito 0 frodolente essocutoro,
Quattro tori involouno e quattro tace—
Ch'eran fior de l'anm'iit... K perchè l'orai
Iudlcio non ne dessero, a rovescio
Per la coda gli trasso; e ne la grotta
Gli condusse, e cológli. Kran l'impronto
frjj-2ii|
[320-344] libro nn. 863
Po'lor piò volte al camp», e verso l'antro
Sop>o non si Tcdqa eh' a la spelonca
11 cercator drizzaste. Atta gin molti
< i tomi d'Aulitrlon tornito il figlio
Qui le suo mandre, e ben pasciuto o grasso
Era il suo armento; si che nel paitiie
'l utto questo foreste e questi colli
pi querimonia o di muggiti euipioro.
Mugghiò da l'altro canto, o 'I vasto speco
l>a lungc rintonar fece una vacca
De lo rinchiuso: ondo schernita e vana
Jìestò di Caco la custodia 0 'I furto,
Ch'udilla Alcidq, o d'ira e di furore
In un subito acceso, a la sua mazza.
Ch'era di quercia nodorosa o gravo,
più dì piglio, o correndo al monto ascose.
Quel di da' nostri primamente Caco
Temer fu visto. Si smarri negli occhi.
Si miso in fuga e fu la fuga un volo:
Tal gli aggiunse un timor lo penne a' piedi.
Tosto elio no la grotta si riuchiuse.
Allentò lo catene, o di quel monte
Una gran falda a lu sua bopea oppose;
Ch'a la bocca do l'autro un sasso ini in .un
ATea coli ferri e con paterni ordigni
1212~;S!CJ
l' eskipr. [345-8^M
Di cataratta accommodato In guisa
Con puntelli per entro e rtangho o sbarf^H
Ecco Tirinzio arriva, e conio è spinto, jj
Da la sua furia, va por tutto in volta
Fremendo, ora ni vestigi, ora ai muggitivi
Ora a l'entrata de la grotta intento.
E portato da V impeto, tro volte
Scorso de l' Aventino ogni pendice:
Tre volto al sasso do la soglia int imo
Si mise indarno: o tre volto alTaniiato
Ritornò ne la valle a riposarsi.
Era do la spelonca al dorso in cima
Di solco d'ogu' intorno dirupata
Un cocuzzolo altissimo od alpestre-.
Ch'ai nidi d'avvoltoi e di tali altil
Augelli di rapina e di carogna
Era opportuno albergo. A questo intoni
Alfln si mise: e siccoin'cra al dumo
Da sinistra inchinato, egli a rincontro
Lo spinse da la dostra. lo divelae.
Col calce do la mazza a lova il poso,
E gli dio volta. A quel fracasso il ciolo
Rintonò tutto, si crollar lo ripo,
E'I fiume impaurito si ritrasso.
Allor di Caco fu lo speco aporto:
[227-!UlJ
[370-894] libro rni. 865
Scoprissi la sua regi i. e le suo dontro
Ombroso e formidabili caverne,
i chic chi de la terra il globo aprisse
A viva forza, e de !' infarti- il centro
pi.seovrissc.ln un tempo, o clic di sopra
[)c l'abisso vedesse qujille oscuro
l>al ciclo abbominato orride bolge:
Vedesse Fiuto a l'improviso lnmo
lìistai del sole attonito e confuso;
fottìi Caco da. subito splendore
Ji'e la sua tomba alita rbagliato e chiuso
pigi ignar qual mastino Ercole vido;
K noli più tosto il vldo, che di sopra
gassi, travi, tronconi, ogn'armo addosso
Fulminando aTTentògli. Ei cho uè fuga
Arca né schermo al suo periglio alti ondo,
X)a le suo fauci (meraviglia a dirlo!)
Vapori e nubi a vomitar si diedo
Pi fumo, di caligine e di rampa,
Tal che miste le tonobro col foco
Toglican la ristaagli occhi e'1 lume a l'antro.
Non però si contenuo il forto Alcide,
Che d'un salto in quel baratro gii tossi
Per lo spiraglio, e là 'v'ora del fumo
La nebbia e l'ondeggiar più denso, e '1 foco
[241-2J8J
8(Ì8 l'enfio*. [ "0r>- 1 19]
Più rogio, a lui che '1 vaporava indarno,
S'addusse, o lo ghermì; gli fece un nodo
Do lo suo braccia, e si la gola e 'I fianco \
Oli strinse, che scoppiar gli fece il petto
E schizzar gli occhi : o '1 foco e 'I finto e . 'alni»
In un tempo gli estinse. Indi la bocca
Apri de l'antro, o la frodata preda,
E del suo frodatore il sozzo corpo
Fuor per un pie ne trasse, a cui dintorno
Corsoi- le genti a meraviglia, ingordo
1>Ì veder gli occhi biechi, il volto atroce,
L'ispido petto, o l'ammorzato foco.
Da indi in qua questo di santo ogn'anno
Da' nostri è lietamente celebrato,
E ne sono i Potizii i primi autori,
E i Pinaiii ministri. Allor quest'ara,
Che massima si disse, e che mai sempre
Massima ne sarà, fu consecrata,
In questo bosco. Or via dunque, figliuoli
Per celebrar tant' onorata festa.
Coi rami in fronto e con lo tazze in mano
Il commun dio chiamate, e lietamento
I>' un con l'altro invitatevi, o beote.
Ciò dotto, il divisato erculoo pioppo
Tessero altri in ghirlande, altri in festoni
IW-277J
[tso-mj uano mi. 367
Altri i unii no piantaro. E di già fieno
Di sacrato liquore il gran catino,
Tutti a mensa gioiosi s'adagiaro,
]•: spargendo e bcondo. ai Muti numi
Toner preghiere % roti. Espcro intanto
Kra a l'occidental lito Ticino
Già per tuffarsi, quando i sacerdoti
l'n'altra rotta, e 'I buon Poti/.io aranti
Con pelli Indosso o con faoello in mano,
Coui'i costume, a conrirar tornnro,
K le seconde mense e l'are sante
Di grati doni o di gran piatti empierò.
1 Siili intorno ai liyuinosi altari
Qirano in tresca, e di populea fronde
Ciugean lo tempio. I rocchi da l'ini curo
prodezze Cantarano o lo lodo
pel granilo Alcide; i giorini da l'altro
N'atteggiavano i fatti: come prima
Pancini da la matrigna insidiato
I due sei ponti strangolasse in culla:
Conio al suolo adeguasse Ecalia e Troia,
Città famose; corno superasso
Hill' altre insuperabili faticho
Sotto al duro tiranno, o contr'ai fati
De l'empia Iva. Tu sci, diceau cautando,
1277-293J
869 • Vfxkidk-. 1 1 1 ó - 4 60'
Invitto iddio, elio de la nubi i figli .
Nilco e Folo uccidi; tu che 'I mostro
Domi di Cietn; tu che vinci il fiero
Nomèe leone; te gl'infumi laghi,
Te l'inferno custode ebbe in onore
Ne l'orrendo suo stesso o diro speco,
l.ii 'vo tre 'I sanguo e le corroso menili
Un de la morta gente il suo-covilc.
Cosa non è si spaventosa al mondo,
Che te spaventi, non lo stesso armato
lucontr'al ciel Tiféo, nò quel di L
Con tati ti o tanti capi orribil angue
Senza avviso ti vide o senza ardire.
A to vera di Giovo inclita prole,
Vinilmento inchinamo. a te de l cielo
Nuovo aggiunto ornamento. E tu benigne
Mira i cor nostri o i sacrifici tuoi.
Cosi pregando e celebrando in versi
Cantavan lo suo pruovc. K sopra tutto -t
Piccali di Caco e de In sua spelonca
K de' suoi fo' bi; e i buschi e i colli intorno
Kispondeau riutonando. Eran finiti
I sacrifici, quando il vecchio Kvandro
Mosso vèr la cittade: e seco a pari
Da l'uu de'lati Enea, da l'altro il figlio
I2U3-308)
[470-494] libro rat, »»»
Aron, col s'appoggiava: c ragionando
Di Tsrie coso, agevolava il callo.
Enea, meravigliando, In ogni patio
Vnlgca le luci, desioso e lieto
Ili veder qncl paese, e 4E»»perno
1 siti, i luoghi e lo molitorie antiche
Di cho spiando, il primo fondatore
)>c la romana ròcca in cotal guisa
A dir gii cominciò: Questi contorni
Kran pria selve; e gli abitanti loro
Eran qui nati, ed orjin fauni o ninfo,
E fonti clic di roveri e di tronchi
fcute. nè di costumi, nò di culto,
SJ di tori accoppiar, nò di por viti,
\e d'altr'arti o d'acquisto o'di risparmo
Avean notizia o cura: e '1 vitto loio
Era di cacciagion, d'erbe e di pomi:
E la lor vita, aspra, innocente e pura.
Saturno il primo fu ch'in queste parti
Venne, dal ciel cacciato, e vi s'ascose.
E micllo rozzo gonti, che disporeo
Eran per questi monti, insiemo accolso,
E dio lor leggi; ondo il pacso poi
p'a le latebre sue Lazio nomossi.
Dicon che sotto il suo placido impero
Cibo. -24. [308-3241
870 L'UMIDI. [l05-51f
Con giustizia, con paco o con amore
Si visso un socol d'oro, in fin elio pose!»
L'età degenerando, a poco a poco
Si fu d'altro coloro c d'altra Ioga.
Quinci di guerreggiar Tenne il furore,
L'ingordigia d'avere, e lo mischianzo
Do l'altre gonti. L'assalir gli Ausoni;
L'inondar i Statai; ondo più volte
Quosta, elio pria Saturnia era nomata,
Ha con la signoria cangiato il nome,
E co'signori. E quinci è che da Tcbro,
Che uc fu ro terribile ed immane,
Tcbro fu detto questo (lume ancora,
Cb'Albula si ilicoa ne' tempi antichi.
Ed ancor ino de la mia patria in bando
Dopo multi perigli o molti affanni
Del mar sofferti, ha qui l'onnipotento
Fortuna, 0 1 ' i n v i uc ibi 1 mio dostino
Portato alfine: e qui posar mi fóro
Gli oracoli tromendi e spaventosi
Di Carmentn mia madre, e Fobo stosso
Che mia madro inspirava. E fin qui detto
Si pinso avanti, e quell'ara mostrògli,
E quella purta, che fu poi di Itoma
Carmeutal delta, onoro e ricordanza
[824-339J
[520-5«] libro rm. |
Do 1» ninfa Indonna, ch'anzi a tutti
Del rallantoo prodisse o do' Banani
I.n futura grandezza^Indi seguendo
IH fri .in bosco gli mostra; ore l'Asilo
Romolo contrafece: o 1 Luporcale,
Che quale era in Arcadia a I*an Liceo,
Sotto una fredda rupe era dicato.
Poscia de l'Argileto gli dimostra
La sacra selva; o d' Argo ospito il caso
Oli conta, e so no purga a so ne scusa.
A In Tarpeia RupeTal Campidoglio
Poscia l'addusso; al Campidoglio or d'oi
die di spini in quel tompo era coverto,
Va ermo colle dai vicini agresti
Tor la rcligTon dol loco stesso
Inaino allor temuto e riverito:
Ch'a veder sol quel sasso e quolla selva
Si paventava. E qui soggiunse Evandro:
In questo bosco, e li 're questo monta
È più frondoso, un dio, non si sa qualo.
Ha certo abita un dio. Queste mie genti
D'Arcadia han ferma fedo aver veduto
Qui Giovo stesso balenar sovente,
£ far di nembi accolta. Oltro a ciò rodi,
Qui su, quelle ruiue e quei vestigi
[339-S55J
572 i,'f.néii>t. [r>l.">-58(
Pi quei due cerchi antichi. Una di qnosM
Città fondò Saturno, c l' altra Ofano, '
Che Saturnia e Olanicolo fnr dette.
In cotal guisa ragionando Evandro, J
Se ne glan vorso il ano picciolo ostello»
E no l' andar, là 'v' or di Koma è il Fòroa
Ot'6 quella piCi florida contrada
I)o le Calino, ad ugni passo intorno
Udian greggi belar, mugghiare arniontl.
Giunti che furo: In questo umile albergo
Alloggiò, disse, il vincitore Alcide,
Questa fu la sua reggia. E tu v'alleggia,
E tu '1 gradisci, o lo delizio e gli agi
Spregiando, imita in ciò Tlrimio e dio,
E del tugurio mio meco t' appaga.
Cosi dicendo, il grand' ospite accolse
No l'angusta magione, o collocollo
Là dove era di frondl e d'irta pelle
Dì libic' orsa «tappezzato un seggio.
Venne la notte, o lo fosc'ali stese
Ave» di già sovra la terra, quando
Tenere corno madre, o non in vano
Dol suo figlio gelosa, il gran tumulto
Vcggendo e le minacce de' Lauroutl,
Con Volcan suo marito si ristrinse
[355-872]
J[570-5941 uno Tilt. 878
Con gran dolcezza; e- ne) suo lòtto d'oro,
Autor spirando, in tal guisa gli disse:
Ciro consorte, infintili i regi argivi
fui" h' danni di Troice cho pur fato
Cader dovoa, nullo date soccorso
Volsi, o da l'arte tua,; nè ti 'richiesi
p'nrml allnr, nè di macchine, nè d'altro
per iscampo de' miseri Troiani.
[,e man, l' ingegno tuo, lo tue fatlcho
Oprar non volli indarno, aucor elio molto
Con l'rVamò c coUgli.obligo «Tossi,
i ni ilto mi promesse il duro affanno
P' Euoa mio figlio. Or por imperio espressa
E de' fati e di Giove egli nel Lazio
I tra'Kutuli è fermo. A te, mio sposo,
Ricorro, a te, mio venerando nume :
E, madre, por un figlio anno ti chioggio;
Qui i che da te di Nèrfio la figlia,
E di Tit<m la moglie hanno impetrato.
Mira inquaiit'uopololoti chicggio.o quanti
E che popoli sono, a mia ruina
E do' miei, congregati; o qunl fan d'nimi
A porto chiuse orribile appaiecchio.
Stava a questa richiesta in sé Vulcano
Ritroso anzi elio no; quando Ciprigna
1372-387]
874 i.'knkide. ['''.).'.. (5jm
Con la tiepida novo o col viv'ostro •
Ile le suo braccia al collo gli si avvinitjfl
E striaselo e baciollo. In un momento 4
La consueta fiamma gli s'appreso,
E per l'ossa gli corse e le midollo,
£ per lo Tene al coro; in quella iruisa
Che di corusca nube esce repento
Una lucida lista, e lampeggiando
E serpendo, il ciel tutto empie di foco.
Senti la scaltra, che sapea la forza
DI sua beltà, che l'avoa preso e vinto:
£ de l'inganno si compiacque o rise.
E '1 buon marito, che d'eterno amore
Arca il cor punto, le si volse, e disse:
A che si lungo cssordio? Ov'ò, consorto
Vèrmo la tua fidanza? Io fin d'allora,
Se t'era grado, avrei d'armo provisti
I Teucri tuoi: nò 'I padre onnipotente,
Nò i fati ci vietavano che Troia
Non si tenesse, o Priamo non fosso
Restato ancor pur diete ulti 'anni in vita.
Ed or s'a guerra t'apparecchi, o questo
È tuo consiglio, quel che l'arte puoto
0 di ferro o di liquido metallo,
Quanto i mantici limi liuto, o forza il fuoco,
[388-40:iJ
[020-644) libro vm. 875
10 ti promotto. E tu con questi preghi
Cessa di rivocar In possa in Torse
Pel tuo volere, o '1 ftip desir eh' è sempre
]ii l i r le voglio tue paghe e eontuute.
Cosi dicoudo, disToso in braccio
La si recò; gioinno, e poscia in grembo
Di lei placidamente addormente- i.
Finito il primo sonno, e do la notte
Già corso il mezzo, come feminella
Che col fusa, coni' ago e con la spuola
sua vita sostcTita v do' suoi Agli;
Clio la notte aggiungendo al suo lavoro,
£ dal suo focolar pria che dal solo
Procacciandosi 'I lume, a la conocchia,
A l'aspa, a l'arcolaio essercitando
Sta le povere ancelle ondo mantenga
11 casto lotto e i pargoletti suol;
Talo in tal tempo, e con tal cura a l'opra
Sorse il gran fabro, o la fucina aperse.
Giace tra la Sicania da l'uu cauto
E Lipari da l'altro un' isoletta
Ch'alpestra ed alta oscc do l'ondo, e fuma.
Ha sotto una spolonca, e grotte intorno,
Clio di feri ciclopi antri o fucino
Son. da' lor fochi affumicati e rosi.
[403-418]
870 t'KNKing. , [645-81
Il picchiar de l'inolili e de' martelli. -
Ch' entro si sente, lo stridor de' ferii, ,
11 fremerò e '1 bollir do lo sue fiuiiitn» 1
E do lo suo fornaci, d' Etna in guisa
Intonar s'odo od anelar si vede.
Questa è la casa, ove qua giù s'ndopra*
Volcano, onde da lui Volcania e dotta:
E qui per l'armi fabricar disceso
Del grand' Enoa. Slavati no l'antro allo]
Stòrope o Brouto o Piracmóne ignudi
A rinfrescar l'aspro saetto a Giove.
Ed una allor n' avean parte polita, ,
Parto abbozzata, con tro raggi attorti
Pi grandinoso nembo, tro di nubo
Pregna di pioggia, tro d'acceso fuco,
E tre di vento Impetuoso o fiero.
I tuoni v'aggiungevano o i baleni,
E di fiamme o di furia e di spavento
Un cotal misto. Altrovo erano iut.iino
Di Marte al carro, o le veloci ruote
Accozzavano insieme, ond'egli aimato
I.o genti e lo città 6cunte o cnniinovo.
Lo scudo, la corazza e l'elmo e l'asta .
Aveau da l'altra parte incominciati ■
De l'armigera l'alia, o di commesso
[410-435]
[C70-094] unito vm. 877
Lo frodavano a pira. Erano i (regi
jCel petto do la Don groppi di serpi
Che d'oro aveau le scafile, o conto intrichi
faciali guizzando di Medusa intorno
Al fiero teschio, cho cosi com'era
Disanimato o tronco,, lo suo luci
Volgea dintorno minacciose e torve»
Tosto cho giunsi . Via, disso a' ciclopi,
Sgombratevi davanti ogni lavoro,
E qui meco a. guarnir d'arme attendete
tu gi nn campione*. E s' unqua fu mostluro
D'arte, di sperlcuza o di prestezza,
% que volta. Or v'accingete a l'opra
Senz' altro indugio. E fu ciò detto a pena,
Che divise lo veci e i magisteri,
jt fondere, a bollirò, a martellare
Chi qua chi Ih si diede. Il bronzo o l'oro
Corrono a rivi: s'ammassiccia il ferro,
Si raflina l'acciaio; o tempro o legho
In più guiso si fan d'ogni metallo.
Pi sette falde in sotto doppi unito,
Bicottc ni foco e ribattuto o snida.
Si forma un saldo e smisurato scudo.
Da poter solo incontro a l'armi tutto
Star de' Latini. Il fremito del vento
878 fc'MntiDK. .[<>t>5-7isj'
Cho spira dn'gran muntici, e le strida
Cho, no' laghi attutTati o ne l'inculi
Battuti, fanno i ferri, in un sol tuono I
Ne l'antro nuiti, ili tenore in sai*»
Corrispondono a' colpi do' ciclopi-,
Ch'ai moto de le braccia or alto or basso
Con le tonaglio e co' martelli a tempo
Fan conserto, armonia, numero e metro;
Mentre in Kolia era a quest'opra intento
1)1 Lenno il padre, ecco, sorgendo il solo,
Surso al cantar dei mattutini augelli
11 vecchio Evandro; e fuori uscio vestito
Di giubba con lo guigge a' piedi avvolto,
Com'è tirrena usanza. Avca dui destro
Omero a la Tegoa nel manco lato
Una sua greca scimitarra appesa.
Avca da la sinistra di pantera
Una picchiata pelle, che d'un tergo
Gli si volgoa su l'altro; e da la ròcca
Scendendo, gli vcnian due cani avanti, ]
Como custodi i suoi passi osservando.
In questa guisa il generoso oroe,
Conio quei che tcnca memoria e cura
Pi compir quanto avca la sora aranti
Ragionato e promesso, a lo scerete
[4HMCI]
[720-74-4] mb8o viti. 373
Stanze del padre Knoii si ricondusse.
Elie» da l'altra parto assai per tempo
S'era lorato; e solu in compagnia
L'nn aeeo area PaUujK* )• altro Aeatn.
l'ostia che rincontrati e 'usiouio uccolti
Si saluterò, alflu, tra loro ass'isi,
A ragionar si diero. E prima Evandro
Cosi parlò: Signor, cui Tiro, in vita
Dir si può che sia Troia, e che del tutto
Kon sia caduta o vinta; in questa guerra
Quel che poss'io por tuo sossidio è poca
A tanto affare. Il mio paese è chiuso
Quinci dal tosco Jiiniic. e quindi ha l'armi
Clio gli suonan cìo'Rutuli dintorno
Fin sulle porte. Avviso e pensior mio
È per confederati o per compagni
Parti una gento numerosa o grande
Con molti regni. In tal qui tempo a punto
Sei capitato, e tal felico incontro
Ti porge amica e non ponsata sorte.
È non lungo di qui, su questi monti
D'Ktruria, una famosa e nobil terra
Ch'i sopra un sasso anticamente estrulta,
Agillina si dice, oro lor seggio
Posero (ò già gran tempo) i bellicosi
[404-479]
S80 l'rsEiDfc: _ |74$-7G9|
£ ciliari Lidi ; c floridi o fi lici
Vi Tur (rriui tempo ancora. Hr sotto il rio ro
Sou di Mozenzio capitati ni duo.
A cho di lui contar lo scelerauzo?
A elio la ferita? Dio lo riservi .
Per suo castigo o de' sognaci suoi.
Questo crudele iusitio a' corpi morti
Mescolava co' vivi (odi tormento)
Cho giunto mani a mani, e bocca a bocca,
In cosi miserando abracciamonto
Gli Tacca di putredine o di lezzo.
Vivi, di lunga morte nlfin moiiro.
I cittadini afflitti, disperati^
E fatti per paura alfin seenri.
Tesoro insidie a lui. fecero strngo
Do' suoi, posoro assedio, avventar foco
A le suo caso. Ei do Io mani uscito
Dogli uccisoti, ebbe rifugio a 'i ni no
Ch'or l' accoglie e'I difendo. Oiidocoinn
E por giusta cagiono in furia volta
L'Etruria tutta in contro al suo tirao«
(irida clic muoia, e '_-ià i l'armi in ninno
A morto lo persegue. A questa gouto j
Di molte mila condottiero o capo
Aggiungcrotti. E già d'nrnmte uuvi
[480-4973
[770-791] Limo vin. 881
p.iii pieni i liti: ognun freme, ognun chioda
Cho si spieghiti l'Insogno. Un voc-hlo solo
^ruspi'f " 'pilotino o> elio aospoal
gli tiene infine il qui: dente meonia,
gioendo, fior di gonto antica o nobile.
Boni' hò giusto dolor cantra a'Mozenzio,
E d' gn'lr» v'incenda, incontro a Lazio
Voti nioroto voi già: ch'o nessun Itolo
Domar d'Italia una tal gente è lecito,
S'esterno duce a tant'uopo non prendesi.
Com parato, o perllmor «onfuso
pcl vaticinio stassi il campo etrusco!
g ciii Torcente {tesso a questa improsa
ir invita, e già mandato a presentarmi
Ha la sedia e lo scettro e l'altro insegno
pel tosco rogno, porcli'io re ne sia,
Ed a P oste no vada. Ma la tarda
E fredda mia vecchiezza, e le mio forzo
Debili, smunte 0 disoguali al poso
Fan eh' io rifiuti. Eesortoroì Pollante
Mio figlio « questo imporo, so non fosse
Che noto di Sabelln, italo anch' egli
È per materna razza. Or quosto incarco
Dogli anni, da la gente, dal destino,
Dal tuo stesso valore a to si dove.
[497-5121
382 ' t'wBiD».* [795-8
E tu il prendi, Signor, ch'Abile e Torto
Sci più d'ogni Troian, d'ogni Latino
A sostenerlo. Ed io Fallante mio,
La mia speranza e 'I mio sominoeontut
Manderò teco; cho 'I mestier de l'armo,
Che le faticho del gravoso Marto
Ne la tua scuola a tollerare impari:
E to da'suoi prim'anni, c i pesti tuoi
Meravigliando ad imitar s'avvezzo,
Dugonto cavalieri, il nervo e '1 noia
be' mici d'Arcadia, spedilo con lui,
£ dugento altri il mio l'aliante stesso
In suo nome daratti. Avea ciò detto
Evandro a pona, che d' Anchiso il figlio
E 'I fido Acato stcr co' volti a terra
Chinati. E da ponsier gravi e molesti
Fòran oppressi, se dal cicl serono
La madro Citcrca seguo non dava.
Si come diò. Chi tal per l'aria un lume
\ il i d'improviso e con tal suono.
Che parvo di ropento il mondo tutto
Come scoppiando e minando ardesse;
Ed in un tempo di terreno tubo
Squillar ne l'aura Alto concento ndissi.
Alznroii gli occhi; o la seconda \ulta,
1513-5271
[S20-S44J libbo no. 883
£ lo terza iterar sentirò il tuono;
E vidor là 're il cielo era più searco
I j; più tranquillo, una dorata nubo
jr d'armi un nembo che tra lor percosse
Scintillando facesti Imititi c lampi.
SUipiion gli altri. Ma il troiano eroe
Cno 'I cenno riconobbe e la promessa
p0 la diva sua madre. Ospite, disse,
pi saver non ti caglia quel ch'importi
Questo prodigio; basta ch'ammonito
goo in dal cielo, e questo è 'I segno e '1 tempo,
Cnc la mia gonitrice mi predisso;
Che quandunque di guerra incontro avessi,
allora ella dal cicl*prc8ta sarebbe
Con l'armi di Volcano a darmi aita.
Ox quanta di voi strago mi prometto, ■
Infelici Laurent! ! e qual castigo, »
Torno, da me n'avrai! quant'armi, quanti
Corpi volgere al mar, Tebro, ti veggio!
Tla, patto e guerra mi si rompa ornai.
Cosi detto, dal soglio alto levossi,;
E con Evandro e co' suoi Toucri in prima
D" Ercole visitando i santi altari,
II sopito carbon del giorno avanti
Jjoto desta o raccendo; i Lari inchina;
1527-643J
ggl ' l'kskidk. [845-81
I pargoletti suoi Tonati adora,
| di più scelte agnello il sangue offiiac*
Indi torna a le navi, e do' compagni
Fatte duo parti, la più forte elegge
Per seco addurre a preparar la guerra;
V altra a seconda per lo fiume invia, .
Che pianamente e seni* alcun contrasto.
Si rivolga ad Ascanio odia novello
Do le cose e dol padre. A quei che soeoj
In Etrui ia adducea tosto provìsti
Furo i cavalli. A lui velino in disparta
Iti tutti gli altri un palafreno ciotto, :
pi pelle di loou tutto covorto
Ch'i velli nvea di seta o l'ugna d'Oro.
Per la piccola terra iu un momento'
Si sparge il grido ch'ai tirreni liti
No va lo stuol do' cavalieri in fretta.
Lo madri paventoso ai temp i intorno
Innovellano i voti: o già por tóma
Piii vicino il periglio, e più l'aspetto
Sembra di Mario atroce. Evandro il fi
Nel dipartir tenorauicnto abbraccia;
Ni divolto da lui né sazio ancora
Di lagriinar gli dice: 0 so da Ciove
Mi fosso, figlio, di tornar concesso
1543-560]
[S70-S9I] libiio viti. 885
firn in quegli unni o 'n qiiollc forze, orni' io
?otto Preneste II primo incontro fui
l'i l' miei nemici, e vincitore i monti
,\ isi do'sciidi; nlltir ch'Etile stesso,
|,o stesso re con queste mani nncisì,
,\ cui nascendo ave» Foronia madre
I>:tto tre vite e tre corpi, e tro volte
(Meraviglia a contarlo!) era mostioro
Combatterlo e domarlo; ed io tro volto
l.o combattei, lo vinai e lo spogliai
| l'armi e di vi- * tei, dico, io fossi,
Mai non saroi da te. Aglio, diviso;
Mai non fora Itfezcnzio oso d' opporsi
\ questa barba; nò per tal vicino
Vedova resterebbe or la min terra
pi tanti cittadini. 0 dii superni,
0 ile'supeiui dii mimo maggioro,
pjeti d'un re servo o devoto a voi,
E d'un padre che podio ò sol d'un figlio
Unicamente amato. E se da' fati,
Se da voi m'è l'aliante preservato,
E s'io vivo or per riredeilo mai,
Questa mia vita preservate ancora
Con quanti unqna soffrir potessi affanni
Va se fortuna ad infortunio il tra .-.•»•,
Caso. -85. 1 580-578 1
88C l' ritkidk. [895-!
Ch'io dir non oso. or, or, prego, rompe!
Questi», misera vita, or eh' è la téma.
Or ch'è la speme del futuro incerta;
E che te, Aglio mio. mio sol diletto
E da me desiato in braccio io tengo,
Anzi ch'altra novella me ne venga
Cho '1 cor pria che gli orecchi mi porco
Cosi '1 padre ne l'ultima partita
Disse al suo Aglio: e da l'ambascia vln
Fu da' sergenti riportato a braccio.
A la campagna i cavalieri intanto
Erano usciti. Enea col Ado Acato,
E co'suoi primi era nel primo stuolo,
rullante in mezzo rispleudca ne l'armi.
Commosse d'oro, risplendca no l'ostro
Cho l'armo avean por sopravesta intorno;
Ma via più risplendca ne' suoi sembianti
Ch'ornu di Aero e di leggiadro insiemo.
Talo ò quando Lucifero, il più caro
Lume di Citcrea, da l'Oceano,
Quasi da l'onde riforbito, estollo
Il sacro volto, o l'aura fosca inalba.
Stan lo timide madri in su lo mura
Fallidc attentamente rimirando
Quanto puou lungo il polveroso nembo
[578-593]
[920-944) libho no, • 887
Po l'armate caterve: e I lustri o i lampi
Che facean l'armi, tra 1 virgulti e i dumi
Lungo le vie. Va per la achiera il grido
Che si cavalchi: e lo «juadron giù mosso,
Al calpltar do la ferrata torma.
Fa 'I campo risonar tremante e trito.
K di Core vicino, appo il gelato
Suo Dumo un sacro busco aulico e grande
li' ombrosi aboti, ebo da cavi colli
Intorno e cinto, vcnerabil molto
K di gran lungc.% fama elio i Folasgi,
l'i imi del Lazio occupatori esterni,
A Silvan, dio dj)' campi e degli armenti,
CousecrAr quosta solva, e con solcnno
Rito gli dedicar la festa o '1 giorno.
Quinci poco lontano era Tareonto
Co'Tincni accampato; o qui del campo
Giunti a la vista, là 've un alto collo
Lo scopri» tutto, Enea, co' primi suo?
Fermossi, ovo i cavalli o i corpi loro
Già stanchi ebbero all'in posa e ristoro.
Era Yonore ili Cicl candida o bella
•Sovr'un etereo nembo apparsa intanto
Con l'armi di Volcano; o visto il Aglio
Coltre al gelido rio per erma valle •
[ÓU3-610J
888 ']
S'H già dagli altri solitario e scevro,
Apertamente gli s'offerse, o disse:
Eccoti '1 don che da me. Aglio, attendi I
Di man del mio consorte. Or francamentafl
Gli orgogliosi Lanrcnti e 'I fiero Turno 1
Sfida a battaglia, e gli combatti e vinci.
E. ciò dotto, l'abbraccia. Indi gli addita I
D'armi quasi un tmfi ■•. «- li* i> pi" ■ un.i querela 1
Iiinuzi da lei disposti', incoutr" agli occhi 1
Faccan barbagli", e contro n 1 v i. più soli, j
D'un tanto dnin Eiu-a. d'un tale onore J
Lieto, e non sazio di vederlo, il mira,
L'ammira e '1 t rat ta. Or l'elmo in man si prenda
E '1 orribil cimier contempla o '1 foeo . I
Che d'ogni parteavventn-.orvibrai! branda I
Fatalo; or ponsi la corazza avanti
Di fino acciaio e di gravoso pondo,
Che di sanguigna luco o di colori
Diversamente accesi ora splendente,
Qual sembra di lontan cerulea nubo
Arder col solo o variar col moto.
Brandisce l'asta; gli stlnior Yaghoggia
"Nitidi e lievi, cho fregiati e fusi
8on di (In oro e di forbito elettro.
Meravigliando aitili sopra lo scudo
IC10-625J
[070-994] libro vm. 839
Si forma, c !' ir. t ■ ■! il.il. ■ artificio
Orni' era intesto, e l'argomento esplora.
In questo di cnni meato e di rilievo
,\\ ri fatto de' fochi il gran maestro
(Como de' vaticini e del futuro
Presago anch'ogli) fon mirabil arto
te lrattaglie, i trioni! o i fatti egregi
D'Italia, de' Romani e de la stirpo
Che poi scese dn lui; dal Aglio Axcanio
Incominciando, i ^discendenti tutti
K ir jf.ierrc che fer di mano in mano.
V'avea del Tebro in in la venie riva
fiuta la marztal uudrice lupa
Ih uh antro accosciata, e i due gemelli
Clio da le poppe di si fiera madre
lascivctti pendean, senza paura
Seco scherzando. Ed olla umile e blanda
Stava col collo in giro, or l' uno'or l'altro
Con la lingua forbendo a con la coda.
V'ora poco lontan Koma novella
Con una pompa, e con un circo aranti
Pien di tumulto ov'era un'insolento
Rapina di donzelle, un darsi a l'armo
Infra Romolo e Tazio, e Roma o Curi.
E poscia infra gli stessi regi armati,
IC25-639I
890 l' ìtxitTni. [995-101
Pi (ììoto Anzi a l'altare un tener tazza
Invece d'armi in ninno, un ferir d'ambo
Le parti un porco, e far counubi e paco.
Né di qui lungo, eranoaquattroaquata'
Giunti a due carri otto destrier feroci.
Clic, qual Tulio imponea (stato non fo~
Tu si mendace e traditore, Alliatin!),
In duo parti traeu di Mozio il corpo;
£ si com'era tratto, i brani e 'I sangue
No mostratali le siepi, i carri e 'I suolo.
V'era, oltro a ciò, PoraanoA, il tosco
Ch' impcriosauiento da l'essiglio
Rivocava i Tarquini. e 'n duro assedio
No tcnea Koina, cho del giogo schiva .
S'avventava nel ferro. Avea nel volto
Scolpito questo re sdegno e niiiiacco,
K meraviglia, che sol Code osasse
Tener il pulite; e Clelia, una donzella,
Varcar il Tebro e scior la patria e lei.
In cima dello scudo il Campidoglio
Era formato e la Tnrpuia rupe,
E Manlio che del tempio e de la ròcca
Stava a difesa: e la romulea reggia
Che '1 comignolo avea di stoppia ancori.
Tra' portici dorati iva d'argento
I640-65Ó)
|1020-1044] libro Tiri. 891
I " ili sbattendo o schiamnx*ando un'oca,
Cli'apria de'GaHl il periglioso agnato:
i; i Usili per lu maschie c por lo balzo
jie l'erta ripa, da la baia notto
l-if.-si. quatti quatti orano in cima
Già do la ròcca ascosi. Airoon lo chiome,
Aveao le barbe d'oro: aveano i «ai
Pi liicid' ostri divisati a liste,
Y. d'or monili ai bianchi culli avvolti.
])i forti alpini dardi area ciascuuo
Da la destra una coppia, e ne' pavesi
Stavan coi corpi rannicchiati e chiusi.
(juinci de'Salii e dc'Luporci ignudi,
E de' greggi do' Flamini scolpito
Y'avea le tresche e i cantici e i tripudi.
Ed essi tutti o coi lor fiocchi in lesta,
0 con gli .incili o con lo tibie in mano:
Cui lo sacre carrette irono appresso
Coi santi simulaci i e con gli arredi, ■
Che tracan per lo vie le madri in pompa.
E più lungo nel Tondo era la bocca
De la tartarea tomba, o del gran Dite
La reggia aporta: ov'anco eran le pone
E i castighi degli empi. E quivi approdo
Stavi tu, scolorato Catilino,
IG55-GUSJ
802 l'eskio*. flOJÓ-lOèfl
Soprn d'un minoso acuta scoglio
Agli sparenti ilo lo furio esposto.
K scevri oran da questi i fortunati
Luoghi do' buoni, a cui °1 buon Cato è dlWfl
Gonfiava in mezzo una.inariHa d'oro 1
Con la spuma d'argento, o con delfini
D'argontino color, clic con le code
Givan guizzando, e con le schiene in aroM
Gli aurati flutti a loco a loco aprendo, 1
E i liti e '1 mare o '1 promontorio lutto a
Si vedea di Leuciito a l' Azia pugna
Star proparati; o d'una parto Augusto I
Sovra d'un'nlla poppa aver d' intorno
Europa. Italia, Roma e i suoi Quiriti, • ti
E '1 sonato e i Penati e i prandi iddìi.
Pi tre stollo il suo volto ora Inconte.
Due no facca con gli ncchi, ed un.", sempre
Del divo padro no portava in Tronto.
Ne l'altro corno Agrippa ora con lui
Del maritimo stuolo invitto duco,
Ch'altero, o 'I capo alteramente adorno ■
De la rostrata sua naval corona,
I venti o i numi avon fausti e socondi.
Da l'altra parte vincitore Antonio
Di ver l'aurora e di vèr l'oude rubre
ICOU-WUJ
[1070-1094J libbo nn. 393
Jlnrbari aiuti, esterno nazToni
K diverso armi dal Cataio al N il «
Tutto arca seco l'Oriento addotto:
i: hi zingara moglie < ra con lui,
Milizia infame. Ambo le parti mosse
Se ne gian per urtarsi, e d' ambe il maro
Scisso da'romi e da' stridenti rostii
parerò si vedea. spumoso e gonfio.
Prcndean de l'alto i legni in tanta altezza,
Clio Cicladi con Cicbidi divelto
Palili" nel mar gTr a'iicoutrnrni.o'u terra
{lenti con monti: di al fa,ttc inoli
Arvontavan lo ({enti c foco e ferro.
Onde il mar tutto era sanguigno e rogio.
Stava qual Isi la regina in mezzo
Col patrio sistro, o co' suoi cenni il moto
Dava nlla pugna; o non videa (meschina!)
Quai duo collibri lo veninn da tergo.
L'abbaiatoro Anobi e i mostri tutti,
Cb'cran suoi dii, contra Nettuno c coutra
Tenere e l'alia armati cran con loi,
E Minte in mezzo, che nel campo d'oro
Pi ferro era scolpito, or questi or quelli
A la zuffa infiammava: o l'empie Furio
Co'Ior serpeuti, la Discordia pazza
LG67-702J
391 l'exiidi!. [1095-M
Col suo squarciata ammanto, con la sft
Di sanano (iuta la crudcl Bellona
Sgominaran le genti; o l'auto Apollo
Saettava di sopra: agli cui strali
L'Egitto o gl'ludi e gli Arabi o i Siboi
Davan lo spalle. E giù chiamare I veli''
Scioglier le funi, inalberar lo velo
Si vcilcu la regina a fuggir volta.
Già del pallor do la futura morto,
Ond'cra dal gran fabro il volta aspersa,
In abbandono a l'onde, e de la l'uglia
No giva al vento. Avea d'incontro 11 N
Un vasto corpo, che, smarrito e ini sto,
A* vini i aperto il seno e stoso il manto,
I latebrosi suoi ridotti offriva.
Cesare v'era alfin cho trionfando
Tre volte in Roma mira va: e per I riconta
Gran tempii n'nostii ilii voti immortali
Si vedean consccrati. Krau ! strado
Piene tutto di plauso, di letizia,
E di festo o di giuochi. Ad ogni tempio 4
Concorso di matrone: ad ogni altare
Vittimo, incensi c fiori. Egli di Febo
Anzi al delubro in maestade assiso
Ricouoscva do' popoli i tributi,
[702 7211
[1120-1138] LtBBn viti. 805
E In candida soglia e le superbe
gue porto no fi chiava. Iva la pompa
fio N- ponti da lui •(••mate intanto
Vario ili gonne, d'idiomi c d'armi.
Qui di Nomadi o d'Afri era una scliiora
]n aliito discinta; ivi uti drappello
Hi I.tlegi, di Cari e di Geloni . ,
Con archi o strali Iiifln dai liti estremi
I )(">>"' condotti erano al giogo,
y, gì' indomiti Dai. fon meno orgoglio
Giva l'Eufrate: ambe lo corna flarchc
Portava il Kono: disdegnoso il ponto
jfel dorso si scote» farmenio Arasse.
X tal. da tanta madre avuto dono,
j; d'un tanto maestro. Enea mirando,
];,.., -li.' il velame del futuro occulte
CU tenesse le coso, ardire e spomo
frese e gioia a vederlo: e dc'nepoti
La gloria e i fati agli omeri s'impose.
|721-731]
3!>C
[1 l&J
DELL' ENEIDE
Libilo Nono.
Mentre cosi da' suoi scovro o lontano,™
Enea fu d'armi o di sossidi ncquisto, 1 1
Giuno di concitar la furia e l'ira
|ii i arno unq i i non resta. Erasi Turni 1
Col pensicr du la guerra al sacro bosedS
Pi-Pilunno suo padre allor ridotto,
Clic maudata da lei di Tailinantc
Gli fu 1» figlia in eotal guisa n dire:
Ecco. quel die fu mai cliiedom a lingua,
O'mpetrar dagli Dei, Turno, potessi, j
Porsò l'occaston ti porgo o'I tempo. |
Enea, mentre dagli altri implora aita, 1
Lo suo mura, i suoi legni e lo suo genti 1
Lascia ora a to, se tu "i i. w pveda.
Ei coi migliori ni palatino Evandro
So n'é passato, 0 quindi è ne l'estremo"*
Penetrato d' Etruria. Ora e nel campo I
lle"l'os.-lii. e lavvi indugi» ed arma agrosffl
E tu qui badi or che di carri e d'armi
11-18]
[jiM-tl unno ix. 897
K ili prestezza è d'uopo? E che non prendi
] suoi stoccati che son or di tanto
I'. i- l'assenza di lui turbati c scemi?
poscia che cosi disse, aito su l'ali
j,a Dea levoesi; e tra l'opaclio nubi
per entro al suo grand' arcoascesc e sparve.
Turno elio la conobbe, ambo a lo stello
Alza lo palmo: e noi fuggir con gli occhi
fv.-nilla o con la voce. Iri, dicendo,
filino 0 fregio- del ciclo, o chi ti spiega
Or da le nubi? E chi quaggiù ti manda?
Oiid'i l'aDr s) chiaro o si tranquillo
Cosi reponte? lojroggìo aprhsi il ciolo,
Vagar le stelle. 0 qual tu do' colesti
i li' n. l'armi m'inviti, io lieto accetto
Un tanto augurio, o lo gradisco e 'I seguo.
Cosi dicendo al fiume si rivolse:
N'attinse: se ne sparso: o proci e votj
jloltc ffate al del porse e ripone.
gran già le suo gonti a la campagna,
E do'cavalli il condottier MossApo
ni ricca sopravesta ornato e d' oro
Movea d'avanti. I giovini di Tirro
Tcncan l' ultimo squadro, e Turno in mozzo
Con tutto II capo a tutta la battaglia
lls!-i!9J
893 l'embid».
Snpravanzando, armato cavalcava
Per l'ordinanza. In cotal guisa i campi I
Primieramente inonda il Oaugo o'I Nilo ■
Con setto (lumi; indi ristretto e quoto J
Correndo, outro al suo letto si raccogllaM
Qui d' improviso d' uu oscuro nembo 1
Pi polve il ciel ravvilupparsi i Teucri J
Scorgon da lungo, o'ntorbidarsi i campi.
Calco il primo da l'avversa mole
Gridando. 0, disse, cittadini, un gruppo I
Vèr noi 'li polverio no l'aura ondeggi», I
Ognuno a l'armi; ognuno a la muraglia,}!
Ecco i nomici. Di ciò cono il grido
Ter tutta 1» città; chiuggon lo porto;
Empion lo mura. Tale ovea, partendo, i
Dato il sagace Enea precotto e norma, 1
Ch'in caso di rottura, a campo aperto j
Senza lui non s" indisi- o .-pi-gar ~ -Meri
0 far conflitto; o solo a la difeso
S'attendesse del cerchio. Ira o vorgngo» f
fili animava a la zuffa; oditto e téma
Gli ritonoa del duce. Ond' entro armati .1
No lo torri, in su' morii e no' ripari
Aspettaro i nemici. A lento passo
Trocedca l' ordinanza; e Turno a volo
129-471
1 70-94 J libro ix. 899
Con Tenti ciotti cavalieri aranti
Si spinso c d'improviso appreaontossi.
Cavalcava di Tracia un gran corsiero,
|n Manche macchio il vario tergo asperso,
g'I suo dorato o luminoso elmetto
p°r>lto eimior copria cresta vermiglia.
Qui fermo: Chi di voi, giovini. disse,
jloco sarà contr' a'niniici il prjmo?'
I quel ch'era di pugna indizio o segno,
t/asta a l'aura avventando, alteramente
fra-'orso il campo, ed ingaggiò battaglia. »
Con olle grida e con orribil voci
fremendo lo seguirò i suoi compagni,
jion senza meraviglia che al vili
Fosforo i Toucri a non osar dol pari
IVim'Ii a fronte, non mostrarsi in campo,
Ferir da Iiingc. o di muraglia armarsi.
Turno di qua di là turbato o fioro
Si spinge, o scorre il piano, o corchili il muro,
E d'entrar s'argomenta ov'ancho è chiuso.
Come rabbioso ed affamato lupo
Al pieno ovile insidiando, fremo
jja notte, al vento ed a la pioggia esposto;
Quando sotto lo madri i puri agnelli
Bclau sccuri, ed ci la fame e l'ira
L17-C2J
400 L'r.NKiu*. [95-
Incontro a lor che gli son lungo, ao'
Cosi gli occhi di fuco o'I cor di sdegna
Il Ruttilo infiammato, «nulo e fiero _ J
Ya du'nimici agli stoccati intorno,
Ogni loco, ugni astuzia, ogni sentiero
Investigando, onde o co' suoi vi salga,
0 lor ne sbuchi, e ne gli tiri al piauo.
Alfin rannata assaglio, ch'a'riparl
Ila l'un canto congiunta, entro un ca»"
D'ondo e d'argini cinta, era nascosta, 1
Qui foco esclama, o foco di sua man»
Con nn ardente piuo n'suoi seguaci
liispoosa, o lor con la presenza acccn
Onde tosto, e le faci o i legni appresi,
Fumo, fiamme, favillo o vampi innubi
K volumi di pece al cicl u'andaro.
Muso, ditono or voi qual nume ali
Scampò do' Teucri i legni, e corno un tMt
Do la novella Troia incendio cslinso. J
Fama di tempo in tempo e prisca fede j
N'avvera il fatto, e voi conto nc'l fate.;
Dlcon che quando a navigar costretto
Ivo i primicramento i suoi nnvili
A formar cominciò nel bosco ideo;
I)' Ida di Berocinto e degli Dei
IG8-82J
| 120-144] uuuo ix. 401
l,n madro, al sommo Uiovo orando, disse
Figlio, che sei per me de l'uuivorso
jl.m.irca etorno, a me tua cara madre
j.V<(«i'l ch'io chieggio, o tu mi devi, onoro,
j; nel gargaco giogo uu bosco in cima
i)n i»o diletto, ed al mio numo'additto
gii di gran tempo. Kra d'abeti e d'acori
v i\ pini o di poci ombroso e denso;
,| umido de l'armata ebbo uopo in pi ima
jl gioviuo Troiano, al magistero
Ynleiitler do'siioi légni U oonccdel.
Quinci uscir le sue navi; o come figlia
])j quella solra, » son sacro o caro
Si eh' ur no tomo ; o del timor che n' aggio
Fricgo elio m'assicuri; o'I priego mio
Questo possa appo a to, che tanto puoi,
Che uè da corsu mai, nò da fortuna
Sian di venti, o di flutti, o di tempesto
Squassate o vinte: o lor vaglia elio nato
Son ne' mici m inti. A cui Giovo risposo:
Mailie.acho stringi! fati?E qual.pcrcui,
Cerchi tu privilegio? A mortai cosa
Farò dono immortale? K mortai uomo
Soli sarA sottoposto a' rischi umani?
Ed a qual degli Poi tanto è permesso?
Cibo. - 26. 182-97]
tuo
lineo
■
408 l'kkkide. |H5-lg
Pifi tosto allor elio snran giunto ni finali
E clic In porto saranno, a quello tutta
Che, scampate da l'ondo, il teucro duco
Avran ne'campi di Lauronto esposto,
Tonò la mortai forma, e Dee filmilo-
Che qual di Nereo e l>ntò o GalatcsF
Fendan coi potti o con lo braccia il )
Cosi dotto, il torrente e la vmago
£ la squallida ripa o l'atra pcco
D'Ach«iontc giurando, uhi ass'' '1 cigliai
E fc tutto tremar eoi ccniin il mondo,
Or qnesto ora quol di. quest'era il fino
Da lu Parelio dovuto ai teucri legni:
Onde la madre Idea contra l'oltraggio
Si fo di Turno, o gli sottrasse al.foco.
rrlniieratnente inusitata luco
Balenando rifulse: indi un gran nembo
Di Coribauti per lo ciel trascorso
Di vèr l'aurora; ed una voce udissi
Ch'empiè di meraviglia e di spaventi!
L'un osorcito e l'altro: 0 mici Troiani,
Dicendo, non vi caglia a' mici navili
Porger soccorso: rè perciò nel campo
Uscite a rischio. Arderà Turno il maro
Pria che lo sacro a mo diletto navi.
[9S-U6j
[ 1 70-104] unno ix. 403
E voi. mie nari, Itene «Molte; e Poe
Shtte dol miro; Io genitrice vostra
j,m vi comando. A questa voce, in quanto
I --i a pena. s'allintArio rimi
p/ lor ritegni : o di delfini fn guisa,
Coi rostri ai tnffaro.'Iirti sorgendo
(Jlirnliil mostro!), quante a riva in prima
Ernn le navi, tanti di donzelle
gi rider per lo mar ? croni aspetti.
mciitaronsl i Ku^uli; e Messina
O'suni cavalli attonito formossi.
]| padre Tibcrin roco mugghiando
pai mar fuggissi. A'è perciò di Turno
(Y>v> l'audacia, anzi via più feroce,
fili altri cssortowdo e riprendendo, Ah, disso
pi che temete? Incontro ni Teucri stessi
Yiiigon questi prodigi ; e loro ha Giuro
po le lor forzo cssaustl. Il ferro e '1 fuoco
Non nspettan do'Kutuli: han del maro
perduta e de la fuga ogni sporanza.
Essi del mare inflno a qui son privi;
E la terra è por noi, tante son genti
p"Italia in arme. Nò tem' io de' vanti
Che de'lor vaticini) e de' lor luti
Pa lor si dnuuo. Assai de' fati, assai
1110-185]
404 i.' KNKius. |19o.~Ìfl
E l'intento di Tonerò adempito,
Clio son nel Lizio. K 'ncontro ni fati loroJ
Sod anco i miei, elio tor del [.tizio io degn
Anzi del mondo, questi s vi. r iti g
De l'altrui donno usurpatoli e drudi:
Cliè non soli irli Atridi, o nou sola Argo 1
N'hau duolo e sdegno. Oh .' basta eh' uua voli
Ne son periti. Si, so lor bastasse
D'aver.in ciò sol una volta errato.
Nuovo fruir: nuova pena. Or non tiranno.
Otuai quest'infelici iu odio affatto
I,o donno tutto, a tal di già condotti,
Che non Itati de la vita altra fidanza,
Clio questo poco e debile steccato
Che da lor no divide? e tanto a (iena
Son lungo dal morir, quanto s'indu-rio
A varcar questa fossa. In ciò i Sposto d
IIuu la spento e l'ardire. 0 non hall listo
Le mura anco di Troia, elio costrutto
Fur per man di Nettuno, a terra sparse
E 'n cenerò converse V Ma chi meco
Di voi, guorriori eletti, è elio s'accingo 1
D'assalir queste mura e queste gemi
Giù di paura offese? A me lor contro
D'uopo uou son né l' urini di Vulcano,
1135-148J
[i20-244| libro ix. , *03
f;;. mille navi. E vengano pur tutta
J,' Etruria insieme. E non furtivameuto
I nnn di notte, comò fauno i vili,
II Palladio involando, e do la rócca
I i-ustodi occidendo. assalirògli;
■gii del cavallo no l'oscjirn von'tro
V'appiatterò. Di giorno «portamento
It'aintrO di fuoco cingcrògli in guisa.
Ch'altro lor sembri elio garzóni o cerno
Aver di Greci jo di Pelnsgi intorno.
pi cui l'assedio indilo al decim'anno
fctt .r sostenne Or poscl» clic del giorno
S'è buona parte Risiilo a qui passata
felicemente, il resto che n'avanza
Attendete a posarvi, a ristorarvi,
A disporvi a l'assalto; o no sperato
Lieto successo. Indi a Mcssapo incarco
Si dà, che sontinello e guardie o fochi
• Disponga anzi a lo porte o 'nlorno al muro,
fi sette o setto capitani egregi,
Kutnli tutti a quest'impresa elesse.
Con cento ebe n'avoa ciascuno appresso
Di purpuroi cimieri ornati e d'oro.
Questi, lo muto varTando c l'ore,
Scorrevano a vicenda: e 'ntorno a' fochi
114S-1C5I
408 l'exit». |245-!
Pesti in su l'orba, infra le tazze e lumi
Trovali la notte in gozzoviglie o 'n ginoe]
Starano i Teneri il campo rimirando
Da la muraglia; e per timore, «ruiatj^
Yisitavan lo porte, e 'n su* ripari
Eacoan bortescho o sferratoio o ponti.
Era Mommo lor sopra c '1 buon Sergostoi
Clio fur dal padre Kuea nel suo partire
A guerreggiar, se guerra si romposao, \
Ter condottieri e per maestri elet ti.
Già su le mura, ovunque o da periglio ]
0 da la vece orati disposti, ognuno
Tonca il suo luogo. Un de- più lì' ri in arine.
Niso d' Irtaco il figlio, ad una porta
Era proposto. Da lo eacce d' Ma
Volino costui mandato al troian duco,
Grau foritor di dardo e di saetto,
EurTalo ora seco, un giovinetto
Il più bello, il più gaio e '1 più leggiadlttj
Clio noi campo troiano arme vestisse;
Cb'a pena avoa la rugiadosa guuiicia
Del primo fior di gioveutute aspersa.
Era tra questi duo solo un amore
Ed un volerò; e nel mestier do l'armi
V un sempre ero con l'altro, od ambi insieme
[IG0-183J
|-.'70-294] udrò ix. ,<07
Stavano nllor voggliiaudo a la difesa
Ili quella porta. liissc Nino in prima:
Kurtalo, io non so se Dio mi sforza
: /uir quel di' io pt-mo, o se *) pensiero
.Stesso di noi fassi a noi forza e dio.
I n desidorio ardente il cor m'invoglia
p'nsciro a campo, o far contr' ft' nemici
IH qualcho degno e inemorabil fatto:
Sì di star pigro o neghittoso aborro,
fu vedi là conio securi od etri
ì sonnacchiosi i K«tuli si stanno
Cui rari fochi e gran silenzio intorno.
],' ut-castone è bella, ed lo soli fermo
Pi noria in uso: or in qual modo ascolta.
Asc.mio, i consiglieri e '1 popol tutto,
Per richiamare Enea, per avvisarlo,
f per avvisi riportar da lui,
Ccrcan messaggi. Io, quando a te promesso
Premio ne sia (eh' a mo la fama sola
Basta del fatto), di potor m'affido
Lungo a quol colle investigar sentiero.
Onde a l'allanto a ritrovarlo io vada
Securamcnte. Eurlalo a tal dire
Stupissi in prima: indi d'amore acceso
Pi tanta lodo, al suo diletto amico
1183-1USJ
40? t' marra. |29ó-8M
Cosi risposo: Adunque ne riiqpiosoV
Pi momento e d'unorc io da to, Niso, ]
Son cosi rifiutato? E te posso io
Lassar si solo « sì ginn rischio andare?
A ino non dio questa creanza Ol'clto
Mio ponitore, i! cui valor mostrassi
Negli affanni di Troia, c nel terroni i J
De l'argulica guerra. Ed io tal saggio .
Non t'ho dato di me, teco seguendo
Il duro fato o In fortuna avversa
Poi magnanimo Enea. Questo mio coro
È spregiatore, è spregiatolo aneli' egli
Di questa vita, o degnamente spesa
La tiene allor clic glorin so ne merchi
E quol cho cerchi, ed a me nieghi, onoro. 1
Soggiungo Niso: Altro di te coifcctto i
Non ebbi io mai, né l.il s. i l i eh' io ùVggi»
Averlo in altra guisa. C'usi liiuvo
Vittorioso mi ti renda e lieto
Da questa impresa, o qnal altio sia nume
Clic propizio e benigno no si mostri.
Ma so per caso o per destino avvoiso
(Come sovente in questi rischi avvéiie) i
lo vi perissi, il mio contonto in questo |
È cho tu viva, si perché di vita
11US 212]
(520-3-MJ LiBiio ix. , *09
più degni 1 tuoi giorni. 0 si perch'io
.\ i chi dopo me, so non con l'anno,
Aliuon con l'oro il niio corpo ricovro,
y, |,i ilcuoprn. E s'anciirTMò m'ó tolto,
Aitili si» cbi.d'esseqaio • di sepolcro
I,„ntaii m' onori. Oltre jdi ciò cagiono
Esser non deggio a tua madre infelice
D'un dolor tanto: a tua madre che sola
pi tanto douno ha di seguirli osato,
■ colimi I spregiando o la quiete
pe la città d' Accstò. A ci» di nuovo
Emulo risposo: Indarno adduci
gl vano scuso; c<\ io già formo o saldo
Ilei proposito mio peusier non muto.
Affrottianci a l'impresa. E. cosi dotto,
postò lo sentinelle, e lo riposo
In vece loro; o l'uno o l'altro insiemo
So ne partirò, o no la roggia andaro.
Tutti gli altri animali avoan, dormondo,
Sovra lo torra oblio, tregua o riposo
Da le faticho o dagli affanni loro.
I teucri condottieri e gli altri ciotti.
Che do la guerra avean l'imperio o M carco.
S'orano e de la guerra e de la somma
Di tutto 'I rcguo a consigliar ristretti:
1212-22C]
410 I.* RNKIDE.
E uri mozzo del cnmpo nitri agli scudi, f
Altri a l'asto appoggiati, avi-an rnusult((
Di cho far si dovesse, e chi per musso
Ad Enea si mandasse. I duo compagni •
I)' ossero ammessi e 'ncoutinentc uditi
Fccor gran ressa o di portar sembiante
Cosa di gran momento o di gran danno
Se s'fndugiasse. A qaosta fretta, il pi imo
Si feco Ascariio avanti: e vòlto a Niso j
Comandò elio dicesse. Egli altamente
fallando incominciò: Troiani, udite
DÌ8cretaiiioutc : e quel che si propone
E si dico da noi, non misurato
Dagli anni nostri. I Kutuli sepolti
So no stan da la crapula c dal sonno;
E noi stossi appostato avemo un loco
Da quella porta cho riguarda al maro.
Atto a le nostre insidie ove la strada
Più larga in duo :-i pinti-. Intuì no al canna
Sono i fochi interrotti: il fumo oscuro
Sorgo a le stelle. Se da voi n'ò date
D'usar questa fortuna, e quest'onore
No si fa di mandarne al nostre duco,
Al Pallautòo n'andremo, e no vedreto
Assai toste tornar carchi di spoglie
[227-213J
,:;70-894j libro ix. 'Al
Vegli avversari nostri, c tutti aspet i
Ilei sangue loro. E non fui cho In strada
Ne gabbi: che più Tolto qui d' intorno
tacciando, avemo e tutte questo vnllo
j; tutto il Dumo attraversato e scorso.
Qui d'anni gravo e ili ponsiór maturo
Al. ro al eie] rivolto, 0 patri! Dli,
Tiisso esclamando, il cui nome fu sempro
Propizio a Troia, pur del tutto spenta
flou volete c je sia morcè di voi.
Poscia cho questo ardire e questi coli
fcV petti a' nostri gloriai ponete.
E stringendo le man', gli omeri e 'I coìto
Or de l'uno or de l'altro, ambi onorava,
pi dolcozza piangendo. K qn.nl, dicco,
Qual, generosi figli, a roi durassi
pi roi degna mercede? Iddio, eh' è primo
Pegli uomini o supremo guiderdone,
E la rostra virtù premio a se stessa
Sin primamente Knea poscia useravvi
Sua largitato. e questo giovinetto
Clio d' un tal vostro morto avrà mai sompre
Polce ricordo. Anzi io, soggiunse lido,
Che senza il padre mio la mia saluto
Veggio in periglio, per gli dei Penati,
1213 253|
412 lenkidi. [395
l'or In casa d' Assarnro. per quanto
Dovete al snero e venerabil nume
De In gran Vesta, ogni fortuna mia
Ponendo, ogni mio affare, in grembo &
Vi prego avvocare il patire mio.
Fato eh' io lo riveggia: o nulla poi
Sarà di ch'io più tema. E già vi dono
Due «-ini rasi d'argento, elio scolpiti
Sono a ligure; un do' più ricchi arnesi
Che del sacco d'Arislia in preda avesse
Il padre mio; duo tripodi; duo d'oro
Maggior talenti, ed un tazzonc mitico
Do la sidotiia Dido. E se n'ù dato
Tenor d'Italia il desiato regno,
E che preda sortirno unqua mi tocchi.
Quello stesso destrier, quello stesse armi
Guarnite d'oro, onde va Turno altero,
E quel suo snudo, e quel ciinier sanguigno
Sottrarrò dalla sorto: e di gii Niso,
Gli ti consegno; e ti pi ometto in nomo
Del padre mio, che largir ulti ancora
Dodici Tra mill'altri eletti corpi
Di bollissime douno, e dodici nitri
Di giovini prigioni, o l'armi loro
Con essi insieme, e di Latino stesso
(2Ì9-27-1]
[lCO-444] libro ix.
l. i regia villa. Or te. mio vonoraudo '
fanciullo, abbraccio, agli cui giorni i mio!
Vati più vicini. Io te con tutto il coro
Accetto per compagno o per fratello
li, ogni caso; e nulla o gloria o gioia
procurorommi iu pace injqiia où* in guerra,
Che non sii inoco d'ogni mio pousiero
g,r ogni ben partecipo 0 consorte;
K no lo tuo parole e no' tuoi fatti
j„uima spemo avrò sempre o soiaum fede. .
Kurialo risposo: CTfoia ornilo
Clic fortuna mi sia. non RbtA mai
Ch'io discordi da nte: mai non ugnalo
Lo mio cor non vodrassi a questa implosa:
ys sopra agli altri tuoi promessi doui
Questo solo brani' io: la madro mia,
Ch ■ dal ceppo di Priamo ò discosa,
E elio por me seguire ba, la moseliina.
Non pur di Troia abbandonato il nido,
Ma '1 ricovro d' A ceste, o la sua vita
Stessa (a tanti per me l' ha rischi esposta),
pi questo mio periglio, qual che e' sia,
Nulla ha notizia: od io da lei mi parto
Senza che la saluti, e che la reggia.
Per questa man, per questa uotle io giuro,
lsì74-i:saj
414 l'cvkidr. |1 15-4691
Siirnor, clic ne vederi», né 1» pietà
Soffrir de le sue Inerirne non posso.
Tu questa derelitta poverella
Consola, te no priego, e la sovvieni
In vece mia. So tu ìli ciò m'affidi.
Andrò, con questa «pomo, ad ogni rischtjfl
Con più baldanza. Si commosse!' tutti \
A tai parole, o lagrimaro I Teucri;
E più di tutti Ascanio. a cui sovvenne \
Po la pietà ch'ebbe suo padre al pndrojfl
K disse al giovinetto: Io mi ti lego
Per fedo a tutto ciò che la grandezza
Di questa impresa <• 'I tu • \ :\!or 1 i.-hiedo.
E perchè mia sia la tua madre, il nomo I
Sol di Creusa. c nuli* altro, le manca.
Né di picciolo morto è di' un t:il n>l|«
N'aggia prodotto, segua che cho sia
Di questo fatto. Kd io per lo mio capo
Ti giuro, per lo qual solca pur dianzi
Giurar mio padre, ch'a la madr« tua,
A tutta la tua stirpo si daranno
I doni stessi cho serbar mi giova
Pur a te nel felice tuo ritorno.
Cosi disse piangendo; • la sua spada,
Che di man di Licione guarnito
[28U-3U1J
[170-4941 libro ix. 415
Arca d'avorio il fodro, e l'olso d'oro,
pistaccossi dal fianco, c lui no cinse
nini" al tolgo di Niso Un tergo impose
I villoso luoue; u'1 fido Ali-te
Gii scambiò L'olmo. Cosi tosto armati
gè n'uscir da la reggiane i primi tutti,
Giovili! e vecchi, iu vece d'onoranza
(ino a la porta con preconi! e roti
Gli accompagnalo. 11 giovinetto lulo
tVn viril cura a con pensior maturi
Innanzi agli nulli, ragionando in mezzo
Giva d'entrambi: ed or.l'uno ed or l'altro
jlulto avvertendo, molto coso a diro
jlaudava al padre: lo qunrtutte.nl vento
('uion commesso, e dissipato a l'aura.
Escono alfluc. E giù varcato il Tosso,
pa le notturno tenebre covorti
gi ine ttou por la via elio gli conduco .
^1 campo do' nemici, anzi a la morte,
jkln non morranno, che macello e strago
faran di molti in prima. Ovunque u
Veggio» corpi di genti, cho sepolti
Soli dal sonno e dal vino. I carri vóti
Con ruote o briglie intorno, uomini ed otri
E tazze e scudi in un miscuglio avvolti.
1305-819J
•110 l'knkiiik. |IW-5ta|
Diate d'Irtaco il figlio: Or qui InsogmjS
Eurlalo, aver core, oprar le mani,
E conoscere il tempo. Il cammin nastrivi
È per di qua. Tu qui ti fijl ma, e !'»■ chinM
Gira por tutto, cho non sin da tergo
Chi u'iuipodisca; ed io tosto col ferro ■
Sgombrerò '1 pus**,, c t'aprirò il scntled
Ciò cheto disse. Indi Kannète assalgo,
Il superbo Burnite, cho per sorte
Entro una sua trabacca avanti a lui
In ni' tappeti a graud'agio dorala,
E russava altainonte. Era costui
A ro Turno iratissimo, ed anch' egli
liege o'ndovino; ma non seppe il Collo
Indovinar quel eh' a lui stosso avvenne.
Tl« suoi famigli, chu dormendo appresso
Giaceau fra l'armi rovesciati a caso.
Tutti in un mucchio uccise, od un valletto
Ch'era di Komo, e sotto i suoi cavalli
Lo stesso auriga. A costui (russo un colpe
Cho gli mandò giù ciondoloni il collo: '
Indi al padron di netto lo rociso
Sì, che'l sangue spicciando d'ogni vena.
La terra, lo stramazzo c'I desco intrise. -
T .-unirò estinse dopo questi e Unno,
10048*1
;.v->0-r.ii| ' libro u. 417
K 'I giovino SArrano. Uo bel garzono
Kra costui gran giocatore, o 'n gioco
I usino allora avoii sempre vegliato. •
I elico lai per lo suo villo stesso
Si' giocato o perduto ancora avossu
Tutta la notte! KrA a yoder tra loro
II fioro Niso, qual <la fame spinto
Non pasciuto loone, un pieno orilo
imbotto o per timor già muto nssaglie,
L'ho d'ungliio armato, e sanguinoso Urinilo
Ti aouao e divorando ancide o ruggo.
Nò fé strago minor dall'altro cauto
Eurlaln, eh' acceso o furioso
Tra molta plcbo molti gonza nomo
y. , piasi senza vita a morto trasse ;
Si rial sonno crnn vinti; o de' nomati
Occiso Ebeso, Fado, Abari e Reto.
Questo Roto era desto: ondo vcggcmlo
Con la morte degli altri il suo periglio,
Per la panra appo d'un' urna ascoso
Quatto e quoto si stava. Indi sorgondo
Oli fu '1 giovine sopra, e 'I ferro tutto
Entro al petto gl' immorso, e con gran parto
De In sua vita indietro lo ritrasse;
Siche tra '1 vino o'I sangue end' era involta,
Caso. -87. [885-SW]
413 l'kkfim;. [5I5-6M
Gli asci l'alma di purpura vestita.
Con questa occiston di buia notto
E di lui-tiro agguato il buon garzano
Fcrridamento instar». E già rivolto
S'era contro a la schiera di Mcssiipo
I.à 're '1 foco redea del tutto estinto,
E là 're i suoi camalli a la campagna
Paseean legati ; allor che Niso il rido
Che da l'occislono e da l'ardore
Trasportar si lasciava. E breremonte: i
Non più. gli disse, chò 'I nimico sole
No sorge incontra. Assai di sangue ostile'
Fin qui s'è sparso: assai di largo avemn>
Molt'armi, molt'argenti o niolfamosi
Lasciare indiotro. 1 giiarnimeiiti soli
Del cavai di Kunuùte e le sue burchio
Burlalo si proso con un cinto
Bollato d'oro, un prezioso dono
Che Còdico, uu ricchissimo tiranno,
A Remolo tibui te ospite assouto
Feco in quel tompo. Keniota al uipoto
Lo lasciò per retaggio o questi in euorrfc
Ne fu poscia da' Ruttili spogliato:
Quinci gli ebbe Itauui-to, o quinci preda. i<
Fur d' Eurlalo al fine. Egli giarouno
r850-3«-tl
| .'.70-594 ] libro ix. 419
J forti omeri in.br no. Appresso ili cupo
S'adattò di Mcssiipo un luei.1' elmo
li' alto cimiero adorno: e 'u questa fruiva
ik> ne partiau vittoiYosf e salvi.
Intanto di liaurento ermi le schiero
Uscite a campo, o i tur cavalli avanti
l'rccorrcan l'ordinanza, ed a re Turno
Ko portavano avviso. Eran trecento
Tutti di scudi armati; e capo e guida
'N'era Volsccjite. Gii ricini al campo
Scorgean le mura 'quando fuor di strada
Videro da man manca i duo compagni
Tener sentiero obliquo. Era un liarlinno
I,à 'v'era l'ombra, o li 'v'era la luna,
Agli avversi suoi raggi la celata
p( | malo accorai EurTalo rifulso,
pi cotal vista insospettì Volscento,
E gridò da la squadra : 0 là fermate.
Chi viva? A dio vonitoS Ove n'andate?
Chi siotc voi? La lor risposta incontro
fu sol di porsi in fuga cprcvnlorsi
p« la selva e del buio. I cavalieri
Batto chi qua chi là corsero a' passi.
Circondarono il bosco; ad ogni uscita
Posero assedio. Era la seira un' ani]. in
[364-381J
420 L* mfeiSI. [")!>5
Macchia d'elei o di primi ori Ida o foH
l'h'avca rari i sentieri, occulti o atro
E gì' intrichi de' rami e de In prozia
Ch'eia pur grave, o '1 dubbio de la str
Tencan sovente Fintalo impedito.
Kiso disciolto o lieve, o Ad compagno
Nou s'accorgendo ch'ora indietro ar
Oltro si spinse. E già fuor do' nemici
Era no' campi che dal nome d'Alba
Si son poi detti albani. Allor le razzo
E le stallo v'avoa de' suoi cavalli
11 re Latino. E qui poscia ch'ini poco
Ebbe il suo caro amico indarno atteso,
Gridando, ah disso. EurYalo infelice,
U'sei rimaso? U' più (lasso) ti trovo
Per questo labirinto? E tosto indie tro
Rivolto, per le vie, por l'ormo stesso
Di tornar ricercando, si i imbosca.
Ei ra pria lungamente, e nulla sento:
Poscia sonto di trombo e di cavitili
E di voci un tumulto: o vedo appresso
Eurlalo fra mezzo a quello genti,
Quii) cacciato leone. E già dal loco
E du In notte oppresso si travagli»
E si difeudo il poverello invano.
[381-3931
|i',-20-Gll] libro ix. 481
Clio fari? Con che forze, o con qnal'arml
Ha che lo»cani|ii? Avronterassi in mezzo
Po' nim:<-i a morir morte onorata?
C .sì risolve, c prestamente un dardo
S'adatta in mauo; e vòlto in vèr la Luna,
Cli' allora alio splondea, cosi 1» prega :
Tu, llca, tu de la notò* eterno lume,
Tu regi uà de' boschi, in tauto rischio
}Cc porgi aita. E s'ìrtaco mio padre
Per nio de le sue cacce, io de le mie
Il dritto uuquaf offrimmo; o so t'apposi,
E se t'affissi mai teschio nò spoglia
pi fera belva, or mi concedi ch'io
Questa gente scolpigli, o la mia mano
Roggi c i mici colpi. E ciò diceudo, il dardo
Vibrò di tutta forza. Egli volando .
Fetide In notte e giunse ovo a rincontro
Era Sulmona, o l'investi nel tergo
IÀ 've pendea la targa; e '1 forro o l'astn
Possògli al petto, o gli traflsso il coro.
Cadde freddo il meschino; e con un caldo
piume di sangue, che gli uscio davanti.
Fini la vita o col singozzo il flato.
Guardansi l'uno al' nitro; e tutti Ingioino
Jliiaii d'intorno di stupor confusi
I3UU-415]
422 L' KXK10K. 1' ! '. l'ili!)
E di timor d'insidie. E Niso intanto
Vis l'iii si studia; ed ceco un nitro flora
Colpo, ch'nven di già librato, e dtitto
Di sopra gli si spicca da l' orecchio,
E per l'aura ronzando in una tempia
Si conficca di Tngo, e passa a l'altra.
Volscente acceso d' ira, non reggendo
Con chi sfogarla, al giovine rivolto,
Tu me no pagherai per Ambi il fio.
Disse, o strinse la spada, e vèr lui corte,
Niso a tal vista spaventato, e fuori
Uscito do l'agguato e di sé stosso
(Che soffrir non poteo tanto doloro)
Me, me, gridò, me, Rutuli. occideto.
Io son che '1 foci: io son che questa froda
Ho prima ordito, in me l'armi volgete; ]
Che nulla ha contrn a voi questo ineschi'
Osato, nò potuto. Io lo vi giuro
Por lo ciel che u'ò conscio o per lè stolta)
Questo tanto di mal solo ha commesso,
Clio troppo amato ha l'infelice amico.
Mentro cosi diccn, Volscente il colpo
Già con gran forza spinto, il bianco pot
Del giovine trafìsso. E già moreudo
Burlalo cndea, di sanguo asperso
[415-1331
(«70-09»] LIBRO IX. *V»
1... bolle membra, « rovescialo il collo,
(Jual reciso dal vomero languisco
l'urpurco flore, o di rugiada pregno
l'uiiavcro ch'a terra il >apo inchina.
In mozzo do lo stuol Nlso si scaglia
Solo a Volsconto, solo cantra Ini
l'on la sua mira. I cavalier ohe intorno
Stavano a sna difesa, or quinci or quindi
Lo tenevano a dietro. Ed ci pur sempre
Addosso a lui la sua fulminea spada
Kotava a corco. E**fc largo intanto
Ch'ai Un lo giunse: o mentre che gridava,
Cacciagli il ferro no la strozza, o spinse.
Cosi non morso, che si rido avanti
Morto il nemico. Indi da cento lance
Trafitto addosso a lui, per cui moriva,
Gittossl: o sopra lui contento giacquo.
Fortunati ambidue! So i Tersi mici
Tanto han di forza, nò per morte mai
Nò por tempo sarà elio 'I valor vostro
Glorioso non sia, finché la stirpo
D'Enea possedorft dol Campidoglio
T/i,nmobil sasso, finche impero o lingua
ivi» l'invitta e fortunata Roma.
1 Kutoll con l'armi o cou lo spoglio
US3-4f»nl
424 i.' HXKIDK. [035-;|
Doi duo compagni uccisi il morto «orpo
Al campo no poi lùr del duco loro:
Lacrimosa vittoria! E non mono anco
Fu nel campo di lagrime u\ì\ lutto,
Allnr che di lìnnuctc e di Sai inno
E di Xuma la strage si scoverso,
E di tant'altri eh' orna morti in prima»,]
Corso ognuno a veder: chè parte spenti]
Parto crau mezzi vivi; e caldo e pieno
E spumante di sangue ora anco il suolo
Ovo giacean quogl' infelici estinti.
Ricouobbor tra lor le spoglie o l'elmo
E 'I cimici- di Messàpo, o i gunriiiuicuti
Che con tanto sudor ricoverati
S'erano a pena. Era vermiglio e rancio
Fatto già de la notte il nero ammanta
Lasciando di Titou l'Aurora il letto;
E comparso ora il sole, o discoverto
Già 'I mundi) tuli", allur che 'l ui un ai muto
A l'urino, a l'ordinanza, a la battaglia
Concitò '1 campo; o diede ordine o loco
Ciascun a' suoi. Vendetta, ira o disio
D'assalir, di combatter, di far sangi
Vodennsi in tutti. A due grnud' aste in
Oouficcaron le testo (orribil mostra!)
[•151-407)]
I
eia»!
[TiO-744] libbo ix. M»
li' Eurtalo o di Ni-", o culi lu giida
Ne foro oh tn o spettacolo n' nomici.
1 Taacri arditamente In su lo nutra
la sinistra incontra si-mosti uro;
Clié la destra dal nume ora difesa.
E chi da lo trincee, chi da le torri'
Staran dolonti rimirando i toschi
Ne Pasto affissi polverosi c lordi,
Cir ancor sanguo gocciando oran pur troppo
Cosi lungc da' miseri compagni
Rnfligurati a lo fattezze conte.
Spiegò la fama le sue potino intanto,
C |,i trista novella in ogni parto
Sparse por la citta, si ch'agli orecchi
pf la madre d' Eurtalo pervenne.
Corse subitamente un gioì por l'ossa
A la meschina: o do lo man lo uscirò
jx sue telo o i suoi fili. Indi, rapita
pai duolo o da la furia, forsennata
E scapigliata no la strada uscio.;
E per mezzo do V armi o do lo genti
Correndo, o mugolando, senza téma
DI periglio e di biasmo, andò gridando,
E di .ìucsti lamenti il ciolo empiendo:
Ahi cosi concio, Eurlalo, mi torni?
[466-481]
42C vnutm. (745-7
Eurlalo sci tn? Tu sci '1 mio figlio, ,
Ch'eri la mia sperimi!» c '1 mio tiposo
Ne l'estreme giornate di min vita?
Ahi corno cosi sola mi lasciasti,'
Crudele? K come a cosi gran periglio
N'andasti, an?i a la molte, che tua m«
Non ti parlasse ohimè! l'ultima volta,
Nè che pur ti vedosse? Ah! ch'or ti ve
In peregrina terra esca di cani,
D'avoltoi o di corvi. Ed io tua madre.
Io cui l'esseqnlc orati dovute o '1 duolo
D'un cotjil figlio, non t'ho chiusi gli o«4
Nè lavate le piaglie, nè coporto
Con quella veste cho con tanto studio
T' ho per trastullo do la mia veechiczz»
Tessuta io stessa e ricamata invano.
Figlio, dove ti cerco? ove ti trovo
Sì diviso da te? corno raccozzo
Le tuo cosi sbranato e sparso memhr
Sol questa parte del tuo corpo rendi
A la tua madre, che por esser teco
T'ha per terra e per mar tanto segui
E seguiratti dopo morto ancor»?
In ino, Rutuli, in mo tutti volgeto
I vostri ferri, so pur regna in voi
1481-493|
T 70-794 J mbbo IX. iSl
istallo alcuna. A ino Ja mori* dato
Piìa oh' a nuli' altro. 0 tu. padre celeste,
lliserero di ni*. Tu rol tuo tùia
Mi trabocca nel tartaro ■ ra' incidi,
p.iichò romper non posso in alti a guisa
Questa crudele e disperata vita. '
Pa questo pianto una mostizia. un tatto*
li'acqna ne' Teucri o tale anco ne l'anni
Un laugnoro, un timore, una dosidia.
Che grami, addolorati e di gii vinti
ftinbravan tutti. Ondc*Àttorp ed Idèo,
Con quel di lei togliendo il pianto altrui,
per consiglio dol saggio Dioneo
K per eompassTon de*! buono luto
Clio molto amaramente ne pinugea,
iWo a braccio prendendola, nmliediio
I,a portaro a l'albergo. Ed ecco intanto
Squillar s'ode dn lungo un suoli di trombo,
Cu dure a l'armo ed un gridar di genti
Tal. ebo ne tuona e no rimugghia il ciclo.
£ veggonsi in un tempo i Volaci tutti,
Sotto pavesi consertati e stretti
la guisa di testuggine, appressarsi,
Empier lo fosso, dirupare il vallo,
E tentar la salita, e por lo scalo
[193-6071
423 l' kxiide. [795-8
Là doro la muraglia era ili sopra
Con minor guardia, o là 've raro il core
Tralucca do la gente. Iucoutro a loro j
I Teucri i sassi, i travi od ogni tèlo ,
Avrontarou dui muro; c con le j .:<-.- 1 1 o j
Kisos|iingoudo, corno iHungn assedio
Insegnò lor*tli Troia, a la difesa
Si fcrmàr do' ripari ; o lo pareti
E i pilastri o le torri addosso a loro
E sepia a la testuggino gittando,
Gli scudi dissiparono o le genti,
SI elio più di combatterò al coverto
Non si curaro. Ma d'ogni arme un
Lanciando a la scoperta, i bastioni
fìfiendenn de' Troiani. E d'una parto
Mozonzio. formidabile a rodere,
Sòn già con un gran pino accoso in man
Lo steccato infocando. Ira da l'altro
II fior Messàpo di Nettuno il figlio,
Pomator do' corsieri: e scisso il vallo,
Scalo, scale, gridava, o por lo muro
Kampicando saliva. Or qui in' è d'uopo.
Calliope, il tuo canto a dir le pruovo,
A dir l'occislon die di sua mano
Foco Turno in quel di ; chi, quali o quan
1508-527]
[-20-841] "ano ne 42"
,\ l'Orco no mandasse. Ogni successo
Spiega di questa (ruerro in queste carto.
Tutto a voi. Muse, ò contoj o voi ln»pos:;a
r; l'arto mute ili elitari» altrui.
Kra una torre di sublime altezza
Con uertoscho o con ponti un sopra r altro,
I,, , o opportuno. A questa cran d'intorno
pi fuor gl'ItalTnnl. o dontro i Toucri;
r; quei faccan per espugnarla ogni opra,
r; qiiosti por tenerla. Avanti a tutti
Si spinso Turno: od una face ardente
j,a„ciovTl da l'un fianco, oro s'appreso
Con molta fiamma ;.cosl fiero il vento.
Cosi secchi o disposti erano i legni.
Ardea la torro da quel canto, e dontro
J* gente por timor corcava Indarno
Di litrarsi dal foco: onde a la parto
P» l'incendio remota in un sol mucchio
Si ristrinsero insieme: o da quel peso
p» quel lato in nn subito la torre
nu(l,i spìnta inchinossl, aprissi o caddo.
,] del ne rintonò; la gente infranta,
Storpiata, sfracellata, infra i suoi legni
p» Vanni proprie infissa, o fin ne l'aura
MoiU e sepolta a terra so ne »«me.
[527 544]
<80 1/ r.vmng.
Soli due Tiri e per rotiturA intatti |
Dal nembo de la polvere o dal fumo .j
Uscir nel campo: Elènoro fu l'uno,
lieo fu l'altro. Elènore. uu parzeuo ,
Di prima barba, di Licinia serra
E di Mojnio re nato di furto,
E sotto Troia a militar mandato
Furtivamente. E' si trovò com'era
tri» ne la torra lievemente armato
Col brando ignudo e con la tanto ni col
Bianca del tutto, come uon dipinta
D'alcun suo fatto {riottoso ancora.
Questi, vistosi in mozzo a tonte ponti
Di Turno e do' Latini, come fora
Ch'augia di cacciatori un cerchio intorno.
Muove contro agli spiedi, incontra l'armM
Mosso là 'vo più follo eran lo schiero,
E certo di morire a morte corse.
Ma Lieo in su |„ g„mu(. .issai più .lestr.
Infra l'armi o i nemici a fuggir vòlto,
Giunso a lo mura ed aggrappasi iu
•Che stendea già le mani suoi ■•"inpngql
Quando Turno e co' piedi e con la spada
Lo sopraggiunsc, e come vincitore
Kampognnndo gli disse: E che? pensarti
1011-500J
Ilo
no,
<a
■
[170-894] libro IX. . 431
l'elle, uscirmi di mano? E le man tosto
illi pose addosso, e si corno dal muro
[vndos, col muro iusienic « terra il tiasso.
In <|Uclln guisa die gli aduii.lii ugnimi
Ontm una lepro, o contro un bianco cigno
Stende l'augel di Giovo, o 'I marzio lupo
p» le reti rapisco un agnelletto,
Clicda.la madre sia belato invano.
Si rinovàr le grida, o tutti insiome
0 le faci avventando, o '1 fosso empiendo,
jtinforzavan l'assaHo. Illouòo
Con un pozzo di monte, a cui In pinta
pi, L'iti da' morii, sopra al ponte infranse
Lutezio oh' a la porta ora col foce.
Ugero occiso Kmaziono; Asila
Ucciso Corinto, buon feritori
L'uno di dardo o l'altro di saetto.
Ortigio da Ceuèo trafitto giacquo;
Ccneo da Turno; ammazzò Turno ancora
Iti e l'ròmolo o Clònio a Dlosippo,
E Sigari con Idn: Ida che in alto
Stava d'un toriKono a la difesa.
Capi ancise Prlvcruo. Avca costui
Pria nel fianco una picciola ferita.
Anzi una graffiatura, elio passando
[500-5701
432 !•' rsmnr. 1SD5-9É
Fa l'asta ili Tomilla: e il male accorto J
Pur su porvi la mano, abbandonato
Area lo scudo; quando «eco volando
Ycuno una freccia clic la mano e 'I fianca
Insieme gli confisse; o via passando |
Ponotrògll al pulimmo. Il mortai colpo J
SI lo spirar do l'anima gli tolse,
Clio non mai più sj[ir6. Stavasi ArcoiitaJ
D'Arconte il Aglio, in su; ripari ardito
Egiegiamento armato, e sopra l' arnie
D'una purpurea cotta ora ndohhato
Di ferrigno color, di drappo ilicro;
Un giovino leggiadro, che dal padre
Fn noi bosco di Marte a l'urini avv
Lungo al Siinùto, u' l'ara di l'alico
Tinta non come pria di sangue limali
Più pinguo c più placabile si mostra.
Mezonzio il vide: c l'altre armi dopo
Preso la f romba, e con tro giri into™
So l'avvolgo a la testa. ludi scoppii
Allentò '1 piombo, che dal moto ac
Squagliossi.o con gran rombo in nnatem
Il gnrzon porcotondo, no l'nrona
Morto, quanto era lungo, lo disteso. .
Ascanio che fin qui solo a la caccia
l577-6'Ji»J
[920-944] libro :x. 433
Avca l'arco adoprato, or primamente
Oprollo in guerra, o col primiero colpo
]1 feroco Numàno a terra stese,
lieinolo era oostui per aaprannomo
Chiamato ; e poco avanti avoa per moglio
Vrcsa di Turno una minor sorèlla.
Ki di questo favor, di qncsto nuovo
può regno insuperbito, altero e gonfio
gtava ne l'antigunrdia, e con le grida
gi ringraudiva: e di lontano i Teucri
Soliomendo, in corni guisa alto dicca:
Quieto ò l'onor cho voi. Frigi, vi fato
D'un altro assedio? un'altra volta in gabbia
Vi riponete? e pur col vostro muro,
E coi vostri ripari or da la morte
Vi riparate? e voi, voi fate guerra
Ter usurpare a noi lo donno nostro?
Qual dio, qual infortunio, qual follia
V'ha condotti in Italia? e chi ponsasto
Di trovar qui? quoi profumati Atridi,
0 '1 ben parlanto Ulisso? In una gente
Avete dato elio da stirpo 6 dura.
1 nostri figli non son nati n pena.
Che si tuffan no' fiumi. A l'ondo, al glelo
Eoi gl'iuduriamo e gl'incallimo in prima;
Caeo.-28. (&U0-C04J
*84 t' «terna. . [945.
Poscia per lo montagne e per lo solva
Fanciulli se ne van la notte e '1 giorn
li lor studio è la caccia: e '1 |0r dilet
E '1 cavalcai*, e '1 trar di Tromba c d'
La gioventù no le fatiche avvezza,
E contonta del poco, o col bidente
Doma la torra, o con l'aratro i buoi,
0 col ferro i nomici. Il ferro sempro
Avcmo per lo maui. Una sol1 asta
No fa picca e pnngctto. A noi vecchiezza
Non toglio ardirò, e do le forze ancora
Non ci fa, come voi, debili e scomi,
l'er canuto che sian lo nostre teste,
Vcston celate, e nuove predo ognora.
Quando da' boschi e quando da' nemici
Addur ne giova, e vivor di rapina.
Voi con l'ostro e co'frogi e co' ricami,
Con lo cotte a divisa e con le giubbe
la manicate e coi (locchotti in tosta
A cho valete ? A gir cosi dipinti
E cosi neghittosi? A far ballotti
Da donnicciuolo? 0 Frigi, o Krigtosso
Più tosto! in questa guisa si guerreggia
Via no'Dindimi monti, ove la piva
Vi chiama e '1 tamburino o 'I zufoletto
ICU-l-Ciaj
[070-99*] miro u. 135
E con quei rostri galli anzi gallino
l'i Dorecinto, ite saltando in tresca;
E l'armi e 'I ferro, che non fan por voi,
I : -iste a quei che son prodi o guerrieri.
Non polo tanto orgoglioetanto oltraggio
Soffrir d'un follo il generoso lulo,
E teso l'arco con la cocca al nervo,
Rimirò 'I cielo o disse: Onnipotente
Giove, tu l'ardir mio, tu la mia mano
fomenta e reggi, ed io sacri e solonni
Ti farò doni: io conuìirrotU a l'ara
I n candido giuvenco che la fronte
Appi» indorata, e de la madre al pari
Erga la testa, e giù scherzi e gii cozzi
Cuti le corna, o co' più sparga l'arena.
Giove, mentre dicca. tonò dal malico
Sereno lato: e col suo tuono iusieiuo
Scoccò l'arco mortifero d'Iulo.
Volò l'orribil telo, e per le tempio
pi Itemelo passando, le trafisse.
Or va', t'insuporbisci; or va', deridi,
Scempio, l'altrui virtù. Questo risposta
Mandano i Frigi cho son chiusi in gabbia
Ai Rutuli signor de la campagna.
Questo sol disso Ascanio; od al suo colpo
IC19liao|
486 i.'rxr.itir. |'.''.'.'-I01«|
Lo l-i i lo i Teucri e gli .'mimi in un tofl^H
Al ciclo alzare-. Era il criuito Apollo, j
Quando ciò fu, ne la celeste piaggia
Sovra una nube assiso; o d'alto il curaptfl
Scorgendo de' Troiani e degli Ausoni, T
Come fede ogni cosa, visto il colpo
Del vincitore arcioro, In vèr lui disto: J
Alii buon fanciullo, in cui vcrtù s' avani
Cosi vassi a le stollo. Or ben tu mostri
Che dagli dii sei mito, e ch'altri dii
Nasceranno da te. Tu sei ben degno
Ch'ogni guerra, che '1 fato ancor uiinao
A la casa d'Assiraco, s'acqueti
Ter tua grandezza, :i cui Tmia è minore,
SI che già non ti rape. E, cosi detto,
Si fendè l'aura avanti e vèr la terra
Calossi, trasmutassi, e come fusss
Il rocchio liuto, al giovino accosto»»
Fu liuto in prima del dardanio Anchise
Valletto d'arme o camericro e paggio,
E poscia per custode e per compagno
L'ebbe Ascanio dal padre. A questo rocchio
Mosti-ossi Apollo di color, di voco,
D'andar, di canutezza o d'armatura
Situilo in tutto; ed u l'ardente Itilo
1630-052]
I1020-10M1 libho ix. 437
Patto vicino, in tal guisa gli disse:
Bastiti aver, d'Eneo iirccinro figlio,
>>nza nlcini rischio tuo Numiinn ucciso,
li. innesta prima lode il ferendo Ap 11"
Ti privilegio, o non t'invidio il colpo.
Nò 'I pareggio do l'aiao. Or do In pugna
Iti' raggili. E. ci" detto, da la vista
Po' circostanti si ritrasse anch'egli,
E sormontando dissipossl e sparve,
^assembrarono in liuto i Teucri Apollo
E riconobbor la faretra « l'arco,
Clic fuggendo sonar anco s'udirò.
E fur si. con lo preci e col precetto
p' un tanto iddio, ch'Ascaiii.». ancor che vaga
Fosse di pugna, se ne tolse alfine;
Ed essi apertamente a ripentnglio
Misero in vece sua le vite loro.
Spnrgesi un grido per lo mura intanto,
Per tutto lo difese; e tutti agli archi,
Tutti a tirar, tutti a lanciar si dioro
p'ogui sorte arme, o d'ogni parto il suolo
N'era coverto; quando altro conflitto
Coniinciossi di scudi e di celato;
Una mischia di picche nna battaglia
Cho crescea, tuttavoltn. l'inforzando
[652-068]
433 L* ENEIDE. [ÌO'IÓ-IOM
Con queliti fui in che di pioggia un neub||
Yicn da l'occaso, allor clic d'oriento
Fnn sorgeudo i Capretti a noi tempestai
0 quando orrido o torno e d'air* tri ciul
E 'n grandine converso irato (jiovo.
D'alto precipitando, si devolvo
Sopra la tona, e 'I ciel r.unp.-udo iti tuonai
Piindaro o Itizìa d'Akaniro Ideo,
E d'ICrn selvatica sua moglie
Figli, in Ida acquistati, e d'Ida usciti
I/uuo a l'altro simile, ed ninbiduo
A quegli abeti ed a quel monti uguali
Ond'eran nati, aveau dal teucro d.uce
Una porta in custodia. E confidati
Ne le forzo e no l'armi, a bollo studio
I,a lasciarono apoita, ed a' nemici
Fer da le mura mutili* invito:
Essi armati di ferro, un da la destra,
L'altro da la sinistra, a duo pilastri
Sembianti, anzi a due torri che nel meato
Tengan la porta, con lo teste in alto
E co' raggi degli elmi i campi intorno
Folgorando, squassavano i cimieri
Fin sovr'n' merli. In cotnl guisa nato
No lo ripe si veggon di I.iquczio,
[UC3 GT'JJ
[1070-1094] unto IX. 43<J
Ilo l'Adico, o del Po duo querce altiero
.Sorgere al cielo e sventolarsi a l'aura.
Visto l'adito aperto, incontinento
Vi si spinsero i Kutuli.E Qnercentc
Kd Equlcolo i primi armati o Beri,
I,- ardito Omùro o '1 be.llicò'so Uniono
Tutti co'lor compagni impeto fóro;
E tutti o fur dn' Teucri in fuga tòlti,
0 ne l'entrar di quella porta, anelai.
Giunto agli animi infesti il sangue sparso,
S'accrcbberfire-'o de'lroiani intanto
Tale un numero altronde tì concorso.
Clic prender zuffa e tener campo osaro.
Turno sfogava il suo furoro altrovo
Conti' a' nemici ; quando un messo avanti
Gli comparve dicendo, che di Troia
Erano usciti, o stavan cou lo porto.
Quanto eran larghe, a far strago e macello
Do le suo genti. Ei tosto da quel canto
Lascio l'impresa; e contro i due fratelli
A la dardiinia porta irato accorso.
E primamente AntifoU, che primo
Gli venne avanti, un giovine bastardo
Pi Sarpedonte o di tcbnnn madro.
Con un colpo di dardo a terra steso.
|.1SU tip*1!
4M . l'kxeidk. riOPj-Uli
Colpillo no lo stomaco, e passolli
Oltre al polmone, ondo di caldo sangue, I
Quasi d'un antro, dilagossi un fonte.
Mòropo, Addilo ed Erimaiito appresso *]
Uccise con la spada, un dopo l'altro
Come a caso incontrògli. Atterrò Bitte '1
Dopo costoro, ma non già col dardo,
E mon col brando; cli'altio cólpo rr'nopo
A si gran corpo. A cosini, mentre infuria^
Mentre stizza pernii occhi avventa o fuc<t|
Infuocato, impiombato e gravo un tèlo
Scaricò di falarica, cho in guisa
Di fulmino stridendo e porcotondo,.
I/O giunso si elio nò lo scudo avvolto
Di due bovino terga, nò la fida
Lorica di duo squamo o d'òr contesta
Non lo sostenne. Barcollando caddo
La smisurata molo, o tal diò crollo
Cho'l torron se no scosso, e '1 gran suo tendi
Gli tonò sopra. In tal guisa di Baia
Su l'otlboica riva il gravo sasso,
Ch'ò sopra l'ondo a formar l'opro cretto
Da l'alto ordigno, ov'era dianzi appreso
Si spicca o piomba, e fin ne l'imo fondo '
Ruinando si tuffa, o fraugo il maro,
(C98-7H|
[1 120-1144] orbo u. «1
K dispergo l'arem: ondo ne trema
Crocida ed Ischia, e il grau Tifèo so n' «Ugo,
Cui si duro covile lui Gìotc imposto.
l^ui Marte il sui potare e 'i suo favolo
Volse verso i Latini. Animi e forzo
Aggiunto loro, gì' incito, gli acceso;
E di tóma e di fuga o di scompiglio
l>iò cagiono a' Troiani. E già eli' a pugna
S'era Tenuto, o de lu pugna il nume
Eia con loro;.accolti d'ogni porto
Si ristringono i (intuii. « fan testa.
IYmdaro, poi che *1 suo fratello estinto
Si rido avanti, eja fortuna avversa.
A la porta con gli omeri appuntossi:
E si com' ora poderoso e grande.
Con molla forza la rispiriseo chiuso.
Molti esclusi do' suoi, elio per la fretta
Kimascr ne lo peste, e multi inclusi
Ch'oran niniici; e noti s'avvide il folle,
Che de' minici in quella calca ancora
Era Io stosso re da lui raccolto
?. far du'8iioi qual tra le greggi imbelli
Iicunn tigro immane. Ei non più tosto
Fu dentro, che raggiò dagli occhi un turno
Spaventevoli e fiero; o l'armi suo
[714-731]
412 L'iHStVI. |1>15-11m|
Fieramente sonaro. Il suo ciniiorp
Ne l'aura ondeggiò sangue, e dal suo sarda
Uscir folgori e lampi. Incontinente
La sua faccia odiata e 'I suo gran fusto M
Raffigurando, i Teucri si turbare
IVmdaro allor de la fraterna morto
Fervidamente irato, aranti a tutti
Gli si fe 'ncontro o disse: K' non è. Tori
Questa la reggia elio t'assegna in dota i
La tua regina: e non hai d'Arde* intoci
Le patrio mura. Ne lo forze entrato
Sci de' nomici ondo scampar non puoi.
Or via, Turno ghignando gli risposo
Placidamente, ria, se tanto ardisci.
Meco ti prova: che ben tostamente
A Priamo dirai ch'in questa Troia,
Como ancor no la sua, trovossi Achille.
Ciò dotto, gli avvi nti! Pànd.ir» un dardo
Di tutta forza nodoroso o gravo,
Kdi ruvida ancor corteccia involto.
L'aura lo prese, o la Saturnia Giuno
Deviò 'I colpo si che da la mira
Si torse e ne la porta si confisse.
Non si cadrà questa mia spaila in falle,
Disse allor Turno: tale è chi la vibra,
TO2-747]
[1170-1198) nino ir. 443
K tiil fa colpo. E<1 n foriro Alzato
L'investi ne la fronte, e gli divise
I.c tempie, le mascelle e '1 mento ignudo
Ancor di barba, infili là'vo s'appicca
Il collo al petto. Al suon de la percossa,
Al fracasso de l'unni. -a la mina,
Clio fer cadendo quello membra hai iani,
Tremo la terra e ne fu d'atro snugue
K di cervella aspersa. Egli morendo
(iiaeqne rovoscio, o dechinò la tc*ta
l'arto a l'omero destro o parte al manco.
Al cader di costui tal prese i Teneri
Tema o spavento,, ebo disperai in fuga
Si'U giro. E s'era il vincitore accorto
D'aprir la porta e di por dentro i suoi,
Fora stato quel giorno e de la guerra
E de'Troiani il fine. Ma la furia
E l'ardordi combatterò e l'insana
Ingordigia di sanguo ne 'I distolse.
Ondo seguendo, in l'alari ed in (ìigo
S'abbatto prima. A l'uno il petto aperse;
Sgbcrrctto l'altro. A quei ch'orano in fuga
Con Tasto di color ch'oran caduti
Feria le terga; e nuova occislouo
[748-7G4]
4 14 t'Knctnr. [1191-121
Gli |. iì.m tuttavia nunv'armi in ninno;
SI conio ancor Giunon nuovo ardimento
Gli dar» o nuove forze. Ali trn ipi osti i
Mando per terra, e Fègea coulisse
Con lo suo scudo. Occise in su le mura.
Mentre a' nemici cran di fuori intenti,
Alio ed Alcandro o Pritaua e Nomono.
A Lincèo, eh' osò di starli a frouto
K chiamare i compagni, con un colpo,
Clio di rovoscio con piali forza dielli.
Recise il capo, e l' avvento con l'elmo
Lunge dal busto. Dopo questi auciso
Amico, un caccintor ch'era in campa-
Gran distruttor di fere, c gran maestro
D'armar di tosco lo saette o 'I ferro:
E Clizio anciso d' Eolo il buon figlio,
E Crotéo de le Muso il enro amico
E 'I diletto compagno, elio di versi
E di .-otre e di numeri e di cordo
Era sul vago, o di cantar mai sempro
0 d'armi o di cavalli o di battaglio.
I eondottior de' Teucri udita nllino
De'suoi la strage, insieme s'ndunaro.
Mommo e Scrosto. E visti i lor couip
1701-780]
[15218-1841] libro tx. 4-45
Dispersi, o pria '1 nemico in salvo addnrsi.
Gridando, Oli. disse V.. inni», ove fuggite?
Ove n'andate? c qn.-il ridbtto avete
(i ili mura o di sito altro'ehe questo?
Iiuuquo un sol uomo, e d'ogni patte chiuso
In poter rostro, avrà, nioi -cittadini,
S-nza alcun danno suo fatto di noi
JCc la nostra citta si gran macello?
Tanti de' nostri. giovini sotterra
Avrà mandati? I noi, noi non avremo
(SI codardi saromo) o de la nostra
Infortunata patria, o dogli antichi
Kostrl Penati, o (]e) gran nostro Enea
Kò pietà, ne rispetto, uè vorgogna?
Ila questo diro accesi e rincorati
Pi ristrinsero insieme. E Turno intanto
Da la pugna allentando in vèr la parte
Che dal fiumo ora cinta, a poco a poco
Apprcssossl a la riva: ondo 1 Troiani
Con impeto maggior, con maggior grida
Gli furon sopra. E qnal doro leone
Che da la moltitudine e da l'armi
Si vedo oppresso, tra fierezza e téma
Torvamente mirando si ritira;
[780-704]
44C L'unttra. [12-12-12
Cbò nò '1 valor, nò l'Ili gli consente
Volperò il tergo. 116 do' cacciatori.
Nòdi spiedi spuntar punte il rincontro}-
Cosi Turno dubbioso 0 di ritrarsi
0 di spingersi aranti, irato 0 lento,
Guardingo e minaccioso se n'andava:
E due volte avventandosi nel mozzo
Si cacciò do' nemici; ed altrettanto
Oli ruppo 0 salvo indietro si ritrasse.
Alfine in 1111 drappello insieme accolte
Lo toucro genti incontro gli si fóro,
E di Saturno non osò la figlia
Pi più forza prestarli; elio dal ciolo
Giove a la sua sorella avea mandato
Ili a farne richiamo, 0 minacciarle.
So Turno immantinente da le mura
Non uscia do' Troiani. Or non potendo
Più '1 giovine supplirò 0 con la destra,
Cb'cra a ferir già stanca, 0 con lo t~'
Clio di dardi e di frocco era covorto;
L'elmo già spennacchiato, 0 l'armi tu
Smagliato e fesse, con un nembo addou
Pi sassi por lo tempio e d'aste a° fianchi
Già da llcinuio incalzato, nlfin cedutte.
[794-812J .» j
[ 1 2*>C-1272] Mimo IX. HI
, come di sudor colata, ansava,
ì; .pmsi rifiatar più uon potca.
Con tutto l'armi indosso un saHo preso,
i: ui'l Tobro avventossi. Il biondo Tobro
('lucido lo raccolse e salvo e lieto,
C dall' occisTon purgato e mondo,
gu l'altra riva a' suoi lo ricondusse.
[812-818J
4JS
DELL' ENEIDE
Liubo Decimo.
Aprissi la mngion celeste intnnto,
E dui ciclo il gran pnilre in cima ascesa 1
Pel suo corchio stellato. ludi mirando
I.a terra, e dc'Troiaui c de' Latini
Visto il conflitto, a sé degli altri Del
Chiamò 'I consiglio. E com'era da l'o
K da l'occaso la sua reggia aperta.
Ratto tutti adunati, assisi o cheti,
l'isso egli in prima: Cittadini eterni,
Qual v' ha cagione a distornar rivolti
Quel ch'o già stabilito? A che tra voi
Con tanta iniquità tanto contrasto?
Kon s'ò da tno già proibito e Termo
Chenondcgg"»-'!' Ausimi incontro a'Teuetl
Sorgerò a l'ai mi? l'In- discuoia è questa
Contro al divieto mio? Qual ha timore
A la guerra incitati 0 questi o quelli?
Tempo vi si darà ben degno allora
Di guerreggiar (non raffrettate or voi)
L1-11J
[20-44] libro x. 449
Cho la foro Cartago aprirà l'Alpi.
Grave a Roma portando aasiiio c strage.
Allora agli odii. al sangue, a le rapino
l,.irga vi si darà licenzi* a campo.
Or lietamente la tenzone e l'armi
t'ormate; e aia tra voi concordia o paco.
Tal foce ragionando il gran monarca
Breve proposta. Ma non brevemente
Venere in questa guisa gli rispose:
l'udrò e ro do' celesti. • do' mortali
Etema possa (e qual altra maggiore
S'implora altronde?), «eoo tu stesso vedi
1,'itrroganza de'Rutuli, e quel Tasto
Conche Turno cavalca: e vedi il vampo
E In mina elio si mena avanti,
Jia la sua tracotanza e dal successo
Di questa pngnn insuperbito e gonfio.
Vedi i Teucri infelici, ch'ancor chiusi
Non son sccuri; e 'ufin dentro a le porte
E 'n su' ripari o 'n su le lor difese
Son combattuti; e la lor propria fossa
È di lor sangue un lago. Di ciò nulla
11 mio Aglio non sa; tanto' n' è lunge.
Or non Ha ch'una volta esca d'assedio
Questa misera gente? Ecco bau le mura
Ciao. -29. [12-201
450 ì? KSF1PE. (45-01
]<o l'ultra Troia nitri nimici n torno;
Altro M-. in campo: un'altra volt*
I ''Ai l'i vion Diomede a' danni suoi,
licsta rrcd'io ch'un'altra volta ancor»
lo sia da lui ferita, e che di nuovo
Sia la tua figlia a mortai ferro esposto. .
Signor, se contr» la tua voglia i Teneri
Son venuti in Italia, e ben ragiono
Clio sian puniti, e dol tuo aiuto ind
Ma so tratti vi sono, o s'è lor dato
Dagli oracoli tutti e de' celesti
K degl'inferni, qual può senno o forza
A Giove opporsi, o far nuovo destino?
Ch'io non vo'dir de le combuste navi
Su la spiaggia ericina. né do' venti
Clio '1 io spinse d'Eolia a tempestarlo,
Nò d'Iri che di qui fu già mandata
Ter darlo ni foco. Indù da l' Acheronte
Tratto ha le furie (questa sol mancava
l'arto de l'universo non tentata
A loro offesa); d'Acheronte, dico,
Ila tratto Alctto a suscitar l' Italia
Iucontr'a loro. Or, signor mio, non enro
l'in d'altro imperio, lo lo sperava allora
Ch'urn più fortunata. Imperi e viuca
[27-iaj
I [70-01] unno x. 451
Or chi t' aggradii. E s'anco non è loco
Nel mondo, ore n la tua dura consorte
l'incoia cho sinn quest'infelici accolti,
IVr l'incendio, signor, par la mina,
; per la solitudine ti progo
]>i< la mia Troia, clic rjtrar mi lasci
Salvo da questa guerra Ascanio nlmoDO.
Lasciami, padre mio, questo nipote
Mantener viro; e so ne vada Enea
Ramingo ovunque il mare o la fortuna
I.o si tramandi. Iolo terrò da l'armi
Immoto no'miei lucili o d'Amatunta
U d' Idillio o di l'afa o di Citerà
A menar vita ignobile o privata,
Pur elio sicura. E tu. come > te piace.
Comanda cli'a l'Ausonia il giogo imposto
Sia da Caitago, si che più non l'osti
]u alcun tempo. Or die, padio. ne giova
Clic da l'occistoni o dagl'incendi
Do la lor patria c da tant'nltri rischi
Siau già del maro o de la terra usciti?
E che vai cho da to sia lor promessa,
Pa lor tanto ricerca, e già trovata
Questa Troia novella, se di nuovo
Convion che caggia? Assai meglio saiebbo
143-59]
459 l'fxudk. [!>')-119J
Clic fosser tra lo ceneri o nel guasto,
Itove fu l'altra. A Xanto. a Simoonta
Fa', ti prego, signor, che si radilnca
Questa gente inrelicc. e che ritorni
A passar d'Ilio i guai. Giunone allora
Infuriata, A che, disse, mi tenti,
Tcrcli'io rompa il silenzi". <• in stii il duolo
Cho portato nel cor gran tompo ascoso?
Qual è mai per tua fè stato uomo o dio
Ch'Enea sforzasse a cercar briga, e farsi
Nemico il re Latino? Oh *1 fato addotto
I/ha no l'Italia! SI, ma da le furie
C'ù spinto di Cassandra, E chi gli ha dnto
Consiglio? io forse? ch'abbandoni i suoi?
Io, elio dia la sua vita in preda a' venti?
Io, che la cura c '1 carco do la guerra
Lasci ili man d'un fanciullo? e cho sollevi
I popoli d'Etruria. o l'altre genti
Che si stavano in pace? E quale dio,
Qual mia durezza de'lor danni è roa?
Qui cho rileva o di Giulio lo sdegno,
0 d'iri il ministero? Indegna cosa
È certo cho dagl' Itali s'infesti
Questa tua nuova Troia; e degno e giusto
Sarà che Turilo non si stia sicuro -
[59-751
ri
[120-144J libro x. 453
Ne In sua patria terra ? un tal nipote
11: Pilunnn ch'é. divo, un tanto figlio
Iti Venilia eh' è ninfa? E degna cosa
Ti i ir elio muova Kn. a la guerrn a Lazio?
Oh' assalga, che soggioghi, che depredo
I,o torre altrui? cho l'altrui donne usurpi?
Ch'in man porti la paco, o ohe per maro
K per torra armi? Tu potrai tuo Affilo
Scampar da'Ureci: tu riporro in veeo
Di lui la nebbia e '1 vento: tu la fonila
Cangiar de le suo navi in altrettanto
Ninfe di mare: ed io cosa nefanda
Farò, se porgo a' Itutuli un aiuto.
Per minimo cho sia? Non v'ò tuo figlio
Presente: non vi sia: non sa: non sappia.
Sei regina di Pafo, d'Amatunta,
pi Citerà e d'Idillio: e cho vai duuquo
Provocando con l'armi una contrada
Non tua. pregna di guerre? o stuzzicando
SI bellicosa gontc? Ed io son quella,
lo. che l'afflitto lor fortune agogno
pi porre al fondo? 0 poiché non pio. tosto
Chi dc'Groci a lo man gli poso in prima?
Chi prima fu cagion ch'a guerra addusse
L'Europa e l'Asia? chi commise il furto
f76-91|
454 i.' ustrinà. (H5-18W
Che fu de In roilura il primo scmo?
Io condussi l'adultero .pastore
A l'impresa di Spartii? Io fui eli' a l' armili
10 eh' a l'amor l'accesi!' Allora il tempii
Fu d'avor tóma o gelosia de' tuoi.
Non or elio le querelo e le rampogno
Che no fai, séno inviliste o tarde e vane.
Cosi Giuno dicen; quniidq fremendo
Gli Dei tutti mostrar, elio chi con questa
Consentian, chi con quella. In guisa tale
S'odono i primi venti entro una solva
Mormorar lungo, e non veduti ancora 1
Porgere a' marinari iudicio o Urna
Di propinqua tempesta. Allor del cielo
11 sommo, eterno, onnipotente padre
Riprese a dire. Al suo parlar chotossl
La celesta magioni chetarsi i venti,
E l'aria e l'onde: e sola iiiflno al centro
Tremò la terra. Ki disse: Or che gli Ausoni
Confederar co'Teucri ne si toglie,
E voi tra voi non v' accordate, udito
Quel eh' io vi dico, e i miri detti avvertito.
Quella stessa fortuna e quella spemo
Qual ch'ella sia. ch'i Kutuli o i Troiani
Oggi da lor farausi, io vi prometto '
[91-108]
1170-194] unno x. 455
Aver por rata, e non punto inchinarmi
Più da quei che da questi: e sia l'assedio
Ile' Teneri o por destino, o per erroro,
e imt falso risposte. E aio dico anco
Du'ltutuli. ]l successo e buono e rio
Fia d'una parto o d'altra qua] ciascuna
lYrsè lo s'ordirà. Giovo con ambi
Si starà perimento, o '1 fato in mozzo.
Così detto, il torrente a la rorago
E la squallida ripa o l'atra pece
1)' Acboronto giurando^abbassò 'I ciglio,
E t remar fe col cenno 0 mondo tutto.
Finito il ragionar, suso lovossi
Del seggio d'oro; o gli fer tutti intorno
Corona e compagnia lino a l'albergo.
L'cssercito de'Rutuli stringendo
L'assedio intanto, in su lo porto e 'ntorno
Fncea do la muraglia incendi o strngi;
E i Teucri assediati, entro ai ripari
E sopra ni torrioni a la difesa
Stavan, misori! indarno; e sonza spomo
Si fuga un raro cerchio arcali distoso
Su por le mura. Era do' primi Iaso
D'I.'nbrasio il figlio, o '1 figlio d'Icotono
Detto Timeto, o 'I buon Castore ingioino
| 108-1241
450 l' eniidi. 1195-214
Col Tccchio Timbri, od arabi dopo qno*tl\
Di Sarpodonto i frati: > Chiaro, ed Kmo
Onor di Licia, o di Lirncsso Aminone.
Questi con mi gran sasso ora venato
Su la muraglia, che '1 maggior catello
Era d'un monte; od egli era non punto
Minor del padre Clizio o di Menosto
Suo famoso fratello. Altri con sussi.
Altri con dardi, e chi con lo saette,
E chi col foco a guardia eran del muro.
In mozzo do lo schiero il vago Inlo,
Gran nipote di bardano o grau curn
Do la bolla Ciprigna, il volto e '1 capo
Ignudo, rispleudea qual chiara gemma
Cho in òr legata altrui raggi dal pel lo
0 da la fronte ; o qual da dotta mano
In ebano commesso, o in terebinto
Candido avorio agli occhi s'upprcseiita,
Sovra al collo di latto il biondo crino
Avea disteso, e d'oro un lento nastro
Gli facca sotto c fregio insieme e nodo.
Ismaro, o tu fra si famosa gonte
Cou l'arco saettar ferito e tosco
Fosti veduto, generosa pianta
Del rncouio paese, ovo fecondi
[124-141J
[220-2141 f.iBBo x. 451
Sono i campi di biade, e i fiumi d'oro.
Meinmo v'ora ancor egli, a col la fuga
Dianzi di Tuino uvea gloria acquietata,
(.imi' ora liuo ni ciol sublimo c chiaro.
Erari Capi, ondo poi Capila il ninne
E l'origino ha prosa. Aroan costino
Tra lor diriso il carico e 'I poriglio
Ili si darà battaglia. E 'n questo nicntro
Soli-ara Enea di mezza notto II maro.
Egli, poi che d' Evandro ebbe lascialo
L'amico albergo o che noi campii giunse
Do' Toschi, al tosco n-ge approscntossi.
E coti lui ristringendosi, il suo nomo,
Il suo legnaggio, la sua patria, in somma
Chi Tosse, che chiodesse, che portasse.
Gli espose ; equa! Mczenzio appoggio avesse,
E l'orgoglio di Turno, e l'apparecchio
E l'incostanza do l'umane coso
Gli poso avanti. A lo ragioni nggiunso
Essempi e preci si, eh' immantincnto
Tarconto acconsenti. Strinsor la lega
Unir le forzo ed apprestar le genti
In un momonto. Di straniero duro
Provvisti i Lidi, e già dal fato sciolti
Salir sovra l'armata. E pria di tutti
[H2-1Ó0|
458 l' EXEiDBt [2IÓ-269|
Uscio d'Enea la capitana aranti.
Questa area Botto al suo rostri diphj
Qciaì sotto al rarro do la madre Idi'»,
Duo cùe '1 legno traoan frigi leoni,
K d'Ida gli pendea di sopra il munto,
Amaro suo disio, dolco ricordo
Del patrio nido. In su la poppa assise
Stava il duce troiano: e da sinistra
Avoa d'Kvandro il figlio, che tra via
1/ interrogava or del viaggio stesso
E de le stello, ed or degli altri suoi
0 per terra o per mar passati affanni;
Apritemi Elicona, almo sorcllo,
E cantate con me elio geuto e quanta
iJ'Etruria Enea seguisse, e di che parte
E con qual' ai mi. e come il mar solcasse.
Massii o il primo in su la Tigre imposto
Avoa di mille giovini un drappello,
Che di Chiusi e di Cosa cran vomiti
Con l'arco in mano e con saetto a' fianchi.
Appresso a lui, seguendo, il torvo Abanto
Sotto I'iuscgna dol dorato Apollo
Seicento n'imbarcò di l'opulonia.
Trecento d'Elba, iu cui forrigna vena
Abbonda s), che n'erano ancor ossi '
1157- 174J
[270-294] libro x. 459
Pai capo ai piò tutti di forrn armati.
Astia il terzo, sacerdote e mago
( In ili fillio e ili fulmini e d'iuvoirli
K iìi sitilo ora interpreto o 'ndorino,
Millo ne conduce», ch'un'ordinanza
Pncean tutta di picche; c tutti a Pisa
Tran soggetti, a la novella Pisa.
Che, già figli» d'Alleo, d'Arno ora è sposa.
Asture, ardito cavaliere e bollo,
K con bell'armi di color diverse,
Vicn dopo questi con trecento appresso
Hi vari lochi, ma d'un solo amore
Accesi a seguita/lo. Eran mandati
J)a Ceròto o dai campi di Mignono,
Dai Pirgi antichi e da l'aperte spiagge
]>c la non salutifera fìravisca.
Pi te non tacerò. Cigno gentile,
pi Cupiivo dicendo, ancor elio podio
Fosscr lo gonti sue. Questi di Cigno
Era flgliuol, ondo no l'elmo avea
Po le suo penno un candido cimiero
In memoria dol padre, o do la nuova
Porma in ch'oi si cangiò, tua colpa. Amore,
t he de l'amor di Faotonte acceso,
Como si dice, mentre elio piangendo
1174-189J
400 L'r.XFinE. [295-810]
Stava In morte stia, mentre eh' a l'ombra
De le pioppe, che pria gli eran sorelle.
Sfogava con la musa il suo cloruro;
Fatto cantando giù canuto e vèglio.
In augol si converse, e con In voce
E con l'ali da terra al cielo al/ossi.
Il suo Tiglio co' suoi poitava un logno
A cui sotto la prora e sopra l'onde
Stnvn un centauro minnecioso e torvo,
Che con le braccin c con un sasso in alto
Sembrava di ferirle, e via correndo
Col petto lo facea spumoso e bianche.
Ocno poscia venia, del tosco fiume
E di Manto indovina il chiaro figlio.
Che te, mia pntria, eresse e che del nome
Tic la gran madre sua Mantua ti disse;
Mnntua d'alto legnnggio illustro e ricca,
E non d'un sangue Tre le genti sono,
E do le tro ciascuna n quattro impera,
Si cui tutto ella ù capo, e tutte insieme -
Son con lo forzo de PEtrnria unite.
Quinci ne fur contra Me/en/i ■ armati
Cinquecento altri : e Mincio, un figlio altero
Ilei gran Bellico, fu che gli condusse
Di verdi canno inghirlandato il fronte.
1180-206]
[820-344] libro x. 461
Gira il superbo Aulète con un legno
Pi conto travi il mar solcando in guisa
Che spumante il face», sonoro o crespo,
l'remea lo spallo d'un Trìtouo iiiunauo
Cbe con la cava sua comica conca
Tremar si facea l'acqua e i liti intorno.
]iftl mezzo in su, la fronte ispido e '1 mento
S iiibra d'umana rorma; e 'I ventre iti pesce
Gli si ristringo, o col ferino petto
finii.- il mar si che rumoreggia e spuma.
Da questi elettferoi, con queste gcuti
Ermi l'ondo tirrene allor solcate
In sossidio di Troia. E gin dal ciolo
Guluto il giorno, era do l'erta in cima
La vaga luna, quando il frigio duce,
Or al timone or a la vela intonto,
Co'suoi pcnsicr vegliava. Ed ecco avanti
Rotando gli si fa di ninfo un coro.
Di lui prima compagne, c quelle stesse
Che, già suo navi, da Cibclle in ninfo
Euron converse, e Dee fatto dol maro.
Tante in frotta ne gian per l'onde a noto
Quante cran navi in prima. E di lontano
Riconosciuto il re, danzando in cerchio
Gli si strinsero intorno. Una fra l'altre,
1207-225]
4C2 l'kxeidi. [845-8N|
l.a più di tutte accorta parlatrico,
Ciuiodocùa, la sua nave seguendo,
Con la dostra a la poppa, e con la manca
Tacita remigando, il capo o '1 dorso
Solo a galla tenendo, d'improvviso
Cosi gli disso: Enea, stirpo divina.
Vegli tu? Veglia: il fune allenta, e '1 seno
Apri a lo vele tue. De la tua classo
Noi fummo 1 legni o de la selva Mua,
K siamo or ninfe. 1 Kululi col foco
N'hanno o col ferro dipartito e spinto
Ila' tuoi nostro mal grado. Or te cercando
Siam ■ini venute. Per pietà ili noi
I,a borecinzia madre in questa forma
N'iia del mar fatte abitatrici o Ileo,
Ma '1 tuo fanciullo Itilo in mezzo a l'armi
Si sta cinto di fossa o di muraglia
Iia'foroci Latini assediato.
I tuoi cavalli e gli Arcadi e gli Etrnsci
Unitamente hau di già preso il loco
Comandato da to. Turno disegna
Co'suoi d'attraversarli, o porsi in mezzo
Tra '1 campo o loro. Or via naviga, approda:
Sorgi tu pria clic '1 sole, e sii tu '1 primo
Ad ordiuar lo tue geuti n battaglia.
1225-242J
[370-394J tu«o i. 4G3
Prendi l'invitto e luminoso scudo
Da Volean fabbricato e d'ór commesso:
Che diman, se mi credj, alta e famosa
l'arni tu strage de'ucndci tua).
d'odissee come esportaci legno in poppa
Tal die piuta al partii;, che più veloce
Corso cho dardo o strai che *l vento adegui.
Dietro gli altii affrettar si che stupore
N'ebbe d'Anchise il figlio. E rincorato
Pa i felice annunzio, al cielo orando
Divotameute si rivalso, adisse:
Alma Dea do gli Dei gitn genitrice,
Di Diudimo regina, che di torri
Vai coronata o 'n su leoni assisa,
Te per mia duce a questa pugna invoco.
Tu rendi qnosto augurio e questo giorno.
Ti priego, ai Frigi tuoi propizio o lieto.
Questo sol disse: e luminoso intanto
Si fece il mondo. Ei primamente impose
Che ratto al segno suo ciascun no gisso,
Ch'ognun s'nrmasso, ognuno a la battaglia
Si disponesse. E già venuto n vista
Do'Rutuli e de' Teneri, alto lovossi
In su la poppa: s'imbracciò lo scudo,
E lo vibrò ai cb'umbedue raggiaudo
1242-261|
4C4 u'mEiD*. [305-419]
Empii di luco o di bnloni i rampi.
l)i su le mura la dardania ponte
Gioiosa iiifiuo al cicl lo grida al/aro:
Z sopraggiunta la speranza a l'ira
A tiar di nuovo e saettar si diero
Con un rumor, qua! sotto l'atre nubi
Noi dar segno di nembi e nel fuggirli
Fan lo strimoiiie gru schiamazzo o rombo.
Mentre ciò Turno e gli altri ausoni duci
Stavan maravigliando, occo a la riva
Si fa pien d'armi e di rinvili il maro.
Enea ni cima al capo e do la cresta
Pel fin elmo spargea lampi o scintille
D'ardoute fiamma: e gran lustri e gran fochi
Raggiava de lo scudo il colmo e l'oro,
Come ne la serena umida notte
La lugubre e mortifera cometa
Sembra clic sangue avventi ; e '1 siilo cane,
Quando nascendo a' miseri mortali
Ardore e sete e postilouza apporta,
E col funesto lumo il cicl contrista.
Non mon per questo Ini Turno ardirò e spora»
D'occupar prima il lito. e da la terra
Ributtare i nemici. Kgli, aiiimindo
E ripreudvudo la sua gente, avanti
1202-278]
|420-444| libro x. 4(55
Si spingo a tutti, o grida: Ecco Adempito
Vostro maggior disio. Più non ri sono
I.c muia in mozzo, (u Toi, uo lo mini vostre
pugna o Maite o la vittoria è posta.
Or qui do. la sua donna, dc'suoi Agli,
De la sua casa si rammenti ognuno:
Ognun davanti si proponga i (atti
K le lodi do' padri. Audiam noi prima
A rincontrargli, in lì n che l'onda u'I moto
Ce gli rende, del mar non renili ancora.
Via, ch'agli arditi ò la fortuna amica.
Detto cosi, va divisando come
l'aito lor contra ne conduca, e paite
A l'assedio ne lasci. Intanto Kuoa
Ter disbarcare i suoi, lo scafo e i ponti
Arca già presti. E di lor molti attenti
Al ritorno de'fluttLcon uu salto
Si lanciarono in secco; e chi co' remi,
Chi con lo travi no l'arena uscirò.
Tarconte, poi ch'obbo la riva tutta
Ben adocchiata, non là dovo il vado
Disperava del tutto, 0 dovo l'onda
Mormorando frangea, ma dovo chota
f. gonza intoppo avea corso e licorso.
Voltò lo proro; e, Via, disse, compagui.
Cibo. - 30. I878-294Ì
4CG l'kxfidi. • [44.' -469]
Via. gente elotta, ite con tutti i remi,
Di tutta forza, e si pingote i legni
Che si faccian da lor canaio e stazzo.
Dividete co' rostri e con le prore
Questa nemica terra; in questa terra
Mi gittate una Tolta, e che che sia
Segua poi del narilo. A questo pregio
Non curo del suo danno: afferri, e per».
Al detto di Tarconte alto in su' remi
Levarsi: e si co' rostri a'Iili urtaro,
Ch'empier di spuma il mar, di sabina i campi-
E i legni tutti no l'asciutto infissi
Fermarsi interi. Ma non già, Tarconto,
il legno tuo, elio d'una ascosa falda
Ebbe di sasso in approdando intoppo;
Dal cui dorso inchinato, e dal mareggio
Lungamente battuto, alfin del tutto
Aperto e sconquassato, in mezzo a l'ondo
Le genti espose; o'I peso e l'imbarazzo. 1
Do l'armi, o gli armamenti infranti e sparsi
Del rotto legno, e'I flutto cho rediva
Lo tennero impedito e rìsospintc.
Turno lo schiero suo rapidamente
Al mar condusse, e tutte in ordinanza
Su'l litu incontra a' Teneri lo disposo.
|2'Jia09|
[470-494] libro x. 4C7
Ilieron le trombo il segno. II trolan duce
Ya che prima assali le torme agresti,
K si fa con la strage da' Latini
i: .-.,n la morti' di Tcro«o in prima
Augurio a. la vittoria. Era Terone
In di corpo maggior dogli altri tutti:
E tanto elbo d'ardir che da sè stesso
Incontr'Euoa si mosso. Enea col braudo
Tal no colpo gji trasse, che lo scudo,
Heiicho ferrato, e la corazza o'I fianco
Forògli insieme Indi avrentossi a Lica
Che da l'aperte viscere fu tratto
Do la già morta .madre, e pargoletto,
Preservato dal ferro, a te fu sacro,
Febo, padre di luce; od or morendo
Vittima cadde a Marte. Occise appressa
Cisso foroco, o Già di corpo imniano.
Ch'ambi di mazzo armati ivan le schiero
De' suoi Teucri atterrando. E lor non valse
Ni d'Ercole aror l'armi nò lo braccia
D'erculea forza, ni che già Melampo
Lor padro in compagnia d'Ercole fosse
Allor che de la terra a soffrir obbo
I duri affanni. A Faro un dardo trasse,
ikutio gridando o millantando incontra
[310-32!»|
4GS l' knfipe. ( 10.", ólflH
Gli si facon. Colpillo in bone» a punto, i
SI elio la chiuse o l'acchetò per sempre. I
K tu, Cidon, per le suo mani estinto
Misero! giaceresti a Clizio appresso
Tuo novo amore, a cui de' primi fl<.,ri
Eian lo guance colorito appena;
Nò più stato saresti esca agli amori
Dc'suoì simili, onde mai sempre ardevi*
Se non che de' fratelli ebbe una schiera
Subitamente a dosso. Eran costoro
Setto figli di Forco, e setto dardi
Gli avventar" in un tempo. A Iti i ùVquali
Da l'olmo e da lo scudo rÌ3osplnti,
Altri furon da Venere sbattuti
SI, elfo vani, o leggieri il ojrpo a pena
Leccar passando. In questa. Enea rivolto,
Dammi, disse ad Acato, degl'intrisi
Noi sanguo greco-, e sotto Ilio provati; v.
E non fin colpo in fallo, l'na grand' asta
Gli porso Acate in prima, ed ei la trnsso ■
SI, che volando ne lo scudo aggiunse
Di Moonc, e la piastra ond'ora cinto
E la corazza o'I petto gli trafisse,
Alcanor suo fratello nel Cadore,
Mentre le braccia al tergo gli puntella, à
1323-8381
1520-544] inno x. 4G0
L'aste nel trapassare, fi suo tcnoro
l'.intinuaudo. insanguinata e calda
I i distra gli rouflsso; e da le spallo
1'. mie del finte, iufln che l'un già molto,
K l'altro moribondo a torra stesi
(i i icquoro entrambi. Kutnit irò il tono
Ila questo sconflccaudola o da quollo,
I. inciolla incontro Knea. DI fcrirìui
Kon gli successe, ma del granilo Acato
Grufilo la coscia lievemente, o scorse.
Clauso. il Sabino, ardito c poderoso
Qui si ti" ' culi una picca in mano,
K Drlopo investine! primo incontro.
Glie n'appuntò nel gorgozzule, e pinso
Tanto, che la parola e 'I flato o l'alma
]n un gli tolse. Kd ei caddo boccone,
E per bocca gittò di sangue un fiume.
Cacciossi avanti, e tre di Tracia appresso
Pc la gente di Borea, o tro de' figli
D' Manto, alunni d' Ismnra e di Troia,
In vnrTato guise a terra stese.
Venne a rincontro Alògo, e degli Anruncl
Un'ordinanza. Di Nettuno il figlio
Mcssópo i suoi cavalli avanti spinse.
Ed or questi sforzandosi, ed or quelli
1UU'J-3ÓÓ|
<"0 l'kmkide. [5tó-
Di cacciare i nomici, in su l' filtrata
Si combnttoa d'Italia. Equai tra loro
S'azzuffano a le volte avversi, o pari
Di contesa o ili forza in aria i venti.
Che né lor, né le nugole, né'l maro
Ceder si vede, e lungamente incerta
SI la mischia travaglia, ch'ogni cosa
D'ogni parto tumultua e contrasta;
Talo appunto du' L'ululi e do' Teucri
*ra la pugna, e si fiera e si stretta,
Cho giunto si vedenn l'armi con l'armi,
E le man con le inani, e i più co' piedi.
D'altra parto ovo rapido o torrente
Avca '1 fiume travolti arbori o sassi,
Da loco malagovolo impediti
Gli arcadi cavalieri a più smontaro.
E no' pedestri assalti ancor non usi,
Da' Latini incalzati, avean lo terga
Già volte a Lazio, quando (quel che s'us»
In si duri partiti) a lor rivolto
Fallante, orcon preghiere, or con rampogna,
Ah compagni, ah fratelli, iva giidaudo,
Dove fuggito? Per onor di voi.
Per la momoria di tant'altii vostri
Egregi fatti, per l'egregia fama, '
1855-370J
[570-594] libro x. 471
Ter le Vittorio dol gran duco Evandro, .
K )>cr la spemo ubo di dio concetta
A In paterna lode «mula avete.
Nuli ponete ne' pié vnrtrn fidanza.
Col ferro aprir In strada oc condono
Ter mozzo di color elio In vedete,
Clio più folti n° incalzano o più feri.
Ter là comanda l'alta patria nostra
Clio voi moco n'andiate. E di lor nullo
E elio sin dio: son uomini ancor essi
Como siam noi; qIioì com'essi avemo
11 cor, le mani e l'armi. E dove, dova
Vi salverete? Non vedete il mare
Clio v'ò davanti, o che la terra malica
Al fuggir vostro? E so per l'ondo ancora
l'uggiste, alfln dove n'andrete? a Troia?
K. cosi detto, in mezzo de' più densi
E de' più formidabili nomici
Anzi a tutti nvventossi. E Lago il primo
Per sua disavventura gli s'oppose.
Stava costui chinato, o per ferirlo
Divelto avea di terra un gran macigno.
Quando lo sopraggiunse, e nella schiena
Tra costa e costa il suo dardo piantogli ;
Si chu tirando e dimenando a pena
1370-8841
472 i/ksv: [59Ó-C19t
No lo ritrasse. Isbon, di Lago umico,
Mentr' «.-gli in ciò s'occupa, oblio spettiate
Ili rcndicsrlo, o'ncoutra gli si mosse.
Ha non gli riuscii che nienti e incauto, ,
Dal dolor trasportato e da lo sdegno
Del suo morto compagno, infuriava.
No la spada del giovimi iufllzossi
Ba l'nn de'fianchi: ondo trafitto e smunto
Ne fu di sangue il cor, d'ira il polmone.
Poscia Stèndo occise: occisc appresso
Anchèmolo. Costui fu do l'antica
Stirpe di Reto, incestuoso amante
Di sua matrigna. E. voi, Lande e Timbro,
Figli di Dauco, ambi d'un parto nati,
Per lo sue man cadeste. Eran costoro
SI l'un de.1 tutto a l'altro somigliante,
Che dal padre indistinti e da la madre
Fncoan lor grato crroro e dolco inguini
Sol or l'aliante (ahi! troppo durameli to'
Vi fo divorsi: ch'a te '1 capo notto,
Timbro, reciso; a te. Lande, in terra
Mandò In destra. E qnosta anche irui/zan
To por suo riconobbe, e con le dita
Strinse il tuo ferro, e I brancicò più volto.
Gli Arcadi da' conforti e da lo provo ' j
I884-397J
[620-644] libro x. 473
A > di Pallanto, c per dolore
E por vergogna di furor s'nrmaro
('•.ntr'a'nimici. Seguitò l'aliante:
Ed a Kcteu ch'ora fuggendo in \u!ta
S..pra una biga, nel passargli a canto,
'Crasso d' un'asta: c tanto Ilo' d' indugio
Ebbe a la morte sua. cb'ad Ilo Indritto
Eia quel colpo in prima. Ha Retòo
Velino di mezzo, o ricevello in reco
D'altri colpi die dietro minacciando
Gli venian Tenero o Tira, i duo buon frati,
Clio gli oran sopra. Traboccò dal carro
Mezzo tra vivo ejnorto, e calcitrando
Do'Rutali battè l'amica terra.
Come il pastor ne' dolo! estivi giorni
A lo spirar do' venti il foco accoude
In qualche selva: elio diversamento
I.o spargo in prima; o con divorsi incendi
Subito di Volcan no va la schiera.
Ciò ch'è di mezzo divorando in guisa
Cu'nn sol diventa; ed ci stassi in dispalto
Pel fatto altero, o di vedor gioioso
La vincitrice fiumnia, e l'arso bosco:
Cosi'l valor degli Arcadi ristretto
Ter soccorrer Fallante insieme unissi.
■ |3'J3
4"4 L'IXKIDE. [CI3-C69J
Ma'l bellicoso Alèso incontro n loro «
Si ristrinse ancor ei con l'armi sue,
E Lattóne e Doiuódoco e Feroto
Occiso in prima. Indi a Strili iu un colposi
Trasse di spada che la destra mano, 9
Mentre con un pugnai gli era a la gola, I
Gli reciso di netto. E si d'un sasso
Feri Toante in volto, che gì' infranse)
Il teschio tutto, e no schizzàr col sangue
L'ossa c'I cervello. Era d'Aleso il padre-
Mago •'sdorino; o del suo figlio il fato
Avea previsto; ondo gran tempo ascoso <
la una selva il teline. E non per quosto (
Franse il destino; che già vèglio a pena
Chiusi ebbe gli occhi, che le Parche addosso
Gli dierdi mano: ondo a morir devoto
Fu per l'armi d'Evandro. Incontro a lui
Mosso Pallanto in cotal guisa orando:
Dà', padre Tcbro, a onesto dardo intirizzo
Fortuna estrada: ond'io mi petto il piantf
Dol duro Alèso: 0 'I (lardo e le sue spoglie,
A te finn poscia in ipiesta quercia appeso.
Udillo il Tebro: e mentre Alèso, aita
Porgendo ad Imaon, lo scudo stendo
Per coprir lui, sè stesso discovorse
1411-4851
[070-6941 unno x. 475
Al colpo di Fallante, e morto cadile.
Lauso che de la pugna era gran parto,
Visto al eador d'un ai dogno cainpiuno
raduta la .-onte»* e Perdimento
He le schiero latino, egli in slla Toco
Tosto aTanti si piuse e rinfrnncollo.
E prima di sua mano Abanto ancise,
Ch'era di quella zuffa un duro intoppo,
K de' nemici il più saldo sostegno.
Or qui strago s|fa d'Arcadi insieme,
E do'Tuschi o di voi. Troiani, intatti
Ancor da'Oroci. E qui d'ambe le parti
Tutti con tutti jd affrontar si vanno.
Pari lo forzo o pari i capitani
Son d'ambi i lati: e quinci o quindi ardenti
Si ristringono in guisa che gli estremi
fanno ancor calca e 'inpedimento a' primi.
Da questa parte sta Pallanto, o Lauso
Pa quella, i suoi ciascuno inanimando,
Spingendo o combattendo. E l'nn direno
Non ó molto da l'altro nè d' ctato »
Nòdi bcllozza: o parimente il fato
A ciascuno ha di lor tolto il ritorno
Ne la sua patria. E non però tra loro
S'affroutar mai: chò'l regnator celesto
1425-437J
•178 L' EXKIDK. |G95'-7]
Riserbava la morto d'ambcduo
A nemici maggiori. In questo merco
}.a ninfn die di Turno orn sorella.
II suo frato avvertisco, elio soccorso
Procuri a Laiiso. Ond'ei tosto col enrro
Lo sellici e attravorsando, a' suoi campa
Giunto che fu. Via, disse, or non è toni
Che voi più combattiate. Io sol no vado
Contra Pollante; a me solo è dovuta
La morte sua; cosi 'I suo padre stosso
V intervenisse e spettator no fosso.
Petto ch'egli oblio, incontinente i suol
Siccome imposto ovea, dal campò uscirò.
Pallantc, visti i Ruttili ritrarsi,
E lui sentendo elio con tanto orgoglio
Lor comandava; poscia che'l conobbe,
Lo squadrò tutto, e stupido fenuossi
A veder si gran corpo. Indi foroco
Gli occhi intorno girando, ai detti su
Cosi risposo: Oggi, o d'opimo spoglie
0 di morto onorata il pregici a'-qnist
K'I padre mio (tal ò d'animo iinitto
Incontr'ogni fortuna, o buona o rea
Che sia la min) no porrà '1 coro in paco.
Via, che d'altro ò mestier che di unir
Ma8-451J
[720-744) libro x. 477
E, ciò dotto, si mosse e (loro in mozzo
l'rosontossi del campo. Vu gioì |ier l'ose»
K per le rene agli Arcadi no corse,
i: Telino dalla biga con un sulto
I..inciossi« terra: ch'assalilo a piodi
l'reso consiglio. K qirnl fioro loone
Clic, veduto nel pian da Inni.-.- un toro
Con lo corna a battaglia ossorcitnrsi.
Pai monte si dirupa e rugge e vola,
Tal fu di Turno la sembianza a punto
Noi girli incontro. Il giovine elio mono
Avea di forze, s'avvisò di tempo
l'iendcr vantaggio, e di provare osando,
S'aver potesso in alcun mudo amica
Alnicu fortuna: e già ch'a tiro d'asta
S'eran vicini, al ciel rivolto disse:
Ercole, se ti fu dol padre mio
1/ ospizio accetto, e la sua mensa a grado,
Allor clic peiogrin seco albergasti.
Dammi, ti priego, n tanta improsa aita,
Slcho Turno egli stesso in chiudergli occhi
Yeggia e sonta, morendo, ch'a me tocca
Vincere e spogliar lui d'armi e di vita.
Udillo Alcide, e per pietà che n'ebbo
Nel suo cor se ne dolse e lacrimouiie,
[451-4(ió]
47S l'incide, li I5-T80f
Quantunque indarno. E (ìiovo por conforti
Del figlio sino cosi seco ne disse:
Destinato a ciascuno o *1 giorno suo;
E breve in tutti o lubrica e fugaco
E non mai riparabile sèu vola
L'umana vita. Sol per fama è dato
Agli uomini, che sian viraci* o ciliari
l'i ù lungamente. Ma virtuto è quella
Clio gli fa tali. E non por questo alcuno
£ che non muoia. E quanti ne morirò
Sotto il grand'llio, cb'eran nati in terra
Pi voi colesti '/ E Sarpcdonte è morto
Ch'ora mio Aglio, e Turno anco moiri;
E già de la sua vita ò giunto al fine.
Cosi disse, o da'rutuli confini
Torso la visto. Allor l'allaute trasse
Con gran forza il suo dardo, e 'I brando strinse
incontro a Turno. Investi'! dardo a punto
Là'vo'l braccial su l'omero s'affibbia,
E tra'l suo groppo o l'orlo de lo scudo
Come strisciando, di si vasto corpo
Lievemente afferrò la pelle a pena.
Turno, poi rhe'l n"d"«o e ben ferrato
Suo frassino brandito e bilanciato
Ebbe più volto, Or prova tu. gli disse,
UCó-181]
[770-794] libro X. 479
So 'I mio va dritto, e so colpi*™ o fin
riìi dol tuo forro: o tnuto. Andò ronzando
Ver l'aurii, o con In punta a punto in mezzo
m piantò do lo scudo. K tante piastra
]ii metallo o d' acciaio, 8 tanta cuoia
Ond'era cinto, e la corazza o'I patto
> • -irti insieme. Il giovine ferito
Tosto fuor si cavò di corpo il tèlo;
ila non gli valse, che con osso il sangue
K la vita u' uscio. Cadde boccone
[n su la piaga, e t«f*diò d'armi un crollo,
Clio, ancor morendo, la nomica terra
Trepida ne divenne e sanguinosa.
Turno sopra il cadarcro formassi
Alteramente, o disse: Arcadi, udito,
E per ino riportato al vostro Evandro,
Che qual di rivedero ha meritato
]I suo l'allanto, tal glie no rimando;
E gli fo grazia, che d'ossequio ancora
E di sepolcro 0 di qual altro fregio
Che conforto gli sia, l'orni o l'onori;
Ch'assai ben caro infino a qui gli costa
L'amicizia d'Enea. Cosi dicendo,
Col manco piò calcò l'estinto corpo;
E d'oro un ciuto ne rapi di pondo,
1481-4'JU)
480 l' fneipk. ["9Ó-8191
D'artificio e di pregio, ove per ninno
Era del buon Eurizio istorlnta
"la. dora notte e i sanguinosi letti
Di quoll' orapio fanciullo, in grembo a cofl
Fui già t inti in un tempo e frati e sposti
Sotto fi d' li:: giovini amisi.
Di questa spoglia altero e bnldanzoaafl
Vasseno or Turno. 0 ciecho umane mentii
Come siete de'fati e del futuro
Poco avveduto! E come oltra ogni modo J
Ne'felici succossi insuperbito!
Tempo a Turno verrà eli' ogni gran con fl
Ricomproria di non aver pur tocco
l'aliante; e le sue spoglio e'1 ili elle l'ebbo
In odio gli cadranno 11 morto corpo
Nel suo scialli composto, i suoi compagni
Levar dal campo, o con solenne pompa
E con molti lamenti e molto pianto
I,o riportaro al padre. (Hi qual l'aliante,
Tornasti al padre tuo gloria o doloro!
Ch'una stessa giornata, eh' a la guerra
Ti diodo, a lui ti tolse. Oli pur gran monti
Lasciasti pria di tuoi nomici estinti!
Corse la fama, anzi il voraca avvito. I
A l'orecchio d'Enea d'un danno talo
U'JU-óllJ
|820-844] Mimo x. nl
Y. d'un tanto perìglio, che già Tòlto
Era il suo campo in fuga. Incontincnto
Si fa col f"rro una spianati intoni»:
Vascìb s'apro mia via, 91 1» corcando.
Turno, o '1 tuo rintuxzar cresciuto orgoglio
per la vittoria di I'allanto oc'eiso.
rullante, Evandro, o l' aceoglionio loro
E le lor mense ove cou tanto amoro
I'orostior fu raccolto, e la contratta
i;iù tra loro amistà datanti agli occhi
Si vedoa sompro. fi por onoro a l'ombra
pe l'amico, o por vittima al grand' Orco,
Molti giovini av>a già destinati
Vivi sacrificar sopra al suo rogo:
E di gii no facca quattro d' Ufcnto
Addur legati, e quattro di Sulmona.
E tra via combattendo, incontr' a Mago
Tirò d'un' asta, a cui sotto chinossi
T/astuto a tempo si che sopra al capo
Gli trapassò divincolando il colpo;
E ratto risorgendo, nmilemonto
fili abbracciò lo ginocchia, e cosi disse:
Ter tao padro e tuo. figlio, Enea, ti prego,
A mio padre, a mio figlio mi conserra.
Di gran.lognaggio io sono; e gran tesori
CAttO.-31. [511-626]
482 i.'kxeide. [S15-86jl
Tengo d'argento sotterrati o d'oro
Jn massa o 'n conio. La vittorin vostra I
Solo in mo non consiste. Una sol* alma I
In cosi gravo e grande affar elio munta iB
Rispose Enea: Le tue conserve d'oro
E d'argento conserva a' Agii tuoi.
Questi morcati ha Turno primato. nto
Tolti fra noi, poi e' ha 1'nllantc occiso: 1
Ed ni mio padre ed al mio figlio iu gradai
Eia la tua morte. Ciò dicendo, a l'elmo J
La man gli stese: e poirhè gli ,1,1,,.. il ,„U0j
Chinato al colpo, inaino a l'else il ferro |
Ko la gola gl'immerso. Indi non lungo
Emònido incontrando, nn sneordoto
Di Febo o di Diana, il fronte adorno
Di sacra benda, e tutto riluecnto
Di vesti o d'armi, addosso irli si sbagli».
Fuggo Emònide, o cade. En.n irli è sopra.
Lo sacrifica a l' ombra e d' moina il empirò,
Poscia ilo l'unni, dm '1 meschino a pompa
Portò più eli* a difesa, il buon Screato
Lo spoglia, e por trofeo Icnppeudo iu campo
A to, gran Matto. Ecco di nuovo intanto
Cècolo. di Vulcan l'ardente figlio,
E'1 niarso Ombron im Li b it taglia entrando
1526-544]
1 870-894] ubbo x. 483
E rimettendo lo lor genti insieme,
Spingonsi avanti. Enon da 1" nitr i parte
Infuriava. Ad Ansino avventossi,
i; 'I manco braccio con U spada in terra
fittogli o do lo scudo il cerchio intera.
Gran cose avea costui cianciato in prima
K coneeputo; e d'adempirlo ancora
S' era promesso. Avea forao anco in cielo
biposti 1 suoi pensieri, e «'augurava
Lunga vita o felice. E pur qui caddo.
Poscia Tàrq'uito «piente, o d' armi cinto
Fulgenti o ricclio. incontro gli si foco.
Era costui di Fauno montanaro
E de la ninfa Drfbpe creato.
Giovine fiero. Enea parossi avanti
A la sua furia, e spinse l'asta in guisa
Clic lo scudo impelligli e la corazza.
Allora indarno il minoro a pregarlo
Si diede. E mentre a dir molto s'affanna
l'or lo suo scampo, ei con un colpo a terra
Glttògli il capo; e travolgendo il tronco
Tiepido ancor, sopra gli stetto e disse:
Qui con la tua bravura te ne stai.
Tremendo e formidabile guerriero:
Ne di terra tua madre ti ricuopra,
[515-558)
484 I." KVKtOK. [^.'i-Otji
Nò di tomba t'onori. Ai lupi, bì corvi
3'i lascio, o che la piena in alcun fosso 1
Ti tragga, o che Del (Inni», n e tu; nel mari
Ai famelici pesci esca ti mandi.
Indi muove in un t . ni ]■■ . i •..»•■•. a Lieo,
E segue Autèo, che ne lo prime schiere
Eran di Turno. Assaglio il forto Ninna,
Fero il biondo Camorto. Era Camerte
Figlio a Volsconto, generoso germe
Del magnanimo padro, e do'piii ricchi
D'Ausonia tutta: in qnol tempo reggo»
La taciturna Amlcla. In quolla guisa
Che si dico Egeon con conto braccia
E cento mani, da cinquanta bocche
Fiamme spirando e da cinquanta pottj,
Esser già stato col gran Oiovo a front*, -m
({umido centra i suoi folgori i mioì tuoni
Con altrettanto spade ed altrettanti
Scudi tonava o folgorava anch' egli;
In quella stessa Enea p.-r tutto '1 campo,
Poi ch'una volta il suo ferro fu caldo, ]
Contra tutti vincendo Infuriassi,
Ecco Niféo su quattro corridori
Si vedo avanti: e contra gli si spinge
SI ruluoso, e tal fa lor fromoudo .
1558-5721
[920-944] libro X. 435.
T<:ina o sparente, cho i destrier rivolti
l.ui dal carro traboccano, o disciolti
Su ranno c voti imperversando al mare.
J.i.cago intanto o Ligeri, due frati
O.n due giunti cavalli ambi in un tempo
Gli si fan sopra. Mgeri * le briglie
Sedo» por guida, Lilcago rotava
La spada a corco. Enea, non annerendo
La tracotanza, a la già mossa biga
l'iantossi avanti: e Algeri gli disse:
Enea, tu non sci giù con Diomede,
Ni', con Achille a questa volta a fronte;
}ié son questi i cavalli e 'I carro loro:
Di Lazio ò questo e non de' Frigi il campo:
Qui finir ti convion la guerra e i giorni.
Queste vano minaccio e questo vento
Soffiava il folle. Enea d'altro risposta
Non gli diè che de l'asta. E mentre avanti
Spinge 1' uuo i destrieri, e l' altro al colpo
Si sta chinato e col piò manco in atto
Di ferir lui, la sua lancia a lo scudo
Entrò sotto di Ldcngo, e nel manco
Lato no l'anguinaia il colse a punto,
E giù dal carro moribondo il trasse.
Indi aucor egli motteggiollo e disse:
1073 591]
480 l'kxfidk. ('-115-9891
A le ni paventosi nò restii
San gin, Lticago, stati i tuoi cavalli.
Tu da te stesso un si bel salto lini preafl
Fuor del turi carro. K. <•!•• detto. :n >I- strierl
Piò di piglio. Il suo finte uscit i intantafl
Pai carro stesso umile e disarmato
Stendea le pillino In tnl gui>a pregando:
Deh, per lo tuo valore e por coloro
Che ti Ter tale, alibi di me. signoro,
l'iota, clic supplicando in (boi ti dileggio
Quosta misera vita, r seguitando
La sua preghiera, a lui ìispose Knea:
Tu non hai già cosi dianzi abbuiato.
Muori: e morendo il tuo fiati- a nnpagna,
E con queste parolo il ferro spinse,
E gli apri 'I petto, e l'alma ne di sciolte.
Mentre cosi per la campagna Kuca
Strage facendo, e di torrente in guisa
E di tempesta infuriando scorre,
Ascanio e la troiana gioveututo.
Indarno entro a le mura assediata.
Saltano iu campo. Ed u (iiunone intanto
Cosi Giove favella: 0 mia diletta
Sorella o sposa, ecco testé si vedo
Coni' ha la tua credenza o '1 tuo pensiero
[592-008]
1970-994) unito x. *°>
Verace incontro, e rnmo Citcren
SostontA i Teneri suoi. Vedi coni' essi
N ,11 soli né valorosi nò guerrieri,
i: i eoi non hanno ni lor potigli eguali.
A cui Giunem tutta rimessa, Ah. disso,
Caro consorto, n che mi strazi c pugni,
Quando è pur troppo il mio dolor pungeuto
E pur troppo tcm'io lo tuo punture V
Ila so qual era o qual esser potrebbe,
Kosso or tocQ-il poter do l'amor mio,
Teco elio tanto puoi. d« te negato
Non mi fora. Signor, ch'oggi il mio Turno
Fosso da la battaglia o da la morto
Per ino sottratto o conservato al vecchio
Panno suo padro. Or péra, e col suo sangue,
Che pure è pio, la cupidigia estingua
Do' suoi nemici. E pur anch' egli è nato
Pai nostro sangue; o pur Pilunno è quarto
l i, he ili lui; da lui pur largamonto
Gli aitar molto ftate o i tempii tuoi
Son do' suoi molti doni ornati o carchi.
Cui dol ciel bi eveniente il gran motoro
Cosi rispose: So indugiar la morto.
Ch'i già presento, o prolungare i giorni
Al già caduco giovino t'aggrada
[G08-622|
488 L* RKRIDR. [995-101
l'or alcun tempo, o tn con questo in toso
L'accetti, tu' tu stessa, e da la pugna
Sottrailo e dal destino. A tuo contento
Fin qui mi lece. Ma so in ciò presumi
Ancor più di sua vita, o do la guerra,
Clic del tutto si mute o si distomi,
Invau lo spori. A cui tìiuno piangolili
Soggiunse: E che saria, so quel ch'iu y-
Ti gravi a darmi, alinea nel tuo sccrotoi
Mi concedessi? e questa vita a Turno
Si stabilisse? già ch'indegna e cruda
Morte gli s'avvicina, o ch'io del vero
Mi gabbo. Tu elio puoi, Signor, rivolgi
La mia paura e i tuoi pcusicri in meglio.
Poscia che cosi disse, incontinente
Dal ciel disceso, e con un nembo avanti
E nubi intorno, occulta infra j due campi
Sopra terra calossi. Ivi di nebbia,
Di colori e di vento una figura
Formò (cosa mirabile a vedoru!)
In sembianza d'Enea; d'Enea lo scudo,
La corazza, il cimiero e l'armi tutte
(Ili finso Intonici, i [.-li di,' '1 suono e 'I moto
Propri di lui, ma vani, e senza forze
E senza mente; in quella stessa guisa
[623-61 1J ■
1 1020-1044J libro x. 488
Clio si dico ili notte ir vagabondo
L'ombre do' molti, o cho i sopiti «essi
> il da' sogni «il lusi e «la fantasmo.
Questa mentita imago »uii a le schiero
Lieta insultando, a Turno s'approscnta.
Lo provoca e lo sfida. E Turno' incontra
Lo si spinge e l'affronta: e pria da lungo
11 suo dardo le avventa, al cui stridore
Volg'ella il tergo o fugga. Ed ci sospinto
Ila la vaua credenza e da la follo
Sua speme insuperbito, la- perseguo
Con la spada impugnata, E dove, o dove.
Dicendo, Enoa, te,u fuggi? ovo abbandoni
La tua sposa novollaV Io di mia mauo
pe la terra fatale or or t'investo.
Che tanto per lo mar cercando andavi.
E gridando l'incalza, e non s'avvedo
Clic quel elio segue e di ferir agogna,
Non è cho nobbia elio dal vento è spinta.
Era por sorto in su la riva un snsso
Di molo in guisa; ed un navilo a canto
Gli ora legato, che la scala e 'I ponto
Avea su '1 lito, ondo no fu pur diauzi
Osinio, il re di Chiusi, in terra esposto.
In questo legno, di fuggir mostraudo,
[611-650]
*00 I.' KNEIDB. [1045-1
Kicovrossi d'Enea la finta Imago,
E vi 8' ascoso. A cui dietro correndo
Turno senza dimora infuriato'
11 ponto ascose. Era a la prora a pena
Clio Giunon ruppo il fune, e diede al 1
Perlo travolto maro impeto c fuga.
Intanto Enea, di Turno ricercando,
A battaglia il chiamava. Ed or di qu-
Ed or di quello e di molti anco insieme
Facca strage e scompiglio; e la sua larva.
Poiché di più colarsi uopo non ebbe.
Fuor de la nave uscendo, alto levossi,
E con l'atra sua nube unissi e sparve.
Turno, cosi schernito, e già nel mozzo
Pel mar sospinto, indietro rimirando,
Como del fatto ignaro, o del suo scampo
Sconoscente e superb i, al cicl gridando
Alzò le palmo, o disso: Ah dunque io snuo
D'un tanto scorno, onnipotente pndie,
Da te degno tenuto ? a tanta pena
M'hai riservato? ovo soli in rapito?
Onde mi parto? chi cosi mi caccia?
Chi mi rimena? o fia eh' un' alti a volta
Io ritorni a Lamento? e ch'io riveggia 'I
L'oste più con quest'occhi? o che diranno
[B50-C7II
[1070-10941 ubeo x. "l
I mici seguaci, e qooi cho m'han per «pò
l>i questa guerra, cho da me son tutti
i ,\hi vitup.ro) abbandonati a morto ?
V. già r»"i gli roggio, o gi» gli sunto
(iridar cadondo. 0 me lasso 1 che faccio?
yiial h de! mar la più proronda torra
Che mi »' apra e m' ingoi ? A voi piuttosto,
Venti, moresca di me. Voi questo legno
Fiaccate In qualchcscoglio.iuqualche rupe,
Ch'io stesso Jt> vi cjiiogfio; o ne le Sirti
Mi seppellite. ovo mai più non giunga
Untolo che mi veggia, o mi rinfacci
Questo vcrgogna»e quosf infamia, ond'io
Sono a me consapovolo e nimico.
Cosi dicendo, un tanto disonoro
In se sdegnando, e di sè stosso fuori,
Strani, diversi e torbidi pensieri
Si volgca per la mento, o cou la spada
Tassarsi il petto, o traboccarsi in mozzo,
Sì com'era, del maro, o far, notando,
l'ruova o di ricondursi ond'ora tolto,
0 d'affogarsi. E l'uni e l'altra via
Tentò tro volte: e tro volto la Dea,
Di lui mossa a piota, ne lo distolse.
Dal turbiue o dal mar cacciato intanto
1072-087]
402 L'FN-Kin». [1095 HI
Si scorso il legno, clic del padre limino
A l'antica magio» per forza il trasse.
Mczenzio in quotato mentre che da I*
Kra spinto di Giove, ardente e fiero
Entrò no la battaglia; e i Toucri nssalse
Clic già 'I campo tcnean superili v lieti.
Da l'altro canto le tirrene schiere
Mossero incontro a lui. Contra lui solo
S'unir tutti dc'Tosclii e idi udii c l'ar
Ed egli, a tutti opposto, alpcstro scogl
Sembrava, che nel mar si sporga, u i Ha
E i venti minacciar si senta intorno,
E noli punto si crolli. Ognun ch'avanti
0 l'ardir gli mandava o la fortuna,
A' piò si distoudoa. Nel primo incoutro
Ebro di Dolicao, Lùtago o Palmo
Tolse di mezzo, Khro passò fuor fuori
Con un colpo di lancia: il volto e 'I teschio,
Un gran macigno a Làtago avventando,
Infranse tutto, ambi i garretti a Palino
Ch'avanti gli fuggia, tronchi ili netto.
Lasciò clic rampicando a morir lungo
A suo bell'agio nndasso; ma de l'armi
Spogliollo in prima, e la corazza in collo
E l'elmo in testa al suo I,auso ne poso.
[688-701]
11120-1144] usuo x. «93
Oceisc dopo questi 11 frigio Franta:
l'osci» Mimante eh'ora pari a l'ari
pi nascimento, e d'amor «eco unito,
ir Amico nacque, o ne Ivstossa notto
Teana la stia madro in lnee il diede,
Clio dio Paride al mondo Emilia pregna
Pi fatai fiamma. E pur l'nn d' essi occiso
I n no la patria o l'altro sconosciuto
l)nl cadde. Era a veder Meionzio in campo
yual brrido. sanniito, irto cignale
In mcwioa'cani allor chedVpinetl
pi Vesolo, o da' boschi o da' pantani
pi Laurcnto è cacciato, oto molt'anni
Si sia difeso; eh' a le reti aggiunto
Si ferma, arruffa gli omeri e fremisco
Co' denti in guisa cho non è chi presso
Osi affrontarlo, ina co" dardi solo,
E con le grida a man salva d'intorno
Oli fan tempesta. Cosi eontra a lui
Kon s'arrischiando lo nomicho squadro"
Stringerò i ferri, lo minacce o l'armi
Oli avvontavan da lungo; ed ei fremendo
Stava intrepido o saldo, e con lo scudo
Sbattea de Tasto il tempestoso nombo.
Di Còrito venuto a quosta guerra
|702-7iai
494 l' Binili. [1 115-11'
Era" un greco bandito, Acron chiamato,
Novello sposo cho, non giunto ancora
Con la sua donna, a lo suo nozzo il folla
Avoa l'armi anteposte. E in quella mise
D'ostro o d'or riguar.lcvolo e di penna.
Sponsali arnesi o doni, ovunque andava.
Per le schiero facea strago e baruffa.
Mezcnzio il vido; e qual digiuno e fiere
Leon da fame stimolato, errando
Si sta talor sotto la mandra, e rugge;
Se poi fugace damma, o di ramosa
Corna gli sì discopro un cervo avanti,
S'allegra, apro lo canne, arruffa il do-
si scaglia, ancide e sbrana, e '1 coffo e Va
D'atro sangue s'intride: in tal sombiao
Per mezzo de lo stimi Mezcnzio altero
S'avvonta Acron per terra al primo incon
No va rovescio; e l'armi o'I petto infralì
Sangue versando, e calcitrando, spira, i
Morto Acrono. ceco Oròde. cho davanti
fili si tulle. F.i lo si'irue: e non degnando
Ferirlo in fuga, o che fuggendo ocod^H
Gli fosso il fcritor, lo giungo o 'I passa,
L'incontra, lo provoca, a corpo a corpo
Con lui s'azzuffa, elio di forze e d'armi
lll'J-iilól
[1170-1104] Limo x. 495
Più mica che ili furto. Alfin l'atterra,
E l'asta o 'I piò sopra gì' imprimo o dico:
K'°co, Oròdo 6 caduto; link gran parto
Giace de la battaglia. A questa voce
Lieti al/aro i compagni al elei lo grida:
Ed oi mentre spirava. Oh, disse a lui,
(Miai cho tu sii, non fin senza vendetta
La morte mia: nò lungamente altorp
N'andrai: chèdiotro amene) campo
t'ndor convientL A cui Mezenzio un riso
Tratto con ira, Or sii tu morto intanto,
Kisposo. o quel che può Giovo disponga
Poscia di me. Cosl^dicendo il tèlo
fili divclse dal corpo, ed oi lo luci
Chiuso al gran buio ed al porpetno sonno.
Còdieoocciso Alcato: SSocratóre
Occi'O Idaspo; a duo la vita tolto
ltupo, a Partenio ed al gagliardo Orsono;
j[,«apo anch' egli a duo la morto diodo;
A Ctònio da cavallo, ad Ericato
Ch'ora pedone, a piede. Agi di Licia
Movendo incontro a lui, fu da Valero
Valoroso, e do' suoi doguo campione,
A toira steso; Atron da Salto anciso;
E Salio da Nealco, che di dardo
1700-7531
49G i.'kvt.ide. [1195-1819] !
Era ginn feritore e granile arderò, p
D'ambe le parti i rnno Morie e Marto
Pel pari; o parimente i vincitori i
E i vinti ora cartonilo, ora incalzando, l
Soguian la zuffa; nò viltà, nò foga
Nò di qua nò <ll là vedeasi ancor». i
L'ira, la pertinacia o lo faticho 1
Erano o quinci e quindi àrdenti e vano.
E di questi c di quelli avoan gli Doi, :
Clio dal cid irli vedono, pietà e cordoglio.
Stava di qua Ciprigna e di là Gilmo ]
A rimirarli; e pallida framozzo t
Di molto mila infuriando andava 1
I,n noquitosa Erinni. Una grand' asta
l'roso Mezeuzio un'altra volta in mano
E turbato squassandola, del campo
Piantassi in mezzo, ad Orlon simile
Quando co' piò calca di Nòroo i flutti,
E sega l'onde, con lo spallo sopra
A l'onde tutte; o qnal da' monti a l'anr»
Si spicca annoso corro, o 'I capo ascondo <
Infra lo nubi. In tal sembianza armato
Stava Mczcnzio. Knoa tosto clic '1 vedo
Batto incontro gli muove. Ed egli immoto
Di coraggio o di corpo nd aspettarlo
[754-7711
.107
Ii20-1944| U0BO z. ~
t« qual pilastro in e» fondato o saldo,
otcìa ch'a tiro d' asta avvicinato
fu d'avanti. O mia destra, o ini» dardo,
iì-so, chodii mi Moto, il veltro mimo
q.iosto colpo imploro: od a te, Uuso,
li ! di questo ladron lo spoglie o 1 armi
vr mio trofoo consacro. E, cosi dotto.
risse. Stridendo andò por l'aura il Udo;
,la giunto, o da lo scudo in altra parto
battuto, di lontan percosse Antoro
•Va le costole o 'I fianco. AnUrd'Alcido
morato compagno- Era vomito
H Argo ad Evandro; equi cadde il meschino
D'altrui ferita. Noi cader, lo luci
,\1 cicl rivolso e, d'Argo il dolce nomo
< ,5pirnndo,le chniso. Euoa con l'asta
ìien tosto a lui rispose. E lo suo scudo
ivreosso anch' egli, o l'iiitcr/atc piastre
Di ferro e le tre cuoia e le tre faldo
Hi tela, ond' era ciuto. inflno al vivo
(ili passò de la coscia. Ivi formossl,
Che più forza non ebbe. Ma ben tosto
Kicovrò con la spada, c fioro o lieto.
Visto già del nemico il sangue In terra
E '1 terror no la fronte, a lui si strini.";.
0*bo.-32. 1771-788]
49$ b' nettimi. [1215-12
Lmuo, elio In tanto rischio II rum pai
Si rido nrnntl, amor, téma c doloro 1
Se ne senti, no sospirò, ne pianse.
E qui, giovino illustro, il caso indegno
D« la tna morte, o '1 tuo zelo e 'I tuo CaS
Non tacciò: so pur tanta piotato
Fia chi eroda do'posteri. e d'un Usilo
TI' un empio padre. Il padre a si gran col|M
Si trasse indietro, elio di giù (ol ito,
Hcnehó non gravemente, c da l' ititi iei> W
Ilo l'asta imbarazzato, ora a là pugna i
Fatto Imitile o tardo. Or mentre code, \
Menti o clic do lo sonilo il dardo ostilo
Pi sferrar s'argomenta, il buon gar/ono
Succede no la pugna, o del già mosso
Braccio 0 del brando clic stridente o gn
Calava per ferirlo, il mortai colpo
Ricovò con lo scudo e lo sostenne.
E perch'agio a ritrarsi il padre avesse
Riparato dal figlio, i suoi compagni
Secondar con le grida; e con un nembo
H'armi, olio gli avventar tutti in un tellina,
Lo ributtare Enea via più feroco
Infuriando sotto al gran paveso
Si touea rìcovorto. E ansi, cadendo
[789-80SJ
1 1270-1294] mimo x. *90
brunitilo a nonilii.il vtator talora.
Ch'in sicuro ti l'albergo 6 già ridotto,
i 'ani njrrioola vede, ogni aratore
i . i !_r ve * » da I" ■■iini|iagna: oxjual d'un groppo,
I l'ima ripa, od' un nutro il zappatori;,
Piovendo, si fa sellerina, e 'I sole aspetta
l'or compir l'opia; in quella stessa guisa,
ii'inpc&tnto dn l'armi Kuea la nubo
S 'stoica de la pugna: o Lauso iutnnto
Minacciando gnrria: Doto no vai,
Mi scliincllo, a la morto? a elio pur osi
l'iù elio non puoi? I,a tua pietà t'inganna
K sci giovine e suro. Ki non per questo,
1'.. Ilo, mono insultava: ondo più crubbo
1,'irn del teucro duco. KgiA la l'nrcn,
Vota la rócca e non pieno anco il fuso,
Il suo nitido filo nvea reciso.
Trasse Knoa de la spada, o no Io scudo,
Che liev'ern o non pari a tinta forza,
1/) colpi, lo passò, pnssògli insieme
I.a vesto che di seta e d'òr contesta
Gli avea la stessa madre; o lui per ni" vo
Transso, o moribondo a terra il trasse
Ma poscia olio di sangno e di pallerò
I,o vido asperso e della morte in preda,
[803-822]
600 l' RUMOR. [I29r>-181|
No gl'incrobbo e no pianse; o di patera* ,
Pioti quasi un' imago aranti agli occhi J
Veder gli parrc, o 'ntonerito il coro.
Stose la destra e sollevoll», o disse:
Miserabil fanciullo! o qualo aita, J
Qunlo il pietoso Knoa può farti onoro ì
Degno do le tuo lodi o del presagio
Clio n'hai dato di te? L'armi elio tanto J
Ti sou piaciuto, a te lascio, o '1 tuo corpi
A la cura do' tuoi, se di ciò cura
Ha pur l'empiu tuo padre, acciò di tornili
K d'ossequio t'onori. E tu, meschino,
l'ili cho dal grande Knea morto ricovi,
Iti morir ti consola. ludi assoenra.
Sollecita, riprendo, e do l'indugio
Garrisco i suoi compagni; o di sua man
L'alza, il sostiene, il tergo o de la gora
Del suo snnguo lo traggo, ore rorescia
Cìiacea languido il volto e lordo il crine.
Che di roso cran prima o d'ostro o d'oro,
Stava dol Tebro in su la riva intauto
I." sfortunato padre, e In ferita
Sii lavata no l'ondo, afflitto o stanco -
S'era con la persona appo d'un tronco 1
Ver posarsi appoggiato: c l'olmo a cauto
1823-835]
[1380-18'H) libro x. 501
Iia'rnmi gli pondea. L'armi più sui
.Su '1 verde prato arean posa con lui.
Staragli intorno de'piì) scelti un cerchio
i: ùVpiù Culi. Ed egli anelo ed egro.
Chino il collo al troncone e'I mento ni putto,
Molto di Lauso interrogava, e molti
il li mandava or con preci or con precetti,
i li' al mesto padre ornai si ritraesse.
Ma già vinto, già morto e già disteso
Sopra il suo scudo, a braccia ripoitato
Da' suoi con molto pianto era il meschino,
Udì Mezonzio il pianto, e di lontano
(Come del mal sovente è l'uom piosugo)
Morto il figlio conobbe. Onde di polro
Sparso il canuto crine, ambe le inani
Al ciel alzando, al suo corpo accostussi:
Ah mio Aglio, dicendo, ah corno tauto
Fui di vivere ingordo, che soffrissi
Te di me nato, andar por me di morto
A si gran rischio, a tal nemica destra
Succedendo in mia vece? aduuque io salvo
Son per le tue ferite? adunque io vivo
Per la tua morte? 0 miserabil vita.
0 sconsolato essiglio! Or questo è '1 colpo
Ch'ai cor m' egiunto. Ed io,mioflglio,iosouo
1836-851]
502 1/ emide. [181!>-18(
C ho inaccbiato il tuo nume, c' ho souwMjj
l. i tua fortuna e 'ì mio stato felice
Co' demeriti miei. Dal Olio furerò .
8011 dal seggio deposto. Io sou che dobb
Ogni grave supplici» ed ogni molte
A la mia patria, al grand'odio de' miei.]
E pur sou vivo, 0 gli uomiui nini l'ungo?
E non fuggo la luce? Ah fuggirolla
Pur una volta. E, cosi detto, al/.ossi
Su la ferita coscia. E benché tardo
l'er la piaga uo fosso 0 per l' angoscia, ]
Non per questo avvilito, un suo cavallo]
Ch'era quanto diletto e quanta speme j
Avea no l'aruif, e quel che in ogni guo
Salvo mai sciupio e vincilor lo rese,
Addur si fece. E poi elio addolorato
Sol vido avanti, in tal guisa gli disse:
lteho, noi siani fin qui vissuti assai,
Se pur assai di vita ha mortai cosa.
Oggi ù quel di che 0 vincitori il capa
Riporterei]! d'Enea con quello spoglia
Clio « u de 1' ai mi ' del mio figlio iufottS
1 'l'itilo l'edizioni hanno m un. ma ■.tuo lo al
tenta i1coranii'lit<: up!>.irisc<* cli<; ù"* r. i.btf dir*
tonfile. Il lettore giu-lidu «li <\n o<K„r.
vuzìubo. Km*. PamsI'11.1,
[851-803]
' | 1367-1391] libro x. 603
E elio tu dol mio duolo e do la morto
l>i lui veudicator meco sarai;
il i lio meco, so «ano ù'J potar nostro,
, inimi pulimenti' i piotai timi;
i lio la tua fù, crud'io, la tua rintuzza
Sdegnoso ti farà d' esser soggetto
A' mici nemici, o di servire altrui.
Cosi dicendo, il consuoto dorso
Per so modesino il buon Robo gli oflarso,
Ivi ci l'elmo ripreso, il cai cimiero
lira pur di cavallinlli' irta coda,
Savvi, come potè eoinuiodaiueiito.
Vi s'adagiò, Poscia d'acuti strali
Ambe cardie le mani, infra le schiero
I.anciossi. Amor, vergogna, insania o lutto
K dolore e furore e coscienza
Del suo stesso valoro accolti in uno
Gli arsero il coro e gli avvanfparo il volto.
(Jui tre volte a grau voco Enea sfidando
Chiamò; che tosto udillo, o baldanzoso,
Cosi piaccia al gran Padio. gli risposo,,
' Cosi t'inspiri Apollo. Or vieu pur via.
Soggiunse E ratto incontro gli si mosse.
Ed egli: Ab dispietato! a che minacci.
Già che morto ò '1 mio figlio? in ciò potevi
[803-870J
604
L' KKKIbE.
[1302- 1 116]
I ' ìwi i tn mnrtc. Or nò la morto io tcmoj
Nò gli tuoi Dei. Non più spaventi, lo veoj
l>i morir desioso; o questi doni
I i porto in prima. E 'I primo dardo trasgffl
Poi l'altro e l'altro appres»» : e \ i.i t menda
(ili discorrea d'intorno. Ai colpi tutti i
ltesse il -durato scudo. E già tre rolto <
L'an girato il cavallo, e l'altro il luseo I
Avca de' dardi noi suo 'scudo infissi,
Quando il figlio d'Anehisc, impartente
Di tanto iudugin c di sferrar tànt' astò.
Visto '1 suo disy,antaggio, a molte coso*
Andò pensando. Alfiu ili guardia uscito
Addosso gli si spinse, e trasso il tr io,
SI clic do! corridore il teschio infisso
In mozzo do la fronte. Inalherossi
A quel colpo il fcroco, e calci a l'aura
Traondo, scalpitando, e 'I collo o '1 tu
Scotcndo, s'intricò; caddo con l'asta,
Con l'armi, col campione a capo chino.
Tutti in un mucchio. Andar le grida al ci
De' Latini o de' Teucri. E tosto Knoa
Col brando ignudo gli fu sopra e disso:
Or dov'ò quel si fiero e si tremendo
MczeuzioV Ov'ò la sua tanta bravura?
|8T0 898)
[1417-14311 I.1BBO X. 6U<
E '1 Tosco a InK poiché l' afflitto luci
Al ciol rivolse, o seco si ristrinse:
Crudolc. a che m'iusulti? A me di Masino
Non ò ch'io muoia: nòjwr Tinccr, toco ^
Venni a battaglia. Il mio Lauso morendo
Fecon te patto che morissi anch'io.
Solo ti prego (se di groiia alcuna
Son degni i vinti) che '1 mio corpo lasci
Coprir di terra. Io so gli odii immortali
Clio mi portano i uiiii. Dal furor loro
Ti supplico a sottrarmi, e col mio Aglio
Consentir che mi giacela. E. ciò dicendo,
La gola per sè stesso al ferro offerse;
E con nn fiume cho di sanguo sparse
Sopra l'armi versò l'anima o '1 fiato.
[808-908]
500
t »
H-131
DELL' ENEIDE
Li mio Undeoimo.
Tassò la Dotto intanto, e giti dal mare
Sorgea l'Aurora. Enea.quaiituiiquc il tempo,
1/ officio o la pietà più lo stringessi)
A seppellirò i suoi, quantunque offeso
.Da Unto uiorti il cor funesto stesso; . 1
Tosto che 'I sole apparve, il voto sciolga.
De la vittoria. E sovra un picelo] colle
Tronca òVranii una gran quercia eresse:
ilo l'armi la riuvolsc, e de le spoglie
L'adornò di Mezonzin e per trofeo
A te, gran Marte, dedicolla. In ciius
L'elmo vi poso, e 'n su l'olmo il cimiero,
Ancor di polve e d'atro sanguo asperso.
L'aste d'intorno attraversate e rotte
Stavan qua! secchi rami: e'1 1 1 o in meno
Sostenea la corazza elio smagliata
B da dudici colpi eia trafitta.
Dal manco lato gli pendon lo scudo:
Al desti' omero il brando orn attaccato,
11-11]
[20-441 LTBBO Xt. 607
Chc'l fodro arca d'avorio e l'else d'oro.
Indi i sucii duci o le sue gvuti accolta,
l'ho liete gli gridar littoria Intorno,
In rutul guisa i> f irtar ni diede:
Compagni, il più s'è fatto. A quel che resta
Nullu temete. Ecco Mezcnzio-e morto
l'or io mie ninni, e quésta che veduto, *
L'opimo spoglie e le primizie sono
Hel superbo tiranno. Ora a le mura
Ce n'andrem di Latino. Ognuno a l'anni
S'accinga: ognun «'affidi, o si promotta
ilucrra e vittoria. In punto vi mettete-,
Che quando dagli augurii no s'ucreuuu
pi muovor camita, o che mestier ne sia
li'inalberar l'insegno, indugio alcuno
Nuli c'impedisca, o 'I duhiu o la paura
Nuli ci ritardi. Iu questo mezzo a' morii
1 tiara sopnltura, e quel clic lor dovuto
È sol dopo la morte, eterno ouoro.
Itene «dunque, e quoll'animo chiaro
Clic n'ban col proprio sangue e con In vita
Questa patria acquistata o questo impero,
D'ultimi doni ornate. E primamente
Al mesto Evandro il figlio si rimandi.
Che, di vertù maturo o d'anni acerbo,
lH-27]
608 i.'kkkidk. [45-09]
Cimi n'ha morte indegnamente estinto, i
Ciò detto, lagrimnudo il pass? Tolse
Vèr la magione, u'di Fallante il corpo
Dal voccliiorollo Aceto era guardato.
Era costui già del parrasio Evandro
Donzello d'armi: o poscia per compagno
Fu (ma non già con si lieta fortuna)
Dato al suo caro.olunno. Area con lui
D'Arcadi suoi vassalli o di Troiani
Una gran turba. Scapigliate e mesto
Le donne d'Ilio, si com'era usanza,
Gli piangevano iutoruo; o non fu prima
Enea comparso, cho Io strida e i pianti
Si rlnovaro. Il batter de le mani.
Il suon de'petti, e de l'albergo i mugghi
N'andAr fino alle stelle. Ei poi che rido
Il suo corpo disteso, e '1 bianco volto,
E l'aperta ferita elio nel potto
Di man di Turno avea larga o profonda,
Lagrimando proruppe: 0 miserando
Fanciullo, e cho mi vai s'amica e destra
Mi si mostra fortuna? o elio m'ha dato.
So te ni' ha tolto? or cho, vincendo, ho fatto?
Che, regnando, farò, se tu non godi
De la vittoria mia, ni del mio regno?
(38-4-11
[70-94] • m«ho xi. °oa
Ah! non foe'io queste promesso allora
Al buon Evandro, eli' a l'acquisto venni
Ili questo impero. E ben tcim-tto il sngiri".
K ben ne ricordi) clic duro intoppo,
K d'aspra gente. avremmo. E forse ancora
Il meschino or fa voti il preci e doni
Ter la nostra saluto, é vanamente
Vittoria s'impromottc. E noi con rana
Pompagli riportiam iiuosto infclico
Giovine di già morto, .-..li già nulla
l'ili tenuto a' celesti. Abl (consolato
l'udrò! vedrai tu dunque una si cruda
Morte del figlio tuo? Questo ritorno.
Questo trionfo, oimè! d'ambi aspettavi?
E da nio questa fedo? Oh pur, Evandro,
Noi vedrai già di vergognoso plagilo
Ferito il tergo; e nou gli arai tu stesso
(Se con infamia a te vivo tornasse)
A desiar la morto. Ahi quanto manca
Al sossidio d* Italia, e quanto perdi.
Mio figlio lui»: E, posto al pianto fino,
Ordine diè che '1 misenbil corpo
Via si togliesse; e del suo campo tutto
Scelse di millo una pregiata schiera
Che scorta gli faecsso o pompa Intorno,
[15-61]
G10 l' knkid». [!)5 IH
K il' Kv,nnilrn n le lagrime assistesse,
K lo sue gli mostrasse; a tanto lutto
Assni debil conforto, e pur dovuto -«
Al suo misero padre. Altri ni suo corpo,;
Aldi a la baia intoni I nvonn ili qucrcl»/
D' ubato o ili tali nitri agresti rami
Filtro un feretro di virgulti intesto,
K di frondi coperto, ovo altamente
Del giovinetto il delicato busto
Composto si giacca qunl di vtolii.
0 di giacinto un languidetto lloro
Cólto per mnn di vergine, o serbato •
Tra le suo stesso foglio allor che scemo
Non è del tutto il suo natio coloro
Nò la sua forma; c pur da la sui niadro
l'unto di cibo o di vigor ncn ave.
Enea duo prezYoso vesti intanto
L'unii d'6r Uno e l'altra di scarlatto
Addur si foco; nmbo ornamenti e doni
Do la sidonia Dido, e da lei stessa
Con dolco studio o con mirabil arto
Ricamato o distinte. E Cuna indosso
Oli pose, e l' altra in cnpo, ultimo onoro
Con cho dolento la dorata chioma
Allor vclògli, eh' era ndditta al foco.
[62-77]
[ 120- 111) LIBRO XI. 511
Ile lo prede oltre a ciò di I.allrento
(ili Ih gran parte. Fagli In ordinanza
Spiegar l'armi. Ì cavalli e l'altie spoglio
l olle n'niiniei. tili fa glir legati
Con le innndlctio i destinati a morto
Ver onoranza del funereo rogo.
Portai gli fa d'avanti a'duci loro
L'armi ai tronchi sospese, o I nomi scritti
I • -li occisi e dc'vinti. il vecchio Aceto
Clio, si com'era afflitto o d'anni grave,
llli ein appresso coudotto, or con le pugna
Si bnttea 'I petto, ed or con l'ugna il volto
Si lacerava, e tra. la polve o '1 fango
Si volge» tutto. Ivnno I carri aspersi
Del sangue de' Latini, ira Iugulile
K d'ornamenti Ignudo Eto, il piti fido
Suo cavai dn battaglia, che gemendo
In guisa umana e lagriniando nudava.
Seguian le mesto squadro i Teucri, i Toschi
K gli Arcadi, con l'armi e con l' insogno
Kivoltc a terra. Or poi ch'oltrepassata
Con quest'ordine fu la pompa tutti,
Knea fermossi, e verso il morto amico
Ad alta voce sospirando disse :
Noi quinci ad altre lagrimo chiamali
[78-90]
M3 l'kskidk. Lllr'-'W1'
Dnl medesimo fato, nitro battaglio
Imprenderemo. E tu, muglio I'nllunto,
Vnttoiio in paco. « con «torni» (fiorili
Godi eterno riposo. Indi pai tondo •
Yèr l'ulto mura, al campo si ritrasse
Frati nel campo,già co' rami nvnnti
Ti pacifera oliva ambasciadori
■Po la città latina a lui Tenuti,
Che tregua a' vivi e sepoltura a' morti I
Fregando, gli mostrar elio più co' vinti d
Ne co' morti è contrasto,' e che Latino I
(ìli era d'ospizio ainn-o, e e lui chiamalo i
L'avoa genero in pi ima. Il buon Troiano
A lo giusto preghiere, ai lor quesiti.
Che di grazia orati degni, inrontincnto 1
(ìrnziJso niostrossi; o da vantaggio
Cosi lor disse: K qu&l indegna sorto
Contra ino, mici Latini, in tanta guerr» A
C'osi v'intrica? Chi pur vostro amico
Son qui venuto; nò venuto ancora
Vi sarei, se da' fati o dagli Dei
Mandato io non vi fossi. K non pur pace,
Sicconio voi chiedeto, io vi concedo
Per color elio sdii morti, ma co' vivi
Ve l'offro, e la vi chiuggo. E la mia guerra
196-111]
[ 1 70-194 J Linno xi. 513
Non è con toì: ma '1 rostro re .s'è tolto
Da l'Amicizia mia; s'è confidato
riiì no l'armi di Turno, e Turno ancora
V. irlio e pili giustamente in ciò farebbe,
S'a questi guerra sol con suo periglio
Ponesse fine. E poiohò.81 disposo
])i cacciarmi d' Italia, il suo dovero
Fora stato elio meco, e con quest'anni
liiftlnita l'avessi'. K saria risso
Cui la sua propria destre e Piò concesso
riii vita avesse: e f rostri cittadini
Kon sarian morti. Or poiché morti sono,
lo mo ne dolgo, o voi gli seppellite.
Bcstaro al dir d' Knea stupidi o cheti
I latini oratori, o l'un con l' nitro
Pi guardarono in rollo. Indi II più vecchio,
Drance nomato, a cui Turno fu sempre
Por sua natura e per sua colpa in ira.
Rotto il silenzio in tal guisa rispose:
0 di fama o più d'armo occolso o giando
Troiano eroe, qual mai fin nostra lode
Cho'l tuo gran morto agguagli? odi che prima
Ti loderemo? ch'io non veggio qunlo
In to maggior si mostri, o la giustiziai
0 la gloria de l'armi. A questa tanta
C'aro. — 33. II 12-127 1
511 L'K>riPK. |tor,-21^
Grazia, che tn ne l'ai, grati saromo:
Rapporto no faremo; o a' al consiglio
Nostro è fortuna amica, amico ancor» |
Ti (la Latino. E cerchiai d'altronde
Turno altra legai A noi co' sassi in collo
Gioverà di trovarne a fondar vosco
Questa vostra fatai novella Troia.
Poi che Drancc ebbe detto, ni detti suol
Tutti gli altii fremendo acconsentirò,
E por dodici di commercio o pace •
Fu tra l'un oste e l'altro. E senza offesa
Entrambi si inisehinro. o por gli monti
E por lo solvo a lor diletto andaro.
Allor Bonaro accétte o strider carri
Per tutto udissi. In ogni parto a terra
Ne giro i corri o gli orni o gli alti pini
E gli odorati codri al funebre nso
Svolti, squarciati e tronchi. E già la fi
Cho di Pallanto a l'nllantéo volata
Dicoa pria lo suo prove, e vincitore
L'avoa gridato, or d'ogni parte grida
Che morto si riportn. In ciò cnmmoasa
La città tutta, in vedovile aspetto
Di funeste facollo, o d'atri patini
Si vide piena: o vèr lo porto ognuno
[127-H2J
[220-244) urrn ri 515 '
Gli uscirò incontro. Si vodoa di lumi
£ di genti min fila che le strade
K i campi in lunga pompa attraversava.
I Frigi e gli altri col tot corpo intanto
Piangendo ne renian da l'altra parto,
K con pianto incontrarsi. Indr rivolti
Tutti vèr la città, non pria fnr giunti,
Che di pinnti di donne o d'ululati
Kisouar d' ognintorno il cielo udissi. '
Nò forza, nò consiglio, nò decoro
Fu eh' F.vandrò tciwsso. Usci nel mozzo
Ili tutta gente: e la funerea bara
Fermando, addosso ni figlio in abbandono
Si gittò, l'abbracciò, stretto lo tenne
Lunga finta, e da l'angoscia oppresso
l'ria lagrimando, o sospirando, tacque.
Poscia la strada al gran dolore aporta
Cosi proruppe: 0 mio Pattante, o queste
Fur lo promesso tuo. quando partendo
II tuo padre lasciasti? in questa guisa
I)' esser guardingo e cauto mi dicesti
Ne'pcrigli di Mal to? Ah! ben sapeva,
Ben sapov'io quanto no l'anni primo
Fosse, in cor generoso, ardento e dolco
Il desio de In gloria e de l'onore.
[142 155]
510 L* FfCKIDE. l-l">*9flH
Primizie infauste, infausti fondamenti *
Do la tua gioventù! Vano pregliinro,
Voti mici non accetti o non intesi '^t
Da nlun di*! Santissima consorte,
Che mnrondo fuggisti un dolor tale,
Quanto soi tu di tua morte felice!
Quanto infelice e misero son io,
Clio vecchio e padre al mio diletto figlio 4
Sopravivendo, i miei fati o i miei giorni!
Prolungo a mio torni. •ut .: A h foss'in stt.Rg0
Uscito co' Troiani a quosta guerra!
Ch'Io sarei morto: e questa p'impa avrclibt
Me tosi riportato, o non Fallante,
Nè per quosto di voi, riè do la lega,
Nò do l'ospizio vostro io mi ratnmarco, '
Troiani amici. Kra a la mia vecchiezza
Questa sorte dovuta. E so dovoa
Cador mio figlio, porche tanta strago
Io vedossi do' Volsci, e perchè Lazio
Fosse a' Teucri soggetto, in pace io soffro
Cho sia caduto. E più compito onoro
Non arosti da me, Pallante mio,
Di questo cho '1 pietoso o magno Enea
E i suoi magni Troiani e i Toschi duci
E tutto insiemo le toscane genti
[1SC-171J
[270-294] libro xi. DI 7
T liftii procuralo. Con hi gran trofei
Del tuo ralor si chiara mostra limi fatto,
E do' vinti da te. Nò fura mono
Tra questi il tuo gran tfWco, s*a to fosso,
Turno, stato d'età inni il mio figlio,
i par do la porsona c de le forzo
Che ne dan gli anni. Ma elio più trattengo
Quest'armi a'Teucri? Andate, eda mia parto
Hiferitc ad Enea, che quel ch'io vivo
llopo Fallante, è sol pcrchò l'invitta
Sua destra, corno vede, al figlio mio
Kd a me devo Turno. E questo solo
(ili manca por colmar la sua fortuna a
KM suo gran morto; chè por mio contento
Noi curo; e contentezza altra non deggio
Speraro io più, che di portare io stesso
Questa novella di l'aliante a l'ombra.
Avea l'Aurora col suo lumo intanto
Il giorno e l' opre o lo faticlio lodarne
Iticoiidotto a' mortali. 11 padro Enea
K'I buon l'arconte, ambi, in su '1 curro lito
I cadavori addotti, a' suoi ciascuno,
Com'era l'uso, un'alta pira eresse.
La compose o l'inceso. E mcntro il foco
Di fumo o di caligine coverto
1171-1S7J
613 l'k.vkiuf. [205-8|
ToWa l'atro Intorno, in ordinanza
Tre volte, armati, n piò la circondaro, •
E tre volte a cavallo, in mesta guisa
Ululando, piangendo, e l'anni c'I snolo i
Di lagrime spargendo. IuAuo al ciclo
Ponctrur de lo genti e de le tubo
I dolorosi accenti. Altri gridando'
Le pire intorno, elmi, corazze e dardi
K bon guarnito spndu e freni o ruote '
Avvontaron nel foco, e de'nomict
Armi d'ogni maniera, arnesi o spoglio; i
Altri i lor propri doni, e degli occisi
Medesmi vi gittir l'aste infelici,
E gl'infelici scudi, ond'essi invano
S'cran difesi. A lo cataste intorno
Molti gran buoi, molti sctosi porci.
Molte Tur pecorelle occisc od arso.
A si mosto spettacolo in sul lito
Stavan nitri piangendo, altri osservando
Ciascuno i suoi più cari, infili clio'l foco'
Gli consumasse. K questi l'ossa, e quelli'
Le ceneri accogliendo, il giorno tutto '
In si pietoso officio trapassala:
Nò se no tolscr finché, speutl i fochi,
Non s'nccoscr lo stelle. In altra parte
[187-203J
[390-3441 libuo xi. 619
j I miseri Latini r! corpi loro
Fcr catasto infinito. Altri sotterra
No seppellirò; altri a le villo intorno,
I Kd altri a la città ne trasportalo.
| K quei clic senza mimerò confusi
lliacean nel campo, senza onoro a mucchi
Furoo combusti: onde! villaggi insieme
E le campagne di funesti incendi
I.ucean per tutto. E tre luci o tro notti
Durar gli afflitti amici e i dolorosi
Farouti a ricercarle tiepid'ossa,
E no l'urne riporlo e ne'sopolcri.
Ma la confusione e '1 pianto e °1 duolo
Eran ne la città per la piti poli te.
E ne la reggia al re Latino avanti.
Qui le madri, le nuore, le sorello
E i miseri pupilli, che de' padri,
Ite"! do'mariti e de' fratelli
Erano in questa guerra orbi rimasi,
La guerra abominavano e le nozzo
Dotcstavan di Turno. Ei da sò stesso,
piccndo, oi che d'Italia al regno aspira,
E le grandezze e i primi onori agogna.
Con l'armi o col suo sangue le s'acquisti,
E uon col uostro. In ciò Dranco aggravando
[203-220J
620 r/r .i inn. 309J
Yio*più lo cote, comò a Turno infesto, |
Attcstando dicoa elio sol con Turuo
Volta briga il Troiano, e che sol esso ' .
Kra a pugna con lui corco o chiamato, j
Altri d'altro parere, altre ragioni
Dicoau pur Turno: e '1 gran nome il'Auiat»
E '1 suo favore o di lui stesso il merto
Con la fuma du'suoi tanti trofei
Sostenean la sua causa. Ivi ecco, intanto
Che cosi si tumultua y si traraglia.
Mosti sopravvenir gì' iniuasciadori
Ch'in Arpi a DToiuodo nvenu inaudati;
E riportar, elio lo fatiche o i passi
Avcan perduti; che nò dono alcuno,
Nò promesse, nò proci, uè ragioni
Furon bastauti ad impetrar soccorso
Nò da lui nò da' suoi. Ch'era d'altronde
Di mestiero a' Latini arerò al tr' armi,
0 trattar co' nemici accordo o paco.
Gran cordoglio sontiuue. e gì an ruminare»
Ne fuco il re Latino. E bon conobbe
Che manifestamente Enea da' fati
Era portato; e via più manifesta
Si vodea degli Dei l' ira duranti
In tanta cho du'suoi negli occhi area
[220-233J
[870-394] libro xi. 521
Strage recente. li gran consiglio adunque,
E de' suoi primi, no la regia corte
Cliinniar si fece. In un momento pieno
Ne Pur le stradet odi già tutti ae
Ne la graq sala, il re. di grado e d'anni
Il primo, a tutti in mozzo, in non sereno
S minante comandò che primamente
1 Legati elio d'Alpi cran tornati,
KoSscro uditi; ed a lor Tòlto disse:
Esponotc per ordino il seguito
De la vostra imhrfSciata. e la risposta
Che ritratta n'avete. A tal precetto
Tacquero tutti ; e Vènolo sorgendo.
Cosi pria cominciò: Noi dopo molti
Superati pericoli e fatiche,
Kgrcgl cittadini, al campo argivo
Ne la Puglia arrivammo; e Dlumode
Vedemmo allluo; e quell'invitta destra
Toccammo, ond' è '1 grand' Ilio arso e disti ulto.
In lapigia il trovammo a le radici
Del gran monto Gargino, evo fondava,
Già vincitore Argiripa, nna terra
Che dal patrio Argirippo ha nominata.
Intromessi che fummo, il presentammo;
UH esponemmo la patria, il uomo e °1 fatto
[230-2001
E29 l'Asioe. [aOÓ-IU
Do la nostra imbasciata, o In cagiono
Ondo n lui venimmo. Il tutto udito.
Cosi benignamente ne rispose:
0 fortunate genti, o di Saturno
Felice regno, "o ligli antichi Ausoni
Famosa torra! Eguale iniqua sol te
Da la vostra quieto or vi sotti appo?
Qual consiglio, qual forza vi costringo
Di nemicarvi e guerreggiar con gcnto
Che non v'è nota? Noi quanti gi i fumino
Col ferro a violar di Troia i campi
(Non parlo degli strazi e do le stragi
Di quei che vi rimasero, che pieni
Ne sono i fossi o i fiumi; ma quanti anco
N'uscimmo con la vita), in ugni parto
Siam poi giti del mondo tapinando,
Con nefandi supplici!, e con atroci
Morti pagando il fio, comò d'un gravo
E scolorato eccesso. E non ch'altrui,
Frtauio stesso a pietà mosso nvrebbo
11 fiero, che di noi s'è fatto, scempio.
Di l'alia il sa la sfortunata stella;
Sullo il vendicato!- Cafàroo monto
E gli EuboTci scogli: il san di Pròteo
Le lougiuqiiG colonne, insiuo a dove,
lliOU-liGiJI
(420-444] lidbo xi. 52»
Dopo quelli» Milizia, nudò ramingo
L'uu do'figli d'Atrco. UJEtiin i ciclopi
No vide l'Iisso. Il suo rogno a' suoi sorvl
Ne Inscio l'ino. IdouMoèo cacciato
Ne fu dal patrio seggio. Esso ro stesso,
Condctticr degli Aigjvi, il piede a pona
Nel suo regno ripose, clic del luglio.
Ilei letto e do la vita anco privato
Fu da la scclcratn sua consorte.
Nò gli giovò che doma l'Asia e spento
L'uno nduftero n°vesse;dic de l'altro '
Scherno e preda" rimase. A ine l' invidia
Ila degli Ilei depili veder disdetto
min bella cittì di Calidónn,
K la mia cara e deaiata donna.
Né di ciò sazi, orribili spaventi
Mi danno ancora» E pur dianzi in augelli
Convorsi i mici compagni (o miseranda
I.ur pena !) van per l'aura e per gli scogli
Ili lagninosi acconti il ciolo empiendo.
Questi sono i prufitti e lo speranzo
Ch'io (In qui ne ritraggo, da che, follo.'
Stringer contro a' colesti il forro osai,
E che di Citcrèa la destra offesi.
Ur ch'io di nuovo mia tal ]>ugim imprenda
[2G2-278]
524 l' ksf.ii)!!. [443-469]
Testò con voi? no, no. ch'io «'Troiani, ■
Dopo Troia espugnata, altra capono
.Non ho <li guerra; e de' passati mali ■
Yolontior mi dimentico, o dolor»
Ancor no sento. E. quanto a' doni, andate,
Biportatuli vosco, e '1 magno Knea
No presentate. E solo a me credeto
Ilei valor suo, che fui con esso a fronte
Con l'armi in mano; e so di scudo e d'asta
Qnal mi rese buon conto, e quanto vaglili.
Se duo tali altri avoa la tona Idèa,
D' Ida fura piuttosto ita la gente
Ai danni do la Grecia; o '1 trojan fato
l'iangcrebb'olla. Enea sol con Ettoi ro
Fu la cagion che tanto s'indugiasse
La ruiua'di Troia, e che dioce anni
Durammo n conquistarla. Ambedue questi
Eran di cor. di forze o d'armo uguali,
Ma bon fu di pietato Enea maggioro.
10 vi consiglio che. comunque sia.
Lega seco, amicizia e paco aggiatc,
E l'incontro fuggiate e l'armi sue.
Questa ò la sua risposta; o quinci avete,
Ottimo ro, qual sia di questa guerra
11 suo parere o '1 nostro.- A pena uditi
1278-206]
[170-401] libro xt. 62
Furo i Legati, cho bisbiglio e fremito
Infra i turbati Ausoni udissi, in guisa
Cho di rapido fiume no chiuso gorgo
Mormora allor cho ita gii opposti snssi
S'apro la strada, e gorgogliando cado,
E frango e rugghia.* lo ricino ripo
No risonan d' intorno. Or poiché un poco
Busto 'I tumulto, e gli animi acquetarsi.
Oli Dei prima invocando, un'altra volta
11 ro da l'alto seggio a dir ripreso:
Latini miei, lo*m io parerò o 'I meglio'
Sarebbe stato, cho d'un tanto affare
Si fosse prima^consultato, o furino ,
11 nostro avviso; e non chinraar consiglio,
Quando il nimico in su lo porte nvemo.
Una importuna o perigliosa guerra
S'ò, cittadini, impresa, c per nimica
Tolta una gcnto, che dal ciel discesa,
Da'celesti e da'fati è qui mandata;
Feroce, insuperabile, indofessa.
Ne l'armi invitta, cho ni vinta ancora
Cessa dal ferro. So speranza alcuna
Negli esterni soccorsi e ne l'aita
Aveste degli Etòli, ora del tutto
La deponete; e sia spomc a sé stussu
[290-3001
52C - • iAnkidr. [495-519]
Ciascun por so. Ma noi por noi, elio spciua
E olio possanza avemo? Ecco davanti
Agli occhi Tostri, o fra lo vostro ninni
Vedoto la strettezza e la mina
In che noi siamo. Nò poro ne 'ncolpo
Alcun di voi. Tutto *1 valor s'ò mostro
Clio mostrar si poto»: con tutto '1 corpo,
E con quanto ha di forza il nostro regno
S'è combattuto. Or quale in tanto dubbio
Sia la mia mente, udito. È nel mio stato
Vicino al Tebro un territorio antico,
Che in ȏr l'occaso per Innghozzn attini
Fin dove de'Sicani era il condilo.
Dagli lìutuli è cólto o dagli Aiiruno.i,
Che i duri colli e i più deserti paschi
No tengon dal' un cauto: aquosto aggiungo
Quella piaggia di pini e quella costa
Do la montagna; o tutto è mio disegno
Che si ceda a'Troiani e eh' amicizia.
Accordo o patti o lega e leggi eguali
Abbialo, con ossi: o qui..s'a qui formarsi
Sono o da'fati o dal dosiro indotti,
Fcrminsi; o i loro alberghi e le lur mura
Fondino a lor diletto. E s' altra parto
Cercano ed altro genti (so pur putiuo
L80'J-3!!ó]
[520-544] LiBiio u. 627
Torni da noi) quando di vonti navi,
0 di più sovvenir no gli bisogni,
Su In stessa marina «^parecchia:*
È la materia. Essi do'legtii il modo
E 'I numero diranno; e noi le selve.
La maestranza, i leu-amenti 0 tutto
Clio fla lor di mostiero appresteremo.
Con questa offerta io mauderoi do' primi
Ile la nostra città cento oratori
Co' rami de la pace, col mandato
Pi contrattarla, to' prosenti npprosso
II' avorio e d'oro e col seggio e col manto
Poi nostro rogno. Consultate or voi,
Ed a l'afflitto e mal condotte coso
P' aita provvedete e di soccorso.
SurseallorPraucc, quoi clic già s'è dette
Avversario di Turno. Era costui
Pel regno do' Latini un do' più ricebi
E de' più riputati cittadini:
pi fazlon, di sóg-ittto o di lingua
Possento assai ; no lo cousulto avuto
Pi quakho stima: noi mestier do l'anni
Codardo, anzi che no. La sua chiarezza
E'1 suo fasto volila da la sua invile
Ch'era d'alto lognaggio. il padre a pana
[325-8411
623 . 'i.'kneiok. ' |.VI5 WM
Eni noto a In sronti. Or qoosto infesto
A la gloria di Turno, asperso il coro
D'amarezza e d'invidia, in questa guisa
Il sbo fatto aggravando, o l' ire altrui
Irritando, parlò: Chiaro, cvidoute
£ necessario, ottimo re, n'ò tanto
Quel clic tu ne consigli, elio bisogno
I>' altro non ha che di coinniuue assenso.
Ognun vede, ognun sa quel che convieno I
In s) dura fortuna; o nullo ardisce
Tur d'aprir bocca. Libertato almeno
Di parlar no si dia. Scemi una volta
Tanta sua tracotanza e tanto orgoglio
Chi coi suoi male avventurosi auspici.
Co' sinistri suoi modi (lo pur dirollo.
Benché d'armi c di morto mi minacci)
N'Ita qui coudotti, o per cui tanti duci.
Tanta gonto è perita, c tutta in pianto
Questa cittade e questo regno ò vòlto;
Mentre no la sua furia, o ne la fuga
Confidando piuttosto, il troian campo
Ila d'assalirò osato, o fin nel Ciclo
l'osto ha con l' armi suo tómao scompigli
Solo un dono, signor, fra tanti doni
diesi inaudauo a' Teucri. un sol n'aggiung
I311-3ÒI1
|570-594) libro xi. 529
Nò consentir che violoni» altrui
Tel proibisca. Da', buon padre, ancora
Quiìsta tna fl(rlla a genoro si degno,
K con si degno maritaggio eterna
TVqiioata pace. E se 'I terrore è tanto
Clio s'ha di lui, da lai stesso impelliamo
dazia e licenza che la patria sua,
t'ho '1 suo ro prevaler si possa almeno
]>cl suo sangue a suo modo. E tu cagione,
Tu di t.mta mina autore e capo,
A che pur tanto volte «tanti strazi,
A tanti rischi, a manifesta morte
Questi tuoi mcgchinolli cittadini
Esponi indarno? o qual ò ne la guerra
Più salute o speranza? A t« noi tutti
Tace, Turno, chicdoinn, o do la paco
()uol ch'è sol ferino o 'nrTolabil peguo.
Ed lo prima di tutti, io cui tu fìngi
Clic nimico ti sia (nò tal mi curo
Che tu mi tenga) a supplicar ti vegno
l'inilemente. Abbi pioti do'tnoi;
Pon gin la stizza; e poi che soi cacciato,
Vattene. Assai di strago, assai di morti
S'è visto: assai ne son le genti afflitto
Vedovi i tetti o desolati i campi ;
Caiio. — 31. [35Ì-3G7]
530
l' kxkiuk.
[595^619J
Un so l'onor ti muore, o so concepì
Si te tanto io to stesso, e tanto agogni
0 la donna o In dote, a che non osi
Contra a chi to ne priva V A Turno adunquo
Kcgno col nostro sangue e regia moglie
Procureremo: e noi vili almo, e tuiba
Non sepolta e non pianta, a' ca'ni in preda I
Giaceremo in su' campi? Or tu, tu stesso.
Se tautq hai d'ardimento o di valoro *
J»»l paterno legnaggio, a lui rispondi,
A lui ti Tolgi, che ti sfida e chiami.
Turno ch'impetuoso o vlolonto
Kra da sè, questo parlare udito,
Alto un gemito trasse, e d'ira acceso
Cosi proruppe: Usanza tua fu sempre.
Dranco, allor che di inani ò più bisogno, {
Oprar la lingua; essere in corto il pi imo, I
L'ultimo in campo. Ma non più paiolo
In questo loco, che già pieno troppo
No l'hai; pur troppo grandi e troppo gonfi»
L'avventi, o senza rischio or ch'i nemici
Son lungo, o buono fosso o buono amia
Ci sou di mezzo, e non c'inonda il saligno.
Apri qui bocca al solito, e riutuuna
Con la facondia tua. Tu, che sui branco,
[303-333]
|620-644] unno IL 53t
Me, che «on Turno, imbelle e vile Appalla;
Tu la cui diami sanguiuosa dcatra
Pioni i campi di motti, e pieni I colli
H i di trofei. Ma cho non prunri ancora
Questa tua gran virtù? Forse ch'avemo
A cercar do' nemici ? Beco d' intorno
Ci sono.o'nsulc porte. Androni lor contra?
Che badi? ov'ò la tua tanta prodezza?
Sempre è nel Tonto, sempre 6 no la fuga
Po la lingua. ode' piò? tu mi rinfacci
Ch'io sia cacciato? tu, vituperoso.
Ili dirlo osasti? o chi mcritamonto
Sarà cho'l dica J Oh! non s'è visto il Tebro
Fatto gonfio da me del frigio sangue?.
Non s'ò vista la casa e'I seme tutto
Spento d'Evandro, e gli Arcadi spagliati
D' armi o di vita? lo non fui già da Panda ro
Cacciato, nù da Bigia, nò da millo
Clio in un di vincitore a morte io diedi,
Circondato da loro o cinto e chiuso
Da le lor mura. Nulla 6 ne la guerra
I'iù salute o spcrauza: al teucro duco,
A to, follo, al tuo capo, a lo tue coso
Fa' «iiiesto annunzio. K non tutti, in s. squadri
Por con tanta'paura, e tanta stima
L384-401J
682 ' i/eneii)*. [64.1-<ì<j9]
Cho fai do la prodezza o do lo forzo
K'una ponto elio già duo volte ò Tinta;
E non tanto avvilir da l'altro canto
L'armi dol ro Latino. Ai Mirmidóni
Son ora, al gran Diomedcal grande Achille
I Teucrp formidabili e trctnoinii;
K dal mar se ne torna per paura
L' Xufido indiotro. E forse elio non fingo
Temer di me, perdio il mio fallo aggravi?
Malvagia astuzia! Ma non più por nulla
Vo'che ne tema. Un'anima si vile
Non ti torri la mia dostra gin mal.
Stiosi pur teco, e noi tuo putto alloggi,
Di lui ben degno albergo. Or a to vegno,
Gran padre, e 'I tuo parer discorro, e dico:
Se tu più non t'affidi, e più non erodi '
No l'armi tuo; s'abbandonati affatto
Siam d'ogni parte; se una volta rotti,
Siam por sompro perduti; o so fortuna,
Variando lo veci, unqua non cangia.
Signor, paco imploriamo: o l'armi in terra
Gittando, a giunto mani nccordo o venia
Impetriam dai nomici. Ancorché, quando
Ohi del nostro valor punto in noi fosse,
Sopra tutti felico, riposato,
[•102-41GJ
|6iO-69-IJ nano xi. u33
E glorioso spirito starebbe
Chi, por ciò non veder, morto si fosse.
Ma se lo nnstre Coen ancor som vciJi,
La nostra giovontù «onda, intatta.
Disposta e pronta a l'armi,; e por sossidio
I popoli d'Italia e le cittadi
Son con noi tutte; e s'a'nomici ancora
Sanguinosa, dannosa e poco Mota
K quosta gloria; ed han de' morii anch'ossi
La parte loro; eja temposta è pari
D'ambo le parli* a che nel primo intoppo
Con tanto scorno, a noi stessi mancando,
dittamo a torja? a elio tremare aranti
Che la tromba si senta? A la giornata
II tompo stesso, il variar do' casi. «
L'industria, le vicondo, il moto o'I giuoco
I'otria de la fortuna in molto guiso.
Come suol l'altro cose, ancor lo nostro.
Cangiando, risarcire, e porro in saldo.
Non avrem Dtoincdo in nostro aiuto;
Avrom Messàpo; avremo il fortunato
Tolunnio; avrom taut' altri incliti duci
Di taut'nltre città. Né di men gloria,
Nò di minor vortù saranno i nostri
Pi Lauronto o ditLazio. Avrem Camilla,
1-U7-432J
534 * L'rxFtn*. [695-719]
La gran volse» virago, elio n'addusso
Hi cavalieri c Hi caterve armato
SI bella gente. E se nio solo appella
Il nemico a battaglia, e se v'aggrada
Ohe sol lo gli risponda ed io sol osto
Al boli conimiino, io solamente assumo
Sopra ine qufcsta improsa. E già non credo
Che le mio man si la vittoria abborra,
Che per tanta, ch'io n'aggia.o speme e gioia
Accettar non la foggia. Andrógli incoutro
Con l'animo, se Costo anco maggiore
Dtì*agnoAchille,ocomcAchiIlc, anch' egli '
L'armi di Mongibello indosso avesse.
Io Turno, io die unii punto a iiu.il si fosse 1
Mai degli antichi di valor non cedo,
Questa mia vita stessa a voi. Latini,
Ed a Latin mio suocero consacro
Solennemente. Enea me solo invito.
L'accetto, il bramo e '1 prego, anzi che Drance,
S'irà ■ questa di Dio, con la sua morto
La purghi, o che la gloria me ne tolga,
S'ò pur gloria e vertute. Th cotal guisa
Consultando i Latini, avean tra loro
Dispareri o tenzoni. Usciti a campo
Erano i Teucri intanto. Ed ecco un mosso
[488-M7J
[720-744] libro XI. 6J5
Venir volando, che la reggi» tutta
E tutta la città pose in tumulto.
Annunziando che dal tosco Dumo
Già mosso de'Troiaui edo'Tirroni
50 ne venia l'esscrcito iu battaglia
In vèr Laurento; e cjiodi gènti o d'armi
51 vedean piene le campagne e i colli.
Gli animi iiicontinonte si t in baro;
Sgomentosscno il volgo; al valorosi
S'acccsor l' ire. Trepidando ognuno
Piscorrea per le strado; armo freiuea
La gioveutù; dolenti e lagninosi
1 padri discordando, e chi per Turno
Sentendo e chi por Pratico, avenn tra loro
Vari bisbigli. K tutto il corpo insieme
Facoa de la città tale un trambusto,
E tal no l'aura unitamente un suono,
Qiial e so spaventata esco d' un bosco
Torma di rochi augelli, o qnal talora
Da le pÌ8Cosc rive di Padusa
Vati per gli stagni schiamazzandoaachlerc
Turbati i cigni. In tale occasiona
Gridava Turno: Or questo è.Padri. il tempo
Pi sedere a consiglio: or consigliato
Agiatamente: aggiatc sopra tutto
|447-4GO|
636 " L'untivi. [745-76
Cui .1 a In pace or eli' i nemici armati
Ne san gii «sopra. K. cosi detto aliena.
Saltò fior do la reggia: e vòlto a torno.
Arma, disse, tu, Vòluso, i tuoi Volaci,
E tu. Mcssàpo. i ruttili cavalli.
Tu, Catilln. e tu, Cora, uscite a campo:
Va'tu con la tua gonto a la muraglia
Incontinente; e tu dispensa i tuoi
Fra le porte e le torri. Ite voi meco.
Clic rimanete; e ciascuno armi i suoi. •
Per tutta la città si va scorrendo
A le mura. A l'insegne, ai capitani
Ognun s'adduco. I pulii irresoluti
Se n'escon dal consiglio. Il re turbato
Si ritira, e si pente che non aggia
Per sì, senza consulta, il frigio duco
Per amico o per genero accettato.
Dansi tutti a munirò, a cavar fosse,
Tutti a somministrar chi saasi e travi,
E chi dardi e chi strali. E già la roca
Tromba no va per la città squillando
De la battaglia il sanguinoso accento.
Le matrone, i fanciulli, i vecchi, ognuno
D'ogni età. d'ogni sesso e d'ogni grado
A l'ultimo periglio, al gran bisogno
1-100-470]
[770-794J treno et 537
Corrono a la muragli». E d'altra parto
Dn gran corteo di donne accompagnata
Con doni o proci di Minerva al tempio
Va la regina, ed ha Lavinia «eco.
La vergine sua flglia. ondo Tenuta
Era tauta mina: e di ciò mesta,
Torta i begli occhi lagrimosi e chini.
Seguon lo madri o d'odorati inconsi
Vaporando il dolnbro. in liehjl toco
Piegano in su la soglia: Armipotente
Tritonia, tu cho pifbi, la possa e l'armi
Frangi al frigio ladrone, o di tua mano
Anciso in su la porta no lo stendi.
Ksso re Turno Sa la furia spinto
Ricorre a l'anni; e di squamoso acciaio
E d'or già tutto orribile o splendente.
Cinto di brando, e sol del capo ignudo
Lieto mostrossi, e di speranza altiero
IH vedero il nemico. E'n nuolla guisa
Ha la ròcca sceudoa che da'presepi
Sciolto destriero esce ruzzando in campo,
0 ch'amor di giumente, o elio Tagliuzza
Di Tordc prato, o pur dosio lo tragga
Del noto fiume; cho sbuffando fremo,
E riughia o drizza il colloosuuassa il crino,
[476-4»7J
638 * l' marni. ["05 -811
A l'uscir da In porta ecco davanti
(ili sfrfa co'suoi volaci cavalieri
La volgine Camilla; e si com'era
'Non moli gentil elio valorosa e bolla,
Tosto che l'incontiò, con tutti i suoi
Disniontò da cavallo, e vèr lui disso:
Turno, so degnamente uom forte ardisca,
10 mi rincoro, e ti prometto io sola
Di gire ai cn valici- toscani incontro. •
Lascia me col mio stuolo assalir pi ima
La troiana osto, e elio primiera io tragga,
Di questa pugna o do'suoi rischi un saggi'
E tu qui co'pcdoui a piò rimanti
A guardia de la terra. A tal proposta
Turno no la terribile virago
011 occhi fissando: 0 de l'Italia, disso,
Ornamento e sostegno, o di che lode,
E di elio premio al tuo gran inerto egu "
Ristorar ti poss'io? Ma (poiché cosa
Non è cho la pareggi) abbi, famosa
Guorrioia, in grado ch'io con to rompar
Questa fatica. Enea, corno dal grido
Avcmoo da lo spie Un qui ritratto.
Spinte ha lo schiere do' cavalli avanti
Per batter la campagna: ed egli altronde
[198-5131
[820-844] libro XL 530
Presa In via del monto, por olpestro
Sentiero a 1» città di sopra ul gi.>p>
Yicn con l'altre sue genti. 11 mio disegno
K fargli agguato, e collotaarnii appresilo
La 'vo sopra la foce 11 doppio busco
IKil curvo monte ambeje strado acciglio.
Tu. laùnati i tuoi con gli altri tutti
Nostri cavalli, i suoi r.cl piano ansagli
A spiegate bandiere. Il fior Mcssàpo
Saia con te: saranvi de' Latini,
Vi saran di Corico 1) di Catillo
Lo squadro tutto; e tu con essi il carco
l'rendi di comandarle. Indi cssortamlo
l'arimonte Mcssàpo e gli altri duci
A la lor fazlono, egli a la sua
Tostamente si volse fe tra due branche
Ilei monto una vallea elio d'ambi i lati
Ila folto selve, o luoghi occulti e chiusi,
A l'insidio de l'armi acconimndati.
Ila no l'imo una semita per mezzo
Angusta, malagevole o scontorta
Clio d'ogn' intorno ò da lo ripe offesa.
In cima in su l'uscita ò tra le solvo
Ascosa una pianura, con ridotti
Acconci a ritirarsi, ed opportuni
|M8-527|
540 - I.' KKEIPK. I' 15-869]
A spingerai o (Ini destro o dal sinistro
Lato, elio si rincontri o che s'aspottl
^Nemica gente, o pur che di gran sassi
Si tempesti di sopra, A questo loco,
Di cui ben ora pratico, in agguato
Turno si poso, c i suoi nimici atteso.
DYnnn intanto timorosa, c mesta
Favellando con Orti, una del coro
De lo suo ninfe, in tal guisa lo disse: !
Vedi a che perigliosa e mortai guorm
A morir se no va la mia Camilla,
No lo nostr'arini ammaestrata invano.
E pur ui'ò cara, o sovr'ogui altra io l'a
Nò questo e nuovo o repentino amore.
Fin da lo fosco è mia. Mètabo, il padre
Di lei, fu por invidia e per soverchia
Potenza da Privenio, antica terra.
Da' suoi stessi cacciato: e da l'insulto,
Clio gli foce il suo popolo, fuggendo.
Nel suo misero essigli» chi"' in compagna
Questa sola bambina, che mutato
Di Casmilla sua madre il nome in parto, '
Fu Camilla nomata. Andava il padre
Con ossa in braccio por gli monti erraudo
E per lo solve, o do' nemici Volaci
[528-5161
[870-8011 muro xi. M1
Sempre d'Intorno «re» l'insidie e l'armi.
Ecco nn giorno assalito eon I» caccia
Pietro, fuggendo, a l'Auiasènn arriva,
l'.-r pioggia quento fiume ern cresciuto,
K rapido spumando, infìtto ni sommo
Se no già dello ripe ondoso o gonflo;
Tal che, per tóma de l' amato poso,
Non s'arrischiando di passarlo a nuoto,
Fcrmossi: c poi che a tutto ebbe pensato,
Con un subito arriso entro una scorza
Iti selvatico stiverò rinchiuso
J,a pargoletta figlia. E poscia in mozzo
li' un eoo nodoso, jnarsìcciato e sodo
Télo, ch'avea por avventura in mano,
l.egolla acconciamente; e l'asta e lei
Con In sua destra poderosa in alto
Librando, a l'aura si rivolse, e disse:
Alma Latonia virgo, abitatrice
T>c le selve e de'mouti. io padre stesso
Questa mia sfortunata figlioletta
Ter ministra ti dedico e per serva
Ecco ch'a te devota, a l'armi tuo
Acconinmndata, dal nimico in prima
Sol per te la sottraggo. In te sperando
A l'aura la commetto: e tu per tua
[615-560]
642 • t.' FNni'K.
Prendila, t« ne progo, e tua sia sempre.
Ciò dotto, il bracci» indietro ritraendo, fk
Oltre il fiume lanciulla : e 'I fliinie e '1 vento !
K 'I dardo ne fer suono e fischi e rombo. ■
Métaiin, da la turba sopraggiunta
Do' suoi nomici, a nuoto alfin gettassi,
E salvo a l'altra riva si condusse.
Ivi d'un verde cespo, ove piantato
Avca Trlvia il suo dono, il dardo e loi
Divclse. e via fuggissi: e piti mai piiscf»
Non fu da tetti o da cittadi accolto;
Che per natia fierezza a leggo altrui
Non si fura iniqua additto. 11 tempo tutt
De la sua vita di pastore in guisa,
Menò per monti solitari ed cimi;
E per grotto e per dumi o per orrende
Selve o tane di foro obbe ricetto
Con la fanciulla, a cui fu cibo un tempo
Felino latte, e balia una d'armento
Ancor non doma e pavida giumonta.
Ne lo tenere labbra il padre stesso
Do la fera premea l'orride mainino,
Nò pria tonne de' piò salde lo pianto,
Clio d'arco, di fan tra e di nodosi
Dardi le mani o gli omeri gravolle.
15G0-576J
[920-9M] mbru xi. 513
Non d'òr Io chiome, o di monile il collo,
Nò mcn di lunga o di fregiata gonna
I .i ricoverse: ma di tigre un cuoio
I.e facea vesto intorno, o'euffla iu capo.
II fanciullesco suo primo diletto
K 'I primo studio fu laucjar di palo,
K trar d'arco e di fromba: e 'n fin d'allora
Facoa strago di gru, d'oche e di cigni.
Molte la desiar tirreno madri
IVr nuora indarno. Kd ella di me sola
Cnntonta, intemerata* e pura e casta
La sua verginità, l'amor de l'armi
S»! ebbe in calo. Or mio fora disio
l'ho di questa milizia o do In pugna,
Clio prosa ha co'Troiani e co'Tirrcni,
fosse digiuna; per si cara io l'aggio,
K talo or mi saria grata compagna.
Ma poi elio acerbo fato la porseguo.
St endi, ninfa, dal cielo, o nel paoso
Va' do' Latini. Ivi al conflitto assisti.
Che per Lazio o por lei mal s'apparecchia.
Prendi quest'arco e prendi questa mia
Stessa faretra, e di qui traggi il télu
Ter vendicarmi di qualunque ardito
Bari di violar quest'a me sucra
157U-5U1J
644 ' l'kxkipe. N [9 10-069]
K devota virago: Itnln, o Tenero .
.Clic sia. Vn-.-hi i'.i wri" ili ipitn' involta J
A provveder che '1 miscrahil corpo
Non sia d'armi spogliato, e che in<-cn|to |
Sia iTc la patria, e seppellito e pianto.
Cosi dicendo, entro un sonoro nembo,
Pa' mortali occhi non veduta, a terra
Liovomcnto calossi. I teucri intanto
I i toschi duci lo lor genti avanti
Spingendo, a la città s'avvicinaro.
Piena d'armi, d'insegne, di cavalli
E di schierati fanti e di squadroni
Si vedea la campagna. Kran per tutto
Gualdane, giramenti, scoronando
Di cavalieri: in secche selva i colli
l'areali conversi: ardea la terra o'I ciò)
Pi ferrigni splondori, o d'ogni parte
S'udian fremer cavalli e squillar luminai
Incontro a lor da l'altra parto uscirò
II ficrMcssapo, i cavalier latini,
Coracc col suo frato, o di Camilla
La bellicosa banda. Era il concorso
Tuttavia de le genti, o do' cavalli
Il fremito maggiore. E già la massa
Ristretta, o già vicine ambo le parti
[M11-C08J
4
[970 -W4] libro xi. 518
A tiro d'asta, a fronte si forninro
L'uni de l'nltra: o con le lance in rosta,
Con saetto e con dardi incouiinciaro
l'riinainentc da lungi a salutarsi.
Toì di subite grida udito on tuono
Al cicl Iotossì; e due contrari nomili
Ila la terra sorgendo, armi fioccar»
Ili nere in guisa, e coprir d'ombra il solo.
Alliu da ciascun lato i desti ier punti
Andar tutti con tutti a rincontrarsi.
Kra Tirreno al fioro Aconto oppost i
Ne la battaglia: e questi primamente
S'urtaro. e per la furia e per la forza
Ile l'urto ambo lo lanco, ambi i cavalli,
Kd ambi i corpi infranti, stramazzati,
1,'un da l'altro disgiunti, quai percossi
li» fulmine o da marchine avventati.
Caddero n terra. E pria ne l'aura Aconta
Lasciò la vita. Conturbato o sparse
I.e schiere de' Latini, incontinente
Con le targho rivolto a tutta briglia
Vèr le mura spronando in fuga andaro.
(ili seguirò i Troiani; e prima Asìla
Uli assolse e gli cacciò fin su le porte.
Qui formi e rincorati alzau le grida,
Cabo.-35. (609-022]
640 '■' I Sfmi. [Cfcó-lOlO]
Volgoli le testo o si tifati lor sopra,.
Ch'ormi lorcontra. Cosi quauTlo quosti,
R quando quelli or cacciano, or cacciati
Tornano; in quella guisa ch'a vicenda
11 nmrifor d'alto a riva i flutti itici espa,
F. no l' ultima arena ondeggia e spuma;
Or da la riva indietro so ne torna,
K lo stess'onde, e la commossa ghiara
Sorbendo 0 voltolando, si ritragge. - J
Sue volte! Toschi i Kutuli incal/.aro
Fino a lo mura; e i ltutuli due volto
Itisospinsoro i Toschi. Al terzo assalto
Mischiarsi ambe le schiere, e l'un con l'altro
Vennero a zufla. Allor le grida e i mugghi
Si sentir de' cadenti: allor si vido
11 pian tutto di sangue, e tutto d'armi
E d'uomini coverto e di cavalli
Feriti o morti. Orsiloco a rincontro
l'i Rèmolo trovossi; o non osando
Di star seco a le mani, al suo cavallo
Trasse del dardo, o'n su l'orecchio il colse.
Del colpo impaziento o per su fiero
Si scosse, s'avventò, col petto in alto
K con le zampe il corridoi- levossi,
E 'n su l'arena il cavalior distese.
[G22 CIO]
[1020-1044] Lineo XI. 547
Catillo loia e 'I grande Kriiffnio ucciso:
Knninio, elio di corpo od'nimi o d'animo
Ida do' più robusti, do' più chiari
K do' più riguardevoli (ieri ieri
Do'To9chi tutti. A,vca la chioma stessa
l'or sua celata; area {li omeri ignudi
Di ferro al ferro esposti, e di ferito
Ampio bersaglio, in Su l'aperte spallo
Catillo il colso; o tremolando il téli
l'assógli il petto, e rnddoppingli il duolo,
l'er tutto si fa sangue: in ogni parte
Si traggo, si forlsce, si stramazza:
E chi cedo o chi seguo. In vario guise
Ne van tutti a morir morto onorata.
In mozzò a i Hit i occialouc. ignuda
Da l'un de'lati intimando cssulta
La vergiuo Camilla; od or di dardo
Fulminando, or di lancia, or di securo
Non mai stanca percuoto. E qual Diana
Di sonora faretra o d'arco aurato
t;li omori onusta, nncor elio si ritragga.
Saettando, ferito e morti avventa.
D'intorno ha por compagne e per guerriero
D'archi, di mazzo o di bipenni armate,
Tulla, Tarpèa, Larlua ed altro Diottri
IG10-CÓC]
513 L'KJCnn*. ll«lo-l'069|
It.ili.-lm donzello, n suo decoro
Scelto (In lui por suo «li-jrno ministro
Ne Ih pafo c no l'armi. In tal sembianza
Teimodoonto il bellicoso stuolo
De l' Amnzzoni sue vide in battaglia
Atturncgginie Ippolita, o col carro
Oli- di l'entosilèa lo seniore nprendo
Con foininoi ululati. Or chi fu pi ima,
Obi poi, cruda"viiago. o quali e (pianti
Quoi eli' abbattesti, o che di vita spenti
Mandasti a l'Orco? Kumenio pi ini i menta
T)i Clizio il figlio, da costei trafitto
Fu d'un colpo di lancia in mezzo al petto.
Cadile il moschinn. o fe di Magatali rivo,
Sopra cui voltolandosi, e mordendo
11 sanguigno terren, di vita uscio,
ludi va sopra a Liri o sopra a l'ègaso
Quasi in untcmpo.a l'ini menti e. inciampane
Il suo destriero, il fien raccoglie: a l'altro
Montrealui, che trabocca, il brac-iosteiid»
I'cr sostenerlo: onde in un gruppo entrambi
Troclpitaro. A cui d'Ippòtn il figlio
Amastro aggiunse, o via seguendo. A rpdli
E Tèreo o Cromi c Demolente occisc.
Quanti dardi lanciò, tanti Troiani
|oó7-(577J
-
ri070-1094] unno ti. 549
Gittò per terra. Ornilo, un cacciatore.
Gli già daranti, e stranamente armato
Cavalcava di Puglia un gran destriero:
Per sua corazza ,avoa 4'Upido toro
Un duro torgo; per c inta u|i t — -li i >
Hi lupo cho dal capo inaino al mento
Sbarrava le mascelle, o digrignando
Mostrava i donti. In man portava, ad uso
Hi contadini, un noderoso palo
Di grave ronca armato. Egli nel mozzo
li .-li nitri suoi con lo due teste andava
Sovrano a tutti, e Je ferino orecchio
Kigea di cresta e di pennacchi in voce.
Camilla il giunse, lo formò, l'oceiso
Senza contrasto: già cho volta in fuga
Kra la schiera sua. Sovra al suo corpo
Disse rimproverando: K che ponsasti,
Tosco insolente? di venire a caccia
In qualche solva, e seguir dammo imbelli 7
Venuto sei li 've una dama annata
Col ferro amaramente vi rintuzza
La superbia o la lingua. Oh pur non poco
Ti Ila di vanto, refercudo a l'ombro
Dc'tuoi: Por man fui di Camilla ncclso.
ludi Orsiloco assalsc, o Unte appresso,
[677-690]
650 L'ENEIDE. [W-IIH
Duo corgi do' maggiori o do* più forti
Pai troiai! oste. A Butc un colpo trasso
Clio '1 giunse ove tra l'olmo e la dirazza
Si scopro il collo, onde lo scudo appeso
Sta da sinistra. Ursiloco. ruggendo
E gridando, gabbò; ch'ai giro interno
S'attenuo e strinse; e là 've era seguita,
Seguitò lui. Gli Tu sopra in un tempo ■
A colpi di securo, o l'armi o l'ossa
Gli postò si che per suo scampo a'piicglA
Si volse. Alfine un tal sopra la testa
Ne gli piantò, cho lo cerrella infranto
Gli schizzar da la fronte o da le tempio,
D'AUno montanar de l' Appciiuiuu
11 bellicoso figlio a l' iniproviso
Fu da loi colto: un Ligure scaltrito.
Che por ordirò inganni (in fin elio 'I fato
Gliel concedè) non dogli estremi avuto
Era tra'suoi. Costui nel primo incontro
Sbigottito formossi. K poichò vido
Non poter con la fuga a lei sottrarsi,
Che gli era sopra, a la malizia usata
Ricorrendo, Oh I gran prova, adir comincia,
Sarà la tua, se ben fu min a sei,
Di sfidar me, quando un cavai t'affidi
IOUO-70CJ
[1190-1144] libro xi. 651
SI fugace c si forte. Or al vantaggio
Rinunzia ilo la fuga o meco a piede
Trendi zuffa del pari; e poi Tediassi
A cui questa ventosa tjia bravura '
Onore acquisti. A cotal dir Camilla
Hi furia, di dolor, di sdogno ardendo
Hutto dismonta ; e 'I corridor deposte
In man do la compagna, a piò si pianta;
Stringe la spada, imbracciasi lo scudo
E con pari armi intrepida l'attende.
Il giovino, che virilo si credette
Aver con quello avviso, Incontinente
I,a groppa lo mostrò del suo cavallo,
E via spronando a tutta briglia il pinso.
I.iguro vano, vano orgoglio in prima
Ti mosso; or vana astuzia o vana fuga
Sari la tua; chi l'arto del fallaco
Tuo padre, e di tua patria, a far non basta
Che vivo da lo man mi ti ritolga.
Iiisse la virgo, e qnnl da cocca stralo
Dietro gli si spiccò: ratto l'aggiunso,
l'.issollo, attraversollo, al frou di piglio
Diedcgli; lo feri, l'anciso alfine.
Cosi d'un alto sasso agevolmente
Sparvier grifaguo al timido colombo
17CC-722J
552 i,' incrini. [1145-116
S'avvont*, e lo* ghermisco; ondo in un Uni
Sangue e piuma dal ciel noviga e piovo.
In questa, do' mortali o de' celesti
L'eterno rognutor, che |>ur talvolta.
Alcun de' raggi suoi vèr noi rivolgo.
Non con lieve disdegno o picciul'im
Mosse Tarconte a sovvenir lo schiero j
De' suoi ch'erano iu volta. Egli per ino»
Va do l'occisìoui o do le mischio,
Or il destrier contra i nemici urtando.
Or lo suo squadre inanimando, insidilo
Lo ristringo, lo instiga. lo garrisco,
E per nogic ciasmu chiamando. Ah, dis
Tirreni, o elio timore. 8 elio spavento
È'1 vostro? elio viltà, ci e codardia
V ha presi? e quando mai Ha che vi pun
0 doloro, o vergogna? Adunquo in fuga
Gito por una fcmiiin? una femiiia
Vi disporgo o v'ancidc? A cho di ferro
Invali cosi lo destro o i petti armato?
Do lo donno tomolo? K i ur di loro
SI timidi di untto, nò si fiacchi
Negli assalti di V chimo non siole.
Nò quando a suon di pifferi intimati
Vi sono i baccanali. Or via, campioni
[1170-1194] Lineo xi. 5r'3
Pa lotti o da bottiglie, a nono, a pasti,
A sacrifici, allor rho no le sacro
F'oroste ò da l'aruspica intonato
Cho la vittima ò grani*, (tono tutti
Seco a goder del «affinato bue
A piena pancia: che «itili' altro anim o,
Nuli' altro studio è '1 rostro. E. ciò dicendo,
No va come dcroto a morto anch'ogli.
Con Vòliolo s'alTronta; e al com'era
Turbato, l'aggavigna, a fuor lo trnirgo
Pel suo cavallo. Alto lerossi uu grido
Tal, clic tutti a vodoftle ciglia alzino
I Latini e i Tirroni. Ira Tarconto
l'or la cniup.igna con la preda in grembo
Pel nimico e de l'armi; e 'n mozzo al corso
Svelgo da l'asta sua modesma il Coirò,
E corca ov' ò di. piastra il corpo iguudo
l'or darli morte. E montre no In gola
Tenta ferirlo, oi con le braccia in alto
Si scliorma. rogge il colpo, e da la foni
Quanto può con la forza si districa.
Como no l'aria insieme avviticchiati
Si son visti talor l'aquila o '1 serpo
l'ugnar volando, e l'una aver con l'ugno
E col becco ghermito e moiso l'altro;
(738-7Ó2]
. - . \
654 _ ' l'ekeidk • (1193-121
E l'altro co'suoj giri e co'suoi nodi
Farlo vincigli a'più, volumi a l'ali:
E questo con la tosta alto fischiando,
K quella schiamazzando," c dibattendo.
Ambedue voltolarsi, ambedue stretti
Far di squame e di piamo uu sol viluppo;
Cosi Tarconto por lo campo a volo,
Yiocitor do le schiere di Tiburte,
Vònolo sin portava. E questo esseinpio
Del suo duce seguendo, e del successo
Assecurata, la monnia torma
Tutta contrV Latini impeto fico.
Tra questi Arante, un elio di già dovuto
Era al suo fato, con un dardo in mono
Camilla astutamente insidiando.
Si diede a seguitarla, a circuirla;
A corcar destra o commoda fortuna
Iti darlo morte. Ovunquo ella o per mono
Fcndea le schiero, o vinciti ice indietro
Si ritraoa. l'era vicino Aruntc;
E tutti i moti suoi, tutto lo vio
Osservando, attondoa elio netto il colpo
UH riuscisse, o da fellone intanto
Avoa l'asta a ferir librata e pronta,
Uiva per avventura a lei davanti
1763-708]
[I220-12H} libbo si. 655
Cloro un glorine ideo, cho sacerdote
Fra già di Cibello. I Frigi tntti
Non aventi chi di Ini fosse no l'armi
l'iù riccamente adorno. Cu ano corsiero
Por lo canino spingea, di spuma asperso.
Cinto di barde o d'acciarino lamo
Como di scaglio o di leggiadre piume
l eggiadramente inteste. Ou arco d'oio
• ìli pendea da lo spalle, una faretra
A la cretese. In testa, in gambe. In dnsso.
D'armi e d'arnesi in Ignara sombianz.i,
l>i peregrina purpura e"4i seta.
Pi bisso, di telotta o d' ostro e d'oro
Tutto coverto, tutto ricamato.
Tutto trinciato: e saettando andava.
Costui veduto, ogni altra impresa indietro
Lasciando, a lui si volse o per v.ighciza
Ili consocrar lo suo bell'armi al tempio,
0 pur elio di si vago ostile arneso
Di gir pomposa cacciatrice amasse.
Basta che per lo schiere incauta, ardente,
1 conio donna, vogliolosa e follo
De l'amor do la preda e de le spoglio.
Contro a lui so ne giva; allor ch'Arante,
Dopi) molto appostarla. alHn le trasse,
1 703-784 1
■
556 • t'r.s-K.n». [12-ir. •.'-C9J
In tal gi^sa pregando : 0 di Soratto
Sommo custode Apollo, a cui devoti
Noi fummo in primn. n.cui di sacri pini j
Nutrimmo il focone per cui nudi c scali! 1
Tra le fianimo saltando e per le braga
Securamonto e senza offesa andiamo.-
Pnmmi, cliè tutto puoi, padre benigno, i
Che quosta infamia per mia man si tolga!
De l'armi nostro. Io di costei non binino 1
Armi, spoglie o trofeo. Gli altri miei fatti I
Hi sian di lode, e pur cho questo mostro
Cnggin spento da me. no la mio patria
Senza più gloria andrò, di questa guerra
Pago e contento. Udì Febo del voto
Parte, e parte por l'aura ne disporso.
Udì clic morta da quol colpo fosso
La vorgino Camilla: o non udio
Di lui, ch'ei vivo in patria ne tornasse;
Clio ciò per l'aura no portare i venti.
Tosto clic da lo mau l'asta ronzando
GII uscio, Tur gli occhi o gli animi olegrii
Do' Volaci tutti a la regina intenti.
Kd ella nò del tèlo, nò do l'aura
Moto o fischio senti; nò vide il colpo.
Mentre giù disccndea, duellò non giunse.
1-84-802]
[1270-1294) mmio xi. 557
(iiunsole appunto ove divelta e mul i
Era la pappa; o del virgiuro Fungile,
Non già di latte, sit ibonda sreso
Si che '1 petto l'apri. Le sue compagno
I.o Tur trepide intorno; o già che morta
Cndoa, la sostcntaro. Arante in fuga
ltattn si volge, di paura insieme
Turbato e di letizia; che ne l'asta
Più non confida, e più di star non osa
Incontro a lei (inni affamato lupo
l'h'oceisode l'arninntn un ginn giovenco,
0 io stesso pastore, in si contasti
Ili tanta audnein. anzi che da' villaggi
(ili si lcvin le grida, infra le gambe
Si rimetta la coda, e ratto a' minti
l'uggendo si riusciva: in cotnl guisa
Arante, dopo 'I tratto, impaurito.
Solo a salvarsi inteso, iu mezzo a l'armi
Si mischiò tra le schiere, Klln morendo
1 il sua man fuor del petto il cruda ferro
Tentò svolgersi indarno; chi la punta
S'era altamente ne lo coste infls<a:
Ondo languendo nbbaudonossi, o freddi
Giacque supina; e gli occhi, che pur il, inizi
Scintillavano ardor, grazia e fierezza,
1803-818]
I
658 l' Eneide. |1295-iai9J
Si fer, torbidi o gravi. Il volto, in prima
Di roso e d'ostro, di pallbr di morta
Tutto si tinse. In tal guisa spirando
Acca a sé cliiama. una tra l'altre suo
/ La più Ada di tutte e la più cara;
E dico: Acca, sorella, i giorni mici
fon qui finiti: questa acerba piaga
M'adduce a morte, e già nero mi .sembra
Tutto cho veggio. Or vola, e da min parto
Di' per ultimo a Turno, cho succeda
A questa pugna o la città soccorra:
E tu rimanti iu pace. A pena detto
Ebbe cosi, die abbandonando il freno
E l'arme o se medesma. a capo chino
Traboccò da cavallo. Allora il freddo
1/ occupò de la morte a poco a poco
Lo membra tutte. E dechinato il collo
Sopra un verde cespuglio, nlfin di vita
Sdegnosamento sospirando uscio.
Camilla estinta, per lo campo un grido
Lerossi che n'andò fino a lo stello,
E surso al cader suo /uffa maggiore;
Chè i Teucri e iToschi e gli Arcadi in un tompo
Tinsero avanti. Opi, ministra intanto
Di Trina, che nel monte era discusa
|819-887J
11320-1344] unno xt. 559
Vicipo a la battaglia, indi 11 conflitto
Stara mirando intrepida e sicura,
K visto di lontan tra molte genti
Nascer nuovo tumulto o nuove »i iila,
Poscia in mezzo di lor caduta e moita
U vorgine Camilla, Ali. sospirando
l'isso, virgo infelice! troppo, troppo
Crudo] supplizio hai do l'ardir sofferto.
Se d'irritar l'armi troiano osasti.
K di cho prò t'.è stato a viver nosco
S>linga vita, arniar*3e l'armi jiost re,
tradire i boschi e venorar DjrnuaV
Ma to non lasccràja tua regina
(liacor disonorata in questa fino
Ilo la tua vita; c la tua morto oscura
Non sarà tra lo genti; e non dirassi
Che non è chi di to vendetta faccia;
Che chiunque di ferro avrà ferito
Il corpo tuo, sarà meritamente
Di ferro anciso. Era a Derconno, antico
Ke do' Laurei) ti, un gran sepolcro eretto.
Cui sopra era di terra un monto imposto
E d'elei annosi e folti un bosco opaco.
Qui la veloce Dea dal ciol calossi
Al primo volo; e di qui visto Arunto
1&37-6Ó3J
«SO 1/jwmW. |1345-1«
Splender ne P ar(hi. e gir di sua Mlia
Suporbo « gonfio. Orti ne vai? diss'olla,
Qui convien che ti ferrai, e qui morendo
/ Po la morta Camilla il premio avrai
Pegno di te. se di peiir sei degno
Vis l'armi di Utana. E, ciò dicendo,
La buona arciera del turcasso aorato
Trasse un acuto strale, ol' arco teso,
E tirò si eh' ambe lo coma estremo
. Vennero al mezzo, od ambe parimente
Le mani, una tirata e l'altra spinta.
Quella toccò la poppa o queste il ferro. I
L'arco, l'aura, lo strai sonare odio, •
E ferir e morir sentissi Arnnte
Tutto in un tempo. I suoi quasi in oblio
Cosi come spirava, in mezzo al campo
Lo lasciar fra la polve in abbandono:
Ed Opl al cicl tornando a volo alzossi. ;
Caduta lei, la schiora di Camilla
rrimicramontc in fuga si rivolse:
Indi turbarsi i Kutuli, e dior volta.
Diò volta il fioro Atina: e i duci tutti,
E tutte far le insegne abbandonato.
Cerca ognun di salvami, o vèr le mura
No vanno a tutta briglia, e più nel campo
[864-891]
[1370-13941 • unno xt. «CI
Alcun non è che di far testa ardisca
Contra la strago e centra la mina
Clio fanno i Teneri. So ns »an con sii ni l'I
Scarichi in su le terga o ipenzuloui ;
K più che di galoppo in vèr Laiironto
Mattono il compo, e f.irvniibi di polve.
1,0 madri da' balconi edn't irra'./.i
l'ercossi i petti, alzano al cioi le grida
Con fominco ululato. E quei ebo primi
Giunti trovar le porte ancor non chiuse,
Mischiati co'nomicC ove più salvi
Si credean ne l'entrata o fra lo mura
De la stessa lor patria, anzi agli alberghi
I.or propri e da' nemici e da la morto
Eursoprnggiunti. In cotal giiisa in prima
Stette la porta agli avversari aperta,
ivi chiusa escluso i suoi, che fuori in proda
Restando de' nemici, ai lor più cari.
Che morir gli vedean. perchè s'aprisso
Supplicavano indarno. E qui tra quelli
Clio n'erano n difesa, o quoi ch'a forza,
Anzi a furia, a mina incontro a loro
S'avventavan no l'armi, orrenda strage
Si fece e miseranda. E degli esclusi
Altri in cospetto degli stossi padri,
Caro. -86. 1872-8871
5C2 l/i:nkidis. 11395-1113]
E Ju lp madri elio doglioso grida
No faccan da lo torri e da lo mura,
Da l'impeto cacciati o da la calca
rrocipitàr ne" fossi, o giù da' ponti • J
Caddor sospinti; od altri no la fuga
Pa' sfrenati cavalli o da la cioca
Lor furia trasportati, a dar di cozzo
(ìlr no lo chiuse porte. In su' ripari
Ancor lo donne (elio lo donuo ancora
Il vero de la patria amoro infiamma),
Como giunto a l'estremo, allor elio morta
Vider Camilla, il fominil timoro
■Volgono iu sicurezza, e sassi e dardi
Lanciando, e con aguzzi inarsicciati
l'ali il ferro imitando, osano anch'elio
l>cr la difesa dello patrio mura
Gir lo primo a morir morto onorata.
A Turno iutauto no lo solve arriva
Acca, la giù spedita mosseggiera.
Cou l'amara novella; un gran tumulto
l'orlando, che l'ossorcito è sconfitto,
Morta Camilla, annichilati i Volsci,
E i Teucri d'ogni cosa impadroniti
Stanno in campagna col favor che potta
Seco de la vittoria il corso e '1 uomo;
l>b7-8UDj
I
[1420-14451 tiDao xi. 568
Spingonsi aranti; c già pianto e paura
Assalgon lo città. Dira, di sdogno
E di furor» il giovino infiammato
(Ohò tale ora n voler «afao di Giove)
Ha l'insìdie ti toglie, esce do' boschi
Ov'era ascoso, e giù sfende da' colli.
Smarrito non gli area di vista a pena,
A pena era nel piano, allor ch'Enea
Prose del monta; e la 'v'ora l'agguato,
Trovando aporto, seni'oflesa anch' egli
Superò "1 giogo, e do la selva uscio.
C'osi con passi frettolosi entrambi
Con tutte lo lor genti, e l' un da l'altro
l'eco lontani a la'città sin vanno.
E 'nsiememeuto da l' un canto Enea
Vido di pulvorio fumare 1 campi, ■
E di Lauronto srontolar l'insogno;
Turno da l'altro Enea scoperse, udendo
L'annitrir do' cavalli o '1 calpostlo
Croscor di mano in mano. Eran vicini
SI, cho venuto a zuffa ed a battaglia
Si fora anco quel di, se non elio Febo,
Fatto vormiglio. i suoi starnili destrieri
Stava già per tuffar no l'oudo ibero.
Ondo avanti a lo mura ambi accampati
Di trincee si munirò o di ripari.
I'>00-915|
601 '
' DELL' ENEIDE
Libuo Duodecimo.
Turno, poscia che vede afflitti » domi
Gii duo volto i Latini, o non pur scemi
Di forzo, ma di «pome o di baldanza,
Da lui farsi rubolli, o oho a Ini solo
Ognun rivolto in tanto afTaro attendo
Le pruova, le promesso e i vanti suoi,
Furioso, implacabile, inquieto
Arde, s'inanimisco, e si rinfranca
l'rima in so stesso. Qual masslla fera
Ch'nllor d'insanguinar gli artigli o 'I ce
Disponsi, allor s'adira, allor si scaglia
Contro chi '1 caccia, elio da ini si sonta
Gravemente ferito; o già godendo
Do la vendetta, sanguinoso o fioro
Con lo iubo s'arruffa, o con lo rampo
Frango l'infisso tilo c graffia e ruggo;
Cosi la violenza era di Turno
Accesa, impetuosa e furibonda ;
E cosi conturbato approsontossi
11-11]
[20- ■*-»] Limo xii. 5G5
Al ro davanti, e disse: ludngto. o scusa
Più non fa Turno; e più non ponuo i Teucri
Da quel cli'è patteggiato e stabilito.
So non so por viltà, ritrarsi ornai.
Eccomi In" campo: ceco parato o pronto
Sono al ducilo. Or fa', padre, elio "I patto
Sia fermo e rato o sacro; o I sacrifici
E "1 giuramento appresta. Oggi, signoro.
Sii certo o ch'io con le mie mani a morto
Questo do l'Asia Xuggitivo adduco,
E "I difetto di tutti io solo ammendo
(Stiansi pure a roderò I tuoi Latini);
0 cu'ei vincendo Ha padrone a voi,
E marito n Lavinia. A cui latino
Col cor sedato in tal guisa risposo:
Giovine valoroso, al tuo valoro,
A la ferocia tua che tanto cccodo
Ne ranni, io dfferlsoo. K tu dovrai
Appagarti di me, s'io, d'ogni cosa
Tornendo, con ragiono o con maturo
Consiglio in tutti i casi invoglio u curo
Clio 'I mio stato si salvi e la tua vita.
A te, del vecchio Danno crede e figlio.
Seggio e regno non manca, oltre a lo terrò
Di cui tu fatto hai da te stesso acquisto
111-22J
B00 't'BSKinE. [41
(Por forza d'armi. Oro, favori o gradi
T)a Latino avrai sempre; e maritaggi
E donno d' alto affar san por lo Lazio,
E per lo torre di Laureuto assai.
Ma soffri ch'io ti parli, o sonti. o nota
Poscia quel ch'io dirò; che dirò vero,
Ben che noia ti sia. Fatai divieto
Mi proibiva, e gli uomiui o gli t)oi
M' avoan vaticinando in molto guiso
Denunziato, che mia «glia a nullo
Io maritassi di color elio chiesta
Mo 1" avoan prima. E pur dall'amor vinto
Che ti port'io, dal par«ntado astretto
C ho con la casa tua. mosso dal pianto S
E da le preci do la donna mia,
Dandola a to mi sono al fato opposto;
Ho rotto fedo al goooro: ho con lui
Prosa non giusta o non sicura gueria.
Da indi in qua tu stesso, tu che primo*-
Soffi i tante fatiche o tanti affanni.
Hai veduto in elio rischi, in che travagli
Siam noi caduti; elio duo volto rotti
In due b\ gran battaglio, in questo cerchio
Ne sìam rinchiusi a sostenterò a pena
La sporanza d' Italia. 11 Tobro ò caldo
tassai
[70-94] unno xii. 60 '
Poi nostro sangue. I campi son (rià blwiohl
l>e lo nostr'ossa. Ed io, follo, » elio torno
Tinto nate al precipizio mio?
Chi cosi da mo stosso mi «ottraggo?
S-. Turno estinto, lo nel mio loglio doggi )
1 Troiani accettar, chò>non gli accotto
i ir eh' egli ò vivo o salvo? e chi non pungo
Kine a la guerra, a la mina espressa
Ilei mio regno o do'niiol? Cbo no diranno
I Rutuli paronti? clic diranno
Italia tutta, quando a morto io lasci
(Voglia Dio che non sia) gir un che lauto
Ama la parentela, o T sangue mio?
Itimi™ de la guerra come vana
Sia la fortuna. Abbi pietà del vecchio
Danno tuo padre, che da to lontano
In Ardi» so ne 8t» mosto o dolente.
Turno n questo parlar nulla si mosso
Itola ferocia sua: crebbo piì) tosto
II suo furore: o lo rimedio stosso
Oli aggravò 'I malo. Ki, corno pria potoo
Formar parola, in tal guisa risposo :
Nulla per couto mio di ino ti caglia.
Signor benigno: anzi, ti prego, in grado
Prendi ch'io per la lodo o per l'onoro
136-491
568 . ffixiio*. [05-lUj
Patte?»! con Ih morto. Ed anch'Io. padrcJ
\ Ho le mio unni: od anche il ferro mio i
Ha taglio e punta, o fa ferita e sangue. J
Non somprcavrà.crod-io. lamidro a canti
Che di nube lo cunpra e lo trafila
Come vii feminella, o di van' ombro
Seco s'involva. E, ciò detto, si tacque 1
Ma la retrina, de l'audace impresa
Del genero doloute e spaventata.
Piangendo, e por angoscia a molte giont^
I,o tcnoa. lo pregava, e gli dicoa:
Turno, per questo lagrime, per quanto
T'è, so pur t'5, de l'infolico Amata .
L'onor. l'amoro o la saluto in pregio
(Già che tu sola speme, e sol riposo
Sci do lamia vecchiezza, a te s'appogj
In te si fonda di. Latino il reguo,
E la sua dignitade. o la sua casa
Cho mina minaccia), iu don ti chieggla*
Astienti di venir co' Teucri a ranno:
Chò qualunque ne segua avverso caso J
Sopra mo cado: ch'io tveo di vita
Uscirò pria che mai suocera o serva
Io mi veggia d' Enea. Queste parolo
De la madre senti Lavinia virgo,
(49-01) •
%
[120-144] . LIBRO IH. 609
Di rugifidoso lucrimi: o d'uu foco
Di vergineo rossor lo guance asperse,
({imi fora se di purpurs macchiato
Fosse un candido avorio, o cho di roso
Si spargessero i gigli. In lei mi minio
11 giovine. d'amor non muu cliu d'ira
Acceso, a la regina brevemente
Cosi rispose: Ali, madre mia, ti prego',
In cosi perigliosa o dura impresi
Non mi far col tao pianto o col tuo duolo
Sinistro annunzio? Chò «.'a Turno è dato
Clio muoia, in suo potar più non è p >st >
Cho di morire indugi. Indi a l'araldo
Rivolto, Va', gli disse, e da mia parto
Quest'ingrata e spiacovolo Imbasciata
Porta al frigio tiranno, che dimauo
Tosto cho fia la rubiconda Aurora
A l'ortonto apparsa, 1 Teucri suoi
Contr'a Kutuli addur più non s'alfnnnL
Sticnsi l'armi de' Kutuli e de' l'enei i
Per mio conto in riposo. Clio tra noi
Col nostro sanguo a dilli ni r la gnu . a,
K di Lavinia le bramato nozze
Iu su quel campo a procurar ci avemo.
Detto cosi, vèr la magion s'invia
570 ^."exridk. ri 15-109]
lepidamente; addur si foce avanti
I suol cavalli, o le fattezze o '1 fremito ,
Notando, so no gode, e ne conccpe
Spume e vittoria; elio di razzn usciti
Eran giù d'Orìzla, da cui Pilunno
Kbbo giumento e corridori in dono.
Che di caudor la novo, e di prostozza
Superavano il vento. Avoan d'intorno
I valletti e gli aurigi elio palpando,
Forboudo o vezzeggiando, in vai io guise,
Gli faccan lieti, baldanzosi e fieri.
Fatto poscia vonir l'armi, si vesto
La sua corazza d'oiicalco e d'oro
E dentro vi s'adatta e vi si vibra
Con la persona. Imbracciasi lo scudo,
Pruovasi l'olino: Q la vermiglia cresta
Squassando.il brando impugna, il fido br
Da lo stesso Volcano al padre Pauno
Temprato in Mongibollo a tutte pruovo.
Alfìn un'asta poderosa e gravo.
Ch'appo un'alta colonna era appoggiata
In mezzo do la casa, in man si pianta.
Spoglio d'Attore aùninco. B poiché l'ebbo
Brandita o scossa. Asta, gridando disso,
Ch'i» le mio fazioni iniqua non fosti
(81-9ÓJ
[170-191] tu«o xn. 671
Chiamata indarno, ora ni maggior bisogno
Pa te soccorso imploro. 11 grande Altèro
Armasti in prima, or ioidi Turno in ninno.
I lamini file 'I corpo attori, e la corazza
lìiscbiodi. e.'l petto laceri e trapassi
Ili questo frigio effumuiato ciiimco;
Iiammi che M profumato, inanellato,
Col ferro attortigliato zazzcrino
(ili scompigli una volta, e ne la pi.lv.»
I,o travolga e. nel sangue. In cotal guisa
Iiiccndo. inftirtava,*ardca.ncl volto,
Scintillava negli occhi, orribilmento
Krcmca.qual mugghia il toio nllor elio irato
Si prepara a battaglia, e l'ira in cima
Si reca do lo corna, indi l'armata
A qualcho tronco, e '1 tronco o l' mira in pi ima
Ferondo, alto co* piò spargo l'arcua,
E dol futuro assalto I colpi impara.
Da l'altro canto Uno», non meo feroco
No l'armi di sua madro. al fiero miirto
S'inanima 0 s'accingo, o del partito
Clio gli era por compor la guerra offerto.
Si rallegra, l'accetta; e 1 suoi compagni
E '1 suo figlio assicura, or di 80 stesso
La franchezza mostrando, or lo routuio
[U5-1I0)
I
672 • 'l'Eneide. [ 1 0T.-219J
^De'fati rammentando c le-pronicsso. '
Indi eoo la risposta al re Latino
Manda chi la disfida e '1 patta accetti, I
E del patto i capitoli e le leggi
Stabilisca o conrermi. Era de' monti
In su la cima :i peni i! soie apparso
Do l'altro (ionio, allor ch'i simi destriorl ^
Sorgon da l'ondo, e con le nari in alto
Fiamme anelando, il mondo ompion di luco;
Quando nel campo i Rutuli discesi
E i Toucri insieme, sotto l'alte mura,
Fabricar lo stoccato, a cui nel mezzo
I fochi e Tare di gramigna asporeo '
Furo agli Dei d'ambe le parti eretti
Communcmcutc: e d' ambi i sacerdoti
Di bianco lino involti, o di voi botta
Cinti le tempio, andaro altri con l'acqu
Altri con le facello intorno ocecso.
Foscia ecco degli Ausoni da l'un cauto
A pieno porte l'ordinato schiero
Uscir da la citta di picche armato:
Da l'altro do'Troiaui o do'Tirrcnl
flir l'cssercito tutto in vario guiso
D'abiti e d'armi: o questi incontro aqm
Non altramente eh' a battaglia iitstrutti
[111-12:.]
[220-914] liiiiio xn. 573
Fra mozzo a tanto mila i comlottiorl
Ciascun da la sua parto ti vi dea
Gir d'oro e d'ostro alteramente adorni.
K'I gran Hemmo con qaMti e"l forte Asila,
! Mcssapo con quelli, de'earalli
Il domatore e di Nettuno-i! Aglio.
Poscia che, dato il segno, ebbe ciascuno
Chi di qua chi di là preso il suo loco,
Piantàr le lance, dechinir gli scudi.
Le donne, i vecchi, i putti, o '1 volgo inorme
Di vedor desiosi, altri in su'totti.
Altri in su' rivellini e 'n su le torri
Stavan mirando. E non dal campo lungo
Sede» Giunn in un colle, Albano or dotto.
('h'allornùd'Alba il nome avea-, ni '1 pregio,
Né i sacrifici. In questo monto assisa
Vedoa de' Laurent! o de' Troiani
L'accolto genti, e di Latino il seggio.
Ivi la Dea di Turno a la sirocebin,
Cho Dea do' laghi era e de' fiumi anch'olla
(Privilegio cho Giove allor lu diodo
Ohe de la pudicizia il fior le tolse).
Disse, cosi: Ninfa, de' fiumi onore,
Sovr' ogni ninfa a me gioconda e caia.
Tu sai come te sola ho preferita
[12o-14aj
B7I , ' l'knkiok. (21V2C0J
A tutte l'altre che di iìinvc, in Lazio,
L'ingrato letto li. in di salire «anta:
£ come volontior del cielo a parto
Meco t'ho posta. Ascolta i tuoi dolori, ■ 1
ivi .•!,.. di ine dolerti iniqua non possa.
Finché di Lazio la fortuna o 'I fato
Me l'Imi concesso, ioprontamenl'- <■ Turno
E la tua terra e i tuoi sompre ho difeso, j
Or veggio questo {riovine a duello
Con disegnai dostino essor chiamato:
Veggio il di do la l'arca e la nemica '
Forza che gli ò vicina. Io quosto accoido,
Questa pugna veder cogli occhi miei
Per mo non posso. Tu, se cosa ardisci
In prò del tuo germano, ora ò mestioro
Che tu l'adopri; e puoi farlo, e convienti.
Fallo: o chi sa che 'I misoro non cangi
Ancor fortuna? A pena avea ciò dotto,
Cho Iuturna gemendo o lagrimando
Tro volte o quattro il petto si percosse.
A cui Giuno soggiunse: E'non è tempo
Pi staro in pianti. Affretta; e da la morto
Scampa, so scampar puossi. il tuo fratello,
0 turbando l'accordo, o suscitando
Nuova cagion di mischia e di tumulto.
1141-158)
|B70-894| unito xu. 6
10 son elio te l'impongo, o le u' Affido.
Con questo la luciò sospesa e mesta,
E d'amara puntura il cor trafitta.
Eceo Tengono al campo I rogi intanto;
Latino il primo, alto lo un carro assiso,
Clio da quattro suoi u.h iii co'rsiori,
l>i gran macchina in guisa, era tirato,
E, di dodici raggi il fronte adorno,
Del Sole, avo di lui, sembianza avoa.
Turno tracau duo candidi destrieri,
Con dno suol dardt in mano agili e forti.
Enea, de la romana stirpe autore.
Con l'armi sue celesti e con lo scudo
Che dianzi da le* stelle era Tenuto,
Uscio da l'altro canto, e Reco a pari
Ascanlo, il figlio suo, de la gran Romi
La seconda speranza. A mano a mano
11 sacerdote in pura Teste involte
Anzi agli accesi altari il iiiioto parto
D'una setosa porca, ed una agnulla
Ancor non tosa al sacrificio addosso;
E volti a l'oriente, in atto limilo
S'inchinar ludi e vino o farro e salo
Sparser d'ambe lo parti; ambe col ferro,
SI com'era uso, a lo duvote belva
U6»-nii
670 . t'uriKiDB. [295-811
1 Segnar lo tempio. Allor il padre Enea
Strinso In spaila, e, gli ocelli ni ciel rivoli
' Cosi disse prosando : lo questo sole
Por testimone invoco e questa terra.
Por cui tanti ho fin qui annerii affanni;
Invoco te, celeste, onnipotente,
Eterno padre, o te, saturnia Uiunn,
Già vèr me più benigna, c ben ti piego
Cho mi sii tale, e te gran Marte invoco.
Ch'n l'armi imperi; o voi fonti, e voi fin ti
E voi tutti del mar, tutti dol cielo
Numi possenti: e vi prometto e giuro
Che so Turno per sorte ò vincitore
Pi questa pugna, il successo!- del vinto
Gli cederà; ch'a la città d'Evandro
Si ritrarrà; clic inai poseia ribello
Non gli sarà: che guerra o lite o sturbo
Alcun altro più inai non gli farà.
Ida se più tosto, conio io progo. e conio
Spero elio mi succeda, ni nostro marte
La dovuta vittoria non si froda;
Io non vo'già che gì' Itali soggetti
Sinno «'miei Teucri, nò d'Italia io solo
Tener l'impero; io vo'cb'nuibi del pari
Questi popoli invitti nggiau tra loro
1174-191]
[320-341] libro xil. 577
Governo e leggi eguali, o pace eterna.
A me basta ch'io dia ricetto e culto
A' miei numi, a'mioi Teucri, e sia Latino
Suocero mio, del suo ragno e do l'armi
Signor, rettore o donno. Io poscia altrovo
Altre mura ergerommj, e do' miei stessi
Vicu lo fatiche, o di Lavinia iì n
Cosi pria disse Enea: cosi Latino
Seguitò poi con gli occhi e con la destra
Al elei rivolto. Kd io giuro, dicendo,
Lo stesse delti, lit terra, il maro.
Le stelle, di Latonn ambi i gemelli,
Di Uiano ambo le frunti, il chiuso contro,
K In gran possa* degl'inferni dii.
i i mi di là su l'oterno padro,
Cho fulminando stabilisco « ferma
Le promesse e gli accordi. I ninni tutti
Chiamo per testimoni: e tocco l'ara,
E tocco il foco, 0 quosta pace approvo
IMI canto mio. Nè mai, elio cho si sia
Pi questa pugna, nò por forza alcuna,
Nè per tempo sarà ch'ella si rompa
l'i voler mio, non se la terra in acqua.
Si dileguasse, non so '1 ciol cadosso
No l'imo abisso: cosi conio ancora
Cauo.-37. I1D1-20GI
57S l' ' [345-869]
Questo mio scettro (chò lo scettro in mano
Area per sorto) più nò Cromia mai
Nò virgulto fàrà, poiché reciso
Pai vivo tronco, n da radico svolto"
Mancò di madre, e giù d'arbore ch'era.
Sfrondato, diramato e secco legno
Di già venuto, e d'oricalco adomo
E por man de l'artoflce ridotto
Iu questa forma, e per quost' uso in mano
Dei ro latini è posto. In cotal guisa
Fermati i patti e l'ostio in mozzo addotta
Tra i più famosi, anzi a l' accoso fiamme
1/0 svenar, lo smembrar, le sviscerare.
K si com'eran palpitanti e vivo.
Le libre no spiar, lo diero al foco,
IT empiti le quadro e no colmar gli altari.
Di già disvantaggioso e disegualo
Questo duello a'Rutuli sembrava:
E già vari bisbigli o vari moti
N'cran tra loro; o coni' più sanamonto
Si rimirava, più di forzo impari
Si vedea Turno; od egli stesso indizio
No diò, che tonto o tacito e sosposo
Entrò nel campo. E corno ancor di polo
Avea le guuuco lievemente asperso,
[806-881]
[370-391] libro ut. 5"9 #
Orando anzi a l'aitar pallido il Tolto
Mostrassi, e chino il fronte, e gravo il ciglio.
Tale ima languidezza rimirando,
E tal del volgo un siisurtlre udendo
Ciutunu, sua sorella, infra le schiere
(jittossi, e di Camerte il volfo 'preso.
D'alto legnaggio, di valor paterno,
K di propria virtutc era Camerto
Famoso infra la gouto. K tal sembrando,
dia dogli animi accorta, ìte Giutuma
Humor diversi o tai»voci spaigendo:
Ahi! elio vergogna, che follia, che fallo,
liutuli, è '1 nostro, che por tanti e tali
fv>la un' alma s'arrischi? Or siam noi forso
]ii numero a'nemici inferiori,
0 d'ardire o di forze? Ecco qui tutti
Accolti i Teucri e gli Arcadi e gli Ktrusci
Che sono anco per fato a Turno infensi.
A duo di noi contra un di loro a mischia
Clio si Tonisse, di soverchio ancora
Forano I nostri? Ei che per noi combatte,
Ne sarà fra gli Dei, cui s'è devoto,
In eie) riposto; e qui tra noi famoso
Viveri sempre. Mn di noi che fin,
Ch'or ce uo stiam si neghittosi a buda?
(221-285J
580 l'e'kfidk. [305-419]
\a patri» pordoromo, o da stranieri
K da superbi in serritute addotti,
Preda o scherno d'altrui sempre saremo. 1
Da questo dir la giovontii commossa
Via più s'accende, e '1 mormorio serpente
Più crosce.pcr io squadre. Onde i Latini
E gli stessi Laurenti, che pur dianzi
Pi pace eran si vaghi e di quieto,
Ponsier cangiando o voglie, or l'arme tutti
Gridaun, tutti pregan che l'accordo
Sia per non fatto; e tutti han de l'iniqua
Sorto di Turno ira, pietado e sdegno.
In questa, ecco apparir ne l'aria un mostro
Per opra di Giuturna, ondo turbati
E dal primo proposito distolti
Furda vantaggio de' Latini i cuori.
V itesi por lo lito, o per lo cielo
Di rogio asperso, un di palustri augelli
Impaurito c strepitoso stuolo.
Dietro un'aquila uvea, ch'a mano a mano
Giuntolo do lo stagno in su In riva.
Un cigno no ghermì ch'ora di tutti
Il maggioro o '1 più hello. A cotal vista I
Gli occhi e gli animi alzar l' itali- squadro; 1
E gli augei, clic pur dianzi erano in fuga
[23G-252J
[120-IU] ,.,„„„ XII- &S1
fMirnhile a rodere !), lo un momento
Stridendo si rivolsero, e ristretti
In donsa nube, ond'era il eiol velato,
La nimico Rssaliro. E si d'intorno
U cinger, l'aggirar, l' attraversare,
Ch'a ciclo aporto, n'vjlanzi erano in tuga,
I-o fcr gabbia, ritegno e forza, al fino
Cho.gravatn dal peso e stretta o vinta,
He la lena maucasso c do la preda.
Il cigno dibattendosi, da l'ugno
Sovra l'ondo gli cadda; èd ella scarni,
Da la turba fuggendo «1 cielo alzassi.
I Ruttili a tal vista con le grida
Salutar pria l'augurio: indi a la pugna
Si preparare. E fu Tolnnnio il primo.
Ch'augure, Incontro al patto anzi a le sellin o
Si spinse armato, o disso: Orquosto è, questo
Ch'io desiava; e questo ò quel ch'io cerco
Ho no' miei voti. Accetto o riconosco
11 favor dogli Doi. SIo, me seguito,
ltutuli miei. Con me Darmi prendeto
Contro al malvagio cho di strana parta
Venuto con la guerra a spaventarci,
Ita voi por vili augelli, e i vostri lidi
Cosi scorro e depreda. Ma ritolto
[262 203]
582 • I'fxeidk. | -110-408]
Questo cigno gli fin; «li IW0*0 al m!ìre
In fiign so n'andrà. Voi combattendo
In guisa do la ]>rin fugaco torni»,
Ristringetevi iusiemo, o riponete
II vostro ro, elio v'ó rapito, in salvo.
Dotto cosi, spinse il destriero, o trassa •
"Confa' a" niniici. Andò stridendo o dritto
L'aura secando il fulminato dardo;
E 'nsiomo udissi col suo rombo un grido,
Che insino al ciol, do' Rutuli. sentissi.
Insieme scompigliossi il campo tutto,
Turbarsi i petti, ed infiammarsi i cuori.
L'asta volando giunse ove a rincontro
Nove fratelli cran per sorto accolti,
Che tutti d'una sola etnisca moglio
Da l'arcadio Gilippo oiBn croati.
Un di lor ne colpi là 've por mezzo
Il cinto 8* attraversa, o con la fibbia
S'afferra al fianco. Ivi tra costa e costa,
Penetrando altamente, lo trafisso,
E morto In su l'arena lo distese.
Questi, il più riguardevolo no P armi
Era degli altri, o '1 più bello e '1 più torto,
E gli altri come tutti cran furoci,
Dal doloro infiammati incontiuouto
1-2G3-277]
[470-494] libro xn. ' 688
Chi In spada impugnò, clil prose il dardo;
K coutra il feritor tutti in un tempo.
Come cicchi. avvcntArsi. Incontro a loro
Si uiossor eie' Laurent! o de' Latini
Le genti a schiere, e d'altro lato a schiero
Spinsero 1 Teucri e gii Arcadi è gli Etrusci.
Cosi d'Arme e di sangue ugnale ardore
Surso d'ambo lo patti; o l'are o '1 foco
Ch'orali di mezzo e l'ostie e lo patene
K'andnr sossopra; o tal di ferri e d' aste
Denso levossi e procelloso un nembo,
Clio '1 sol so n'oscurò, sangue ne piovve,
(irida e fuggo fatino, e i numi offesi
50 no riporta, e detestando abbono
Il violato accordo. Armasi intanto
Il campo tutto; o chi frena i destrieri,
Chi 'I carro appresta; e già con l' aste basso
K con le spade ad investir si vanno.
Mcssupo desioso che l'accordo
51 disturbasse, incontro al tosco Aulcste
Che, come re, di rog^l fregi adorno
K d'ostro, al sacrificio ora assistente,
Spinse il cavallo e spavoutollo in guisa
Che mentre si ritraggo infra gli altari
Ch'avea da tergo, urtando, si travolse
[278-233]
584 . t/ExnnK. [4'Jj-510j
MossApo con 1» lnnoia incontinente
Gli si fo sopra, c si com'era in atto
DI supplicarlo. 11 petto gli trafisse.
Cosi ben tu, dicendo: or a' gran numi
Porco plil grato o miglior ostia cadi.
-8aà\Io il meschino, c fn, spirante o calilo,
Sovraggiunto dagl'Itali o spogliato.
Diè Corinèo per un gran tizzo a l'ara
Di piglio; e si com'era ardento c gravo,
Ad F.buso ch'incontro gli vonla,
Noi volto il fulminò. Schizzonne insiome
li foco e'1 sangue; o di baleno in guisa
Un lampo ne la barba gli rifulso
Che dio d\arsiecio odore, indi gli corso
Sopra sonza ritegno; e qual trovollo
Da la percossa abharbagliato o fermo,
L'nfferrù per la chioma; a terra il tras
Col ginocchio lo strinse, e col trafioro
Gli passò 'I fianco, l'odalirio od Also
Pastor, cho fra le schiere iufurtava.
S'affilò dietro; 0 già col brando ignudo
Gli soprastava, allor eh' Also rivolto
La gravosa bipenne ond'ora armato
Gli piantò no la fronto 0 'usino al monto
Il teschio gli sparti, l'armi gli sparso
[298-8081
[520-511] libro in. 535
Tatto di sangue: ond'oi cadilo, e le luci
Chiuso al gran bolo' oil*al perpetui) sonno.
Enea xcpz'olmo in t,,t; infra lo genti
La disarinata destra alto levando.
E discorrendo, e richiamando i suol.
Doto, dove, no gitcVrhe tum'ullo,
Dicca, che furia, ebe discordia è questa
Cosi repente? Oli inttoneto l'ire;
Oli non rompete. Il patto è stabilito;
L'accordo è fatto. Solo a mo concesso
K ch'io combatta.* A mo «ol ne lasciato
La cura e '1 carco. Io, non Uuiote, iu solo
Il patto ri ratifico o vi formo
Con questa sola destra; o Turno a morto
Di già mi si prometto, e mi si dero
Ha questi sacriflci. In questa guisa
Gridava il teucro duce; ed ecco intanto
Venir d'alto strìdendo una saetta;
Non si sa da qual mano, o da qual arco
Si dipartisse. 0 caso, o dio che fosso
Clio tanta lode a' Rullili prestasse,
L'nnor so no colò, nò mai s'inteso
Chi dol ferito Enea vanto si desse.
Turno, poichò dal campii Enea fu tratto,
E turbar vide i suoi, di nuova speme
1308-325]
586 a l'ekridk. [54
.S' acceso, o gridò l'armi, e sopra al ca
D'ini salto si lanciò, spinse I cavalli
Infra' nomici, c molti a morto dioune.
Molti no sgominò, molti n'infranse,
"E con l'aste, fuggendo, no percosse.
Qual è de l'Elmi In su la fiodda riva
11 sanguinoso Marte, allor ch'entrando
No la battaglia, o con lo scudo intitoli»,
0 fulmina con l'asta, e i suoi cavalli
Da la furia e da lui cacciati e spinti
No van co'vonti a gara, urtando i vivi,
E calpestando i morti; e fan col suono
De' piò fino agli ostrenii suoi confini
Tremar la Tracia tutta, a van con ossi
Lo spavouto, il timor, l'insidio e l'irò,
Del bellicoso Iddio seguaci eterni;
In cosi fiora e spaventosa vista
So no già Turno, la campagna aprendo,
Uccidendo, insultando, o di nomici
Miscrabil ruiua e strage o strazio
Or con l'anni facondo, or co'destriorl
Che sudanti, fumanti e polverosi,
Spargcan di sangue e di sanguigna arena
Con lo zampo e con l'ugno un nembo intorno
Stèndo, ne l'entrar, Tùmiro e Polo
[325-341]
I
[570-694] mbbo ni. 587
Condusse a morto; i duo primi ila prosso.
L'ultimo da lontano. E da lungóVnco
(ilanco percosse o Lodo; i due famosi
Figli d'Inibrùio, ne tri Licia nati.
Da lui stosso nutriti, e parimente
A caralcaro e guerreggiare Instrutti.
Da F altra parte Eumode, il chiaro gormo
De l'antico Dolóno. Il nome ave»
Costui do l'aro, e l'ardimento e i fatti
Seguia del padre, che He' Greci il campo
Spiaro osando, osò il' Achilli- ancora
In premio de l'ardir chiedere il carro.
Ma d'altro che, di carro premTollo
11 Aglio di Tidòo: né però degno
D'un tanto guiderdone unqua si tenne.
Turno, poscia cho '1 ride (chò da lungo
Lo scòrse) con un dardo il giunse in prima:
Indi a terra gittossi: e qual trorollo
Di già caduto e moribundo, il piede
Sopr'al collo gl'impresse, e no la strozza
Lo suo (tesso pugnai cacciògli, o disse:
Troiano, ecco l'Italia, ecco i suoi campi»
Che tanto desiasti: or gli misura
Costì giacendo. E questo si guadagna
Chi coutraaTurno ardisce; c'n questa guisa
[M»*M]
688 l' F.XKTDE. [j9ó-6MJ
SI fondini lo citta. Dietro a costai
Butc. c di mano in man Pareto o Cloro
E Sfitti i, c Tersiloco o Timeto
Lanciando, uccise. Ma Tiincte in torra
Ferì, che por sinistro o por difetto
D'un suo restio cavallo ora caduto.
Qunl sopì a al grande Egèo sonando scorro
11 tracio Bora, che lo nubi e i flutti
Si sgombra avanti; e questi ai lidi, e quello
A l' orizzonto iu fuga so no vanno;
Tal por lo campo, ovuuquo si rivolge.
Fa Turno sgominar l'armi o le schiero;
E tal seco ne va furia e spavento,
Che flnanco al cimior morto minaccia.
Fogèo, tanta fìorezza e tanto orgoglio
Non sofferondo, ni concitato carro
Parossi avanti; e lievemente un salto
Spiccando, con la destra al fren b' appeso
Del sinistro corsiero. E si com' era
Da la fuga rapito e da la forza
Di tutti insieme, insiemoinonto a tutti
(Dal sontior divertendoli e dal corso)
Facoa storpio o disturbo. Ed ecco al fianco
Che da la destra parto ora scoperto,
Cotal sentissi do la lancia un colpo
[3G1-375]
[620-CH4] libro xn. 589
Cbo la corazza, ancor che doppia c forte,
Straccióni, c'n fino al vivo lo trafisso.
Ma di Uovo pilatura. Ond'cl rivolto. *
E 'mbracciato lo scudo o stretto il brando,
Contra gli s'affilava; o per soccorso
Gridava intanto. Ma Icjnioto o l'asso
Ch'erano in moto, urtandolo, a rovescio
dittar!»: o Turno immantinente addusso
Sagliondoglì, infra l'elmo o la gorziora
11 collo gli ri--, e dal sno busto
Tronco il capo lasciagli in su l'arcua.
Mentre cosi vincondo e d'ngui parte
Con tanta strago U campo trascorrendo
Se ne va Turno ; Enea dal lido Acato,
Pa Mcmtno e dal suo figlio accompagnato
(Come da la saetta era ferito),
Sovr'un'asta appoggiato, a lento passo
Verso gli alloggiamenti si ritraggo.
Ivi consta a lo strai, centra a sè stosso
S'inaspra e frango il tèlo, di sua mano
Ripesca il ferro, e poi che indarno il tenta.
Comanda che la piaga gli s'allarghi
Con altro forre e d'ogni intorno s'apra,
Si cho tosto dal corpo gli si svelga,
E tosto alla battaglia se no torni.
[878-900]
■1
590 L- kskidr. Ii'.45-660]
Comparso intanto ora a 1* cara lilpi
D'Iaso miglio, sovr'ogn'altro amato
Da Febo. E Febo stesso, allor eh' acceso
Kra da l'amor suo, la cetra e l'arco
E'1 vaticinio, e qual do l'arti suo
Tiii l'aggradasse, a sua scelta gli olforge,
Ki che del vecchio informo e già caduco
Suo padre la saluto e gli anni amava,
Saper de l'orbo la possanza, e l'uso
Di modìcaro elesse e sonza lingua
E sonza Inde e del futuro ignaro
Mostrarsi in pria, che non ritórro a morto
Chi li dio vita. A la sua lancia Enea
Stava appoggiato, o neramente acceso
Fremendo, avea di giovani un gran cerchiti
Col Aglio intorno, al cui tenero pianto
Punto non si movoa. Sbracciato intanto
E con la veste e la cintura avvolta,
Qual do' medici ù l'uso, il vecchio Iftpl
Gli era d'intorno: o con diverso pruovo
Di man, di ferri, di liquori e d'erbe
Invan s'affaticava, invano ogu'opra,
Ogn'artc, ogni rimodio, e i preghi e i voti
Al suo maestro Apollo cran tentati.
Do la battaglia rinforzava iutauto
I3U1-400]
[670-694] 'uno ut. 591
Lo scompiglio o l'orrore; o già '1 porlgllo
S'avvicinava; già di polve il cielo,
Di cavalieri il campo era coverto;
Chè fin dentro a' ripari e fra le tende
Ne cadevano i dardi ; e gii da presso
S'udian do' combattenti e de' caduti
I lomenti o le grida. Il caso indegno
D'Enea suo figlio, e '1 suo stesso dolore
In sè Ciprigna e nel suo cor sentendo,
Katto v'accorse, o fin di Creta nddusso
|ii dittamo un cespuglio, elio reconto
Pi sna man còlto, era di verdo il gambo,
Di tenero lo foglio, o d'ostro i fiori
Tutto consporso o rugiadoso ancora.
Quest'erba por natura ai capri 6 nota,
E da lor cerca allor elio '1 tergo o 'I fianco
Ne van di dardo o di saetta infissi.
Con questa Citerca per entro un nembo
Ne venne ascosa, o col salubre sugo
D'ambrosia o d'odorata panacea
Mischtolla, e poscia i tiopidi liquori
Ch'oran giù presti in tal guisa ne sparse.
Che Mun so n'avvido. E n'ebbe a pena
La piaga infusa, che l'angoscia e 'I duolo
Cessò repente: il sangue d'ogni parto
[407-483]
692 l'knmde. ' [695-71W
De la ferita in fondo si raccolse,
E soguendo la mono, il ferro stosso
Come da sè n'uscio'. Spedito e forto,
E nel pristino suo vigor ridotto,
Enea dritto lovossi. Ufi il primo,
A che, disse, badato? e perchè l'arme
Tosto non gli adducete? Indi a Ini vòlto,*
Contri a' nemici in tal guisa infiammollo:
Enea, non è, non è por possa um ina
0 per umano avviso o per mia cura
Questo avvonuto. Un dio, certo un gran dio
A gran co'se ti serba. In questo mezzo
Ei, già di pugna desioso, entrambi
S'avoa gli stiuebi di dorata piastra,
11 dorso di lorica, e la sinistra
Di scudo armata. E già l'asta squassando,
D'indugio impaziente, iu su la soglia
Tanto sol do la tenda si ritenne,
Clio, si com'era di tutt'nrini involto,
D caro litio caramento accolso,
E con Io labbia a pena entro l'elmetto "
Iiacìollo, e disso: Figlio mio, da ino
l.a sofferenza e la virtude impara;
La fortuna dagli nitri. Io, quel elio posso,
Or con questa mia destra ti difendo:
|422-137]
[720-744] • limo XII. 593
Onor, grandezza o signoria t'acquisto
Col sangue mio. Tu poi. quando maturi
l'i l'i gli anni timi, fa'cbo <V Enea tuo padre
K d' Ettore tuo zio si ti rammenti.
Cho ti sian lo fatiche o i gesti loro
A gloria od a vortutc«ssempi o sproni.
Detto cosi, fuor do la porte uscendo
traudì la lancia, e tutti in un drappello
Ristrinse i suol. Mommo ed Anteo con esso
E quanti altri del vallo erano in prima
Lasciati a guardia, il ratio abbandonando,
Pietro gli s'inriaro. Allor di polro
Lovossi un nembo, e d' ognintorno scossa
Al calpitar de' pio tremò la terra.
Turno di sopra un argine mirando,
Quosta gente venir si vide Incontro.
Viderla, e ne temerò e no tremaro
Gli Ausoni tutti. Udinno il suon da lungo
luturna in prima, e per timore indietro
Se ne ritrasse. Enea volando, al campo
Spinso lo stuol, elio polveroso o scuro
Tal se n'andò qual d'alto maro a terra
Squarciato nembo, quando. oYimù! clic soglio
E che spavento, o che mina apporta
Ai misori coloui! e quanta strage
CAHO.-8S. 1437-153)
694 - l'kxicibb. [746-709]
Agli Albori, a lo biado, a la vendemmia
So ne propara! o qiml so n'odo intanto
Sonar procolla, o venir vento n riva!
Cotal coutra a' nomici il teucro duco
Co'suoi, comò in un gruppo insieme uniti,
Entrò ne la battaglia. Al primo incontro
Osfri, Archozio, Utente ed Kpulono
No gir per terra. Acato o Mommo o Ola
E Timbrò© gli affiontaro: e ciascun d'essi
Atterrò '1 suo. Caddo Tolunnio appresso,
1/ auguro elio primiero il dardo tiassa
Nel turbar do l'accordo. Al suo cadero
Tutto in un tempo empiessi il ciel digiid
La campagna di po)vo; e vòlti in fuga
So no giro i Latini. Enea sdegnando
E di seguire c d'incontrar qual fosso
Pedone o cavalior, cho o lungo o presso
I)i provocarlo e di ferirlo osasse,
Sol di Turno cercando iva per entro
Quella donsa caligine, o '1 suo nomo
Solamente gridando, a la battaglia
I,o disfidava. Impaurita o mesta
Di ciò luturna.la virago ardita.
Tosto di Turno al carro appropinquossl,
E giù Metisco il suo fedele auriga
[468469]
1770-794] Wimo xit. 59
Subito traboceonne. Ed ella in vece
K °u sembianza di lui, lui stesso al corpo,
A l'armi, a la favella, ad ogni moto
Rassomigliando, in seggio ri si pose,
K ne prese le redine, o lo resse.
Qua) ne va negra (ondino 'aliando
Per lo case do' ricchi, nllor elio pillino
E ruscelletti al cominciato nido
Quinci e quindi rauu», o picciol' esca
A'suoi loquaci pargoletti adduco;
Clic sotto al porttcali o sopra l'acque,
K per gli atrii volando e per le Rnlo
Or alto or basso si tiarolve o gira;
Cotal luturna if rampo attrarorsaudo
Per ogni pai to si spingea col carro
E co'destricri infra i nemici a rolo,
Sovente a loco a loco il suo fratello
Vincitor dimostrando, e non s»ft*rcudo
Che punto dimorasse, o eli' a rincontro,
0 pur vicino al gran Teucro no gisse.
Enea da l'altro canto incontro a lui
Volgendo, rivolgendo, e fra loscbiore,.
Cosi com'erau dissipate e sporse,
Indarno ricercandolo, il chiamava
Ad alta voce. E mai gli occhi uon torse
[470-483J
690 « b'mro». [795-819]
Ov'cl si fussc, e diotro non gli mosso,
Ch'cllH co'suoì corsieri in più diversa
K più l'int»nn parte non fuggisse.
Or che fari, ch'ogni pensiero, ogni opra,
Ogni disegno gli mesce invano V
Ki pensierson diversi'? Ecco Messàpo,
Che per lo campo discorrendo intanto
D'improviso l'incontra. E si com'era
11' una coppia: di dardi a la leggiera
Ne la sinistra armato, un ne gli trasse
Dritto si che feria; se non eh' Enea
Gli fece schermo, o rannicchiato e stretto
Chiuossi alquanto. E pur no l'elmo il colse
E '1 ciniier no divelso. Irato surso;
E poiché da' nemici nttornoggiato
Si vido. e elio i cavalli cran di Turno
Di già spariti, a Giovo, ni sacri altari
Del violato accordo e de V insidio
Molto si protestò: poscia tra loro
Gittossi impetuoso, e strazio e strago
Prosperamento, ovunque si rivolse.
Ne feco a tutto corso; e senza fieno
Si diede a l'ira ed a la furia in preda.
Or qual nume sarà ch'a dir m'aiti
Le tante oecistoni e si diverse
Lisa-ouij
T820-844] imo ni. % 597
Cho ili duci e di schiore e di fajittr--i
Fccer quel giorno, Enea la l'unn parte,
Timio da l'altra? Ali, Giove! il crudele.
Si sanguinosa guerra Infra due genti
Clio saran poscia eternamente in pace?
Knoa Sucronc, un ■de' più forti Ausoni,
Occiso in prima, e primamente i Teucri
Fermò, eh' era n da lui rivolti in fuga.
L'incontrò, lo feri, senza dimora
Morto a terra il gittò; ch'in un de' fianchi
Con la apada lo colse; o nc lo costo
E ne la vita stessa ne gl'immerse.
Turno a piò dismontato, Xmico in terra,
Che da cavallo era raduto, infisso;
E soco il frate suo Dròro estinse.
L'an di lancia feri, l'altro di brando;
E d'ambi i capi dai lor tronchi avulsi,
SI com'oran di pólvere e di sangue
Stillanti e lordi, per le chiome appesi
Anzi al carro si poso. E via scgucudo
Quegli Taìono o Tana! e Cctègo
Tre feroci Latini ad un assalto
Si stese avanti, e 'I mosto Onlte appresso
Figlio di Peritla, gloria di Tebe.
E tio dal canto suo qnosli tf anciso
[501-5101
I
608 4 l'kxcidi!. f815-809]
Ch'cran fratelli do la Licia usciti
E de' campi d'Apollo; a cui per quarto
Monete aggiunse. Ah corno il fato indarno
Si fugge! liifln d'Arcadia fu costui
Qui condotto « morire. E 'n su la riva
Era nato di Lorna, ore pescando,
Va l'armi, da lo corti c ÓV palagi
Si tonca lungo; c solo il suo tugurio
Avoa per reggia/o por signoro il padre.
Povero agricoltor de' campi altrui.
Colpo duo fuochi in duo diverse parti
I>'uu socco bosco accesi ardon sonando
Le querce o i lami; o duo rapidi o gonfi
Torrenti che noi mar dagli alti mouti
Precipitando, se no va ciascuno
Il suo camino aprendo, e ciò elio trnova
Si caccia avanti o rumoreggia c spuma;
Cosi por la campagna, ambi fremendo.
Le schiero sgominando, e questi o quelli
Atterrando ne gian, da l' una parto
Enea, Turno da l'altra. Or s) elio d'ira,
Or si che di furor si bolle o scuppia,
E con tutte lo forze a ferir russi;
('li'- l'esser e non In i ri ■ > i i • - è morto,
E qui Murrùuo (un elio superbo 0 gonfio.
151G-52U]
[870-8W] libro xil. . B
Del nomo e de l'origine vantando
Se ne già dogli antichi avi o bisavi y
Latini retti) Tu d'un balio a torra
l'i la furia d'Enea spinto o travolto;
Sì che di lui. dal carro e de lo ruoto
Fatto un viluppo, i suoi stessi cavalli,
Il signore obliando, incrudelirsi,
K sotto al giogo o sotto ai calci accolto
L'infranscr. lo pigiar, lo strasciuaro
E l'ancisoro alfine. Ilo, cho fiero
E minaccioso avanti gli «i foco,
Segui Turno a ferir di dardo, in gnisa
Che de l' elmetto la dorata piastra
E lo tempio e '1 cerebro gli trafisso.
Ne tn, Cròtoo, di man di Turno uscisti,
Porche de' più robusti o do' più forti
Eosti de' Greci. Nò di man d' Enea
Scampir Cupento i suoi numi invocati:
Che nel petto forillo, e non gli valse
Lo scudo cho di bronzo ora coverto.
E tu cho contra a tante argive schiero
E contra al domator di Troia Achille,
Eolo, non cadosti, in questi campi
Fosti, qual gran colosso, a terra steso.
Ma che? Quest'era il fin de' giorni tuoi
[629-516]
000 |L'ixi;!nK. ' - (805-918)
Qui cader t'era dato. Appo Lirnosso
Altamente nascesti: appo Lauronto
Umil sepolcro avesti. Kran giù tutti
Quinci i Latini, v quindi i Teucri a Tronto,
E tra lor mcsculuti Asila o Memino,
K Seresto e Messùpo, e lo falangi
Degli Arcadi e do'Tos.chi, ognun por si,
£ tutti insiomo con estrema possa,
Con estremo valor senza riposo
Facoan mortalo o sanguinosa mischia.
Qui nel pensiero al travagliato Aglio
Pose Ciprigna di voltar le schioro
Subitamente a lo nimiche mura,
E con quel nuovo, inopinato avviso
Assalir, disturbalo, 0 l'oste insiemo
E la città por do' Latini in forso.
E si corno, di Turno investigando,
Vojgca Io luci in questa parto e 'n quella,
Vide Laurento che non tocco ancora
Stava da tanta guerra immune o scevro.
E da l'occasTon subii amento
Preso consiglio, a sè Mommo, Seresto
E Seigosto chininando, indi vicino
Sovr' uo collo si trasso, ove de' Teucri
A mano a mano si rauuàr le schiere.
151G-5G3J
[920-944) llrmo XII. COI
E si corno raccolti, aranti e «trotti
S'eran già fermi, in meno alto levossi
E «osi disse: l'dito. o senza indugio
Fate quel cV io dirò, liiove è con uoi.
E perchè si ropoute io mi risolva
A questa impresa, non pero di toì
Alcun sia che men pronto vi si mostri.
Oggi o che re Latino al nostro impero
Converrà ch'obbedisca o frano accetti;
0 elio questa citta, scino e cagiono
Di questa guerra, o questo regno tatto
A foco, a ferro ed a mina andranno.
E che deggio aspettar? Cho non più Turno
Fugga, si come fa, la pugna mia?
E che vinto una volta, si contonti
Di combattere un'altra? Il capo o 'I fino,
Cittadin miei, di questa guerra è questo.
Via, col foco a le mura o con lo Dani ino
No vendichinm del violato accordo.
Avoa ciò dotto, quando ognuno a gara
E tutti insieme inanimati e stretti
Di conio in gnisa. qual intera massa,
Appressar la città. Vi furon presto
Le scalo o 'I foco. Altri assalir le porto,
E questi e quelli occisero e cacciaro,
|óu3-i>77J
602 « L* i NKinr. " [945-9<b]
Come pria s'abbatterò. Altri lanciando
Oppugnarla muraglia; ondo lovossi
Di terra un nembo che fece ombra al sol*.
Enea sotto a le mura attornoggiato
Da' primi suoi, la destra alto o la voce
Levando, or couTatino or con gli lloi
Si protostava, che due volte a l' armi
Era forzato e che duo volto il patto
(ili si turbava. I cittadini intanto
Faccau tumulto. E chi volca che dentro <
Si chiamassero i Teucri e che le porto
Fossero aperto, il ro fin sulle mura
A ciò traendo; e chi l'armi gridando
S'apprestava a difesa. Eia a vederli
Qnal ò di pecchie entro una cava rupo
Accolto sciamo allor che dal pastoro
D'amaro fumo èia cavorna olTosa;
Cho trepido, confuso e d* ira acceso,
Per l'iuccrate fabrichc travolto,
Discorrendo e ronzando so no vanno:
Al cui stridor l'airumigata grotta
Mormora, e tetro odore a l'aura esala.
In quosto tempo un infortuuio orrendo
Timor, confusione e duolo accrebbo
Agli afflitti Latini, e pose in piatito
IÒ78-594J
[970-994] tIBao XII. 603
Il popol tutto: e Yu elio la rolnA.
Visto da lontre Incontro a la cittado
Venire i Teucri, e gin le faci e l'armi
Volar por entro, e più Mila sentendo
0 vedendo do' liti tuli o di Turjio.
Onde aita o speranza lo venisse.
Si crodù la meschina che già l'osto
Fosso sconfitto, o '1 genero caduto.
Ogni cosa in mina. E presa o viuta
Da sùbito dolore, alto gridando:
Ali! ch'io la colpa, diss». 1o la cagione,
10 l'origine son di tanto malo.
E dopo molto affliggersi e dolersi,
(iia furiosa e di morir disposta
11 petto aprissi, e la purpurea vesta
Si squarciò, si percosse, e de rinfiline
Nodo il collo s'avvinse, o strangolossi.
Udito il caso, la dilotta figlia
1 biondi crini o lo rosate gunneo
Prima si lacerò, poscia la turba
V'accorse do lo donno, e di tumulto,
Ili pianti, di stridori e d'ululati
La reggia tutta e la cittado ompiossi.
Ognun si sgomentò. Latino, afflitto
Do la morte d' Amata e del periglio
I694-C10J
004 4 l' xneidR.* ' |995 1Clftj
Poi regno tutto, lantossi il manto,
Bruttossi il binnco e vcnorabil crine
D'immonda poh»: amaramente itintise
Cile per suocero dianzi o per amico
Non si confedero col frigio duce.
Turno, elio in quo9to mezzo combattendo
Rimaso era del campo in su l'estremo
Incontro a pochi, e quelli anco dispersi, \
fila scemo di vigore, e trasportato
Da'suoi cavalli, che ritrosi o stnnchi
Ognor più se n'andavano e lontani, '
In sò confuso e duliio so no stava.
Quando ecco di Laureato ode lo grida
Con un temi che. non compreso ancora,
Gli avea da quella parte il vento addotto.
Porso l'orecchio, e '1 mormorio sentendo
Do la città, elio tuttavia più chiaro
Di tumulto sembrava e di travaglio,
Oh, diBso, cho sent'io? che novitate
E cho rumore o che trambusto è questo
Cho di dentro mi foro? E, qimsi uscito
Di sò, mirando od ascoltando stette.
Cui la sorella (come già conversa
Era in Motisco, o come i suoi cavalli
Stava reggendo) si rivolse, e disso:
[610-025]
[1020-10U| limo xn. 005
Hi qui». Turno, di quii. Quinci la strada
No s"aprc a la vittori*. Altri a difesa
Suran de la citU. So d'altra parto
Knea de' tuoi fa strago, «tu da questa
Distruggi iauoi; che non men gloria areuin,
K più sangue faremo, lì Turno a lei :
0 mia sorella ! (elio mia suora eertu
Sei tu) ben ti conobbi infin da l'ora
Clio turbasti l'accordo, • olio poi n
Ne la battaglia entrasti. Or, benché Dea,
Indarno mi t'ascondi. B chi dal ciclo
Cosi qua giù ti manda a soffrir inoro
Tauto fatiche? \ veder forse a morto
ti ir tuo fratello? K che. misero! degirio
Far altro mai? qual mi si mostra altrnndo
0 saluto o speranza? lo stosso ho visto
Con gli occhi miei, lo mio nomo chiamando,
Cadore il gran Murriino. E chi mi resta
Ili lui più fido e più caro compagno?
K 'I magnanimo Ufento anco è perito,
Credo, per non vedor le niio vergogno:
K 'I corpo o l'armi sue, lasso! in potere
Soli de' nemici. K soffrilo (citò questo
Sul ci mancava) di vedermi avanti
Aprir le mura, e minare i tetti
006 l'kxf.idu. [1015 1 <flìOJ
De la nostra città? Nò li* che Dranco
Menta de la mia fuga? E fla che Turno I
Volpa lo spallo, e quella terra il vegga?
Si grau malo ó morire? Inferni dii.
Accoglietegli! voi, poiché i superni
Mi sono infesti. A voi di questa colpa
Scenderò spirto intemerato e santo,
£ non sarò do' miei grand' avi indegno.
Ciò disse a pena: ed ecco a tutta briglia
Venir per mocxo a lo nemiche schiera
Un cavalier che Suge era nomato.
Pi spumare di sudore il suo cavallo,
E di sangue era sparso. In volto infissa
Portava una saotta, e con gran furia
Turuo chiamando e ricercando nudava.
Poscia che '1 vide, In to, disse, è riposta
Ogni speranza; nhhi pietà de'tuoi.
Enea va corno un folgore atterrando
Tutto ciò che davanti gli si para;
E lo mura e lo torri o '1 regno tutto
Di ruinar minaccia; e già lo Taci
Volano ai tetti. A to gli occhi rivolti
Son do' Latini. E già Latino stesso
Vacilla, o fra due stassi a qual di voi
S'attenga, o di cui suocero s'appelli.
[01HÌÓ8]
[1070-1094] libbo xii. C07
La rcg ina che solò ero sostegno
Po la tua parte, di sua propria mano,
Per timore e por odio de la vita.
S'è strangolata. Solamente Atlna
F. Mcssapo * difesa de lo porto
I Kan testa: ma gli vanno i Teneri a Bclilcro
Con tonfaste a rincontro o tante spade
Serrati insieme, quanto a pena in .'ampo
Non son le biade. E tu por questa vota
E desorta campagna il carro indarno
Spingendo e volteggiando to no stai?
Turno da tanto orribili novello
I Soprnggiunto in un tempo e spaventato,
Si smagò, s'ammutì, col viso a terra
Chinossi. Amor, vergogna, insania o lutto
E dolore o furoro o coscienza
> Del suo stesso valoro accolti in uno.
Gli arsero il coro e gli avvamparo il volto.
,M.i poscia die gli fu la nebbia e l'ombra
Po la mente sparita, e cho la luco
fili si scopri della ragione in parte:
Cosi com'era ancor turbato o fero,
Pi sopra al carro a la città rivolse
I/ardente rista, Ed creo in su le mura
Vedecbuuua gran fiamma al cielo ondeggia,
I6Ì9-C73I
\
608 l'kxkioi». |10%-lflO]
Gli Assiti, I ponti e lo bertesche Ardendo
D'una torre eli' a guardia era da lui
De la muraglia in su le mote eretta.
K disse: Già, sorella, gii son vinto
Hai mio destino. À che più m'attraversi?
Via dove la foi turi» o Dio he chiama!
Ferino son di venir col Teucro a l'armi,
E soffrir de la pugna e de la morto
Ogni acerbezza, anzi che tu mi vegga
Do la gl'A ia do' mici, sorella, iudegno.
Or al fato mi lascia: e sosticn eh' io
Disuighi Infantata il mio furore.
Cosi dicendo, fuor del carro a terra
Gittnssi incontinente, o la sirocchia
Lasciando afflitta, via per mozzo a l'armi
K por mezzo a' nemici a correr dicssi.
Qual di cima d'un monte in precipizio
Itotolando si svolgo un sasso alpestro,
Che dal vento o dagli anni o da la pioggia
Divelto, por lo piagge a scosso, a balzi
Vada senza ritegno, e do lo solvo
E degli armonti o do' pastori insieme
Meni guasto, mina e strage avanti:
Tal per l'opposto o sbaragliate schloro
Se no già Turno. E giunto ove iu cospetto
1673-090]
[1120-1144] libro xn. 009
De la città di molto sangue il campo
Era pia sparso o pien di dardi il dolo;
Alzò la mano, e oon gran roce diano:
State. Ruttili, a dietro; e voi, Latini,
Toglietevi da l'armi. Ogni fortuna,
Qnal ch'olla sia di questa pugna, è mia,
A me la colpa, a me si dee la pena
Dol violato accordo: a mo per tutti
l'ugnar debitamente ai conviene
A questo dir di mezzo ognun si tolso,
Ognun si ritirò. DT Turno il nome
Knea seuteudo, il cominciato assalto
Dismise o da lo mura e da le torri
E da tutto l'imprese si litrnsse.-
I'er letizia esultò, tcrribilmento
Eremò, si rassettò, si vibrò tutto
Ne l'armi, e 'n sò medesmo si raccolse;
Quanto il grand' Ato.o'lgrand'Èricoa l'aura
Non sorge a pena, o'I gran padre Appennino.
Allor che d'elei la fronzuta chioma
Ter vento gli si crolla, o che di nove
Gioioso alteramente s'incappella.
1 ltiiluli. i Latini, i Teucri, a tutti
0 ch'u la guardia o ch'a l'uffusa in prima
Fosser de la muraglia, ognuno a gara
Caro. -89. [691-7071
CIO * ' L* ExxiDK. ' [1145-H69]
L'urini deposte, a rimirar si dioto.
Latino OS* re stesso spettatore
Ne fu con meraviglia ch'anzi a lui
Altri due ro si grandi, e di duo parti
Dof mondo si divorso o si remote,
Fosser de l'tjni al paragou tenuti.
Eglino, poiché largo e sgombro il campo
Ebbcr doranti, non si fur da lungo
Veduti o peno, cho correndo ontranibi
Mosser l'ini contro l' altro. 1 dardi in prima
S'avventar di lontano, indi s'urtaro;
E '1 tonor degli scudi e '1 suon degli olmi
Fo la terra tremare, o l'aura ai colpi
Fischiò do' brandi. La fortuna insieme
Si mischiò col valore In cotal guisa
Sopra al gran Sila 0 del Taburno in cima.
D'amore accesi, con le fronti avverso
Yan duo tori animosi a rincontrarsi;
Cho pavidi in disparto se ne stanno
I lor maestri, s'ammutisce e guarda
La tornio tutto, o lo giuvencho intanto
Ston dnbic o cui di lor marito e donno
Sio do l'armento o divenir concesso:
Ed essi urtando, con lo corno intanto
Si dau forute, cho lo spollo e i flauchi
[707-721]
fi 170-1 194] LIM0 iìu OH
Nogrondan sangue, e ne rimugghia il bosco.
Tal del troiano o de l'ausonio duco
Era la pugna e tal do la percosse
E degli scudi il suono. A questo assalto
Il gran Gioire nel ciol librate e pari
Tenne lo sue bilanco, • d'ambi il fato
Contraposando, attese a qual di loro
Desso la sua fatica e 'I ano valore
Do la vittoria o do la morte il crollo.
Qui Turno a tempo, cho sicuro c dostro
Gli parve, alto IcvJssi, e oou la spada
Di tutta forza a 1'avvorsario trasse,
E no l'elmo il fori. Gridare i Teucri,
Trepidare i Latiui, e sgomentarsi
Tutto d'ambe gli esserci» le sebiore.
Ma la perfida spada in mozzo al colpo
Si ruppe, o 'u sul fervore abbandonollo,
SI elio la fuga in sua reco gli valso:
Ch'» fuggir diessi, tosto elio la dostra
Disarmata si vido, o cho da l'elso
1,'nnue conobbo cho la sua non era,
È fama che da l'impeto accecato,
Allor che prima a la battaglia ascondo
(iiuuse Turno i cavalli o '1 carro ascoso.
Per la cunfuslono o per la fiotta
| 721-7861
012 l'enfiiib. . [U!>r>n31f]
lasciato il patrio brando, a quel di piglio
Di& por disavventura, elio davanti
Gli s'abbattè del suo Motisco in prima. *
K questo. III! che dissipati e rotti
N'audaro i Teucri, assai fedolo e saldo
Lungamente gli resse. Ma venuto
Con l'armi di Vulcano a paragone
(Como quel elio di mano era costrutto
Di mortai Fabro) mal temprato o fralo,
Qual di ghiaccio, si franse e no la sabbi»
No rifulsero i pezzi. E cosi Turno
Fuggendo, or quinci or quindi per lo campo
Qual forsennato, indarno s'aggirava.
D'ogni parte rinchiuso; elfo da l'una
Lo serravano i Frìgi o la palude,
E '1 fosso e In muuiglin era da l'altra. I
E non men eh' ci fuggisse il teucro duce
(Come che da la.piaga ancor tardato
Fosso de la saotta, o lo ginocchia
Si scntisso ancor fiacche) il seguitava.
I/ardonto voglia, e la speranza eguale I
A la téma di lui, si lo spingoa,
Che già già gli era sopra, e giù '1 feria, ■
Così corvo fugace o da lo ripe , 1
Chiuso d' un alto fiume, o circondato
[786-750] '
11220-1244] ubro xtt. 613
Db le vermiglio abbonii unto penne.
Se du veltro ò cacciato o da molosso
Clic correndo c latrando Io persegua,
Hi qua di luì, di In del precipizio
Temendo o.degli strali e degli agguati,
Fugge, rifugge, si tratolve e toma
Por mille vie; nò dal feroce alano
F. però meno atteso o mon seguito,
Clicmai iioal'abbanriuua: o già gli èpresso
A bocca aperta, e già par che l'aggiunga,
K '1 prenda, e '1 tenga, « come se '1 tcnesso,
Schiattisco, o '1 vento morde, c i donti inciocca.
Allor io grida nlz.irsi, a cui lo rupi
Dc'monti e i laghi intorno rispondendo,
I/uria e '1 ciol tutto di tumulto empierò.
Montre cosi fuggia Turno gridando
K rampognando i suoi, del proprio nomo
Ciascun chiamava, e '1 suo brando chioda*.
Enea da l'altra parto, minacciando
A tutti unitamente ed a qualuncho
Di sovvenirlo e d'appressarlo osasse,
Che faria dolio genti occisTono
Senza pietà, eh' a sacco, a ferro, a foco
Matteria la cittade o '1 regno tutto,
SI com'era ferito, il seguitava.
;750-7g;]
614 V l" kxkiok. [1245-12M]
Clnqno roltcgirando il camp" tutto, j
E cinque rigirando, e molto c molte
Di qua di lì corrcudo. imperrorsaro:
Che non per gioco, non per lieve acquiate
D'onor, ma per l'imperio, per lo sangue,
Ter la vita di Turno era il contrasto.
Por sorto in quosto loco anticamente
Era a Fanno sacrato un oleastro
D'amaro foglie, renerabil legno
A'naviganti che dal maro usciti
A salvamento, al tronco, ai rami suol
Lasciavano i lor voti o lo'lor vesti
A questo dio dc'Laur.onti appese:
Non obbero i Troiani a questo sacro
Più ch'agli altri profani arbori o sterpi
Alcun riguardo; onde con gli altri tutti
Lo distirpar, perchè notte o spedito
Rostasso il campo al marztalo incontro.
De l'oloaatro In loco ora caduta
. L'asta d'Enea: qui l'impeto la trasse;
Qui si tcnea tra lo suo barbe infissa.
E qui per ricorrerla il teucro duco
Chinossi, o per far pruora se con ésaa
Lanciando lo formasse almen da lungo,
Poi ch'appressar corrando noi potoa.
1703-776]
[1270-1294) libro xn.. 615
Allor por tóma in sò Turno confuso,
Abbi, Fauno, di mo rum o pictadc.
Disse, pregando, o tu. benigna torri».
Sii del suo ferro a min scampo tenace.
So i rostri sacrifìci e 1 rostri onori
lo mai sompro curai, «ho pur da' Frigi
Son cosi rilipesi e profanati.
Ciò disso. enon fu '1 detto e '1 roto in r ano:
Ch'Enea molta fatica o molto indugio
Mise intorno al suo tèlo, nò con forza
Nò con industria alcuna ebbo possanza
Mai di sferrarlo. Or mentre ri s'alfauua
E ri studia e ri^uda, ecco Iuttirna
Un' altra volta ne lo stesso auriga
Mutata gli si mostra, o la sua spada
Al fratello appresonta. E d'altra parto
Venere, disdegnando elio la ninfa
Cotanto osasse, incontanente aneli' olla
Accorso al Aglio, o l'asta gli dircise.
Cosi d'arme, di spumo e d'ardimento
Ambiduc rinforzati, o l'un del brando.
L'altro de l'asta altero, un'altra volta
A vittoria anelando s' azzufferò.
Stara Ghino a mirar questa battaglia
Sovr' un nembo dorato, allor che Uiove
[776-701]
810 »* t'KXKjDK.' [1295-1319]
Cosi lo disse: E cho faremo alfine.
Donna? E che far ci festa? Io so che sai,
E tu l'affermi, clic ria' fati Enea
Si devo al cielo, e clic tra noi s' aspetta, i
Ch'airngni più? Che macchini, e che speri?
A cho tra queste nubi or ti ravvolgi?
Convoncvol ti sembra o degna cosa
Che mortai ferro a vTolar presuma
Un che fia divo? E ti par degno e giusto •
Oh'a Turno in man la spada si riponga
Quando egli stosso la si tolse o ruppe?
E l'avria senza tu Iuturna osato,
Non che potuto? Ah crescer forza a' vinti I
Togliti giù da questa impresa ornai,
Togliti; o me. cho te no prego, ascolta:
Nò soffrir cho '1 dolor, ch'outro ti rodo,
Cangiando il dolco tuo scrono aspetto,
SI ti conturbi, o si spesso cagiono
Mi sia d'amaritudine e di noia.
Quost'ò l'ultima fino. Assai per maro,
Assai per terra hai tu Un qui potuto
A vessare i Troiani, a muover guoira
Cosi nefanda, a scompigliar la casa
Dol ro Latino, o 'ntorbidar le npzzo,
81 corno hai fatto. Or piti tentar non loco;
17U2-80CJ
[1320-1344] libro IH. 0J7
Ed io tei fleto. E qni Giove si tacque.
Abbassò '1 tolto, ed umilmente a lui
Cosi Ghino rispose: Io, porche noto
M'ò, signor mio, questo tuo gran volere,
Ancor contro, mia voglia abbandonata
Ho l'aita di Turno.'» qui da terni
Mi son levata. Che so ciò non fosse.
Me cosi solitaria non vedresti,
Com'or mi vedi, in queste nubi ascosa,
E disposta « soffrir tatto ch'io soffro
Degno o non degno ; ma di fiamme cinta
Mi rimescolerei per la battaglia
A danno do'Tcoiani. Io, solo in questo,
Tel confesso, a Iutuma ho persuaso
Ch'ai suo misero frate In si grand' uopo
Non manchi di soccorso, e eh' ogni cosa
Tonti per la saluto e per lo scampo
Do la sua vita. E non però le dissi
Giammai elio l'arco o le saetto oprasse
Incontr' Enea. Tel giuro por la fonto
Di Stigo, quel eh' a noi celesti numi
Solo ò mimo implacabile o tremendo.
Ora por obbedirti e perohò stanca
Di questa guerra e fastidita io sono.
Cedo o più non contondo. E sol di questo
Caso. -39.' |806-819]
«18 ^lWidV ' L1345-13C9]
Desio che mi compiaccia (e questo al fato
Non ò soggetto), che per mio contonto,
Per onor do' Latini, per grandezza
E maostà ÙV tuoi, quando la pace,
L'accordo o '1 maritaggio fia concliiuso
(Che sia felicemente), il nomo antico
Di Lazio e do le suo nativo genti
L'abito o la favella non si mute: >
Ne inai Teucri si chiamino o Troiani.
Somprc Lazio sia Lazio, o scmprc-Alhanl
Sian d'Alba i rogl. e la romana stirpe
D'italica virtù posscnto o chiara,
l'oidio Troia peri, lascia che pera
Anco il suo nomo. A ciò Giove sorriso,
E cosi lo risposo: Ah! sei pur nata
Ancor tu di Saturno, o mia sorella.
E consenti che l'ira o l'acerbezza
Cosi ti vinca? Or, corno follemente
Lo conccpesto, il cor te ne disgombra
Omni del tutto. E tutto io ti concedo
Che tu domandi, o vinto mi ti rondo.
La favolla. il costumo o'I nome foro
Kitcngansi gli Ausoni, o solo i corpi
Ahbian con essi 1 Teucri uniti o misti.
D'amboduo questi popoli i costumi,
[81'J-836]
[1370-1394] libro xii. Oli)
I riti, t sacrifici in uno accolti,
Una gente farò eli' ad una voce
Latini 'si diranno. E quei che d'ambi
Kascoran nei, sovr'a l'umana gente.
Si rodrau di possanza o di pietudo
Girne a' celesti eguali; o non inni tanto
Snrai tu cólta e marita altrove.
Di ciò Giuno nppagossi, e liota e mito,
Già verso i Teucri, al cicl feco ritorno.
Giove poscia luturuada l'aita
Dister pensò di suo fratello, o 'I feco
In questa guisa. Due lo pésti sono,
Clic son Dir&ehiamate, al mondo uscite
Con Megera ad un parto, a lei sorcllo,
tiglio a la Notte, e di Cucito alunne.
Che d'aspi han parimente irta lo chiuiuc,
K di ventose bucce i dorsi alati.
Questo di Giove al tribunale intorno,
K do la sua gran reggia auzi a In soglia
Si prosontnno aliar che penn e pesti
E morti a noi mortali, o gnerro n' luoghi
Clio no son meritevoli apparecchia.
Una di loro a terra immantincnto
Spinse il padre celeste, ondo Interna
De la fraterna morte augurio avesse.
1836-854] .
020 . l* cxRiDl* [1395 -Hit)]
Mosse la Dir», o di tempestìi In guisa 1
Cli' impetuosamente trascorresse,
Volò come saetta che da Parto,
0 da Cidone avvelenata «scisso,
E non vista, ronzando o l'ombre aprendo.
Ferita immedicabile portasse
Giunta là 'vo di Turno o do' Troiani
Vido le schiere, in forma si ristringo
Subitamente di minoro augello,
Ed in quel si cangiò elio da'sopnlcri
E dagli antichi e solitari alberghi
Funesto cauta, fi sol di notte vola.
Tal divenuta, a Turno s'appresenta.
Gli ulula, gli svolazza, gli s'aggira
Molte volto d'intorno; o fin con l'ali
Lo scudo gli percuoto, e gli fa Tento^
Stupì, si raggricciò, muto divenue
Turno per la paura. E la sorella
Tosto cho lo stridor scntinno e l'ali.
Lo chiome si stracciò, gradinasi il volto,
E con lo pugna il potto si percosso.
Or cho, dicendo, ornai, Turno, più pnote
Per te la tua germana? e cho più resta
A far por lo tuo scampo, ó per l'indugio
Do la tua morte V e come a cotal mostro
[8Ó5-874J
[1420-1444] unno xil. 8tj
Oppor iti p..sso io più? QiA gii mi tolgo
Hi qui lontano. A che più spaventarmi?
Assai di tóma, sventurato angoli».
Nel tao venir mi désti. £ bon conosco
Ai segni del tuo cauto e del tuo volo
Quol chcm'apporti.£non ponto m'inganna
11 severo precetto o 'I volor empio
Del superbo tonante. E questo ò'I pregio
De la verginità die m'ha rapita?
E porche vi.tn mi concesso eterna?
Perchè '1 morir ifii tolse? Acciò morendo
Non finissi il mio duolo? acciò compagna
Gir non potessi al misero fratello?
Immortal io? Che vaimi ? E che mi puute
No l'immortalità parer soave
Soma il mio Turno? Oh qunl mi s'apro tona
Clic seco mi ricova o mi rinchiugga
Tra l'ombre inferi».-: e non più ninfa c Dea
Ma sia mortalo e morta? E cosi dotto,
Grama e dolonto, di ceruleo ammanto
Il cupo si covorso. Indi correndo
Nel suo fiume gittossi, ovo s'immorso
lufino al fondo, o no mandò gemendo
In voce di sospir gorgogli a l'aura,
lutante il suo gran tèlo Euea vibrando
[874-887]
» I .
622 l' ENFIMI. [HI5-HC9]
Col nemico s'azzuffa, o fieramente
Lo rampogna o gli dice: Or qual piii. Turno,
Farai tu mora, o sotterfugio, o schermo?
Con l'armi, con lo man, Turno, e da presso,
Non co' piò si combatto e di lontano.
Ma fuggi pur, dileguati, trasmutati, a
Unisci le tue forze e '1 tuo valore,
Vola per l'aria, appiattati sotterra.
Quanto puoi t'argomenta, o quanto sai.
Che pur giunto vi sei. Turno .squassando
11 cfcpo, Ah, gli rispose, che por fiero
Clio mi ti mostri, io de la tua florozza.
Orgoglioso campion, punto Don temo,
Nò di te: degli Dei temo o di Giovo,
Clic nimici mi sono e meco irati.
Nulla più disso; ma rivolto, appresta
Si vide un sasso, un sasso antico e grand»
Ch'ivi a sorto por limite era posto
A spartir campi e tùr lite a' vicini. "
Era si smisurato o di tal peso,
Che dodici di quei ch'oggi produco
11 secol nostro, e de' più forti ancora,
Non l'avrebber di terra alzato a pena.
Turno diègli di piglio, 0 con osso alto
Correndo so ne già verso il nimico,
[S88-902J
[1470-1493] libro ih. 623
Senza vodor ni come indi il tosliosso,
Né come In levasse, né «e (fisso.
Nò se corresse. Disnervato e fiacche
Oli vaeillàr lo gambo, e freddo o stretto
Gli si fo'l sangue. 11 sasso andò per l'aura,
SI che 'I colpo non giunse, e non percosse.
Como di notte, allor che 'I sonno chiudo
I languid' occhi a l' affannata gente,
No sembra alcuna volta essere al corso
Ardenti in pi-ima, e poi froddi in sul mezzo,
Manchiam di Iena si ch'i più, la lingua,
La voce, ogni potenza ne si toglio
Quasi in un tc/npo: cosi Turno invano
Tutte del suo valor lo forze oprava
Da la Dira impedito. Allora in dubbio
Fu di sò stesso, o molti por la monto
Oli nndaro e vari o torbidi ponsiori.
Torse gli occhi a'suoi Rutuli. o lo mura
Mirò do la città : poscia sospeso
Fermossi, o pauroso; e sopra il tèlo
Vistosi del gran Teucro, orror no preso.
Non più sapendo o dovo por suo scampo
Si ricovrasse, o quel che por suo schermo,
0 per offesa dol nimico oprasse.
[903-918J
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021 l'emei'de. [1191-151 "i
Mentre così confuso 0 forsennato
Si sta. la fatai asta Enea vibrando.
Apposta ore colpisca, e con la forza
Dui corpo tutto irli l'avventa e fero.
Machina con tant' impeto non pinso «,
Mai sasso e mai non fu squarciata nnbo
Che si tonasse. Andò di turbo in guisa
Stridendo, t con la morte in su la punta
Furiosa passò di sette doppi .
Lo rinforzato scudo: e la corazza
Aprondo. ne la coscia gli s'infisse.
Die del ginocchi) a questo colpo in terra
Turno forito. 1 Botali gridaro;
E tal surso fra lor tumulto e pianto.
Che 'I monto tutto o le foreste intoni^
Ne rintonaro. Allor gli occhi e la destra
Alzando in atto umilmente rimosso,
E supplicante: Io, disso, ho meritato
Questa fortuna; e tu segui la tua:
Chè nò vita, nò venia ti dimando.
Ma se pietà do' padri il cor ti tango
(Chò ancor tu padre avesti, e padre sci),
l)ol mio vecchio parento or ti sovvengo.
E se morto mi vuoi, morto ch'io sia
1919-93Ó]
[1B1«-1S41] unno Kit. ««
R< ni il min corpo a' mici. Tu vincitnro, ■
Kd io son Tinto. E già gli Ausoni tutti
Mi ti vcggiono a' pià, elio supplicando
Mercè ti dileggio: e già Lavinia ù tnn:
A elio pid contro un morto odio o tenzono?
Enea ferocemente altero e torro
Stottc ne l'armo, e Tòlti gli occhi a torno,
Franò Iti destra; c con l'indugio oguora
l'in mite, al suo pregar ai raddolciva:
Quando di cima all'omero il fermaglio
Del cinto infortunato-di Pallanto
Negli occhi gli rifulse. E bon conobbe
A le note sue bollo osscr quel desso,
Pi che Turno quel di l'avi» spogliato.
Che gli diò morte; e che per vanto poscia
Como nomica e gloriosa spoglia
Lo portò sempre al petto attraversato.
Tosto elio M vide, amara rimombrnn/n
Oli fu di quel eh' ci n'ebbe affanno e doglia;
E d' ira e di furore il petto acceso,
E terribile il volto, Ab, disso, adunque
Tn de le spoglie d'un mio tanto amico
Adorno, oggi di man presumi uscirmi.
Si che non muoia? Muori: o questo colpo
[M6-M8J
.J5L. "
620 l EXKinR. [1012-1518}
Ti dà rullante, e da I'nllanto il prendi,
A luì, por mia vendetta e por sua vittimi,
To, la tua pena, o 'I tuo sangue^onsnero.
E, ciò dicondo, il petto gli trafisse.
Allor da mortai gielo il corpo appreso
Abbandonossi: o l'anima di vita
Sdegnosamente sospirando uscio.
[948- 952]
Fimi.
INDICE.
Al Isttorl jitg T
Argomenti itti
Libro Primo * I
— Secondo 51
— Ter«o....v 104
— Q'! irto 150
— Quinto jo,4
— Sento 145
— Settimo soo
— ottavo 8&0
— Nono SM
— Decimo 448
— Undeclmo 508
— Duodecimo 6M